Il 21 e 22 ottobre 2022, al dipartimento di Giurisprudenza ed all’aula delle adunanze del palazzo di Giustizia, teorici del diritto si sono confrontati su un quesito che non ha mai cessato di essere attuale: nell’ordinamento italiano, è ammissibile il diritto alla morte?
E, qualora la risposta fosse positiva, quali sarebbero le disposizioni normative che lo tutelerebbero?
L’articolo 2 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo nega il diritto alla morte e promuove, contestualmente, quello alla vita: “il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena”.
L’articolo 2 della Costituzione sostiene il diritto alla vita. Secondo la Corte Costituzionale, la tutela del diritto alla vita troverebbe fondamento in questa previsione, e sarebbe rafforzato, in sede penale, dallo specifico divieto della pena di morte stabilito nell’articolo 27, comma 4, della stessa Carta.
Esiste, tuttavia, un orientamento giurisprudenziale europeo che riconosce alla morte la stessa protezione della vita, in quanto beni opposti ma, allo stesso tempo, complementari dell’essere umano.
In questo senso, l’eutanasia e il suicidio assistito smetterebbero di essere considerati meri “eventi infelici” e diventerebbero libertà attinenti non solo alla morale individuale ma, anche e soprattutto, al diritto costituzionale.
Anche la Chiesa Cattolica rifiuta il diritto alla morte poiché considera il bene vita indisponibile ed inviolabile non solo dalle istituzioni private e pubbliche ma, in particolar modo, dallo stesso uomo.
Alla base della domanda di eutanasia si trova la ricerca di una morte benefica, fornita dai terzi a colui che la richiede, per mettere fine alla propria sofferenza, considerata intollerabile ed inutile.
Se essere degni significa essere liberi, il fatto di imporre alla persona una vita che non sente come propria minaccerebbe la sua dignità. Il rispetto della persona esige innanzitutto l’osservanza delle volontà, delle scelte, dei valori e dello stile di vita della stessa che altro non sono che il riflesso di quella libertà di cui ha goduto durante la propria esistenza.
In alcuni paesi, come il Canada e la Svizzera, il suicidio assistito è riconosciuto, ma a tre condizioni, ossia qualora: 1) sia preceduto dalla volontà espressa del malato; 2) sia chiesto a fronte di una patologia in uno stadio terminale; 3) sia posto in essere con il rispetto di un preciso iter legale e sanitario. In altri paesi, come l’Olanda, ad essere tutelato è invece l’omicidio del consenziente. Per quanto riguarda l’ordinamento italiano, esso nega l’esistenza del diritto alla morte attribuendo al malato il solo diritto al rifiuto delle cure.
I riferimenti normativi relativi al tema di cui si discute sono da rinvenire negli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione nell’articolo 5 del codice civile, negli articoli 579 e 580 del codice penale e, infine, negli articoli 5 e 6 della legge numero 219 del 2017.
In Italia, quindi, il diritto alla vita continua a prevalere su quello alla morte e impedisce l’affermazione di pratiche volte ad abbreviare l’esistenza del cittadino, anche se dallo stesso chiesta e voluta, in particolare alla luce delle note sentenze della Corte Costituzionale nr 242 del 2019 e n. 50/2022 del 15/02/2022, che ha dichiarato inammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione parziale dell’art. 579 c.p., abrogazione che avrebbe avuto l’effetto di depenalizzare, ad esclusione dei casi previsti nel comma III dello stesso articolo, l’omicidio del consenziente. Il quesito è stato dichiarato inammissibile perché, a seguito dell’abrogazione, sarebbe venuta meno “la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili”.
Come si vede si tratta di tematiche assai delicate, incidenti profondamente sul piano non solo del singolo individuo ma anche, se non soprattutto, sociale e sulle quali il confronto, non solo tra giuristi, appare necessario ed imprescindibile e da svilupparsi scevro da approcci prevalentemente se non meramente ideologici, da fronti contrapposti, che non servirebbero a trovare soluzioni adeguate a salvaguardare la dignità della persona in uno con la solidarietà che deve permeare l’agire dei consociati.
Il convegno è servito a dare un contributo concreto proprio in questa prospettiva.