Protocollo n.16 al bivio. A margine di un recente libro - E. Albanesi, Corte costituzionale e parere della Corte EDU tra questioni di principio e concretezza del giudizio costituzionale - di Roberto Conti
Sommario: 1. Il protocollo del dialogo …interrotto. - 2.Qualche ulteriore considerazione sparsa sul tema, a proposito del ruolo della Corte di Cassazione. - 3.Qual è la posta in gioco? - 4. La Corte costituzionale, la sovranità e il Protocollo n.16. - 5. A mo’ di conclusioni, nella speranza che il Governo e le forze politiche riaprano il cantiere in Parlamento si riapra davvero.
1. Il protocollo del dialogo…interrotto
Si torna sul tema della mancata ratifica del Protocollo n.16 annesso alla CEDU questa volta grazie alvolume dedicato al tema fresco di stampa - E. Albanesi, Corte costituzionale e parere della Corte EDU tra questioni di principio e concretezza del giudizio costituzionale, Giappichelli, 2021 - al quale ha lavorato il suo Autore, costituzionalista della scuola genovese.
Nell’impianto dell’opera, che alla parte dedicata all’inquadramento generale del tema all’interno del piano convenzionale e di quello costituzionale, segue la ricca e densa parte II, al cui interno il capitolo 4 è quello dedicato al cuore della questione, appunto rappresentata dalle ragioni che hanno fin qui indotto il Parlamento a mettere temporaneamente da parte il tema della ratifica del Protocollo n.16. Un approfondimento particolare viene poi dedicato alle questioni che coinvolgono direttamente il tema della legittimazione della Corte costituzionale a promuovere la richiesta di parare preventivo ed alle modalità di proposizione della richiesta da parte del giudice costituzionale( cap.5 e 6).
Il contesto nel quale si inserisce il volume è quello che trova nel 23 settembre 2020 la data in cui si arenò innanzi alle Commissioni riunite II e III della Camera dei Deputati il progetto di legge relativo alla ratifica del Protocollo n.16.
Il rinvio della ratifica del Protocollo n.16 era stato determinato, pendendo a prestito le espressioni utilizzate dalla relatrice del testo esaminato dall’assemblea della Camera dopo lo stralcio, dai “… profili di criticità connessi al rischio di erosione del ruolo delle alti Corti giurisdizionali italiane e dei principi fondamentali del nostro ordinamento.”
Nel silenzio più totale dell’Accademia, dei gruppi associativi della magistratura e dell’Avvocatura Giustizia Insieme segnalava, con un editoriale, le ripercussioni negative che quella decisione parlamentare avrebbe provocato sul ruolo delle Alte Corti nazionali italiane, private della possibilità di richiedere, se ritenuto necessario rispetto al giudizio pendente, un parere non vincolante alla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo ed invitava ad accendere i riflettori sul tema ed a riaprire il dibattito nell'Accademia e nelle giurisdizioni.
Alla vivacità del dialogo a distanza sviluppatosi fra studiosi prestigiosi provenienti da diversi settori dell’Accademia - costituzionalisti, processualcivilisti, filosofi del diritto, internazionalisti e comunitaristi, nelle autorevoli espressioni di Antonio Ruggeri - Protocollo 16: funere mersit acerbo?, Cesare Pinelli - Il rinvio dell’autorizzazione alla ratifica del Protocollo n. 16 CEDU e le conseguenze inattese del sovranismo simbolico sull’interesse nazionale, Elisabetta Lamarque - La ratifica del Protocollo n. 16 alla CEDU: lasciata ma non persa, Carlo Vittorio Giabardo - Il Protocollo 16 e l’ambizioso (ma accidentato) progetto di una global community of courts, Enzo Cannizzaro - La singolare vicenda della ratifica del Protocollo n.16, Paolo Biavati - Giudici deresponsabilizzati ? Note minime sulla mancata ratifica del Protocollo 16, Sergio Bartole - Le opinabili paure di pur autorevoli dottrine a proposito della ratifica del protocollo n. 16 alla CEDU e i reali danni dell’inerzia parlamentare, Bruno Nascimbene - La mancata ratifica del Protocollo n. 16. Rinvio consultivo e rinvio pregiudiziale a confronto, Marina Castellaneta - Ratificato il Protocollo n. 15 ...aspettando il Prot. 16. Al via le modifiche alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo - e Andreana Esposito - La riflessività del Protocollo n. 16 alla Cedu- si aggiunge, ora, quasi ad ideale chiusura di una fase riflessiva sull’attuale fase, il saggio monografico di Albanesi. Saggio che, a fronte degli interventi singoli sopra enunciati, ha il vantaggio - ed il pregio - di porsi in una prospettiva più sistematica che al lettore alla ricerca di un quadro d'insieme indubbiamente serve.
Ecco, dunque, il “contesto” nel quale si inserisce il completo, approfondito e per certi versi “coraggioso” libro di Enrico Albanesi.
Per spiegare dove sta ed in cosa consiste il coraggio dell’autore è bene ritornare al “clima” che si è respirato all’indomani dello stop parziale in sede parlamentare all’esame del ddl che aveva ad oggetto anche la ratifica del Protocollo n.16. Un clima, del resto, misurato nel corso delle audizioni innanzi alle Commissioni parlamentari, prevalentemente orientate – salvo qualche autorevole eccezione a descrivere non già le pubbliche virtù del Protocollo n.16, quanto il germe che in esso si annidava, capace di assestare alla sovranità dello Stato un colpo durissimo non solo al custode principe della Costituzione – il giudice costituzionale – ma anche all’autonomia della magistratura, per Costituzione soggetta soltanto alla legge (art.101, 1° co. Cost.).
Ora, Albanesi, dopo avere inquadrato il Protocollo n.16 nella sua dimensione convenzionale (cap.1) e offerto gli strumenti per cogliere l’attuale situazione dinamica dei rapporti della Corte costituzionale con le alte corti nazionali e sovranazionali (cap.2), smonta uno ad uno gli argomenti dei sostenitori della Linea governativa. E lo fa con puntiglio, analiticità ed una spiccata capacità di chiarezza, dedicando un intero capitolo agli “Argomenti contrari alla ratifica del Protocollo n.16 e loro confutazione”. Ciò fa approfondendo l’analisi non soltanto con l’occhio rivolto alla giurisdizione apicale “comune” ma anche, con la stessa acutezza di indagine, con riguardo al ruolo, alla funzione ed alle potenzialità dello strumento riguardato dal lato della Corte costituzionale. È proprio il capitolo 5 ad occuparsi di quest’ultimo argomento, prendendo le mosse dalla questione della riconducibilità della Corte costituzionale all’alveo delle Alte giurisdizioni alla quale accenna il Protocollo n.16, ma poi affrontando il nodo dei “rischi” che esso potrebbe rappresentare, sul piano interno, per effetto della concorrente utilizzazione da parte delle alte giurisdizioni comuni.
Le conclusioni che trae Albanesi appaiono rassicuranti almeno per quanti sono convinti che tale strumento, nelle mani della Corte costituzionale, potrebbe essere fecondo(tra questi anche l’attuale giudice della Corte edu in quota italiana, R. Sabato, Sulla ratifica dei Protocolli n. 15 e 16 alla CEDU, in www.sistemapenale.it e, più di recente, id.,L’impatto del protocollo n. 15 sulla Convenzione europea dei diritti umani: riflessioni a valle della ratifica italiana (e della mancata ratifica del protocollo n. 16) in Osserv.AIC, 1 giugno 2021, n.3/2021; v. anche M.Lipari - Il rinvio pregiudiziale previsto dal Protocollo n.16 annesso alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU): il dialogo concreto tra le Corti e la nuova tutela dei dritti fondamentali davanti al giudice amministrativo).
Meno in linea, per converso, risulta l’intera trama argomentativa del volume rispetto alle opin ioni di ha invece autorevolmente insistito sulla pericolosità, superfluità ed inopportunità del Protocollo n.16 (soprattutto, M. Luciani, Note critiche sui disegni di legge per l’autorizzazione alla ratifica dei Protocolli n. 15 e n. 16 della CEDU, 26 novembre 2019, in www.SistemaPenale.it; G. Cerrina Ferroni, Il disegno di legge relativo alla ratifica dei Protocolli 15 e 16 recanti emendamenti alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; F. Vari, Sulla (eventuale) ratifica dei Protocolli n.15 e16 alla CEDU, in Federalismi.it). Pessimisti che, occorre riconoscere con estrema franchezza, hanno fatto breccia nelle aule parlamentari tracciando una linea che ha trovato larga eco nel dibattito seguìto nelle Commissioni parlamentari ed in Aula, in occasione del varo finale del Protocollo n.15.
I cavalli di battaglia utilizzati per guardare al Protocollo 16 come (marginalizzazione della Corte costituzionale, allungamento dei tempi processuali, compressione di valori fondamentali per la giurisdizione nazionale, soggezione del giudice soltanto alla legge, limitazione della sovranità in pregiudizio della Consulta) sembrano trovare puntuale smentita nelle considerazioni espresse da Albanesi, in piena sintonia con gli studi apparsi su Giustizia Insieme ai quali si è fatto cenno sopra. Quello della irragionevole lunghezza dei processi che ne deriverebbe –v. R. Conti, Chi ha paura del protocollo n.16 -e perché?, in www.sistemapenale.it, 27 dicembre 2019 –.
2. Qualche ulteriore considerazione sparsa sul tema, a proposito del ruolo della Corte di Cassazione
Più volte è stato sottolineato come lo scopo del Protocollo n.16 fosse non già quello di sottrarre nicchie di sovranità e di potere giurisdizionale agli organi interni, quanto di favorire l’introduzione di uno strumento destinato a recuperare segmenti di certezza e prevedibilità al sistema di tutela dei diritti fondamentali, addirittura accentuando il ruolo di autonomia ed indipendenza delle giurisdizioni superiori nazionali, in un clima di cooperazione nella reciproca autonomia ed indipendenza delle Corti coinvolte.
La discrezionalità nel chiedere il parere e la piena autonomia nel disattenderne i contenuti ci erano parsi talmente evidenti e marcati da denotare in maniera inequivocabile i tratti caratterizzanti del meccanismo dialogico che sta alla base del Protocollo del dialogo, come ebbe a definirlo il Presidente della Corte edu Spielmann nel 2013 – Discorso del Presidente della Corte EDU Dean Spielmann alla 123a Sessione del Comitato dei Ministri, 16 maggio 2013, in www.echr.coe.int – tanto nella fase ascendente – al momento della richiesta, non obbligatoria, proveniente dal giudice nazionale – che in quella discendente – all’esito del parere eventualmente espresso dalla grande Camera della Corte edu – offrendo alle Alte Corti nazionali la possibilità di sfruttare a fondo il loro ruolo di protagonisti del sistema di garanzia a presidio dei diritti imposto dalla Costituzione. Né il giudice nazionale può ritenersi impedito, dopo il parere reso dalla Grande Camera, dal rivolgersi alla Corte costituzionale (E. Cannizzaro, cit.) – ove non sia convinto della conformità del suo contenuto all’assetto costituzionale dei valori.
Le considerazioni appena espresse si accentuano in modo particolare se si pensa al ruolo della Corte di Cassazione nel sistema di protezione dei diritti fondamentali e alla sua centralità nell’applicazione uniforme del diritto.
Prospettiva, quella fissata dal tuttora vigente art.65 della legge sull’ordinamento giudiziario che, riletto ed attualizzato alla luce dell’entrata in vigore della Costituzione e della sua apertura alle fonti sovranazionali, agli obblighi internazionali ed alle limitazioni di sovranità finalizzate alla garanzia di pace e sicurezza – artt.2, 10, 11, 117 1^ c. Cost. – delinea in modo marcato la funzione di nomofilachia europea che la Corte di Cassazione (anche per effetto del controllo alla stessa affidato, per il tramite delle Sezioni Unite civili, al tema del riparto delle giurisdizioni (art.117, c.8 Cost.) è andata assumendo e che proprio grazie agli strumenti cooperativi sempre più utilizzati nell’adire la Corte costituzionale e la Corte dei Giustizia UE consente ad essa di essere rappresentata ed avvertita anche all’esterno come organo centrale nel sistema di protezione dei diritti( conf., di recente, G. Canzio, F. Fiecconi, Giustizia, Milano, 2021, 63, 168 e 171).
Con ciò non si intende in alcun modo rivendicare posizioni di primazia o di egemonia da parte della Corte di Cassazione nei confronti di altre giurisdizioni interne o della Corte costituzionale né di quelle sovranazionali. È infatti difficile comprendere come la vocazione universale del discorso sui diritti dell’uomo (e, dunque, la sua naturale inclinazione al dialogo comparatistico) possa costringersi entro i ristretti confini di una singola dimensione politica nazionale (Giabardo, cit.).
Ed allora, sono proprio le forme di dialogo con le istituzioni giudiziarie sovranazionali a rendere non solo più piana la strada di una cooperazione equiordinata fra le giurisdizioni nazionali e sovranazionali, ma anche ad implementare la centralità delle istituzioni giudiziarie nazionali medesime, senza in alcun modo impoverirle e/o eroderne l’autorevolezza, delineando un sempre crescente ruolo della sussidiarietà nei rapporti fra le Corti nazionali e la Corte edu.
Ciò che si pone in linea di continuità e contiguità con il Protocollo n.15 che, ancora di più, ha inteso approfondire la centralità delle istituzioni nazionali nel sistema di protezione dei diritti fondamentali.
In questa direzione, come ricordato in dottrina – M. Castellaneta, cit.– va ricordato il considerando al Preambolo aggiunto dal Protocollo n.15, nel quale si afferma che “spetta in primo luogo alle Alte parti contraenti, conformemente al principio di sussidiarietà, garantire il rispetto dei diritti e della libertà definiti” nella Convenzione e nei suoi Protocolli.”
Come, dunque, non cogliere da questo inciso un evidente rafforzamento del ruolo delle giurisdizioni nazionali che, senza il Protocollo n.16, rimangono totalmente prive di canali di collegamento con la Corte edu?
In altri termini, proprio il Protocollo n.16 implementa in maniera incisiva il ruolo delle Corti nazionali rispetto a quella di Strasburgo, all’interno di un canone di sussidiarietà che vede come protagonista crescente il giudice nazionale di ultima istanza, al punto che egli, per un verso, sarà quello più direttamente investito nella protezione dei diritti di matrice convenzionale ed all’interno di questo arricchito potere(con annessa assunzione di responsabilità) il potere di chiedere il parere preventivo alla Corte edu è, per l’appunto, riconoscimento di deferenza e attenzione nei confronti dei Paesi del Consiglio d’Europea e, soprattutto delle sue Alte giurisdizioni.
Né può tralasciarsi di considerare, tra i benefici che possono attendersi dal Prot. 16, gli effetti che si hanno nei confronti dell'attività svolta dalla Corte EDU in sede giurisdizionale, se si considera che proprio in sede di redazione dei pareri è possibile possono precisare meglio orientamenti manifestati in sede giurisdizionale ovvero essere modificati (così, Ruggeri, Ancora sul Prot. 16: verrà dai giudici la sollecitazione al legislatore per il suo recepimento in ambito interno?, in “itinerari” di una ricerca sul sistema delle fonti XXIV, studi dell’anno 2020, Torino, 2021, 739 ss.).
Anzi, questa opinione dottrinaria consente forse di fugare appieno le preoccupazioni che pure si ventilano in dottrina in ordine ad una mutazione genetica del ruolo della Corte edu per effetto dell’introduzione del parere preventivo.
L’attività resa dalla Corte edu in seno al parere non perde i connotati di giurisdizionalità che sono propri dell’organo che adotta il parere. Quel che si modifica, invero, è il valore giuridico che il Protocollo attribuisce al parere, tratteggiandolo in termini, come sappiamo, di non vincolatività - in questa direzione univocamente militando il Rapporto esplicativo al Protocollo – The proposal to extend the jurisdiction (corsivo aggiunto) of the European Court of Human Rights (the Court) to give advisory opinions was made in the report to the Committee of Ministers of the Group of Wise Persons…” –.
Proprio il punto 27 del citato rapporto esplicativo, sub art.5, non lascia margine a dubbio, laddove afferma che i pareri "... andranno a fare parte della giurisprudenza della Corte, insieme alle sentenze e alle decisioni. L’interpretazione della Convenzione e dei suoi Protocolli contenuta in tali pareri consultivi sarà analoga nei suoi effetti ai principi interpretativi stabiliti dalla Corte nelle sentenze e nelle decisioni".(v. conf. E. Nalin, I protocolli n.15 e 16 alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, in Studi sull’integrazione europea, IX (2014), 143) Prospettiva che, del resto, lo stesso autore del libro che oggi si recensisce non ha mancato di caldeggiare in un saggio successivo - E.Albanesi, Un parere della Corte EDU ex Protocollo n.16 alla CEDU costituisce norma interposta per l’Italia, la quale non ha ratificato il Protocollo stesso?, in Consultaonline, 29 marzo 2021 - allorchè Albanesi qualifica il parare come “giurisprudenza” della Corte edu, pur assegnandone la forza vincolante - anche per i paesi non aderenti - se esso si inscriva nella giurisprudenza "consolidata" della quale parla la sentenza n.49/2015.
Il che ancora di più conferma che la funzione espletata dalla Grande Camera, pur nell’assoluta specialità del parere che essa rende, si inserisce in un circuito governato da garanzie partecipative previste per le parti e per i terzi, peraltro prevedendosi che i componenti dissenzienti dalla maggioranza possano esprimere le dissenting opinion. Ciò che, a ben considerare, ripropone un modulo speculare a quello previsto per i provvedimenti di contenuto decisorio da parte della Corte edu.
Si vuol dire, in definitiva e senza con ciò volersi impegnare in una ricostruzione della natura del parere sulla base di categorie proprie del diritto interno, che detto provvedimento è soggettivamente emanato dalla Corte edu, proviene dalla sua composizione più autorevole - la Grande Camera - è il frutto di un contraddittorio ed assume forme in buona parte sovrapponibili a quelle delle pronunzie decisorie, da queste però differenziandosi per il fatto che non ha, per l’appunto, carattere decisorio. Il che non ne elide affatto la portata e il valore all’interno del case law della Corte edu.
Ne consegue che privare dello strumento i giudici nazionali ha un effetto pernicioso per l’autorità giurisdizionale di ultima istanza domestica che subirà passivamente il formarsi di orientamenti che, si è visto sono poi espressi dalla successiva giurisprudenza della Corte edu, come si è visto per la vicenda del legame da proteggere fra minore nato da una gestazione per altri effettuata all’estero e madre intenzionale – v. Corte EDU, sezione quinta, sentenza 16 luglio 2020, D. contro Francia rispetto al precedente parere consultivo reso il 10 aprile 2019 ai sensi del Protocollo n. 16 alla CEDU ai sensi del Protocollo n. 16, dalla Corte EDU, grande camera, il 10 aprile 2019, relativo al riconoscimento nel diritto interno di un rapporto di filiazione tra un minore nato da una gestazione per altri effettuata all’estero e la madre intenzionale, richiesto dalla Corte di Cassazione francese –.
3. Qual è la posta in gioco?
Se si condividono le riflessioni appena espresse, ci si accorge, allora, che il vero bersaglio delle posizioni di chiusura al Protocollo n.16 non sia tanto la Corte edu, quanto chi in essa intravede un organo giurisdizionale pienamente legittimato a svolgere un ruolo centrale nella protezione dei diritti fondamentali, la cui matrice plurale, quanto a fonti e quanto a giurisdizioni, ha posto la Corte edu non già in posizione di supremazia, ma piuttosto all'interno di un recinto nel quale è chiamata continuamente a convivere e a confrontarsi con gli altri plessi giurisdizionali, nazionali e sovranazionali.
Le accuse di lesione alla sovranità attengono, piuttosto, se colte nella loro intrinseca essenza e nemmeno tanto celata prospettiva, al modo con il quale le Corti nazionali hanno favorito l’ingresso di quel diritto vivente, vissuto come una forte contrazione del diritto interno e del giudice naturalmente chiamato ad applicarlo.
La critica al Protocollo n.16 è dunque al “modo” con il quale si attinge alla giurisprudenza convenzionale, finendo con l’apparire strumentale ad un ragionare che intende porre in discussione l’architrave sulla quale si fondano i rapporti fra ordinamento interno e CEDU.
Ed in questo non è tanto l’autonomia – espressiva di sovranità interna – delle Istituzioni giudiziarie verso le quali sembrerebbero venire in difesa i critici del Protocollo n.16 a venire in discussione quanto, ancora una volta, il “modo” con il quale tale autonomia viene esercitata. Quel che non appare gradito, in termini ancora più chiari, non è la Corte edu, il suo Protocollo n.16 e la sua giurisprudenza, quanto l’uso che se ne fa nel diritto interno.
Un uso che qui va in invece vigorosamente protetto, almeno quando esso è operato con rigore, con completezza e pure senza pregiudizi, nell'un senso o nell'altro.
Si tratta, a ben considerare, di una prospettiva necessitata dal fatto che il diritto è sempre più affidato ai principi costituzionali interni, dell’Unione europea e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e dunque collegato a tecniche di argomentazione giuridica che proprio attraverso il dialogo si costruiscono continuamente e progressivamente, in un ordine giuridico che non è più dato e fissamente orientato su scale gerarchiche ma si compone, seppur con accenti di complessità sicuramente elevati, anche grazie all’opera dei giudici interni e di quelli sovranazionali, entrambi parte attiva di un processo materialmente costituzionale nel quale il ruolo svolto dai garanti della legalità è espressione democratica dello Stato costituzionale. Un diritto sempre più scienza pratica che si crea in funzione del caso, attraverso vari tasselli che il giudice è chiamato ad unire in un processo, appunto, complesso, articolato, ricco.
La progressiva assimilazione del corretto ruolo della Cedu nel sistema interno e dei suoi rapporti con la Costituzione, dispiegatosi anche attraverso l’intervento della Corte costituzionale, a partire dalle sentenze gemelle del 2007 e poi via via con i vari seguiti -ai quali pure Albanesi dedica le sue riflessioni, enfatizzando forse eccessivamente il significato della sentenza n.49/2015- ha consentito di comprendere appieno le finalità e potenzialità della Convenzione europea dei diritti umani, anche grazie all’opera di conoscenza svolta dai protocolli informali conclusi fra le Corti nazionali e la Corte edu, anch’essi ispirati al “dialogo” fra i diversi plessi giurisdizionali.
E non può essere senza significato che sia stata la Cassazione italiana a concludere, seconda in Europa fra le Alte Corti, un protocollo d’intesa con la Corte edu nel dicembre del 2015, al quale hanno fatto seguito le altre Corti apicali italiane e la stessa Corte costituzionale nel gennaio 2019 (R. Conti, Protocolli d’intesa tra la Corte di Cassazione e la Corte dei diritti dell’uomo. Introduzione, in Riv. It. dir. lav., 2, 2016, 103; id., Il protocollo di dialogo fra le Alte corti italiane, Csm e Corte EDU a confronto con il Protocollo n. 16 annesso alla CEDU. Due prospettive forse inscindibili, in Questione Giustizia, 29 gennaio 2019). Un'esperienza, quella maturata attorno a un documento di soft law, che proprio quando il Protocollo n.16 non era ancora entrato in vigore, ad esso espressamente si ispirava contribuiendo, negli anni, a radicare nella giurisdizione di ultima istanza un sentire comune aperto alla conoscenza e comprensione del diritto di matrice convenzionale.
Non è anzi inutile ricordare le parole di Guido Calabresi tratte dal suo “Il mestiere del giudice” Pensieri di un accademico americano, Bologna, 2013, quando, nel manifestare il rammarico circa il fatto negli Stati Uniti la cultura del dialogo fra le Corti non sia decollata, si esprime così: "…Ora, in questo stato di cose, che cosa tiene legati i giudici al rispetto dei limiti? Che cosa impedisce loro di arrogarsi un potere eccessivo? Che cosa li aiuta a conservare qualcosa della metodicità e cautela dei loro omologhi del passato in un mondo tanto accelerato e proteiforme? Il metodo dialogico è la soluzione moderna affinché il giudice sia inserito in un contesto di costante confronto, conforto, ispirazione, influenza, scambio e limite con altre Corti, altre giurisdizioni, altri Stati, altri interlocutori istituzionali.
Il dialogo attenua la ferocia repentina e drastica con cui il giudice assolverebbe il suo ruolo nel contesto giuridico moderno, riaccostandolo alla prudenza mite, incessante ma graduale, che apparteneva ai suoi predecessori della common law al fine di aggiornare e migliorare il diritto".
In queste parole ed in altre che lo stesso Calabresi usa (pag.80) non vi è affatto la sopravvalutazione del dialogo fra le Corti, anzi. È lo stesso Calabresi a non nascondersi che quello europeo è un sistema "pieno di imperfezioni e incertezze", tuttavia evidenziando che la "rete dialogica tra le varie Corti costituzionali, tra le Corti di cassazione, tra le Corti in generale e la Corte europea dei diritti dell'uomo e la Corte di giustizia" dovrebbe essere "importata dagli Stati Uniti" che resta, presegue il iurista italo-americano, un paese molto provinciale.
Ora, quella rete virtuosa di confronto alla pari si comprende non essere, oggi, tanto più di moda, in un periodo storico nel quale si assiste a processi di rinanzionalizzazione dei diritti fondamentali - G. Canzio e F. Fiecconi, Giustizia, cit., 36- e, per altro verso di "riaccentramento" del sindacato della Corte costituzionale- D. Tega, La Corte nel contesto, Percorsi di ri-accentramento della giustizia costituzionale in Italia, Bologna, 2020 - ai quali fanno da pendant istante populiste e sovraniste che, indubbiamente, legittimano pienamente le scelte di non ratificare il Protocollo da un significativo numero di Paesi aderenti al Consiglio d'Europa e non creano un terreno fertile rispetto all'idea di base sottesa al Protocollo n.16.
4. La Corte costituzionale, la sovranità e il Protocollo n.16
Un’ulteriore riflessione va, prima di avviarsi alla conclusione, riservata al ruolo della Corte costituzionale che Albanesi non manca di approfondire nel suo saggio, anche nella prospettiva volta a delineare la posizione di tale Istituzione sia nel quadro del diritto internazionale che in quello interno, rivolto a verificare rispetto a detta Corte le modalità di attuazione del Protocollo n.16.
Considerazioni che non possono non partire da un aspetto che potrebbe sembrare non marginale e che, per converso, sembra essere per certi versi paradossale. Ci si riferisce alla mancata audizione in sede di discussione del progetto di legge di ratifica, della allora Presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia. Omissione davvero singolare se si considera la diversa attenzione riservata dal Parlamento alle cariche apicali delle giurisdizioni nazionali ed alla stessa alta considerazione riservata alle opinioni di chi ha ricoperto e ricopriva ruoli rilevanti nella Corte edu.
Le avvisaglie rispetto ad un “favor” della Corte costituzionale al varo del Protocollo n.16 erano, del resto, ben visibili e “pubbliche”.
Per un verso, va ricordato che proprio in occasione della firma del Protocollo fra Corte costituzionale e Corte edu al Palazzo della Consulta l’11 gennaio 2019 si auspicò la rapida ratifica del protocollo n.16 come emerge dal comunicato stampa della Corte costituzionale reso l’11 gennaio 2019 in cui si afferma testualmente che “…dalla discussione è emersa anzitutto la necessità che le Corti europee – in una fase storica di debolezza, in alcuni Paesi, dei diritti fondamentali – dialoghino tra loro per la piena tutela di questi diritti, anche assicurando l’armonizzazione delle rispettive giurisprudenze. A questo scopo è stata sottolineata l’urgenza dell’approvazione, da parte del Parlamento italiano, del Disegno di legge di ratifica e di attuazione del “Protocollo 16”, che consente un effettivo dialogo con la Corte di Strasburgo attraverso la richiesta di pareri sulle questioni oggetto di giudizio nelle Corti italiane”.
Posizione, quest’ultima, che del resto, non può essere marginalizzata attribuendole il significato e la portata di una mera comunicazione “politica” proveniente da un organo interno unicamente addetto alla comunicazione esterna.
È infatti sufficiente considerare, come Albanesi opportunamente fa anche nel saggio del 2021 già ricordato, quanto affermato in modo esplicito dalla Corte costituzionale nel suo campo di elezione, appunto la giurisprudenza costituzionale, allorché, nella sentenza n.49/2015, si chiarì che “…È perciò la stessa CEDU a postulare il carattere progressivo della formazione del diritto giurisprudenziale, incentivando il dialogo fino a quando la forza degli argomenti non abbia condotto definitivamente ad imboccare una strada, anziché un’altra. Né tale prospettiva si esaurisce nel rapporto dialettico tra i componenti della Corte di Strasburgo, venendo invece a coinvolgere idealmente tutti i giudici che devono applicare la CEDU, ivi compresa la Corte costituzionale. Si tratta di un approccio che, in prospettiva, potrà divenire ulteriormente fruttuoso alla luce del Protocollo addizionale n. 16 alla Convenzione stessa, ove il parere consultivo che la Corte EDU potrà rilasciare, se richiesta, alle giurisdizioni nazionali superiori è espressamente definito non vincolante (art. 5). Questo tratto conferma un’opzione di favore per l’iniziale confronto fondato sull’argomentare, in un’ottica di cooperazione e di dialogo tra le Corti, piuttosto che per l’imposizione verticistica di una linea interpretativa su questioni di principio che non hanno ancora trovato un assetto giurisprudenziale consolidato e sono perciò di dubbia risoluzione da parte dei giudici nazionali.” (corsivo aggiunto n.d.r.)
Il passaggio motivazionale da ultimo ricordato non è di secondo piano né di scarso peso, appunto collocandosi all’interno di una pronunzia della Consulta – la già ricordata n.49/2015- ormai passata alla storia per avere squadernato i canoni fissati dalle sentenze gemelle del 2007 in punto di vincolatività della giurisprudenza convenzionale nell’ordinamento interno, depotenziandola al punto da escluderne, come ricorda Albanesi, l’immediata operatività – ai fini della proposizione della questione di legittimità costituzionale – in caso di contrasto della stessa con la Costituzione.
Ecco che proprio il riferimento “mite” operato dalla sentenza n.49/2015 al Protocollo n.16 ed alla istanza di cooperazione dialogante allo stesso sottesa costituisce la migliore risposta agli scettici ed a chi intravede nel varo di tale strumento un attacco micidiale alla Corte costituzionale ed alla sovranità nazionale, mostrando quanto sia fallace la ricostruzione del Protocollo in termini di "pericolo" per lo Stato e quanto, tutto al contrario, detto Protocollo possa risultare “fruttuoso” sulla strada della costruzione del diritto fondata sul dialogo- cfr. E. Crivelli, Il contrastato recepimento in Italia del Protocollo n. 16 alla Cedu: cronaca di un rinvio, in Osserv.AIC, 2 marzo 2021 -.
Prospettiva che, dunque, incastona il parere in un momento di costruzione della decisione finale e che ne fa tassello da inserire in un impianto ricco, nel quale è “compresa la Corte costituzionale” per dirla sempre con la sentenza n. 49/2015.
Non si tratta, (Pinelli, cit.) allora, di depotenziare il ruolo della Corte costituzionale o di restringere la capacità interpretativa del giudice nazionale ma, al contrario, di dare piena attivazione al ruolo istituzionale della Convenzione edu che proprio la Corte costituzionale riconosce per prima, vale a dire quello dell’interpretazione della Convenzione, all’interno delle finalità proprie del Protocollo.
Ecco dimostrato quanto fragile risulti l’idea di assimilare chi si mostra a favore del Protocollo n.16 a chi intende aggredire e mettere a repentaglio la sovranità interna.
Ed è stato proprio Enzo Cannizzaro, nella sua recente conversazione sul tema della sovranità – Ragionando sulla (recte, sulle) sovranità, in questa Rivista, 24 febbraio 2021– a dimostrare in termini adamantini l’ideologia che soffia contro il Protocollo, confutandone in radice i postulati e scolpendo gli effetti nefasti derivanti dalla sua mancata ratifica per lo Stato non aderente ed i suoi giudici; ciò, peraltro, sottolineando quanto sia stato attento il Protocollo n.16 nel garantire ogni possibile prerogativa difensiva allo Stato coinvolto nella richiesta di parere e quanto pernicioso sarebbe elidere la strada di dialogo per i giudizi per lo stesso Stato che non ratifica, potenzialmente “vittima” di quegli stessi parere formati in sua assenza.
5. A mo’ di conclusioni, nella speranza che il Governo e le forze politiche riaprano il cantiere in Parlamento si riapra davvero.
Esce dalla lettura del volume di Albanesi l’esigenza, forte, di cercare modalità operative e tecniche decisorie che, anche in ragione della pluralità di fonti che governano i diritti, tanto in chiave nazionale che in prospettiva sovranazionale, attenuino o riducano le possibilità di conflitti fra i diversi plessi giurisdizionali, proprio in una prospettiva che prima ancora di essere orientata all’alleggerimento del contenzioso da parte di un sistema giudiziario sempre più in crisi sul versante dei tempi, offra a chi ha a che fare con la giustizia risposte tendenzialmente prevedibili ed informate al rispetto dei diritti fondamentali proprio grazie alla conoscenza della posizione della Corte edu.
Che Albanesi fondi il proprio convincimento sull’utilità del Protocollo n.16 muovendosi all’interno del perimetro della Costituzione, di come essa è interpretata e dei valori che essa incarna e tutela, fra i quali anche quello della sovranità è testimoniato, del resto, dalla prima parte del volume, ampiamente dedicata al processo di trasformazione del ruolo della Corte costituzionale ed alla tendenza al riaccentramento delle funzioni di garanzia in capo a sé che va emergendo, sia pur con espressioni forse ancora troppo recenti per essere adeguatamente sistematizzate. Ciò che costituisce testimonianza adamantina del rigore metodologico seguito dall’Autore nel trattare del Protocollo n.16, ben lontano da quelli che potremmo definire fronti per così dire europeisti.Del resto, l'idea dalla quale Albanesi muove- quella che la giurisprudneza della Corte edu abbia efficacia vincolante solo se "consolidata" è sicuramente in linea con la giurisprudenza costituzionale, meno con quella di altri studiosi della materia. Il che, in definitiva, costituisce un ulteriore pregio del saggio di Albanesi proprio perchè incline a ricercare soluzioni che all'Autore appaiono ragionevoli e proporzionate.
Se, dunque, il meccanismo del ricorso individuale alla Corte di Strasburgo contro le decisioni dei giudici nazionali costituisce la valvola di sfogo finale consentita dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, il Protocollo n.16 intende per parte sua prevenire quella possibile ulteriore lungaggine processuale alla quale sarebbe sottoposta la persona che reclama la protezione dei suoi diritti consentendo al giudice nazionale che, nell’esercizio delle sue prerogative dovesse ritenere rilevante un parametro convenzionale, di interloquire prima che l’eventuale conflitto fra le Corti diventi manifesto per effetto dell’accoglimento del ricorso da parte della Corte edu.
La posizione espressa dai Presidenti delle Corti di ultima istanza, dal già presidente della Corte edu Guido Raimondi e dal giudice Raffaele Sabato, costituisce la migliore testimonianza della scarsa consistenza dei timori che si sono agitati innanzi al Parlamento e che hanno così pesantemente condizionato l’iter di discussione del progetto di ratifica.
D’altra parte, la temuta maggior durata del processo in relazione all’attivazione del meccanismo non può costituire remora all’attuazione del Protocollo, risultando il tempo speso un assai utile tempo di giustizia e non tempo perso incidente sulla ragionevole durata del processo, al pari di quel che occorre quando si attiva il rinvio pregiudiziale o la questione di legittimità costituzionale.
La ipotesi di una doppia attivazione del rinvio alla Corte di Giustizia e alla Corte edu con la richiesta di parere preventivo (Nascimbene, cit.) e la particolare tempestività fin qui mostrata dalla Corte edu nell’esaminare la ritualità delle richieste di parere (limitandole alle sole questioni di principio) e nell’esitare con tempestività i pareri resi possono, sul piano pratico, contenere in ogni caso la durata dello spazio della sospensione. Senza dire della capacità di riduzione mediata che i pareri sono in grado di produrre sul piano interno rispetto alle decisioni della Corti nazionali che ad essi decidessero di uniformarsi, eliminando l’incertezza interpretativa e, dunque, il ricorso alla giustizia, con evidente indiretto influsso sui tempi dei processi.
Molti i vantaggi sottesi alla richiesta di parere preventivo.
Per l’un verso, la possibilità che esso offra preziosi elementi per verificare se l’interpretazione della CEDU e della Carta di Nizza-Strasburgo fatta propria, in parallelo, dalla Corte di Giustizia sia in linea con la CEDU e con la stessa Costituzione. È stato proprio A. Ruggeri a dimostrare quanto la pregiudizialità convenzionale sottesa al Protocollo n.16 possa tornare utile non soltanto al fine di avere lumi circa il significato degli enunciati della CEDU ma, per ciò stesso, anche per intendere nel modo giusto gli stessi enunciati della Costituzione, richiamando l’idea, già sottesa a Corte cost.n.388/1999- di recente testualmente ribadita da Corte cost. n.84/2021, per cui “le letture delle rispettive Carte fornite dalle Corti europee possono, opportunamente considerate, giovare ad alimentare incessantemente e in rilevante misura i processi interpretativi della nostra legge fondamentale in ambito interno, presso ogni sede istituzionale in cui s’impiantano e svolgono.” – cfr. A. Ruggeri, Protocollo 16: funere mersit acerbo?, cit., par.4; id, –.
È poi la libertà di attivare o meno la richiesta di parere preventivo a costituire la differenza fra rinvio pregiudiziale e richiesta di parere preventivo (Biavati, cit.), pur non nascondendosi che la stessa preoccupazione che un troppo dilatato ricorso allo strumento del dialogo, che sembra emergere anche rispetto ai criteri Cilfit sul piano eurounitario – v. Concl. Avv. gen. Bobek, in causa C-561/19, depositate il 15 aprile 2021 – debba trovare adeguata ponderazione a proposito della richiesta di parere preventivo. La dialettica che sta alla base del Protocollo 16 è la stessa che anima il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia e la questione di legittimità costituzionale.
Ed è stata proprio la Corte costituzionale, con la sentenza n.269/2017, a rinvigorire il tema delle relazioni fra giudice comune, Corte costituzionale e Corte di Giustizia aprendo nuovi fronti di discussione che lasciano inalterato, ed anzi rafforzano, il ruolo delle Corti.
Deve escludersi, poi, che sia solo formale il potere del giudice nazionale di dissentire dal parere reso dalla Corte (Pinelli, Bartole e Lamarque, citt.), se si considera, per un verso, la continua interazione fra giurisprudenza della Corte di Strasburgo e quella prodotta dalla giurisdizione italiana e, per altro verso, il ruolo che la Corte costituzionale ha rivendicato quale unico risolutore del potenziale conflitto fra l’interpretazione della CEDU e quella dei principi costituzionali del nostro ordinamento.
Nemmeno può ritenersi che l’adesione al Protocollo 16 eroda i principi fondamentali dell' ordinamento, secondo un’ottica che nulla ha a che vedere con la salvaguardia della sovranità (Cannizzaro, cit.), invece inscrivendosi in quel poco commendevole sovranismo ordinamentale, lasciando impregiudicato il principio dell’interpretazione conforme della legge italiana al sistema Cedu, come pure il sistema dei controlimiti. Troppo e troppo intensi risultano i benefici di un confronto in fase ascendente e discendente dall’attivazione del dialogo fra giudice nazionale e Corte edu (Pinelli, Lamarque) per mettere in soffitta il Protocollo n.16.
D’altra parte, è proprio la natura non vincolante del parere a “non togliere” sovranità allo Stato e ai suoi giudici, rappresentando piuttosto un complemento alla CEDU, la cui ratifica portò ad una rinunzia parziale alla sovranità in presenza di ragioni giustificatrici, rappresentate dapprima dall’art. 11 Cost. e, successivamente, dall’art. 117, 1°comma Cost.
Nessun rischio di marginalizzazione della Corte costituzionale dal Protocollo n.16 che, ci ricorda puntualmente Albanesi, si innesta in uno scenario ormai svezzato rispetto a quello descritto dalle remote sentenze gemelle quanto ai rapporti fra ordinamento interno e CEDU.
Privare le Corti italiane di ultima istanza dell’opportunità di giocare un ruolo attivo nella formazione della giurisprudenza europea e di dover eventualmente accettare il parere reso dalla Corte EDU su istanza delle Corti dei paesi che lo hanno ratificato finisce col manifestare il reale intento sotteso alla mancata ratifica, appunto rivolto alla riacquisizione di un “primato” del diritto interno e dei suoi interpreti che si rafforza impedendo le contaminazioni, arginandone le possibilità di contatto, erigendo i muri, invece che costruendo ponti e porti capaci di accogliere i diversi naviganti.
Non tanto all’orizzonte si profila, così, il rischio di isolamento dell’ordinamento italiano e delle sue Alte Corti dal circuito di dialogo con la Corte edu che deriva dalla mancata ratifica è già palpabile, una volta che si è già da subito riconosciuta piena valenza ai pareri resi dalla Corte edu, anche da parte della Corte costituzionale (Corte cost., n.230/2020, par.6; v. Corte cost.n.33/2021). Rischio che, è appena il caso di ribadirlo, è proprio l’obiettivo primario di chi si oppone al Protocollo n.16.
In conclusione, le preoccupazioni che sono fin qui prevalse - dilatazione della durata del processo, creazione di una sorta di subordinazione del giudice nazionale di ultimo grado (“Alta giurisdizione”) alla Corte EDU, difficoltà di coordinamento con il rinvio pregiudiziale alla Corte UE, attacco alla sovranità statale – non sembrano dotate di una forza tale da giustificare la non ratifica se si bilanciano con gli indiscutibili vantaggi che il giudice nazionale, le parti, lo Stato e la stessa Carta costituzionale avrebbero indiscutibilmente dal parere preventivo in caso di dubbi interpretativi sulla portata della disposizione convenzionale.
Il libro, completo ed assai interessante di Albanesi, soprattutto nella parte in cui prende apertamente partito per un’idea di apertura al Protocollo, confutando le opinioni contrarie, costituisce per converso un punto di riferimento dal quale partire per indurre il Parlamento a ritornare sull’argomento con una visione più ampia, valutando le conseguenze negative che la chiusura al Protocollo 16 procura alla giurisdizione e ancor prima all’ordinamento italiano inteso nella sua complessità e pluralità.
La strada, ancora una volta, sarà dunque quella del dialogo costruttivo e della cooperazione anche tra soggetti istituzionali che sono distinti, hanno obiettivi diversi e godono di autonomia. Senza che i tratti distintivi debbano però leggersi come assoluta e netta separazione, invece dovendosi privilegiare sempre e comunque la strada del dialogo che proprio il “Protocollo del dialogo” intende perseguire e non far saltare.
Va, peraltro, messo in evidenza che indicare la prospettiva della ratifica del Protocollo non vuol dire in alcun modo prospettare una strada di trasposizione blindata di tale strumento ma, al contrario, prefigurare una ripresa parlamentare del disegno di legge, al cui interno dovranno essere le forze parlamentari a dare eventuale soluzione ad aspetti problematici per rendere rendere ancor più utile e proficuo lo strumento di cui qui si discute.
Non marginali sono i nodi che pure andrebbero sciolti in sede di ratifica e gli stessi accademici che hanno alimentato il dibattito ne hanno dato tangibile conto, offrendo le loro opzioni.
Senza velleità alcuna di completezza andrebbero esaminate le questioni circa la modalità interne alle Corti di ultima istanza per l’attivazione della richiesta di parere, eventualmente introducendo degli accorgimenti diretti a maggiormente responsabilizzare le Corti stesse all’attivazione della pregiudizialità convenzionale, al fine di evitare un uso indiscriminato dello strumento che finirebbe con il renderne ineffettiva la portata, affrontando altresì in modo attento i rapporti e le relazioni fra richiesta di parere, incidente di costituzionalità e rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.
Ma queste problematiche non potranno che rappresentare la “fase due”, dopo la auspicabile riattivazione dell’iter parlamentare relativo alla ratifica del Protocollo 16, allo stato come si è visto posposto rispetto alla ratifica del Protocollo 15 per il quale si ponevano sì ragioni di maggiore urgenza temporale- essendo rimasto il nostro Paese buon ultimo nella ratifica di quel Protocollo – che avrebbero tuttavia dovuto giustificare l’esame parlamentare congiunto, per i tratti di continuità fra i due strumenti dei quali già si è detto.
Il filo dal quale ripartire per tornare a discutere sul Protocollo n.16 potrebbe e dovrebbe rinvenirsi nelle pieghe del dibattito parlamentare del quale si è dato conto.
Fu infatti la Commissione Politiche dell'Unione europea, che in sede di parere al testo del ddl emendato, pur approvandolo, ebbe ad invitare le Commissioni ad addivenire quanto prima anche alla ratifica del Protocollo n. 16, al fine di potersi avvalere di nuovi strumenti atti a favorire ulteriormente l'interazione e il dialogo tra i giudici nazionali e la Corte europea dei diritti dell'uomo, in coerenza con l'obiettivo di una maggiore armonizzazione ed efficacia nella tutela dei diritti e delle libertà fondamentali contemplati nella Convenzione e nei suoi Protocolli.
Il convegno che AreaDG Cassazione ha organizzato per il giorno 22 giugno 2021 -Protocollo n.16. Riaprire il cantiere in Parlamento,https://www.giustiziainsieme.it/it/news/92-main/costituzione-e-carte-dei-diritti-fondamentali/1775-protocollo-n-16-riaprire-il-cantiere-in-parlamento ( per l'accesso e registrazione https://attendee.gotowebinar.com/register/3987987362967379467)-, frutto di un intenso e proficuo confronto all'interno del gruppo di lavoro appositamente costituito intende mettere ad uno stesso tavolo la dottrina e le forze parlamentari per favorirne il confronto plurale e franco.
Proprio il fermento che in questo periodo coinvolge il settore della giustizia e la volontà del Governo e delle forze parlamentari di mettere mano a riforme strutturali sembrano costituire il naturale contenitore nel quale inserire l’entrata in vigore del Protocollo n.16.
Spetta dunque, oggi più che mai, al Governo che propose in origine il disegno di legge di ratifica ed alle forze politiche responsabili il compito e la responsabilità di raccogliersi attorno al ceppo dei diritti fondamentali - sempre più volano di forme di aggregazione delle varie istituzioni che attorno ad essi devono muoversi in armonia - per consentirne una più efficace, sicura e prevedibile protezione.
Una scelta che, appunto, dovrebbe collocarsi ben al di sopra del motto "ce lo chiede l'Europa" tanto in voga, piuttosto dando contenuti, precise indicazioni, linee operative concrete per realizzare davvero un sistema giudiziario che oltre a doversi informare a canoni dell'efficienza e dell'organizzazione, non perda di vista il proprio DNA e si offra al servizio di chi se ne avvale - id est, delle persone - come luogo sempre più qualificato e professionalmente attrezzato di tutela dei diritti fondamentali.