ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
L’Unione europea contro la pandemia di COVID-19: tra solidarietà per gestire l’emergenza sanitaria e adattamento degli strumenti esistenti, alla ricerca di un piano comune di rilancio
di Elisa Arbia e Carlo Biz [1]
Sommario: 1. Introduzione - 2. Guarire l’Europa: le reazioni alla crisi sanitaria - 2.1 Tutela della salute pubblica a livello dell’Unione europea - 2.2 Strumenti di gestione dell’emergenza - 3. Proteggere l’Europa: interventi nell’ambito del mercato interno - 3.1 Interventi attraverso le libertà fondamentali - a) la libera circolazione delle merci - b) la libera circolazione delle persone - 3.2 Interventi su alcuni settori particolarmente colpiti. Il caso dell’aviazione civile - 3.3 Interventi in materia di politica della concorrenza - 4. Rilanciare l’Europa: interventi in materia monetaria, fiscale ed economica - 4.1 Politica monetaria: il ruolo e le iniziative della Banca centrale europea - 4.2 I vincoli di bilancio del Patto di stabilità e crescita: l’attivazione della clausola di salvaguardia generale - 4.3 Interventi mirati in campo socio-economico: la mobilitazione dei fondi strutturali, l’iniziativa SURE - 5. Conclusioni: la definizione di un piano comune di rilancio
1. Introduzione
"La storia del mondo è anche la somma delle cose che avrebbero potuto essere evitate". La Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen nel suo discorso del 26 marzo 2020 al Parlamento europeo riunito in sessione plenaria ha chiosato con queste enigmatiche parole di Konrad Adenauer, padre fondatore tedesco dell’Unione europea. La Presidente von der Leyen ha quindi terminato con una chiara esortazione di unità e solidarietà agli Stati membri: “La storia ci guarda. Cerchiamo di fare insieme quello che è giusto – con un unico cuore grande e non con 27 piccoli”[2].
La tutela della salute pubblica ha messo l’Unione europea di fronte alla sua prova più ardua come ente sovranazionale, anche se quasi ironicamente quest’ultima rientra nel novero delle materie per cui gli Stati membri sono sempre stati riluttanti a cedere la propria sovranità. Ripercorrendo le tappe del processo di integrazione europea infatti, il settore sanitario è stato sempre gelosamente mantenuto su un piano nazionale.
Eppure, nonostante la natura limitata delle competenze attribuitele in materia di salute, l’Unione Europea sta svolgendo un ruolo cruciale nella lotta alla pandemia di COVID-19, se solo si guarda ai due obiettivi di breve termine: guarire l’Europa nell’ambito dell’emergenza sanitaria ora in corso (§ 2) e proteggerla in maniera coordinata dalle importanti ricadute socio-economiche nel breve e medio periodo (§ 3). Un discorso a parte meritano le prospettive monetarie, fiscali e macroeconomiche di lungo periodo i cui interventi per rilanciare il Continente post-emergenza sono per un certo verso ancora in via di definizione. Se, infatti, alcune importanti misure sono state adottate in questi giorni – il cui impatto forse per ora è meno percepito (§ 4), molti sono ancora i possibili (e auspicabili) ambiti di manovra che potrebbero avere un profondo impatto su tutti gli Stati membri, e più in generale sul ruolo e sulla missione dell’Unione, chiamata peraltro proprio in questo periodo a definire il proprio quadro finanziario pluriennale 2021-2027. Da questo punto di vista, è ancora da vedere se il piano comune di rilancio sarà all’altezza di un’Unione con un unico cuore grande e non con 27 piccoli (§ 5).
2. Guarire l’Europa: le reazioni alla crisi sanitaria
2.1 Tutela della salute pubblica a livello dell’Unione europea
Come premessa generale è utile rilevare che l’assetto attuale delle competenze in materia di salute pubblica a livello di Unione europea si dipana su un piano programmatico, utile in prospettiva di lungo termine. Tale assetto però non ha permesso una risposta tempestiva ed univoca da parte dell’Unione europea volta, ad esempio, alla chiusura delle frontiere di Schengen prima dell’escalation del virus COVID-19 nel territorio degli Stati membri. Risposta che, evidentemente, sarebbe stata auspicabile per evitare interventi diversificati, intempestivi e non coordinati. Ciò non di meno, come si vedrà nel prosieguo, le disposizioni in materia di sanità pubblica rappresentano una base giuridica importante per gli interventi in atto per arginare la crisi attraverso l’utilizzo degli strumenti emergenziali su più fronti dei quali l’Unione europea dispone.
In generale, ai sensi dell’articolo 6, lettera a) del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (“TFUE”), l’Unione detiene una competenza di sostegno nell’ambito della tutela e miglioramento della salute umana. L’Unione può dunque solamente sostenere, coordinare o completare l’azione dei paesi dell’UE in questo campo. Gli atti dell’Unione giuridicamente vincolanti adottati sulla base di competenze di sostegno non possono comportare l’armonizzazione delle leggi o dei regolamenti degli Stati membri.
Di particolare importanza è la precisazione che vi è una norma specifica, ovverosia l’articolo 168 TFUE, che oltre a rappresentare la base giuridica sostanziale per interventi emergenziali, pone un principio generale di particolare importanza in materia, prevedendo che “nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche e attività dell’Unione deve essere garantito un livello elevato di protezione della salute”[3]: la tutela della salute quindi come presupposto e stella polare nell’azione dell’Unione europea, sotto l’egida del più ampio principio di precauzione.
Si osserva che, in deroga alla generale competenza di sostegno e in conformità dell'articolo 4, paragrafo 2, lettera k) TFUE, l’Unione dispone di una competenza concorrente con quella degli Stati membri per quanto riguarda i problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica. Nonostante il principio di sussidiarietà in questo settore venga inteso in senso particolarmente restrittivo dai ministri della sanità e dagli Stati membri, riluttanti a vedere sui propri sistemi sanitari l’influenza dell’Unione europea, quest’ultima può esercitare la propria azione in maniera trasversale e indiretta.
Il risultato è che, pur mancando un sistema sanitario coordinato a livello dell’Unione europea, possiamo parlare di una politica europea comune che passa attraverso meccanismi e competenze diverse, tra le quali anche quelle legate alla tutela del mercato interno e delle politiche fiscali, che forniscono la possibilità all’Unione Europea di intervenire nella modalità operativa che sinora si è dimostrata più consona alla propria conformazione: il ruolo di regolatore.
Ne consegue che gli effetti sono spesso potenti ma difficili da vedere perché tesi ad un’ottica programmatica e di indirizzo delle situazioni “fisiologiche”. In questo senso l’operato dell’Unione Europea in materia di sanità pubblica passa anche attraverso la regolazione degli standard per assicurare uno spazio di concorrenza all’interno del mercato interno, la regolazione delle politiche fiscali dei paesi, la diffusione di buone pratiche, lo sviluppo di centri di ricerca comuni, di strategie e piani sanitari, e attraverso l’istituzione di una Direzione Generale per la salute e sicurezza alimentare (DG SANTE)[4].
Se quanto sinora richiamato può apparire poco tangibile, è utile rinviare inter alia alle numerose misure adottate in materia di protezione dei lavoratori che maneggiano sostanze cancerogene, allo sviluppo di forme di sanità elettronica, ai certificati protettivi complementari per medicinali, al supporto a persone affette da una serie di malattie quali autismo, diabete, difetti uditivi, per nominarne alcuni[5]. Ma soprattutto è utile ricordare che dal 2014 è stato istituito, in quello che è definito il “meccanismo europeo di protezione civile”, e che verrà di seguito approfondito, un Corpo medico europeo, che riunisce tutti i mezzi di risposta medici pre-impegnati dagli Stati nel pool europeo di protezione civile. Si tratta di squadre mediche di emergenza, laboratori di bio-sicurezza mobili e risorse per l’evacuazione medica messi a disposizione da 11 Stati col supporto finanziario dell’Unione, che finora sono stati dispiegati per missioni umanitarie in Mozambico e Samoa[6].
2.2 Strumenti di gestione dell’emergenza
Come anticipato, nonostante le carenze sotto il profilo di intervento diretto in materia di salute pubblica, l’Unione europea non manca di strumenti emergenziali. Seppur nella sua forza travolgente, infatti, la pandemia di COVID-19 non è certo la prima crisi ad essere fronteggiata a livello UE, dalla caduta delle Torri Gemelle del 2001, all’epidemia di SARS nel 2003, passando per la crisi dei debiti sovrani del 2008, e per finire con gli attentati terroristici dell’ISIS in Europa del 2016. Ognuna di queste fasi drammatiche ha messo a dura prova l’Unione, portandola ad assumere strumenti adeguati alla risoluzione di crisi future. Di particolare importanza in questo senso sono stati gli interventi legislativi adottati dopo gli attacchi terroristici di Al Qaeda a Madrid del 2004 adottati nell’ambito del Trattato di Lisbona, firmato nel dicembre 2007 e entrato in vigore nel gennaio 2009.
Nel tempo l’Unione europea si è dotata, dunque, di una serie di strumenti che consentono di intervenire nella gestione di calamità derivanti dallo scoppio di epidemie o, addirittura, di pandemie. In particolare il trattato di Lisbona ha introdotto all’articolo 6, lettera f) TFUE una competenza complementare dell’Unione europea nell’adottare azioni tese al supporto, coordinamento e integrazione dell’azione degli Stati membri inter alia in materia di protezione civile. In questo senso l’articolo 6, lettera f) rappresenta norma primaria posta a base giuridica per il successivo sviluppo di un vero e proprio corpus normativo riconducibile nel novero della c.d. EU Disaster Response Law [7] volto ad affrontare calamità o catastrofi, ovverosia “qualsiasi situazione che abbia o possa avere conseguenze gravi sulle persone, l’ambiente o i beni, compreso il patrimonio culturale”[8]. Il pacchetto della EU Disaster Response Law consta principalmente di tre strumenti, che in questa sede è essenziale richiamare, seppur senza pretesa di esaustività[9].
In primo luogo, su un piano preventivo, il “meccanismo europeo di protezione civile” introdotto con la Decisione 1313/2013/UE[10] adottata sulla base dell’articolo 196 TFUE che stabilisce, tra l’altro, una competenza concorrente in capo all’Unione europea al fine di: (i) sostenere e completare l'azione degli Stati membri non solo a livello nazionale, ma anche a livello regionale e locale, concernente la prevenzione dei rischi, la preparazione degli attori della protezione civile negli Stati membri e l'intervento in caso di calamità naturali; (ii) promuovere una cooperazione operativa rapida ed efficace all'interno dell'Unione tra i servizi di protezione civile nazionali; (iii) e favorire la coerenza delle azioni intraprese a livello internazionale in materia di protezione civile. Questa norma è atta a rappresentare la base giuridica per un intervento legislativo secondo procedura legislativa ordinaria da parte del Parlamento europeo e il Consiglio, superando così la previgente normativa in forza della quale qualsiasi intervento in materia da parte dell’Unione europea doveva essere adottato ad unanimità dal Consiglio con mera consultazione del Parlamento. Inoltre, tale norma introduce un mezzo di richiesta di aiuto da parte degli Stati membri, con intervento da parte degli altri Stati su base volontaria.
Sulla base di tale meccanismo il 19 marzo la Commissione europea ha deciso di creare una scorta strategica (“rescEU”), ossia una riserva europea comune, di attrezzature mediche di emergenza quali ventilatori, maschere di protezione e forniture per laboratori per i paesi dell'UE che ne hanno bisogno[11]. Tale scorta è finanziata al 90% dalla Commissione europea, e gestita da un centro di coordinamento della risposta alle emergenze, il c.d. Emergency Response Coordination Centre (“ERCC”) che gestisce la distribuzione delle attrezzature per garantire che siano inviate dove sono più necessarie[12]. Il meccanismo europeo di protezione civile, come si vedrà, ha trovato applicazione anche nelle operazioni di assistenza e di rimpatrio consolare dei cittadini dell'UE in tutto il mondo.
In secondo luogo, su un diverso piano, volto all’intervento attivo nell’arginare la crisi in atto, l’articolo 222, paragrafo 1 TFUE prevede una clausola di solidarietà in forza della quale l’Unione europea è giuridicamente obbligata a supportare qualsiasi Stato membro che sia vittima di un attacco terroristico o di una calamità naturale, nel caso in cui lo Stato membro ne faccia richiesta. La norma prevede, infatti, che “l'Unione mobilita tutti gli strumenti di cui dispone, inclusi i mezzi militari messi a sua disposizione dagli Stati membri, per prestare assistenza a uno Stato membro sul suo territorio, su richiesta delle sue autorità politiche, in caso di calamità naturale […]”[13]. Sulla base della norma in esame, quindi, gli Stati membri sono obbligati ad intervenire a supporto dello Stato membro che ne faccia richiesta adottando le misure più appropriate[14]. Ad oggi la norma non è stata mai invocata dagli Stati membri, nemmeno a seguito degli attacchi terroristici del 2016, che pur l’avrebbero giustificata. Tuttavia, pur in mancanza di un obbligo giuridico in questo senso, numerosi sono stati i gesti di solidarietà all’interno dell’Unione europea: la Francia ha donato 1 milione di mascherine all’Italia, e la Germania ha inviato 7 tonnellate di forniture mediche (tra cui ventilatori e maschere anestetiche) in Italia, e accolto 100 pazienti italiani in terapia intensiva, solo per nominarne qualcuno[15].
Infine, la decisione 1082/2013/UE[16] introduce una disciplina in materia di grave minaccia alla salute, in materia di sorveglianza epidemiologica, monitoraggio, allarme rapido e lotta contro le gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero, compresa la pianificazione della preparazione e della risposta in relazione a tali attività, allo scopo di coordinare e integrare le politiche nazionali. La base giuridica è fornita dall’articolo 168, paragrafo 5 TFEU, il quale nell’ambito della parte terza del TFUE intitolato “Salute, politiche e azioni interne dell’Unione” stabilisce una serie di strumenti anche di tipo legislativo e di intervento con particolare riferimento a situazione di grave pericolo per la salute pubblica, i c.d. “grandi flagelli”.
In particolare, la norma concede un ampio margine di manovra alla Commissione europea che, sempre in stretto contatto con gli Stati membri, può assumere “ogni iniziativa utile a promuovere detto coordinamento, in particolare iniziative finalizzate alla definizione di orientamenti e indicatori, all'organizzazione di scambi delle migliori pratiche e alla preparazione di elementi necessari per il controllo e la valutazione periodici”. Il Parlamento europeo, dal canto suo, è pienamente informato e congiuntamente con il Consiglio “deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni” può adottare “misure di incentivazione […] per lottare contro i grandi flagelli che si propagano oltre frontiera, misure concernenti la sorveglianza, l'allarme e la lotta contro gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero”. Infine, giova rammentare che il Consiglio può altresì adottare raccomandazioni su proposta della Commissione.
3. Proteggere l’Europa: interventi nell’ambito del mercato interno
3.1 Interventi attraverso le libertà fondamentali
Oltre agli strumenti sinora richiamati, è utile rilevare come le disposizioni relative al mercato interno dell’Unione europea, fondato sulle quattro libertà fondamentali come sancite nei Trattati, si stiano rilevando di estrema utilità nel contesto dell’attuale crisi sanitaria legata alla pandemia di COVID-19 al fine di supportare gli Stati membri, assicurando efficienza, sinergie e soprattutto solidarietà all’interno dell’Unione.
a) La libera circolazione delle merci
Dal punto di vista della libera circolazione delle merci, storicamente lo strumento principe per la realizzazione del mercato interno, è necessario rilevare come a seguito dell’emergenza sanitaria legata alla pandemia di COVID-19 si è assistito a svariate iniziative di stampo protezionista da parte di alcuni Stati membri. Tali restrizioni alle esportazioni, riguardanti essenzialmente mascherine, respiratori e altri dispositivi di protezione individuale, appaiono palesemente contrarie al divieto di restrizioni quantitative all’esportazione e di misure di effetto equivalente sancito all’articolo 35 TFUE. Sulla base dell’articolo 36 TFUE, gli Stati membri possono adottare divieti o restrizioni per motivi legati alla tutela della salute e della vita delle persone. Cionondimeno, tali eventuali misure – autentiche deroghe al divieto di cui all’articolo 35 TFUE – sono interpretate in modo assai restrittivo nella giurisprudenza della Corte e devono pertanto rispettare i principi di necessità, adeguatezza e proporzionalità per essere considerate legittime[17]. Da questo punto di vista, dei divieti tout court alle esportazioni senza un ambito di applicazione chiaramente individuato, una motivazione ragionevole e una durata limitata saranno facilmente considerati come sproporzionati e pertanto vietati, e soggetti – laddove non rimossi – ad apposite procedure di infrazione su iniziativa della Commissione.
La Commissione europea si è pertanto attivata per richiedere una correzione urgente dei più di 1300 divieti e restrizioni adottate dagli Stati membri negli scorsi mesi, che sono in ogni caso in corso di valutazione da parte dei servizi competenti della Commissione medesima[18]. A tale riguardo sussiste infatti per gli Stati membri un obbligo di comunicare le misure nazionali che intendono adottare al fine di garantire uno scambio di informazioni e un coordinamento efficaci all’interno dell’Unione. Allo scopo di fornire una guida utile alle autorità nazionali, la Commissione ha inoltre pubblicato degli orientamenti per le misure di gestione delle frontiere per proteggere la salute e garantire la disponibilità di beni e servizi essenziali[19]. In tali orientamenti si sottolinea quanto il mercato interno per i dispositivi medici e di protezione individuale risulti fortemente integrato, così come le rispettive filiere e reti di distribuzione[20].
Infine, merita di essere segnalata anche l’adozione da parte della Commissione europea di un regolamento di esecuzione del regolamento (UE) 2015/479 relativo a un regime comune applicabile alle esportazioni[21]. Tale atto di esecuzione mira in sostanza a limitare a casi eccezionali (autorizzati dai singoli Stati membri) l’esportazione al di fuori del territorio dell’Unione di materiale di protezione individuale, individuando una serie di prodotti specifici nell’Allegato I. Il divieto è valido inizialmente per un periodo di sei settimane, con possibilità di proroga o modifica. Nel diritto del commercio internazionale, tali restrizioni alle esportazioni risultano vietate ai sensi dell’articolo XI, paragrafo 1 del GATT 1994. Nel caso di specie, l’eccezione di cui al paragrafo 2(a) di questa disposizione entra in gioco, facendo riferimento alla possibilità di introdurre restrizioni per impedire la carenza di generi alimentari o altri prodotti essenziali per il membro interessato dell’Organizzazione mondiale del commercio (in questo caso, l’Unione europea, membro dal 1° gennaio 1995).
In questo contesto, oltre alla richiamata misura emergenziale del rescEU, è interessante evidenziare l’avviamento da parte della Commissione europea di una procedura di appalto svolta congiuntamente, in modo accelerato e condiviso a livello di 26 Stati membri, al fine di permettere l’acquisto delle forniture mediche necessarie da parte della stessa Unione Europea. Si tratta dell’attuazione del c.d. Joint Procurement Agreement che ha permesso l’indizione, ad oggi, di quattro gare d’appalto tutte con esito positivo in termini di compatibilità delle offerte e rapidità nella predisposizione delle forniture[22].
b) La libera circolazione delle persone
Per quanto riguarda la libera circolazione delle persone, con una comunicazione del 16 marzo 2020 la Commissione europea ha raccomandato al Consiglio europeo, e in particolare agli Stati membri parte dello spazio Schengen, di restringere temporaneamente i viaggi non essenziali dai Paesi terzi verso l’Unione europea[23]. La Commissione ha parimenti suggerito agli Stati interessati di disincentivare i viaggi dei propri cittadini e residenti di lungo termine al di fuori dei propri territori. Allo stesso tempo, la Commissione europea ha proposto i suddetti orientamenti per le misure di gestione delle frontiere. Entrambi gli atti sono stati approvati dal Consiglio europeo il 18 marzo 2020.
Tale restrizione ha una durata temporanea di 30 giorni e non si applica ai cittadini di tutti gli Stati membri dell’Unione e degli Stati associati allo spazio Schengen (ovverosia Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera) che si trovino al di fuori del territorio dell’Unione e intendano tornare verso i rispettivi paesi di origine. Beneficiano di tale esenzione anche i cittadini di Paesi terzi che abbiano lo status di residenti di lungo periodo ai sensi della direttiva 2003/109/CE, così come una serie di categorie specificamente elencate (ad esempio, personale medico e sanitario, corpo diplomatico, lavoratori transfrontalieri, ecc.).
Una tale eccezionale misura coordinata rispetto alle frontiere esterne dovrebbe scoraggiare il mantenimento di eventuali controlli alle frontiere interne, che rischiano di avere un impatto serio e grave sul funzionamento del mercato interno, caratterizzato da un alto livello di integrazione e dal transito quotidiano di milioni di persone. La raccomandazione della Commissione ha infatti posto l’accento sulla necessità di applicare in modo restrittivo tali controlli eccezionali alle frontiere interne dello spazio Schengen, introdotte da numerosi Stati membri ai sensi dell’articolo 28 del Codice frontiere Schengen[24]. Tale articolo prevede infatti una procedura specifica per ripristinare i controlli alle frontiere in casi che richiedono un’azione immediata, facendo riferimento a minacce gravi per l’ordine pubblico o la sicurezza interna di uno Stato membro. L’adozione di tali misure deve essere adeguatamente motivata e contestualmente comunicata alla Commissione e agli altri Stati membri. Lo Stato membro interessato, in casi specifici e giustificati, può prorogare il periodo iniziale di dieci giorni tramite estensioni per periodi rinnovabili non superiori a venti giorni fino a un massimo di due mesi. Ogni valutazione è da effettuarsi alla luce dei principi cardine di necessità e proporzionalità.
Inoltre, è utile rilevare come sempre nell’ambito del più volte richiamato meccanismo europeo di protezione civile il Centro di coordinamento della risposta alle emergenze (“ERCC”) coordina tutte le azioni con il SEAE e con gli Stati membri nelle capitali dell'Unione europea, cofinanziando fino al 75% dei costi di trasporto. Ad oggi, e dall'inizio della pandemia di COVID-19, il meccanismo europeo di protezione civile ha agevolato il rimpatrio in Europa di oltre 20.000 cittadini dell'UE da Wuhan, Giappone, Oakland, Marocco, Tunisia, Georgia, Filippine e Capo Verde[25].
3.2 Interventi su alcuni settori particolarmente colpiti. Il caso dell’aviazione civile.
Un cenno merita anche l’intervento della Commissione in un settore fortemente colpito dall’attuale crisi sanitaria, ossia l’aviazione civile. Tutti gli operatori del settore si sono infatti trovati a gestire da un lato un elevato numero di richieste di rimborso e dall’altro lato, si sono visti costretti a cancellare molti voli previsti dato il drastico calo nella domanda.
Al fine di arginare i danni economici, la Commissione ha pertanto proposto una sospensione della cosiddetta regola “use-it-or-lose-it”, prevista dagli articoli 8, paragrafo 2 e 10 del regolamento (CEE) n. 95/93[26], la quale impone a un vettore aereo di utilizzare almeno l’80% delle bande orarie assegnategli in un determinato periodo dell’anno al fine di poter mantenere il diritto di utilizzare tale medesime bande orarie durante il periodo corrispondente dell’anno successivo.
La modifica proposta dalla Commissione europea è stata trattata in modo urgente dai co-legislatori tramite procedura scritta e il regolamento 2020/459[27] è entrato in vigore il 1° aprile 2020. In particolare, il nuovo articolo 10bis implica la sospensione (almeno) fino al 24 ottobre 2020 della regola “use-it-or-lose-it” con specifico riferimento alla situazione creatasi per l’impatto globale della pandemia di COVID-19. La sospensione ha efficacia retroattiva dal 23 gennaio al 29 febbraio 2020 per quanto riguarda i voli operati tra l’Unione europea e la Cina o Hong Kong. Inoltre, il nuovo articolo 12bis introduce una delega alla Commissione europea al fine di poter eventualmente prorogare la sospensione della regola tramite atto delegato oltre il 24 ottobre 2020. La Commissione europea è tenuta inoltre a presentare una relazione ai co-legislatori sul 15 settembre 2020 sull’applicazione della sospensione in seguito al monitoraggio continuo della situazione, in coordinamento con Eurocontrol (organizzazione europea per la sicurezza della navigazione aerea).
Tale modifica è certamente da accogliere con favore e rappresenta un esempio di un iter legislativo rapido, coordinato ed efficace tra le tre istituzioni dell’Unione in tempo di emergenza. Dal punto di vista tecnico e istituzionale, la possibilità per la Commissione europea di adottare atti delegati al fine di prorogare la sospensione assicurerà infatti un intervento tempestivo della Commissione europea in caso di necessità e allo stesso tempo un controllo da parte del Parlamento e del Consiglio sull’opportunità di una tale eventuale proroga.
3.3 Interventi in materia di politica della concorrenza
In prospettiva microeconomica la politica in materia di concorrenza nell’ambito del mercato interno si presta ad essere parzialmente piegata a supporto delle imprese, attraverso una maggiore flessibilità nel controllo degli aiuti di Stato, articolo 107 TFUE, e delle intese restrittive della concorrenza, articolo 101 TFUE.
Sotto il primo profilo, com’è noto, la disciplina in materi di aiuti di Stato rappresenta importante strumento di intervento in mano alla Direzione Generale della Concorrenza della Commissione europea, ed è finalizzato ad evitare che, attraverso aiuti economici gli Stati possano intervenire nel funzionamento del mercato e falsare la libera concorrenza. A questo scopo ogni qualvolta sia imputabile allo Stato una risorsa che comporti l’emergere di un vantaggio (finanziario o economico) a favore di un’impresa che non lo potrebbe ricevere in condizioni normali di mercato, con conseguente pregiudizio alla concorrenza e al commercio tra gli Stati membri, la Commissione europea può intervenire.
Tali aiuti sono vietati salvo una serie di clausole di salvaguardia. In particolare, per quel che interessa in questa sede, due sono gli strumenti di flessibilità previsti a favore degli Stati membri. Innanzitutto, di particolare importanza è il comma 2 lettera b) dell’articolo 107 TFUE, il quale prevede la compatibilità iuris et de iure con il mercato interno degli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali. In questo senso la norma consente agli Stati membri di compensare le imprese per danni arrecati da eventi straordinari, anche adottando misure nei settori dei trasporti aerei e del turismo.
Inoltre, il comma 3 lettera e) dell’articolo 107 TFUE introduce una clausola di flessibilità che prevede che possono considerarsi compatibili con il mercato interno “le altre categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio, su proposta della Commissione europea”. In applicazione di tale disposizione, la Commissione europea ha adottato alcune disposizioni urgenti e provvisorie per consentire agli Stati membri di avvalersi pienamente di tale flessibilità al fine di sostenere l'economia. Tale clausola di flessibilità ai fini dell’adozione di un quadro temporaneo era stata invocata prima di oggi solo durante la crisi finanziaria nel 2008[28].
Nello specifico in forza del quadro temporaneo adottato lo scorso 20 marzo[29] gli Stati membri possono concedere cinque tipi di aiuti: (i) sovvenzioni dirette, agevolazioni fiscali selettive e acconti – con il tetto di 800 000 euro per ciascuna impresa – alle imprese che devono far fronte a urgenti esigenze in materia di liquidità; (ii) garanzie di Stato per prestiti bancari contratti dalle imprese per permettere alle banche di continuare ad erogare prestiti ai clienti commerciali che ne hanno bisogno; (iii) prestiti pubblici agevolati alle imprese con tassi di interesse favorevoli alle imprese al fine di coprire il fabbisogno immediato di capitale di esercizio e per gli investimenti; (iv) garanzie per le banche che veicolano gli aiuti di Stato all'economia reale, sfruttando le capacità di prestito esistenti delle banche e utilizzandole come canale di sostegno alle piccole e medie imprese (“PMI”); infine (v) assicurazione del credito all'esportazione a breve termine.
Tale quadro temporaneo è volto a perseguire un duplice obbiettivo. Da una parte consentire agli Stati membri di agire in modo rapido ed efficace per sostenere i cittadini e le imprese, in particolare le PMI, che incontrino difficoltà economiche a causa dell'epidemia di COVID-19. Dall’altra, individuare una casistica concreta di aiuti ricadenti nel quadro temporaneo al fine di guardare ogni misura di supporto adottata dagli Stati membri nell’ottica di un quadro di insieme che tenga a mente una prospettiva futura. In questo senso la preoccupazione principale, come riecheggia nelle parole di Margrethe Vestager, Vicepresidente esecutiva, responsabile della politica di concorrenza[30] è quella di evitare che “questo supporto per le imprese di uno Stato membro, leda l’unità di cui l’Europa ha bisogno, un’unità che ci permetterà di superare questa crisi”. In questo senso la Vicepresidente esecutiva Vestager afferma che “dobbiamo essere in grado di fare affidamento sul mercato unico europeo, per aiutare la nostra economia a superare l’epidemia e riprendersi con forza dopo”.
Diverse sono state le notifiche ad oggi presentate da diversi Stati membri e approvate dalla Commissione europea nel corso delle 48 ore seguenti, al fine di assicurare massima celerità nella procedura[31].
Più peculiare è il secondo aspetto, ossia quello concernente le intese restrittive della concorrenza di cui all’articolo 101 TFUE, che sono incompatibili con il mercato interno, e quindi vietate, se possono pregiudicare il commercio tra Stati membri e se hanno per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato interno medesimo. In quest’ambito è intervenuta una comunicazione della Rete europea della concorrenza (c.d. European Competition Network o “ECN”, gruppo informale che riunisce le varie autorità antitrust nazionali dell’Unione europea e la Commissione europea)[32] il quale ha chiarito una serie di aspetti.
Da una parte, l’ECN ha inteso ribadire con forza la necessità di mantenere saldi i principi in materia di diritto della concorrenza. Gli obiettivi di tutela della concorrenza, infatti, non devono venir disconosciuti in una fase in cui le imprese, e l’economia in generale, versano in uno stato di profonda crisi. In questo senso, le autorità non esiteranno ad intervenire nel caso in cui si dovessero verificare rialzamenti anomali dei prezzi di beni di prima necessità (quali mascherine protettive, gel disinfettanti) o nel caso in cui alcune imprese approfittino della situazione per concludere intese anticoncorrenziali e non benefiche per il mercato, o per porre in essere abusi di posizione dominante. Viene inoltre ribadita la possibilità per i produttori di fissare un prezzo massimo di rivendita dei beni utili per evitare prezzi ingiustificatamente alti a livello distributivo.
D’altro canto, le autorità hanno espresso una certa apertura, prevedendo la possibilità di esenzione per gli accordi necessari e temporanei compiuti tra imprese e volti al sostegno alla fornitura ed equa distribuzione di beni durante lo stato di crisi legato alla pandemia di COVID-19, e che altrimenti sarebbero vietati sotto l’egida della disciplina concorrenziale. Si legge nella comunicazione infatti che “[national antitrust authorities] will not actively intervene against necessary and temporary measures put in place in order to avoid a shortage of supply”[33].
4. Rilanciare l’Europa: interventi in materia monetaria, fiscale ed economica
Quanto sinora evidenziato merita di essere integrato con quello che è il dibattito sulla ricostruzione dopo la crisi emerso nelle ultime settimane. Gli scenari bellici di quarantena (se non di coprifuoco) che contraddistinguono il mondo in generale, e l’Europa in particolare, richiedono la predisposizione di un nuovo “Piano Marshall” – come suggestivamente definito dalla Presidente von der Leyen negli scorsi giorni[34] – che possa rilanciare un continente che si è dotato di una serie di importanti strumenti in seguito alla crisi della zona euro dello scorso decennio, ma molto probabilmente necessita di ulteriori passi avanti per superare l’attuale sfida dalle dimensioni senza precedenti. Questa volta come mai prima, le istituzioni dell’Unione europea e l’insieme dei suoi Stati membri dovranno dimostrare di essere davvero pronti a “fare tutto il possibile” per delineare un futuro comune e roseo per tutti i loro cittadini.
Il Consiglio europeo del 26 marzo 2020, chiamato a dare una prima risposta sul punto, si è concluso senza alcuna soluzione definitiva. Questo a causa del divario apparentemente incolmabile tra gli Stati membri del sud, che invocano lo sviluppo di strumenti di debito comune “innovativi” per affrontare l’attuale crisi sanitaria visto lo choc di tipo simmetrico su tutte le economie degli Stati membri, e quelli del nord, favorevoli essenzialmente all’impiego del Meccanismo europeo di stabilità (“MES”), eventualmente con una versione alleggerita delle restrittive condizionalità da applicare per l’attivazione delle sue linee di credito.
I principali attori istituzionali dell’Unione europea che hanno la missione, ma soprattutto la responsabilità in questo frangente, di rilanciare l’economia europea a seguito della pesante recessione dell’anno in corso sono la Banca centrale europea (“BCE”), la Banca europea degli investimenti (“BEI”), il Consiglio dell’Unione europea nella sua formazione “Economia e finanza” (“ECOFIN”) e l’Eurogruppo, organo informale che riunisce i ministri dei paesi della zona euro per discutere di questioni legate all'euro.
Si discute inoltre sempre di più in queste settimane del ruolo che potrebbe svolgere nel contesto della risposta alla presente crisi il Meccanismo europeo di stabilità o Fondo salva-Stati, organizzazione internazionale a carattere regionale attiva dal 2012, istituita mediante un trattato intergovernativo e nata come fondo finanziario europeo per la stabilità finanziaria della zona euro. Il presente contributo affronta solamente in modo tangenziale nelle proprie conclusioni il ruolo e la funzione che potrebbe essere ricoperta dal MES alla luce del testo emerso il 9 aprile 2020 come relazione della riunione dell’Eurogruppo volta a proporre iniziative per la risposta economica alla crisi legata alla pandemia di COVID-19[35].
4.1 Politica monetaria: il ruolo e le iniziative della BCE
Il Consiglio direttivo della BCE ha annunciato il 18 marzo 2020 un programma di acquisto per l'emergenza pandemica ( “PEPP”) da 750 miliardi di euro. Il PEPP è stato formalmente adottato con la decisione (UE) 2020/440 della Banca centrale europea[36]. Gli acquisti ai sensi del PEPP verranno effettuati dalla BCE fino alla fine del 2020 (ma potenzialmente anche in seguito) e saranno condotti in modo flessibile, potendo comprendere un’ampia gamma di titoli pubblici e privati, secondo specifici criteri di ammissibilità. Contestualmente, la BCE ha deciso di acquistare carte commerciali di adeguata qualità creditizia e di espandere la gamma della attività ammissibili come garanzia nelle proprie operazioni di rifinanziamento.
Con riferimento all’ambito di applicazione del PEPP, giova menzionare l’articolo 4 della decisione 2020/4040 sugli importi degli acquisti, che permette alla BCE di agire nella misura ritenuta necessaria e proporzionata a contrastare le minacce poste dalle straordinarie condizioni economiche e di mercato alla capacità del Sistema europeo delle banche centrali (“SEBC”) di assolvere il proprio mandato. In particolare, la BCE ha deciso che i tradizionali limiti al programma di acquisto di attività (c.d. asset pruchase programme, “APP”)[37] non si applicheranno alle quote ai fini del PEPP. Si tratta di una decisione assai audace, presa proprio per l’eccezionalità della presente situazione emergenziale.
Sommando ai 750 miliardi di euro del PEPP, il programma di allentamento monetario noto come “quantitative easing” o QE (lanciato nel 2015 dall’allora Presidente della BCE Mario Draghi) e dal valore di 20 miliardi di euro al mese, e i 120 miliardi di euro precedentemente messi a disposizione dal Consiglio direttivo il 12 marzo 2020, si ottiene un totale di oltre mille miliardi per il 2020. In sostanza, tramite tale ingente programma straordinario di acquisti da parte della BCE, gli Stati membri e le imprese possono contare su un acquirente dei loro strumenti di debito alternativo al mercato, che per lo stesso tipo di rischio verosimilmente richiederebbe interessi assai più alti. Tutto ciò dovrebbe avere l’effetto di salvaguardare la liquidità nella zona euro e così sostenere l’integrità dell’unione monetaria “a qualunque costo”.
Tali iniziative senza precedenti devono essere lette alla luce della funzione che la Banca centrale, in quanto istituzione dell’Unione europea, è chiamata a svolgere sulla base del diritto primario dell’Unione. L’art. 127, paragrafo 1 TFUE assegna infatti alla BCE e al SEBC una missione tanto precisa quanto soggetta a libera interpretazione, ossia di perseguire la stabilità dei prezzi. Trattasi dell’obiettivo cardine in materia di politica monetaria (richiamato innanzitutto all’art. 119 TFUE, norma introduttiva del capitolo dedicato), che è stato quantificato in un livello di inflazione annuo prossimo, ma inferiore, al 2%. D’altro canto, l’art. 123 TFUE è chiaro nel vietare alla BCE e alle banche centrali nazionali di concedere scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, così come di acquistare direttamente presso gli Stati membri dei titoli di debito.
La Corte di giustizia è intervenuta, in seguito a due rinvii pregiudiziali effettuati dalla Corte costituzionale federale tedesca nelle cause Gauweiler[38] e Weiss[39], per giudicare la validità delle misure non convenzionali adottate dalla BCE nello scorso decennio, ossia l’OMT (“outright monetary transactions”) e il succitato QE, alla luce dei limiti del mandato della BCE così come definito dai Trattati. In entrambi i casi i giudici hanno ritenuto valide le decisioni della BCE che hanno adottato i relativi programmi non convenzionali, considerando che gli acquisti di titoli di Stato si giustificavano in quanto proporzionali, volti a garantire l’unicità della politica monetaria e a perseguire la stabilità dei prezzi, nonostante entrambi producessero effetti indiretti sulla politica fiscale degli Stati membri, quest’ultimi non risultandone affatto incentivati ad adottare comportamenti di azzardo morale.
Relativamente all’articolo 123 TFUE, la Corte ha in particolare chiarito nella causa Guauweiler che esso “vieta qualsiasi assistenza finanziaria del [Sistema europeo delle banche centrali] ad uno Stato membro […] senza per questo escludere, in maniera generale, la facoltà, per il [Sistema europeo delle banche centrali], di riacquistare, presso i creditori di tale Stato, titoli in precedenza emessi da quest’ultimo” (paragrafo 95). Cionondimeno, deve ritenersi in ogni caso esclusa la possibilità di un intervento su mercati secondari che abbia effetto equivalente a un acquisto diretto di titoli del debito pubblico presso autorità e organismi pubblici degli Stati membri (paragrafo 97).
Per quanto il PEPP si riveli effettivamente un programma ben più esteso (anzi, potenzialmente illimitato) rispetto ai suoi predecessori OMT e QE, pare ragionevole considerare che la sua legalità non verrà messa in discussione dalla Corte di giustizia dato che, dall’analisi della decisione 2020/440 della BCE e alla luce della situazione di emergenza straordinaria, non sembra che il divieto di facilitazione creditizia sia stato aggirato, e che il principio di proporzionalità sia stato invece rispettato. Inoltre, il PEPP non sembra poter in qualche modo incentivare gli Stati membri a perseguire comportamenti di azzardo morale o comunque a non perseguire sane politiche di bilancio[40].
4.2 Patto di stabilità e di crescita: la clausola di salvaguardia generale
Il tanto discusso Patto di stabilità e crescita (“Patto”) è fondato giuridicamente sugli articoli 121 (sorveglianza multilaterale) e 126 (procedura per i disavanzi eccessivi) del TFUE. Formalmente, il Patto è costituito da una risoluzione del Consiglio europeo[41] e da due regolamenti del Consiglio del 1997 che ne precisano gli aspetti tecnici[42]. In seguito alla crisi economia e finanziari, i regolamenti sono stati modificati tra il 2011 e il 2012 tramite otto regolamenti (il “Six-Pack”, che ha introdotto un sistema per monitorare le politiche economiche in maniera più ampia e il “Two-Pack”, un nuovo ciclo di monitoraggio per l'area dell'euro) e un trattato internazionale sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance (c.d. “Fiscal Compact”), che introduce disposizioni fiscali più stringenti del Patto di stabilità e crescita.
Il Patto come modificato fornisce i principali strumenti per la vigilanza delle politiche di bilancio degli Stati membri (aspetto preventivo) e per la correzione dei disavanzi eccessivi (aspetto correttivo). Con l’introduzione di una specifica “clausola di salvaguardia generale” nel 2011 gli Stati membri hanno inteso introdurre uno speciale “freno di emergenza” alle regole vincolanti in materia di finanze pubbliche e di bilancio. La clausola di salvaguardia generale, prevista agli articoli 5, paragrafo 1 e 9, paragrafo 1 del regolamento CE n. 1466/97 va a beneficio di tutti gli Stati membri in una situazione di crisi generalizzata causata da una grave recessione economica dell’eurozona o dell’Unione nel suo complesso.
In particolare, l'attivazione della clausola di salvaguardia generale, mai avvenuta fino ad oggi, mira ad aiutare gli Stati membri, consentendo loro di perseguire una politica di bilancio che faciliti l'attuazione di tutte le misure necessarie per affrontare adeguatamente la crisi, pur rimanendo nel quadro normativo del Patto di stabilità e crescita. Tale flessibilità si aggiunge alla flessibilità prevista in caso di circostanze eccezionali che permettono un discostamento dalle regole generali tramite la clausola relativa agli “eventi inconsueti”, che può essere attivata quando un evento straordinario e fuori dal controllo di uno o più Stati membri ha un forte impatto sulla situazione finanziaria pubblica di tale o tali Stati.
La Commissione europea ha proposto l’attivazione di entrambe le clausole nel contesto della presente crisi sanitaria e il Consiglio ha approvato tale proposta[43]. Per quanto riguarda l’aspetto preventivo del Patto, ciò permetterà una deviazione dall'obiettivo di bilancio a medio termine o dal percorso di aggiustamento appropriato verso tale obiettivo, sia durante la valutazione che durante l'attuazione dei programmi di stabilità o di convergenza. In particolare, i già richiamati articoli 5, paragrafo 1 e 9, paragrafo 1, del regolamento 1466/97 stabiliscono che "in caso di grave recessione economica della zona euro o dell'intera Unione, gli Stati membri possono essere autorizzati ad allontanarsi temporaneamente dal percorso di aggiustamento verso l'obiettivo di bilancio a medio termine, a condizione che la sostenibilità̀ di bilancio a medio termine non ne risulti compromessa".
Per quanto riguarda invece l’aspetto correttivo del Patto, la clausola consentirà invece una proroga del termine per la correzione dei disavanzi eccessivi da parte degli Stati membri nel quadro della procedura per disavanzi eccessivi, a condizione che tali Stati membri adottino misure efficaci come raccomandato dal Consiglio. In particolare, l'articolo 3, paragrafo 5, e l'articolo 5, paragrafo 2 del regolamento 1466/97 stabiliscono che, in caso di grave recessione economica della zona euro o dell'intera Unione, il Consiglio può̀ anche decidere, su raccomandazione della Commissione europea, di adottare una traiettoria di bilancio rivista.
La clausola di salvaguardia generale non sospende evidentemente le procedure del Patto, ma permette alla Commissione europea e al Consiglio di assumere le misure necessarie di coordinamento nel quadro del Patto medesimo. La sua attivazione rappresenta la massima flessibilità possibile in conformità al Patto ed è un passo tanto radicale quanto importante e tempestivo per il rilancio dell’economia europea. In pratica, a tutti gli Stati membri viene concesso di effettuare tutta la spesa pubblica ritenuta necessaria per alleviare gli effetti della crisi legata alla pandemia di COVID-19.
Tuttavia, la situazione dei bilanci degli Stati membri – vista la natura asimmetrica dell’unione economica monetaria della zona euro così come attualmente strutturata – è profondamente divergente e, di conseguenza, le capacità economico-finanziarie di cui ciascun governo nazionale è dotato per far fronte alla crisi risultano altrettanto differenti. Ciò implica la necessità di mobilitare ulteriori risorse e delineare interventi aggiuntivi (e innovativi) al fine di assicurare un’auspicabile reazione fiscale collettiva, solida e efficace dell’intera zona euro.
4.3 Interventi mirati in campo socio-economico: la mobilitazione dei fondi strutturali, l’iniziativa SURE
Diversi sono i fondi strutturali pre-esistenti che sono stati negli ultimi giorni riadattati e modificati al fine di rispondere all’emergenza legata alla pandemia di COVID-19 in maniera celere ed efficace.
Innanzitutto, al fine di assicurare una mobilitazione rapida e mirata di fondi per affrontare le conseguenze della pandemia di COVID-19, la Commissiona ha proposto il 13 marzo 2020 una “Iniziativa di investimento in risposta al coronavirus” (c.d. Corona Response Investment Iniative, “CRII”). Con tale iniziativa la Commissione europea intende garantire la possibilità che 37 miliardi di euro di fondi di coesione possano essere utilizzati in modo rapido e efficace dagli Stati membri nel contesto dell’attuale crisi sanitaria. Il relativo regolamento è stato adottato il 30 marzo 2020 ed è entrato in vigore il 1° aprile 2020[44].
La proposta della Commissione europea, trattata in modo urgente dal Consiglio e dal Parlamento, ha previsto delle modifiche mirate di alcune disposizioni di quattro regolamenti cardine nella gestione dei fondi dell’Unione all’interno del quadro finanziario pluriennale (“QFP”) 2014-2020, ossia il regolamento (UE) n. 1301/2013 sul Fondo europeo di sviluppo regionale, il regolamento (UE) n. 1303/2013 recante disposizioni comuni sui Fondi strutturali e di investimento europei e il regolamento e il regolamento (UE) n. 508/2014 sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca.
In generale, i regolamenti così come modificati introducono la nozione di “crisi sanitaria pubblica” all’interno dei suddetti regolamenti e permettono pertanto un’estensione significativa dell’ambito di applicazione del sostegno dei fondi strutturali. Non solo. Tali modifiche introducono la possibilità per gli Stati membri di immettere liquidità in modo immediato a beneficio delle imprese e la garanzia di una notevole flessibilità e semplicità nella modifica dei programmi e nel trasferimento dei fondi a beneficio dei territori con maggiore necessità.
Si osserva che il 2 aprile 2020 la Commissione europea ha proposto un secondo pacchetto di misure (il c.d. “CRII+”), che si propone, inter alia, di consentire la mobilitazione di tutti i fondi non impegnati dei tre fondi della politica di coesione, ovverosia il Fondo europeo di sviluppo regionale, il Fondo sociale europeo e il Fondo di coesione, al fine di affrontare gli effetti della crisi sanitaria pubblica. Inoltre, con questa secondo pacchetto la Commissione europea propone di semplificare gli oneri amministrativi e abbandonare ii requisiti di cofinanziamento, dal momento che gli Stati membri stanno già utilizzando tutti i mezzi disponibili per combattere la crisi.
Inoltre, il regolamento n. 2012/2002 del Consiglio, dell'11 novembre 2002, che istituisce il Fondo di solidarietà dell'Unione europea (c.d. “FSUE”), è stato integrato dal regolamento 2020/461 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 marzo 2020, che ne estende in modo permanente l'ambito di applicazione alle gravi emergenze di sanità pubblica e per definire gli interventi specifici ammissibili al finanziamento. In via generale, il FSUE permette all'UE di fornire un efficace sostegno a uno Stato membro o a un paese in via di adesione quando deve affrontare i danni causati da gravi catastrofi naturali. Attraverso l'FSUE, che è finanziato al di fuori del bilancio dell'Unione, è possibile mobilitare fino a 500 milioni di euro all’anno al fine di integrare le spese pubbliche sostenute dagli Stati membri per gli interventi di emergenza.
A tale fondo di solidarietà, e alle misure descritte in precedenza, se ne è aggiunta un'altra nelle ultime settimane – questa volta di carattere temporaneo: la c.d. iniziativa SURE, acronimo dall’inglese “Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency”, presentata con proposta di regolamento della Commissione europea del 2 aprile 2020[45],quale ulteriore strumento temporaneo per consentire all'Unione europea di concedere assistenza finanziaria per un importo fino a 100 miliardi di euro in forma di prestiti dell'Unione europea agli Stati membri colpiti. Lo strumento SURE verrà messo a disposizione degli Stati membri che devono mobilitare notevoli mezzi finanziari per combattere le conseguenze economiche e sociali negative della pandemia e garantirà un'assistenza finanziaria aggiuntiva, integrando così le misure nazionali e le sovvenzioni normalmente erogate per tali scopi nel quadro del Fondo sociale europeo.
Nello specifico, lo strumento SURE fungerà da seconda linea di difesa per finanziare i regimi di riduzione dell'orario lavorativo e misure analoghe, aiutando gli Stati membri a proteggere i posti di lavoro e, così facendo, a tutelare i dipendenti e i lavoratori autonomi dal rischio di disoccupazione e perdita di reddito. I regimi di riduzione dell'orario lavorativo sono programmi pubblici che consentono alle imprese in difficoltà economiche di ridurre temporaneamente le ore lavorate, garantendo al contempo ai dipendenti un sostegno al reddito da parte dello Stato per le ore non lavorate. Regimi analoghi di reddito sostitutivo in situazioni di emergenza esistono anche per i lavoratori autonomi.
In base a quanto contenuto nella proposta della Commissione, lo strumento SURE dovrebbe assumere la forma di un regime di prestiti basato su un sistema di garanzie degli Stati membri. Detto sistema consentirà all'Unione europea di: (i) aumentare il volume dei prestiti che possono essere concessi tramite lo strumento SURE agli Stati membri che chiedono assistenza finanziaria nel quadro di detto strumento; (ii) garantire che le passività potenziali per l'Unione europea derivanti dallo strumento siano compatibili con i vincoli di bilancio dell'Unione europea stessa.
Sebbene l'ambito di applicazione tematico sia coerente con quello del FSUE stante l’omogeneità di obiettivi – contrastare le crisi di grande portata risultanti da minacce per la sanità pubblica – diversi sono gli elementi di differenza rispetto a quest’ultimo: diverso è l’ambito geografico di applicazione in quanto il SURE è limitato agli Stati membri e non si applica ai paesi che stanno negoziando l'adesione all'Unione europea; il FSUE può essere utilizzato su base permanente, mentre lo strumento SURE è limitato al caso particolare della pandemia di COVID-19; infine, il FSUE è basato sulle sovvenzioni e consente l'erogazione di pagamenti anticipati, mentre lo strumento SURE è basato sui prestiti.
5. Conclusioni: la definizione di un piano comune di rilancio
L’analisi sinora svolta evidenzia come l’emergenza legata alla pandemia di COVID-19 sta venendo affrontata attraverso l’utilizzo sinergico e congiunto degli strumenti a disposizione delle istituzioni dell’Unione, con l’obiettivo di proteggere e allo stesso tempo sfruttare, a beneficio degli Stati membri, tutte le competenze dell’Unione europea in base a quanto sancito nei Trattati fondativi.
In ogni area di intervento esaminata l’ostacolo maggiore che emerge è quello di coniugare esigenze in apparente contrapposizione. Da una parte, la necessità di intervenire rapidamente a tutela di tutti gli Stati membri, attraverso azioni mirate ancorché univoche e coordinate. Dall’altra parte, salvaguardare il nocciolo duro sul quale l’Unione europea si fonda: il mercato interno. Il tutto tenendo a mente l’obiettivo sotteso, ovvero impedire che la crisi sanitaria lasci spazio a derive separatistiche, alla chiusura delle frontiere per paura, ma al contrario rappresenti l’occasione per un rinnovamento delle basi strutturali dell’Unione in grado di conciliare le profonde differenze economiche, ma anche socio-culturali, degli Stati membri.
Questo l’arduo compito delegato in queste ore all’Eurogruppo, che, come rilevato, ha lo scopo di preparare i lavori del Consiglio. Rimandiamo ad altri contributi pubblicati in queste settimane un’analisi più approfondita delle singole opzioni attualmente sul tavolo[46]. In questa sede pare opportuno analizzare, seppur sommariamente, il contenuto dell’accordo informale raggiunto dall’Eurogruppo il 9 aprile 2020, in attesa che il Consiglio Europeo si riunisca il 23 aprile 2020 al fine di sciogliere i nodi del “Piano Marshall” di cui l’Europa fortemente necessita per ripartire, auspicabilmente ancor più unita, dopo la crisi.
In via di estrema sintesi, i membri dell’Eurogruppo hanno concordato quattro blocchi di azione.
Sotto un primo profilo, di più corto raggio, i primi tre blocchi consistono in reti di salvataggio da implementarsi nel più breve tempo possibile a protezione rispettivamente dei lavoratori, delle imprese, e dello Stato. Oltre all’iniziativa SURE a tutela dei lavoratori, già richiamata, l’Eurogruppo ha individuato importanti strumenti, che ove approvati dal Consiglio Europeo saranno messi a disposizione di tutti gli Stati membri che ne facciano richiesta[47].
Innanzitutto i membri dell’Eurogruppo si sono espressi favorevolmente circa la possibilità di introdurre un regime di maggiore flessibilità nella gestione del bilancio europeo e nell’utilizzo dei fondi, permettendo una maggior fluidità tra fondi, regioni e obiettivi politici, abbandonando i requisiti di co-finanziamento a livello nazionale e supportando i soggetti più vulnerabili.
Inoltre, si è raggiunto un accordo sulla possibilità di introdurre uno strumento di finanziamento degli aiuti emergenziali a supporto prima di tutto dei sistemi sanitari nazionali. In questo senso, si guarda con favore alla proposta della Commissione di riattivare il c.d. Emergency Support Instrument. Tale strumento è in grado in questa fase di fornire il supporto di 2,7 miliardi di euro dal bilancio UE, che potranno essere aumentati con contributo volontario degli Stati membri.
In aggiunta, l’Eurogruppo si è detto concorde nel rinforzare le attività della BEI creando un fondo di garanzia pan-europeo del valore di 25 miliardi di euro, che potrebbe sostenere finanziamenti per 200 miliardi di euro a favore delle imprese con particolare attenzione alle PMI, in tutta l'UE, anche attraverso le banche nazionali.
Infine, oggetto di accordo è stato il c.d. Pandemic Crisis Support, quale rete di protezione a livello dell’Unione e dell’area economica europea. Tale profilo merita un seppur breve approfondimento.
La proposta dell’Eurogruppo è infatti quella di piegare gli esistenti strumenti del MES alle necessità concrete e alla specifica sfida simmetrica che tutti gli Stati membri stanno affrontando.
L’idea è quella di applicare la disciplina generale di cui al trattato istitutivo del MES[48] riadattandola per permettere un supporto economico a tutti gli Stati membri della zona euro a condizioni standardizzate e concordate in anticipo dagli organi direttivi del MES. A differenza della disciplina ordinaria però si prevede quale unico requisito per accedere alla linea di credito che gli Stati membri della zona euro che richiedono assistenza si impegnino a utilizzare questa linea di credito per sostenere il finanziamento interno dell'assistenza sanitaria diretta e indiretta, i costi relativi alla cura e alla prevenzione dovuti alla crisi sanitaria. La linea di credito sarebbe disponibile fino alla fine della crisi pandemica. Successivamente, gli Stati membri richiedenti rimarrebbero impegnati a rafforzare i fondamenti economici e finanziari, coerentemente con i quadri di coordinamento e sorveglianza economica e fiscale dell'UE, nei limiti però della flessibilità applicata dalle competenti istituzioni dell'UE. Tale meccanismo dovrebbe essere applicato in un modo che tenga debitamente conto delle circostanze speciali dell'attuale crisi.
Sotto un diverso profilo, di più ampio raggio, l’Eurogruppo ha discusso un quarto blocco d’azioni volto ad assicurare che, a crisi pandemica terminata, vi sia una ripresa economica “forte, bilanciata ed inclusiva”. Ed è proprio su questo quarto blocco che si è soffermato il presidente dell’Eurogruppo Mario Centeno in una lettera[49] destinata al presidente del Consiglio Charles Michel, al fine di approfondire lo strumento del Recovery Fund oggetto di specifica trattazione all’interno del accordo informale dell’Eurogruppo [50]. È su tale strumento, infatti, che sono riposte le maggiori speranze, in particolare da parte dell’opinione pubblica italiana. L’introduzione di un Recovery fund, in ottica di solidarietà, sarebbe destinata a permettere il rilancio degli Stati membri maggiormente colpiti. Tale fondo sarebbe temporaneo, mirato e commisurato ai costi straordinari dell'attuale crisi e funzionale a diluire tali costi su un orizzonte temporale più ampio attraverso finanziamenti adeguati. Al riguardo l’Eurogruppo si impegna ad affrontare una approfondita discussione sugli aspetti giuridici e pratici, comprese le relazioni con il bilancio dell'UE, le possibili fonti di finanziamento e gli strumenti finanziari innovativi, coerenti con i trattati dell'UE, che prepareranno il terreno per una decisione.
In conclusione, le istituzioni dell’Unione hanno dimostrato di essere in grado di affrontare con forza e motivazione la crisi in atto. Spetta ora ai singoli Stati membri decidere quanto ambizioso potrà essere il prossimo passo da compiere insieme e a determinare le sorti dell’Unione nel prossimo futuro. Affinché l’Unione sia all’altezza della sfida con la storia a cui è stata convocata, a maggior ragione nel contesto degli attuali negoziati circa il QFP 2021-2027.
[1] Questo contributo è il risultato di uno sforzo comune e le opinioni espresse esprimono esclusivamente il punto di vista personale degli autori. I paragrafi 2 e 3.3 sono di Elisa Arbia; i paragrafi 3.1, 3.2, e 4 sono di Carlo Biz.
[2] Discorso della Presidente von der Leyen al Parlamento europeo riunito in sessione plenaria sulla risposta europea coordinata all'epidemia di COVID-19, 26 marzo 2020, Bruxelles (disponibile online: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/SPEECH_20_532)
[3] Sottolineature aggiunte
[4] Si rinvia a AA.VV. S.L. Greer, N. Fahy, S. Rozenblum, Everything you always wanted to know about European Union health policies but were afraid to ask, in Health Policy Series, 54 / 2019, seconda edizione, Denmark, Copenhagen (disponibile online: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/books/NBK551073/)
[5] Al riguardo sempre utile è il rinvio al sito istituzionale “What Europe does for me” (disponibile online: https://what-europe-does-for-me.eu/it/portal/2/0?area=C&txt=La-mia-salute)
[6] Si rinvia alla scheda informativa, Protezione civile e operazioni di aiuto umanitario europee, (disponibile online: https://ec.europa.eu/echo/files/aid/countries/factsheets/thematic/European_Medical_Corps_it.pdf)
[7] M. Gestri, EU Disaster Response Law: Principles and Instruments, in AA. VV. A. Guttry, M. Gestri, G. Venturini, International Disaster Response Law, edizione 2012, T.M.C. Asser Press, The Hague, The Netherlands
[8] Decisione del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013 su un meccanismo unionale di protezione civile, decisione 1313/2013/UE GU L 347/924, 17 dicembre 2013
[9] Per una trattazione più approfondita si rinvia a F. Casolari, Prime considerazioni sull’azione dell’Unione ai tempi del Coronavirus, Rivista Eurojust, Fascicolo n. 1 – 2020 (disponibile online su http://rivista.eurojus.it/); Inoltre per un approfondimento dell’approccio integrato a livello UE si rinvia a L. Debuysere & S. Blockmans, Crisis Responders: Comparing Policy Approaches of the EU, the UN, NATO and OSCE with Experiences in the Field, in European Foreign Affairs Review, 24.3 /2019, p. 243–264
[10] Si veda nota 8
[11] Si rinvia a https://ec.europa.eu/info/live-work-travel-eu/health/coronavirus-response/public-health_en, sottolineatura aggiunta.
[12] Si rinvia a https://ec.europa.eu/info/live-work-travel-eu/health/coronavirus-response/crisis-management_it.
[13] A tal fine gli Stati membri si coordinano in sede di Consiglio. Le modalità di attuazione della presente clausola di solidarietà da parte dell'Unione sono definite da una decisione adottata dal Consiglio, su proposta congiunta della Commissione europea e dell'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza
[14] Dichiarazione n. 37 sull’ articolo 222 TFUE, secondo la quale “Fatte salve le misure adottate dall'Unione per assolvere agli obblighi di solidarietà nei confronti di uno Stato membro che sia oggetto di un attacco terroristico o sia vittima di una calamità naturale o provocata dall'uomo, si intende che nessuna delle disposizioni dell'articolo 222 pregiudica il diritto di un altro Stato membro di scegliere i mezzi più appropriati per assolvere ai suoi obblighi di solidarietà nei confronti dello Stato membro in questione”
[15] Per un aggiornamento completo e costante delle iniziative di solidarietà tra Stati membri si rinvia a “Coronavirus: solidarietà europea in azione” (disponibile online: https://ec.europa.eu/info/live-work-travel-eu/health/coronavirus-response/coronavirus-european-solidarity-action_it)
[16] Decisione del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2013 relativa alle gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero e che abroga la decisione n. 2119/98/CE, decisione n. 1082/2013/UE, GU L 293/1, 5 novembre 2013
[17] Vedi, ex multis, la sentenza del 15 luglio 1982, Commissione europea/Regno Unito, C-40/82, EU:C:1982:285 e la sentenza dell’8 febbraio 1983, Commissione/Regno unito, C-124/81, EU:C:1983:30.
[18] La Commissione europea ha fin da subito chiarito che dei divieti alle esportazioni sono ingiustificati dal momento che non garantiscono che i beni in questioni siano disponibili per coloro che più ne hanno bisogno all’interno del territorio dello Stato membro coinvolto. Vedi Commissione europea, comunicazione su una risposta economica coordinata alla pandemia di Covid-19, 13 marzo 2020 (disponibile online: https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/communication-coordinated-economic-response-covid19-march-2020_en.pdf)
[19] Commissione europea, Orientamenti per le misure di gestione delle frontiere per proteggere la salute e garantire la disponibilità di beni e servizi essenziali, 16 marzo 2020 (disponibili online: https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/homeaffairs/files/what-we-do/policies/european-agenda-migration/20200316_covid-19-guidelines-for-border-management.pdf)
[20] Orientamenti per le misure di gestione delle frontiere per proteggere la salute e garantire la disponibilità di beni e servizi essenziali, paragrafi 6-7
[21]Regolamento d’Esecuzione (UE) 2020/426 della Commissione europea del 19 Marzo 2020 recante modifica del Regolamento d’Esecuzione (UE) 2020/402 che subordina l’esportazione di taluni prodotti alla presentazione di un’autorizzazione di esportazione, GU L 771, 15.3.2020, p. 1.
[22] Si rinvia alla pagine informative relativa alla procedura di aggiudicazione congiunta di contromisure mediche (disponibile online: https://ec.europa.eu/health/preparedness_response/joint_procurement_it) e al testo del procedimento (disponibile online: https://ec.europa.eu/health/sites/health/files/preparedness_response/docs/jpa_agreement_medicalcountermeasures_en.pdf)
[23] Comunicazione della Commissione europea, comunicazione Covid-19: restrizione temporanea a viaggi non essenziali verso l’Unione europea, 16 marzo 2020 (disponibile online: https://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/2020/EN/COM-2020-115-F1-EN-MAIN-PART-1.PDF)
[24] Regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen), GU L 77 1, 23.3.2016, p.1
[25] Si rinvia alla pagina informativa della Direzione Generale Protezione civile e operazioni di aiuto umanitario europee (DG ECHO) (disponibile online: https://ec.europa.eu/echo/news/coronavirus-new-round-repatriations-eu-citizens-civil-protection-mechanism_en)
[26] Regolamento (CEE) n . 95/93 del Consiglio del 18 gennaio 1993 relativo a norme comuni per l'assegnazione di bande orarie negli aeroporti della Comunità, GU L 14, 22.1.1993, p.1
[27] Regolamento (UE) 2020/459 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 marzo 2020, che modifica il regolamento (CEE) n. 95/93 del Consiglio, relativo a norme comuni per l’assegnazione di bande orarie negli aeroporti della Comunità, GU L 99, 31.3.2020, p. 1
[28] Comunicazione della Commissione — Quadro di riferimento temporaneo comunitario per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell'accesso al finanziamento nell'attuale situazione di crisi finanziaria ed economica (2009/C 83/01), GU C83/1, 7.4.2009
[29] Comunicazione della Commissione — Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza del COVID-19 (2020/C 91 I/01), GU C 91/I 1, 20.3.2020
[30] Discorso del Vice presidente esecutivo Margrethe Vestager del riguardo aiuti di stato e misure tese ad affrontare l’impatto economico sullo Stato del COVID-19, del 13 marzo 2020, Bruxelles, (disponibile online https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/statement_20_467)
[31] La Commissione europea ha approvato un regime italiano di aiuti pari a 50 milioni di EUR per sostenere la produzione e la fornitura di dispositivi medici, come i ventilatori, e di dispositivi di protezione individuale, come mascherine, occhiali, camici e tute di sicurezza, https://ec.europa.eu/italy/news/20200322_Covid19_commissione_Ue_approva_regime_italiano_da_50milioni_per_produrre_dispositivi_medici_it
[32] Comunicazione congiunta del European Competition Network (ECN) su l’applicazione del diritto della concorrenza durante la crisi del Corona virus, 23 marzo 2020, (disponibile online: https://ec.europa.eu/competition/ecn/202003_joint-statement_ecn_corona-crisis.pdf)
[33] Idem
[34] “Così ripartirà la nostra Europa”: editoriale della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, 4 aprile 2020 (disponibile online: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/AC_20_602)
[35] Eurogruppo, Comunicato stampa “Report on the comprehensive economic policy response to the COVID-19 pandemic”, 9 aprile 2020 (disponibile online: https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2020/04/09/report-on-the-comprehensive-economic-policy-response-to-the-covid-19-pandemic/)
[36] Decisione (UE) 2020/440 della Banca centrale europea del 24 marzo 2020 su un programma temporaneo di acquisto per l’emergenza pandemica (BCE/2020/17), GU L 91, 25.3.2020, p. 1
[37] Il riferimento è ai limiti previsti dall’articolo 5 della decisione (UE) 2020/188 della Banca centrale europea, ossia i limiti agli acquisti del programma di quantitative easing (25% all'acquisto dei titoli per ogni emissione, e 50% al massimo di acquisto del debito pubblico di un singolo paese emittente)
[38] Sentenza del 16 giugno 2015, Gauweiler, C-62/14, EU:C:2015:400
[39] Sentenza dell’11 dicembre 2018, Weiss, C-493/17, EU:C:2018:1000
[40] Vedi in particolare i considerando 3, 4, 8-10 della decisione 2020/440
[41] Risoluzione del Consiglio Europeo relativa al Patto di stabilità e di crescita, GU C 236, 2.8.1997, p. 1
[42] Regolamento (CE) n. 1466/97 del Consiglio del 7 luglio 1997 per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche, GU L 209, 2.8.1997, p. 1 e Regolamento (CE) n. 1467/97 del Consiglio del 7 luglio 1997 per l'accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi, GU L 209 del 2.8.1997, p. 6
[43] Comunicazione della Commissione al Consiglio sull’attivazione della clausola di salvaguardia generale del patto di stabilità e crescita, COM(2020) 123 finale, 20 marzo 2020 (accessibile online: https://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/2020/IT/COM-2020-123-F1-IT-MAIN-PART-1.PDF)
[44] Regolamento (UE) 2020/460 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 marzo 2020 che modifica i regolamenti (UE) n. 1301/2013, (UE) n. 1303/2013 e (UE) n. 508/2014 per quanto riguarda misure specifiche volte a mobilitare gli investimenti nei sistemi sanitari degli Stati membri e in altri settori delle loro economie in risposta all'epidemia di COVID-19 (Iniziativa di investimento in risposta al coronavirus), GU L 99, 31.3.2020, p. 5
[45] Proposta di Regolamento del Consiglio che istituisce uno strumento europeo di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione in un'emergenza (SURE) a seguito della pandemia di Covid-19 - COM/2020/139
[46] Tra i contributi più rilevanti è doveroso il rinvia all’intervento di L. Bini Smaghi, Si fa presto a dire Eurobond, Il Foglio, 25 marzo 2020 (disponibile online: https://www.lorenzobinismaghi.com/docubini/Foglio_Eurobond_25.3.2020_bis.pdf); editoriale di M. Monti, Eurobond, ora si può, Corriere della sera del 20 marzo 2020 (disponibile online: https://www.corriere.it/editoriali/20_marzo_20/eurobond-ora-si-puo-154160e8-6aeb-11ea-b40a-2e7c2eee59c6.shtml). Dal punto accademico europeo si rinvia a: la proposta concreta presentata da parte di una serie di accademici su come “costruire” i coronabond, si veda M. Goldmann, The Case for Corona Bonds A Proposal by a Group of European Lawyers, 5 aprile 2020 (disponibile online: https://verfassungsblog.de/the-case-for-corona-bonds/); si veda anche il contributo che analizza i quattro scenari principali per il “piano marshall” europeo post-crisi e ne analizza i pro e i contro di G. Claeys e B. Wolf, It is time for the EU Council to make quick progress on the fiscal front and announce something as soon as possible to show that it taken full measure of the severity of the situation, 26 marzo 2020 (disponibile online: https://www.bruegel.org/2020/03/esm-credit-lines-corona-bonds-euro-area-treasury-one-off-joint-expenditures-what-are-the-options-for-the-eu-council/); infine interessante è il contributo di J. Pröbstl, ESM loans or Coronabonds: A legal analysis from the German perspective, 4 aprile 2020 (disponibile online: https://voxeu.org/article/legal-perspective-esm-loans-and-coronabonds che presenta caratteristiche giuridiche delle opzioni MES e coronabonds, propenendendo per il primo con la creazione di una Corona Credit line
[47] Si rinvia al “Report on the comprehensive economic policy response to the COVID-19 pandemic”, del 9 aprile 2020 (disponibile online: https://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2020/04/09/report-on-the-comprehensive-economic-policy-response-to-the-covid-19-pandemic/)
[48] Trattato istitutivo del Meccanismo economico di stabilità, del 2 febbraio 2012 (disponibile online: https://www.esm.europa.eu/sites/default/files/20150203_-_esm_treaty_-_it.pdf)
[49] Lettera del presidente dell’Eurogruppo Mario Centeno del 10 aprile 2020 (disponibile online: https://www.consilium.europa.eu/media/43300/200410_peg-centeno-letter-to-pec-michel_covid.pdf)
[50] Si veda nota 47
Il decreto legge 8 aprile 2020 n. 23.
Come ci si salva dalla crisi economica da pandemia: il rinvio del codice della crisi e altri rimedi
di Paola Filippi
sommario: 1. Premesse - 2. Il differimento dell’entrata in vigore del codice della crisi - 3. Interventi in materia di concordati preventivi e accordi di ristrutturazione - 3.1 Concordati e accordi omologati - 3.2 Concordati e accordi in corso di omologazione - 3.3 I concordati con prenotazione - 3.4. Accordi di ristrutturazione con termine - 4. L’improcedibilità dei ricorsi per la dichiarazione di fallimento e la dichiarazione di insolvenza. - 4.1 Declaratoria di improcedibilità dei ricorsi. - 4.2 Coordinamento tra improcedibilità e sospensione - 5. La priorità della continuità aziendale -5.1 Riduzione del capitale - 5.2. La redazione del bilancio - 5.3. Il finanziamenti dei soci - 6. I finanziamenti garantiti dalla SACE s.p.a. e dal fondo PMI- 6.1.Il salvataggio selettivo. 6.2.Finanziamenti garantiti con procedure semplificate - 7. Considerazioni conclusive
1.Premesse
Un po' come per il matrimonio di Renzo e Lucia osteggiato da Don Rodrigo che ordinava a don Abbondio, per il tramite dei bravi, “questo Matrimonio non s’ha da fare né domani né mai” così per la disciplina della crisi e dell’insolvenza, in Italia sembra valere il monito “questa legge fallimentare del ‘42 non s’ha d’abbandonare”, almeno fino al 1settembre 2021. Poi nel romanzo di Manzoni Renzo e Lucia si sposano nonostante i bravi, don Rodrigo e la peste e allora non ci resta che sperare che il Codice della crisi e dell’insolvenza entri in vigore il 1 settembre 2021 nonostante il Covid19, insieme all’immunità di gregge o, speriamo, al vaccino. Come ha scritto Renato Rordorf in questa rivista l’8 aprile https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/984-il-codice-della-crisi-e-dell-insolvenza-in-tempi-di-pandemia-di-renato-rordorf e oggi Giovanni Negri https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/1004-il-diritto-della-crisi-d-impresa-ai-tempi-della-pandemia-di-giovanni-negri l’epidemia Covid 19 è stata forse l’occasione per far emergere, un certo malcelato scetticismo verso la riforma, nonostante l’organicità del sistema codicistico -organicità ormai irrimediabilmente persa dalla legge fallimentare del ‘42-, la coerenza con i sistemi di regolazione della crisi dei paesi dell’Unione e la presenza di istituti di composizione, che pure avrebbero potuto offrire proprio nella situazione contingente valide soluzioni (v. insolvente civile e esdebitazione).
L’entrata in vigore degli istituti di allerta di cui all’art. 14, 2°co., e all’art. 15 CCII - istituti che segnano l’attenzione codicistica alla rapida emersione della crisi attraverso l’introduzione dell'obbligo di segnalare all’OCRI gli indizi della crisi a carico degli organi di controllo societari e di alcuni creditori qualificati- era stata già posticipata al 15 febbraio 2021, dall’art. 11 del decreto legge n. 19 del 2020 come anticipazione dell’intenzione di non impelagarsi, in piena crisi, ad agosto prossimo venturo con l’entrata in vigore del codice.
L’emergenza, d’altro canto, ridisegna le priorità ed è pure vero che la crisi economica, in atto e che verrà, presenta talmente tanti lati oscuri – si parla di depressione ben più grave del ’29 - che lasciare in vigore il vecchio pajardiano corpus juris, come rammodernato e rattoppato dal 2006 ad oggi, è ragionevolmente sembrata la scelta migliore, “chi lascia la strada vecchia per la nuova sa quel che lascia non sa quel che trova” forse non a torto predicava il vecchio saggio.
2. Il differimento dell’entrata in vigore del codice della crisi
In attesa della herd immunity, e così di tempi migliori, il decreto legge dell’8 aprile 2020 n. 23 intitolato “Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali”, insieme a misure per le imprese in materia di accesso al credito - di cui diremo in chiusura-, di esercizio di poteri speciali nei settori di rilevanza strategica, di misure fiscali e contabili, di disposizioni in materia di termini processuali e procedimentali con proroga del termine all’11 maggio prossimo, nonchè di salute e di lavoro, detta, al capo secondo, una serie di misure urgenti finalizzate a garantire la continuità delle imprese colpite dall'emergenza Covid19.
In questo contesto, l’art. 5 del decreto legge, interviene sul secondo comma della art. 369 del Codice della crisi e dell’insolvenza, modificando la data dell’entrata in vigore. Il 15 agosto 2020 viene sostituito dal 1° settembre 2021; insomma se tutto andrà bene il codice entrerà in vigore un anno e quindici giorni dopo la data prevista dal decreto legislativo del 12 gennaio 2019 n. 14, che già aveva lasciato un anno e sette mesi di preparativi alla new entry.
Del codice della crisi sono vigenti solo le disposizioni indicate al secondo comma dell’art. 369 e quanto alle disposizione in materia di sovraindebitamento ed esdebitazione si continuerà a far riferimento alle disposizione contenute nella legge n. 3 del 2012.
3. Interventi in materia di concordati preventivi e accordi di ristrutturazione
L’articolo 9 del decreto legge n. 23 dell’8 aprile 2010 fissa la data del 23 febbraio 2020 come data che discrimina il prima dal dopo rispetto alla crisi da Covid19, quanto a concordato e accordi di ristrutturazione.
3.1 I concordati e gli accordi omologati. Il primo comma riguarda i concordati preventivi e agli accordi di ristrutturazione omologati, e proroga di sei mesi i termini per l’adempimento in scadenza tra il 23 febbraio 2020 e il 31 dicembre 2021.
3.2 I concordati e gli accordi in corso di omologazione. Il secondo comma riguarda i concordati preventivi e gli accordi di ristrutturazione in corso di omologazione, e attribuisce al debitore la facoltà di presentare al tribunale, sino all'udienza fissata per l'omologa, istanza diretta a ottenere la concessione di un termine, non superiore a novanta giorni, per il deposito di un nuovo piano e di una nuova proposta di concordato ai sensi dell'articolo 161 l. fall. o di un nuovo accordo di ristrutturazione, ai sensi dell'articolo 182 bis l. fall., disposizione questa che deroga al principio dell’approvazione necessaria della proposta da parte dei creditori falcidiati.
Il termine per la presentazione del nuovo piano e della nuova proposta decorre dalla data del decreto con cui il tribunale lo concede, e non è prorogabile. L'istanza è evidentemente inammissibile se presentata nell'ambito di un procedimento di concordato preventivo nel corso del quale è già stata tenuta l'adunanza dei creditori ma non sono state raggiunte le maggioranze stabilite dall'articolo 177 l. fall. e ciò per gli effetti comunque tombali della “disapprovazione” creditoria.
E’ più semplice la procedura quando la modifica riguarda non il piano ma solo i termini per l’adempimento, in questo caso, ai sensi del terzo comma dell’art. 9, è infatti sufficiente il deposito di una memoria contenente indicazione dei nuovi termini. In questo caso il debitore deve però allegare documentazione che attesti necessità di modificare i termini per l’adempimento. Il limite del differimento del termini è fissato in sei mesi rispetto alle scadenze originarie. E’ richiesto il parere del commissario ed è rimessa al Tribunale, la verifica circa la sussistenza dei presupposti di cui agli articoli 180 o 182 bis l. fall. E’ prescritto che il provvedimento di omologa contenga indicazione delle nuove scadenza per l’adempimento.
3.3. I concordati con prenotazione. Il quarto comma dell’art. 9, riguarda i concordati con prenotazione di cui all'articolo 161, comma sesto, l. fall., e prevede che anche nel caso in cui il termine sia già stato prorogato dal tribunale, ai sensi del terzo comma, il debitore, sempre che il termine non sia già scaduto, possa presentare istanza per la concessione di una ulteriore proroga sino a novanta giorni, e ciò anche nei casi in cui sia stato depositato ricorso per la dichiarazione di fallimento. L’istanza deve contenere indicazione degli elementi che rendono necessaria la concessione della proroga con specifico riferimento ai fatti sopravvenuti per effetto dell'emergenza epidemiologica.
Il tribunale decide sulla richiesta dopo aver acquisito il parere del commissario giudiziale del preconcordato, se nominato, e concede la proroga quando verifichi la ricorrenza di concreti e giustificati motivi.
3.4. Accordi di ristrutturazione con termine. Il quinto comma riguarda gli accordi di ristrutturazione nel corso dei quali sia stato concesso il termine di cui all’art. 182 bis, comma settimo e prevede che il debitore, sempre che il termine non sia già scaduto, possa presentare istanza per la concessione di una ulteriore proroga sino a novanta giorni, e ciò anche nei casi in cui sia stato depositato ricorso per la dichiarazione di fallimento. Il tribunale provvede in camera di consiglio, omessi gli adempimenti previsti dall'articolo 182 bis, comma settimo, primo periodo, l. fall., concede la proroga verificati due requisiti ovvero la sussistenza di concreti e giustificati motivi e nonché il preesistere dei presupposti per pervenire a un accordo di ristrutturazione dei debiti con le maggioranze di cui all'art. 182 bis, primo comma, l. fall.
4. L'improcedibilità dei ricorsi per la dichiarazione di fallimento e la dichiarazione di insolvenza
Sono improcedibili tutti i ricorsi per la dichiarazione di fallimento (art. 15 l. fall.) e per la dichiarazione di insolvenza (art. 195 l. fall.) nell’ambito della liquidazione coatta amministrativa, con l’unica unica eccezione della richiesta per la dichiarazione di fallimento su iniziativa del PM (art. 7) corredata da istanza di abbreviazione dei termini ex art. 15, ottavo comma, l.fall.. Non è espressamente prescritta l’indicazione delle ragioni dell’urgenza (tra le quali non possono annoverarsi né la cessazione dell’attività né il consolidamento degli atti di disposizione revocabili) né è espressamente rimessa al giudice la verifica della fondatezza dell’istanza, ma per l’ingiustificato trattamento che altrimenti né deriverebbe occorre senz’altro esposizione delle ragioni e verifica da parte del tribunale.
L’arco temporale di rilevanza della crisi da Covid19 con riguardo ai procedimenti prefallimentari è fissato tra il 9 marzo e il 30 giugno 2020, arco temporale diverso rispetto al concordato e agli accordi di ristrutturazione per i quali il riferimento temporale è quello dal 23 febbraio al 31 dicembre 2020.
Nessuna disposizione è dettata con riguardo all’amministrazione straordinaria e dunque al procedimento di cui all’art. 7 d.lgs. 270/99.
4.1. Declaratoria di improcedibilità dei ricorsi. Sono improcedibili per legge i ricorsi depositati nell’arco temporale che va dal 9 marzo 2020 al 30 giugno 2020. Il tenore della disposizione con riferimento alla cessazione dell’esercizio dell’impresa (art. 10 l. fall.) così come con riferimento all’arco temporale di esperibilità delle azioni revocatorie (art. 69 bis l. fall.) evidenzia la necessità che l’improcedibilità sia dichiarata con decreto, è infatti la data del decreto che costituisce il termine iniziale dal quale far decorre la fase di “congelamento” con riguardo all’anno dalla cessazione dell’attività dell’impresa o cancellazione della società o con riguardo al termine triennale di decadenza per l’esercizio delle azioni revocatorie.
Che l’improcedibilità vada dichiarata con provvedimento del tribunale è chiarito dal terzo comma dell’art.10 che, con riguardo all’effetto sospensivo del termine, fa riferimento a dichiarazione di improcedibilità seguita da dichiarazione di fallimento.
La data della declaratoria di improcedibilità assume rilievo solo nel caso in cui successivamente al 30 giugno 2020 venga dichiarato il fallimento, a seguito della reiterazione del medesimo ricorso dichiarato improcedibile. La decadenza è evitata infatti attraverso lo scomputo dai termini di cui agli articoli 10 e 69 bis l.fall. del periodo “congelato” , decorrente dalla data della declaratoria di improcedibilità al 30 giugno 2020. L’improcedibilità relativa a detto arco temporale non costituisce una moratoria dei pagamenti ma solo la sospensione ex lege dell’esercizio dell’azione esecutiva concorsuale. Il legislatore per evidenti ragioni di urgenza ha omesso di selezionare i debitori contro i quali pende il ricorso per la dichiarazione di fallimento è esclusivamente la data della pendenza del ricorso a determinare l’improcedibilità.
4.2. Coordinamento tra improcedibilità e sospensione. I procedimenti di cui all’art. 15 l.fall. e all’art.195 l.fall., come pure quello di cui all’ art. 7 l. amm. str. non sono tra quelli espressamente indicati al terzo comma dell’art. 83 decreto legge n. 19/20. Detti procedimenti sono stati quindi sospesi e inseriti tra quelli la cui ritardata trattazione poteva produrre grave pregiudizio alle parti in caso di rilevata urgenza, con dichiarazione in tal senso emessa dal capo dell'ufficio giudiziario o dal suo delegato, in calce alla citazione o al ricorso, con decreto non impugnabile e, per le cause già iniziate, con provvedimento del giudice istruttore o del presidente del collegio, egualmente non impugnabile.
Il mancato inserimento dei procedimenti prefallimentari tra quelli non sospesi è in realtà incoerente con l’art. 92 del regio decreto n. 12 del 1942 che invece li comprende tra quelli per cui non si applica la sospensione dei termini feriali, per il carattere della celerità e dell’urgenza che li connota
La previsione di improcedibilità determina l’effetto che i ricorsi depositati dopo il 9 marzo vadano trattati per essere dichiarati de plano improcedibili. Ai sensi dell’art. 83 cit., i procedimenti instaurati a seguito di ricorsi depositati prima dell’8 marzo sono sospesi sino all’11 maggio prossimo (termine così prorogato dall’art. 11 decreto legge n. 23/20), salvo la trattazione urgente nel caso ricorra ipotesi di cessazione dell’impresa o cancellazione della società o consolidamento di atti dispositivi suscettibili di revocatoria fallimentare. Sono invece procedibili ma sospesi i procedimenti esecutivi individuali per cui vale la previsione della trattazione in caso di urgenza con fine della sospensione dopo l’11 maggio.
L’improcedibilità delle esecuzioni concorsuali offre al debitore la possibilità di dimostrare la propria capacità di adempiere o di intraprendere procedure di composizione della crisi alternative al fallimento, facoltà altrimenti compromesse dall’attuale situazione di lockdown.
La previsione di improcedibilità in ogni caso non determina una moratoria dei pagamenti i quali continuano ad essere dovuti con tutte le conseguenze da ritardo e l’esperibilità di esecuzioni individuali, nei limiti delle sospensioni processuali.
5. La priorità della continuità aziendale.
5.1 Riduzione del capitale per perdite. La crisi di liquidità delle imprese determinata dal lockdown è affrontata anche attraverso la predisposizioni di misure idonee a consentire il recupero della liquidità con la ripresa della normale attività produttiva, congelando le conseguenze delle perdite. In quest’ottica l’articolo 6 del decreto legge introduce disposizioni temporanee in materia di riduzione del capitale per perdite. Si consente all’imprenditore organizzato in forma societaria di proseguire l’attività esonerandolo sino al 31 dicembre 2020 dagli obblighi di ricapitalizzazione, riduzione del capitale sociale, scioglimento o modifiche societarie determinati dalla perdite di capitale.
L’arco temporale è quello compreso tra il 9 aprile (data di entrata in vigore del decreto legge n. 23/20) e il 31 dicembre 2020, il presupposto dell’esonero è costituito dalla chiusura dell’attività in detto periodo –la norma specifica l’arco temporale ma non la durata della chiusura dell’esercizio dell’attività- l’obiettivo è realizzato con la sospensione dell’applicazione delle disposizioni in materia di riduzione di capitale per perdite di cui agli articoli 2446 cod.civ., commi secondo e terzo, all’ art. 2447 cod.civ., all’art. 2482 bis cod.civ., commi quarto, quinto e sesto, all’ art. 2482 ter cod.civ.. Non si applicano altresì le disposizioni concernenti le cause di scioglimento di cui all’art. 2484 cod.civ., all’ art. 2484 primo comma, numero 4 cod.civ. all’art. 2545 duodecies cod.civ.
La sospensione dell’applicazione delle disposizioni appena richiamate rileva in termini di insussistenza dell’illecito civile con riguardo ad eventuali azioni di responsabilità contro gli amministratori e gli organi di controllo per danni derivanti ai soci e ai creditori dalla prosecuzione dell’attività di impresa nonostante la perdita del capitale. La liceità della prosecuzione depone infatti per l’insussistenza della responsabilità.
Quanto agli effetti penale si osserva che poiché non è sospesa l’applicazione della disposizione di cui al primo comma dell’art. 2482 bis c.c. che prescrive che quando risulta che il capitale è diminuito di oltre un terzo in conseguenza di perdite, gli amministratori devono, senza indugio, convocare l'assemblea dei soci per gli opportuni provvedimenti, l’assemblea dovrebbe essere convocata e dunque che non sembra potersi escludersi l’astratta configurabilità del reato di omessa convocazione dell’assemblea di cui all’art. 2631 c.c.. Nella malaugurata ipotesi che la crisi sia irreversibile e che venga emessa dichiarazione di fallimento ex art. 16 l. fall. (o la dichiarazione di insolvenza ex art. 195 l. fall, o la dichiarazione di insolvenza ex art. 8 l. amm. str.) o venga emesso decreto di ammissione al concordato preventivo ex art. 163 l. fall. dovrà tenersi conto della liceità civile della prosecuzione ai fini della valutazione della rilevanza penale del cagionamento o dell’ aggravamento del dissesto. Sotto tale profilo la liceità della prosecuzione rende difficilmente configurabile la responsabilità penale con riferimento alle fattispecie di cui a punti n. 3 e n. 4 dell’art. 217 l.f., nonché al cagionamento del dissesto per operazione dolose di cui al secondo comma n. 2 dell’art. 223 l.fall. e all’aggravamento con inosservanza degli obblighi imposti della legge di cui al comma 2 n. 2 dell’art. 224 l.fall.. Ciò quando il dissesto abbia come causa esclusiva determinante l’evento la prosecuzione dell’attività nonostante la perdita del capitale.
5.2. La redazione del bilancio. L’articolo 7 detta disposizioni temporanee sui principi di redazione del bilancio, in particolare, prevede che il bilancio di esercizio in corso al 31 dicembre 2020, possa contenere la valutazione delle voci nella prospettiva della continuazione dell'attività di cui all'articolo 2423 bis, comma primo, n. 1), c.c. se detta prospettiva risulta sussistente nell'ultimo bilancio di esercizio chiuso anteriormente al 23 febbraio 2020, fatta salva la previsione di cui all'articolo 106 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18. E prescritto che il criterio di valutazione vada specificamente illustrato nella nota informativa anche mediante il richiamo delle risultanze del bilancio precedente. Dette disposizioni si applicano anche ai bilanci chiusi entro il 23 febbraio 2020 e non ancora approvati. Tale disposizione rileva con riguardo al reato di false comunicazioni sociali evidentemente non ipotizzabile nel caso dell’utilizzo dei criteri appena indicati.
5.3. Il finanziamenti dei soci. Il recupero della liquidità, in termini normalità, si ottiene attraverso il finanziamento dei soci. L’incertezza della situazione e la scommessa sottesa al recupero che tutti auspichiamo ma che evidentemente si deve confrontare con condizioni oggettivamente aleatorie quali: la riapertura dei mercati mondiali e i cambiamenti delle condizioni del mercato evidenzia la necessità di solidarizzazione il rischio recupero del finanziamento da parte del socio, per incentivarlo a finanziare. In quest’ottica l’articolo 8 introduce disposizioni temporanee in materia di finanziamenti alle società da parte dei soci. E’ così previsto che dal 9 aprile al 31 dicembre 2020, ai finanziamenti effettuati a favore delle società dai soci e concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento non si applicano gli articoli 2467 c.c. art. 2467 c.c., il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società non sarà quindi postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, non dovrà essere restituito se avvenuto nell'anno precedente alla dichiarazione di fallimento della società. Sotto il profilo civile i soci concorreranno in termini di parità con i creditori di pari grado e sotto il profilo penale la restituzione di detti finanziamenti, ricorrendone i presupposti, potrà astrattamente integrare un’ipotesi di bancarotta preferenziale nel caso la restituzione determini la lesione della par condicio ma non un’ipotesi di bancarotta fraudolenta per distrazione, quando la restituzione sia avvenuta nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento.
6. I finanziamenti garantiti dalla SACE s.p.a. e dal fondo PMI
- Lo strumento principis per far fronte alla crisi di liquidità è comunque il ricorso al finanziamento delle banche e degli istituti abilitati ed ecco qui il principale settore di intervento del decreto legislativo dell’ 8 aprile 2020 – integrativo di quello di cui all’art. 56 decreto legge n. 17 marzo 2020 n. 18 -.
Il decreto legge integra il sistema di aiuti di stato “sdoganato” dalla Comunicazione della Commissione europea del 19 marzo 2020 recante un "Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell'economia nell'attuale emergenza del COVID-19”
L’aiuto è regolato dalle disposizioni di cui agli articoli 1 e 13 del decreto legge n. 23/20 e consiste, in linea con quello introdotto dall’art. 56 decreto legge n. 18/20, nella concessione di garanzia su finanziamenti erogati da istituti di credito ed enti abilitati. Per i finanziamenti alle imprese di grandi e grandissime dimensioni l’ente garante è la società per azioni SACE del gruppo della Cassa depositi e prestiti, per le imprese con numero di dipendenti non superiore a 499 il Fondo centrale di garanzia PMI, per questi ultimi la garanzia non può superare l’importo di 5 milioni di euro. Il termine ultimo per la concessione della garanzia è quello del 31 dicembre 2020, le garanzie sono concesse in conformità con la normativa europea in tema di aiuti di Stato, in favore di banche, di istituzioni finanziarie nazionali e internazionali e degli altri soggetti abilitati all'esercizio del credito in Italia, per finanziamenti sotto qualsiasi forma alle imprese italiane.
I finanziamenti non possono superare i sei anni.
6.1.Il salvataggio selettivo. Il comma dell’art. 1 prevede infatti che sotto il profilo soggettivo le garanzie siano corrisposte in favore di coloro che provano che al 31 dicembre 2019 non rientravano nella categoria delle imprese in difficoltà ai sensi dei Regolamenti UE n. 651/2014, 702/2014 1388/2014 e che alla data del 29 febbraio 2020 non risultavano esposizioni deteriorate, come definite ai sensi della normativa europea. L’art. 13 alla lett. g) prevede che siano escluse le imprese che presentano esposizioni classificate come "sofferenze" ai sensi della disciplina bancaria. L’art. 1 alla lett. c) e l’art. 13 pure alla lett. c) indicano le modalità per la determinazione dell'importo massimo del prestito garantibile in base a percentuali del fatturato e costi del personale dell'impresa.
Ai sensi dell’art. 13 lett. g) la garanzia può essere però concessa anche alle imprese che, in data successiva al 31 dicembre 2019, siano state ammesse alla procedura del concordato con continuità aziendale di cui ex art. 186 bis l.fall, hanno stipulato accordi di ristrutturazione ai sensi dell' art. 182 bis l. fall. o hanno presentato un piano attestato di cui all'art. 67 l. fall., purché, al 9 aprile, le loro esposizioni non siano da classificare come deteriorate.
Non è garantita nella sua interezza la somma finanziata bensì -a seconda della dimensioni- essa è garantita sino al 90, all’80 o al 70 per cento.
L’art. 1, con riferimento ai finanziamenti garantiti dalla SACE S.p.a., condiziona la concessione della garanzia all’assunzione dell’impegno da parte del beneficiario di non approvare la distribuzione di dividendi o il riacquisto di azioni nel corso del 2020 nonché di gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali. Il finanziamento coperto dalla garanzia inoltre deve essere destinato a sostenere costi del personale, investimenti o capitale circolante impiegati in stabilimenti produttivi e attività imprenditoriali che siano localizzati in Italia, come documentato e attestato dal rappresentante legale dell'impresa beneficiaria.
6.2.Finanziamenti garantiti con procedure semplificate. Il comma 6 dell’art. 1 prevede una procedura semplificata in favore delle imprese con meno di 5000 dipendenti in Italia e con valore del fatturato inferiore a 1,5 miliardi di euro. La procedura inizia con la presentazione da parte dell’impresa alla banca, o altro ente autorizzato all’erogazione del credito, di domanda di finanziamento, in caso di esito positivo dell’istruttoria il finanziatore trasmette alla SACE S.p.A la richiesta di emissione della garanzia a SACE. e quest'ultima se l’istruttoria ha esito positivo emette un codice unico identificativo del finanziamento e della garanzia e a questo punto il soggetto finanziatore procede al rilascio del finanziamento assistito dalla garanzia concessa dalla SACE S.p.A. Il rilascio della garanzia e del corrispondente codice unico è subordinato a decisione assunta con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro dello sviluppo economico, adottato sulla base dell'istruttoria trasmessa da SACE S.p.A., nel caso si tratti di impresa con più di 5000 dipendenti l’autorizzazione è emessa in base a elementi quali il contributo allo sviluppo tecnologico; b) appartenenza alla rete logistica e dei rifornimenti; c) incidenza su infrastrutture critiche e strategiche; d) impatto sui livelli occupazionali e mercato del lavoro; e) peso specifico nell'ambito di una filiera produttiva strategica.
L’art. 13 , al 5° comma prevede che per le piccole e medie imprese che accedono al Fondo di garanzia si applichi la disciplina di cui alla legge n. 662 /96 con la semplificazione che qualora il rilascio della documentazione antimafia non sia immediatamente conseguente alla consultazione della banca dati nazionale unica prevista dall'art. 96 d.lgs n. 159/11, l'aiuto è concesso all'impresa sotto condizione risolutiva anche in assenza della documentazione medesima. Nel caso in cui la documentazione successivamente pervenuta accerti la sussistenza di una delle cause interdittive ai sensi della medesima disciplina antimafia, è disposta la revoca dell'agevolazione ai sensi dell'art. 92 commi 3 e 4 d.lgs. n. 159/2011 e art. 9 d.lgs. n. 123/98, mantenendo l'efficacia della garanzia.
7. Considerazioni conclusive
Senza lockdown il numero delle vittime sarebbe stato molto più alto.
Il contenimento del numero dei decessi ben vale una crisi di liquidità del paese, ma tanto la crisi è globale. Il Salento non vende il vino perché i ristoranti di New York sono chiusi. I paesi che prima supereranno l’epidemia prima supereranno la crisi mondiale. Bene è stato rimanere a casa e rimanerci ancora per non offrire le nostre gambe al virus. La vita umana ben vale la crisi di liquidità e solo alla morte non c’è riparo. Infine dopo le frasi che vi ho rassegnato e avete avuto la pazienza di leggere, tanto d’effetto e popolari quanto vere, mi sia permessa un’ultima considerazione, a mio parere difficilmente confutabile in termini di nesso di causalità, ovvero che la crisi economica non è l’effetto collaterale del lockdown ma è l’effetto diretto della pandemia.
Gli interventi del governo che si sono sommariamente illustrarti costituiscono utile stimolo e sollecitazione alla ripartenza e, al tempo stesso, strumenti adeguati per sottrarre l’economia dagli oscuri pericoli di una crisi, come il virus, dai contorni sconosciuti che ci evoca film cataclismatici dei quali non avremmo mai voluto essere protagonisti.
Gli aiuti di Stato mettono gli imprenditori in condizione di ripartire.
Allo stato il salvataggio selettivo, questo il rammarico, abbandona gli imprenditori già in crisi, e auspichiamo non ponga le condizioni per il ricorso a mezzi illeciti di finanziamento.
Le dimensioni della crisi impongono, però, la selezione delle imprese recuperabili, il salvataggio deve essere valutato non tanto in termini di meritevolezza del beneficiario quanto in termini di oggettiva capacità di ripresa. Agevolare il finanziamento in favore di chi non è in grado di superare la fase di illiquidità può determinare danni a catena e lo “spreco” dell’aiuto.
E’ l’importo dell’ammontare complessivo del finanziamento garantibile che impone la selezione del salvabile.
Deve poi osservarsi che la garanzia non copre l’intero ammontare dell’importo finanziato, a seconda delle dimensioni dell’impresa, il 10%, il 20% o il 30% rimane a carico dei finanziatori, ciò determina il rischio di ulteriori perdite (va considerato che gli istituti di credito già rischiano di perdere definitivamente i finanziamenti erogati alle imprese in crisi ante Covid19).
L’altra faccia della medaglia è che non ci si può permettere di lasciare alla criminalità nemmeno un centesimo di quanto è destinato al superamento della crisi di liquidità e dunque che è meglio un’erogazione ritardata per la necessità di controlli piuttosto che l’erogazione ad un soggetto che distrae l’aiuto allo scopo. In quest’ ottica è fondamentale l’elaborazione di protocolli di cooperazione tra gli organi di vigilanza, compresa la predisposizioni di archivi da parte della Guardia di Finanza con tutte le informazioni utili da mettere a disposizioni delle banche, tanto a evitare la dispersione degli aiuti.
Da ultimo un richiamo alla tutela penale per dissuadere tentativi di indebita appropriazione degli aiuti occorre il deterrente della pena, e pure che la pena sia salata. E’ quanto mai opportuna l’introduzione di una disposizione incriminatrice ad hoc atta a prevenire condotte dolose dirette all’indebita appropriazione dei finanziamenti.
Per sgombrare il campo dalla tentazione di utilizzare fattispecie penali quali quelle di cui all’art. 640 bis e 316 ter cod. pen. è bene considerare che la configurabilità delle ipotesi delittuose richiamate presuppone che i contributi, i finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo dei quali l’autore di detti reati richiamati indebitamente si appropria siano concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee, mentre i finanziamenti ex art. 56 decreto legge n. 18/20, ex art. 1 e ex art. 13 decreto legge n. 23/20 sono erogati da banche e enti abilitati ovvero soggetti privati e gli enti a partecipazione pubblica (SACE Spa e fondo PMI) subentrano a garanzia del finanziamento.
Così è evidente che i reati che abbiano non dissuadono.
Volo annullato da compagnia straniera e giurisdizione del giudice italiano (nota a Cass., SS.UU., 13/02/2020 n. 3561)
di Michela Capozzolo*
Sommario:1.Inquadramento della questione; 2. La fattispecie all’esame delle Sezioni Unite; 3. La Convenzione di Montreal tra competenza giurisdizionale e competenza (ratione loci e funzionale) interna; 4. Esclusione dell’applicabilità del foro del consumatore ex art. 17 del regolamento UE n. 1215/2012; 5. La non rilevanza del regolamento CE n. 261/2004 ai fini della determinazione della giurisdizione; 6. Validità ed interpretazione della clausola di deroga della giurisdizione accettata con il sistema point and click; 7. Qualche considerazione conclusiva.
1. Inquadramento della questione
La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 3561 del 13 febbraio 2020 resa a Sezioni Unite, si è pronunciata sulla vexata quaestio relativa all’eccezione di carenza di giurisdizione del giudice italiano, più volte sollevata dalle compagnie aeree straniere, al fine di tentare di eludere la giurisdizione dell’Italia cercando, quindi, di radicare ogni eventuale giudizio nello Stato in cui la compagnia ha la propria sede.
Nello specifico, i Giudici di legittimità si sono occupati di dirimere la questione su quale debba essere la normativa applicabile e, dunque, la giurisdizione, in tutti quei casi in cui il passeggero si trovi ad agire per chiedere il risarcimento dei danni causati sia dal ritardo del volo che dall’annullamento del volo, considerato che il viaggiatore rispetto alle compagnie aeree riveste il ruolo di contraente debole.
Alla stregua delle complessive argomentazioni svolte, le Sezioni Unite hanno concluso per l’affermazione della giurisdizione del giudice italiano sia avuto riguardo al criterio di collegamento del luogo di destinazione, sia in applicazione di quello riferibile alla sede dello stabilimento del vettore che cura la conclusione del contratto. A questo proposito, il Giudice di legittimità ha evidenziato che tale luogo va identificato, nell’ipotesi di acquisto a mezzo di internet di biglietti per il trasporto aereo internazionale, con il domicilio dell’acquirente, quale luogo nel quale lo stesso sia venuto a conoscenza dell’accettazione della proposta formulata con l’invio telematico dell’ordine del viaggio e del pagamento del relativo prezzo.
Invero, la decisione inerente alla giurisdizione si colloca, come vedremo, nel più ampio panorama giuridico della disciplina dei trasporti via aerea e dei contratti on line, nell’ambito del quale la Suprema Corte accorda piena ed esaustiva tutela al contraente debole, anche al fine di contenere gli effetti distorsivi del fenomeno del forum shopping e di garantire, quindi, l’agevole rintracciabilità del luogo di svolgimento del giudizio.
2.La fattispecie all’esame delle Sezioni Unite
La vicenda oggetto di disamina trae origine dall’azione proposta da due passeggeri italiani entrambi residenti e domiciliati in Italia, a Bella (PZ), i quali hanno citato in giudizio la Compagnia aerea Ryanair DAC (Designated Activity Company), già Ryanair LTD, con sede principale in Irlanda, chiedendo la corresponsione della compensazione pecuniaria di € 250,00 per ciascuno, dovuta sulla base del regolamento CE n. 261/2004, per ottenere il risarcimento del danno patrimoniale[1] e non patrimoniale subito o, in subordine, che la compagnia aerea fosse condannata quanto meno al rimborso del costo dei biglietti, incassato per un servizio non reso. La Ryanair, infatti, aveva inopinatamente cancellato il volo regolarmente prenotato e pagato dagli attori.
La compagnia aerea irlandese si costituiva in giudizio eccependo, in via pregiudiziale di rito, il difetto di giurisdizione del giudice italiano adito, sulla base della clausola di proroga della giurisdizione contenuta nell’art. 2.4 delle Condizioni generali di trasporto accettate dagli attori al momento dell’acquisto on line dei biglietti, in favore della competenza della Swords and Baldriggan District Court Office irlandese.
Rinviata la causa per la precisazione delle conclusioni, gli attori notificavano il ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione alla controparte ed il giudizio veniva sospeso.
I ricorrenti ritengono che la clausola invocata dalla Ryanair[2] sia destinata ad operare in riferimento ai contratti di mero trasporto e non anche per i contratti con i quali il consumatore acquista sia il volo che il soggiorno nel medesimo pacchetto. Ciò in quanto l’affermazione della giurisdizione esclusiva del giudice del luogo in cui ha sede la compagnia aerea introdurrebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra coloro i quali acquistano il solo titolo di viaggio e quanti, unitamente ad esso, acquistano anche il soggiorno. Solo per questi ultimi varrebbe l’invocazione del foro più favorevole del consumatore previsto dal regolamento UE n. 1215/2012, con la conseguenza che i consumatori che acquistano il solo titolo di viaggio sarebbero scoraggiati dall’agire per la tutela dei loro diritti.
Secondo i ricorrenti, dunque, non si applicano gli artt. 25 e 17 del regolamento UE n. 1215/2012 in virtù della disposizione contenuta nell’art. 71 del medesimo regolamento, il quale prevede che rimangono impregiudicate le Convenzioni tra gli Stati «che disciplinano la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materie particolari».
In definitiva, assumono i ricorrenti che la Convenzione Montreal prevale sulle disposizioni contrattuali e, dunque, anche sull’art. 2.4 delle Condizioni generali di trasporto Ryanair[3] ed evidenziano che la medesima clausola ivi contenuta rinvia ai criteri di determinazione della giurisdizione indicati nella Convenzione. Per quanto concerne il caso di specie, radicata la giurisdizione in Italia – quale Paese di destinazione del volo – facendo ricorso ai criteri alternativi fissati dall’art. 33 della Convenzione, la competenza va individuata sulla base delle norme di diritto interno e, quindi, gli attori hanno correttamente proposto la loro domanda dinanzi al Giudice di Pace nel cui circondario è ubicata la loro residenza.
Resiste la Ryanair con controricorso assumendo l’inapplicabilità della Convenzione di Montreal in luogo del regolamento UE n. 1215/2012. In particolare, la controricorrente assume che la Convenzione si occupi esclusivamente dai danni causati da volo ritardato e non anche dalla più grave ipotesi di mancata partenza o soppressione del volo. Pertanto, nel caso di specie la determinazione della giurisdizione va individuata sulla base dell’art. 25 del Regolamento UE n. 1215/2012, che attribuisce in via esclusiva la giurisdizione al giudice di uno Stato secondo criteri pre-individuati per iscritto.
Inoltre secondo l’interpretazione dell’art. 17 del Regolamento data dalla controricorrente, i contratti di trasporto sarebbero esclusi dalla sezione del regolamento che disciplina i fori speciali per il consumatore. Così come il campo di applicazione dell’art. 71 riguarda esclusivamente i rapporti con i Paesi terzi, mentre se la controversia riguarda due Paesi (di partenza e di arrivo) entrambi appartenenti all’UE prevale la norma comunitaria.
Il Procuratore generale condivide la linea difensiva della controricorrente ma entrambi non hanno convinto le Sezioni Unite.
3.La Convenzione di Montreal tra competenza giurisdizionale e competenza (ratione loci e funzionale) interna
La pronuncia delle Sezioni Unite, offre l’occasione di riflettere, in primis, sul campo di applicazione della Convenzione di Montreal del 1999[4] e sulla determinazione della giurisdizione secondo il suo art. 33.
Per quanto interessa in questa sede ai fini della disamina della pronuncia delle Sezioni Unite occorre precisare cosa si intende per «danno da ritardo» atteso che secondo la Convenzione «il vettore è responsabile del danno derivante da ritardo nel trasporto aereo di passeggeri, bagagli o merci […]»[5].
Dal dato letterale, emerge che il riferimento al ritardo nel trasporto aereo non riguarda il «volo» stricto sensu inteso, bensì ci si riferisce alla «complessiva operazione di trasporto aereo dedotta in contratto fino alla sua destinazione finale». È evidente, quindi, che il ritardo a cui si riferisce l’art. 19, può riguardare sia il volo di andata, di ritorno, il protrarsi dello scalo fino a perdere la coincidenza, ma anche la soppressione di uno dei due voli con necessità di sostituirlo con un altro. Infatti, anche la cancellazione del volo può costituire una causa di ritardo nel completamento dell’operazione di trasporto aereo. Dunque, l’articolo comprende le principali ipotesi di danni connesse al trasporto aereo, quindi, sarebbe incongruo escludere il caso più grave di inadempimento – ossia la soppressione del volo – e ricomprendervi quello più lieve, come il ritardo[6].
Val la pena rilevare che la Convenzione oltre a disciplinare in modo uniforme gli aspetti di diritto sostanziale, detta delle disposizioni di diritto processuale ed in particolare individua i criteri di collegamento per radicare dinanzi ad un determinato giudice nazionale le controversie aventi ad oggetto la responsabilità del vettore aereo per i danni cagionati ai passeggeri[7].
A tal riguardo, ai sensi dell’art. 33, la Convenzione di Montreal non indica un foro generale, bensì fa riferimento a fori speciali[8], tassativi ed inderogabili per accordo delle parti, alternativi tra loro, con lo scopo di limitare il fenomeno del forum shopping e di garantire l’agevole individuazione del luogo di svolgimento del giudizio.
Uno dei punti più controversi riguarda l’ambito di efficacia delle norme di individuazione del foro davanti al quale proporre l’azione. Ci si chiede, cioè, se l’art. 33 della Convenzione si limiti a disciplinare, per le controversie concernenti la responsabilità dei vettori aerei, la competenza giurisdizionale di un giudice nazionale rispetto a quello di un altro Stato contraente, oppure se tale norma incida sui criteri di distribuzione della competenza territoriale stabiliti dagli ordinamenti processuali degli Stati aderenti alla Convenzione[9].
Nel caso in cui l’art. 33 della Convenzione di Montreal si limiti esclusivamente a determinare i criteri di collegamento per individuare il Giudice nazionale competente a decidere della controversia, sulla base di tali criteri, il viaggiatore potrebbe scegliere di agire in giudizio dinanzi al giudice del luogo in cui ha sede il vettore[10], oppure davanti all’autorità giudiziaria del luogo di destinazione del volo[11]. In entrambi i casi la determinazione del giudice territorialmente competente spetterebbe, poi, ai rispettivi ordinamenti interni[12].
Qualora si ritenga che l’art. 33 della Convenzione di Montreal fosse in grado di intervenire nell’individuazione dei giudici nazionali territorialmente competenti, il passeggero avrebbe dovuto scegliere limitatamente tra il giudice nel cui circondario ricade il luogo di destinazione e quello nel cui ambito territoriale di competenza ha sede il vettore aereo. Tale ultima interpretazione, chiaramente, andrebbe a derogare alle disposizioni interne che regolano la distribuzione territoriale della competenza dei giudici.
È fuori di dubbio, infatti, che la norma internazionale pattizia debba prevalere sul diritto interno, pena la violazione da parte dello Stato contraente dei propri obblighi derivanti dalla ratifica della Convenzione. Pertanto, il giudice oltre a determinare che la fattispecie sia compresa nella disciplina internazionale e, cioè, che si tratti di un volo soggetto alle norme della Convenzione di Montreal, è tenuto ad individuare anche la giurisdizione in base ai criteri di collegamento definiti a livello internazionale e non in base alle regole processuali interne sulla giurisdizione[13].
Orbene, la soluzione prevalente in Italia[14] si basa sulla considerazione che il procedimento deve essere retto dalle regole processuali nazionali. Invero, le regole sulla base delle quali viene distribuita la competenza sul piano territoriale e funzionale, sono regole tipicamente procedurali[15]. La giurisprudenza italiana di legittimità è ormai consolidata nel senso di affermare espressamente che le regole in tema di foro competente dettate dalla Convenzione di Montreal siano riferite esclusivamente alla giurisdizione internazionale, senza incidere sulla competenza interna, territoriale, per materia, o per valore. In particolare la Corte di Cassazione[16] ha, in più occasioni, considerato i fori alternativi richiamati dalla normativa uniforme come meri criteri di collegamento giurisdizionale e non come criteri di competenza, la quale resterebbe, quindi, soggetta al diritto interno processuale dello Stato in cui l’attore decide di incardinare il giudizio.
Del resto le modalità diverse di intendere i fori previsti dall’art. 33 della Convenzione negli ordinamenti degli Stati contraenti assume una rilevanza fondamentale ai fini dell’interpretazione uniforme di tali criteri. Sul punto la Corte di giustizia, ha sottolineato che, tenuto conto dell’oggetto della Convenzione di Montreal del 1999 volto a unificare le regole relative al trasporto aereo internazionale, i termini in essa contenuti debbono ricevere un’interpretazione uniforme e autonoma, nonostante i significati differenti attribuiti a tali concetti nel diritto interno degli Stati contraenti[17].
4.Esclusione dell’applicabilità del foro del consumatore ex art. 17 del regolamento UE n. 1215/2012
L’eccezione sollevata dalla controricorrente Ryanair, l’appartenenza all’Unione europea degli attori ed, in particolare, la loro posizione contrattuale equiparabile a quella del consumatore finale di un servizio, impongono alle Sezioni Unite di verificare anche l’eventuale applicabilità alla fattispecie dei criteri d’individuazione della giurisdizione contenuti nel Regolamento UE n. 1215 del 2012 (cd. Bruxelles II bis) [18], in particolare quelli relativi ai contratti nei quali una delle parti può essere qualificato consumatore[19] (sezione IV, artt. 17, 18 e 19) in relazione alla concorrente vigenza della citata Convenzione di Montreal.
Come innanzi precisato, tale Convenzione, per il suo indiscusso carattere di lex specialis, prevale sulla norma di diritto comunitario derivato in funzione dell’art. 71, par. 2, lett. a) del regolamento UE n. 1215/2012. Invero, la lettera a) di tale articolo stabilisce il criterio per dirimere i conflitti nell’ipotesi di concorrente applicabilità della normazione convenzionale e di quella europea, individuandolo nel principio di specialità, in funzione del quale, in via generale, prevale la disciplina convenzionale internazionale su quella comunitaria, ove siano, in relazione a tutti i criteri di collegamento, entrambe astrattamente applicabili. Al riguardo si sono pronunciate sia la Corte di Cassazione[20] che la Corte di giustizia[21] rilevando secondo quanto indicato nel par. 3 dell’art. 17 del Regolamento, la sezione quarta, relativa alla regole determinative della competenza giurisdizionale in tema di contratti con i consumatori, non si applica ai «contratti di trasporto che non prevedono prestazioni combinate di trasporto ed alloggio per un prezzo globale». Nella specie, secondo la univoca prospettazione delle parti, il contratto ha ad oggetto esclusivamente la prestazione riguardante il trasporto aereo. Ergo, la determinazione della giurisdizione non può essere effettuata che sulla base dell’art. 33 della Convenzione di Montreal.
5.La non rilevanza del regolamento CE n. 261/2004 ai fini della determinazione della giurisdizione
Ai fini della decisione oggetto di commento le Sezioni Unite escludono che le disposizioni del regolamento CE n. 261 dell’11 febbraio 2004[22] «che istituisce regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato» possano essere funzionali alla risoluzione della questione di giurisdizione sollevata, in quanto tale atto non contiene criteri riguardanti la competenza giurisdizionale.
In tale sede val la pena brevemente ricordare che al di là delle difficoltà interpretative poste dal regolamento, l’aspetto di maggiore rilievo è dato dall’originalità delle soluzioni giuridiche adottate dal legislatore comunitario, in un’ottica di tutela del contrente debole. Infatti, come affermato dai Giudici di Legittimità nella ordinanza in commento, tale atto predispone la griglia minima di tutela in favore di viaggiatori aerei che si trovino nelle specifiche situazioni in esso disciplinate[23].
Rientra nel suo ambito di applicazione la richiesta di indennizzo dovuta per la cancellazione del volo ai sensi dell’art. 5. Infatti, tra le varie misure predisposte a tutela dei passeggeri aerei assume rilievo centrale la c.d. «compensazione pecuniaria», prevista dall’art. 7 del regolamento, la quale è diretta sostanzialmente a disciplinare in modo uniforme la prestazione risarcitoria, senza tuttavia escludere il diritto del passeggero di ottenere un più ampio risarcimento sulla base dei principi generali propri di ciascun ordinamento nazionale[24].
Per quel che qui interessa, si deve precisare che l’Unione europea ha aderito alla Convenzione di Montreal[25] ponendosi la relativa disciplina in una posizione gerarchica sovraordinata rispetto alla normativa di diritto europeo derivato e, quindi, del regolamento CE n. 261/2004[26].
6.Validità ed interpretazione della clausola di deroga della giurisdizione accettata con il sistema point and click
Come si è detto, la compagnia aerea ha eccepito l’incompetenza giurisdizionale del giudice adito sulla base di una disposizione contrattuale contenuta nelle condizioni generali Ryanair. I ricorrenti pur ritenendola valida e validamente approvata ne hanno dichiarato il contrasto con l’imperatività delle norme di diritto internazionale pattizio e, dunque, la sua non operatività.
Val la pena ricordare che la clausola di deroga della giurisdizione è stata accettata spuntando la relativa casella nel contratto di acquisto dei biglietti aerei sul sito internet della compagnia di volo mediante pressione del c.d. “tasto negoziale virtuale” (point and click)[27].
Com’è noto la clausola con cui le parti di un contratto derogano pattiziamente alle norme procedurali che presiedono alla competenza giurisdizionale dell’autorità giudiziaria, sono clausole c.d. vessatorie. Il concetto non cambia se esse sono contenute in condizioni generali di contratto stipulate a distanza ed in forma telematica.
Orbene, in più occasioni la Corte di giustizia e la Corte di cassazione hanno ritenuto valide le clausole di deroga della giurisdizione approvate mediante il sistema point and click.
La questione si è posta in primo luogo in ambito europeo laddove la Corte di giustizia[28] afferma che ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento Bruxelles I (oggi art. 25, par. 2, del reg. UE n. 1215/2012) la validità di una clausola come quella di cui trattasi, dipende dalla possibilità di registrarla durevolmente[29]. Poiché nel caso esaminato dalla Corte di giustizia la procedura di accettazione mediante click ha consentito di stampare e di salvare il testo delle condizioni generali prima della conclusione del contratto, il Giudice europeo ha giudicato di essere in presenza di una comunicazione elettronica che permette di registrare durevolmente la clausola attributiva della competenza esclusiva, allorché sia consentito stampare e salvare il testo di dette condizioni prima della conclusione del contratto. La clausola contrattuale viene pertanto giudicata valida e aderente al regolamento europeo in materia di competenza giurisdizionale.
Del pari la Corte di Cassazione[30], riprendendo il precedente giurisprudenziale della Corte di giustizia, afferma che le suddette modalità di stipulazione dell’accordo di proroga della giurisdizione sono valide, purché siano redatte per iscritto. La forma scritta si ritiene integrata da «qualsiasi comunicazione con mezzi elettronici che permetta una registrazione durevole dell’accordo attributivo di competenza» (art. 25, par. 2 Regolamento 1215/2012)[31].
Acclarata la validità dell’approvazione della clausola resta un altro nodo da sciogliere, ovvero l’interpretazione della portata applicativa della clausola che deroga alla giurisdizione ai sensi dell’art. 25 del regolamento UE n. 1215/2012.
La Corte di cassazione, in più pronunce e rifacendosi alla giurisprudenza interpretativa della Corte di giustizia, ha affermato che le clausole di proroga della giurisdizione vanno interpretate in senso rigorosamente restrittivo e vanno distinte dall’accordo che è alla base del rapporto in cui la clausola è contenuta[32]. La sua interpretazione per la determinazione delle controversie che rientrano nel suo campo di applicazione spetterà al giudice dinanzi al quale essa è invocata[33].
La Corte di giustizia, infatti, ha statuito che «le disposizioni dell’articolo 25 del regolamento n.°1215/2012, poiché escludono sia la competenza determinata dal principio generale del foro del convenuto, sancita all’articolo 4 di detto regolamento, sia le competenze speciali di cui agli articoli da 7 a 9 dello stesso, vanno interpretate restrittivamente per quanto concerne le condizioni ivi fissate»[34].
A ciò si aggiunga che, come detto, la clausola di deroga contenuta nelle condizioni generali Ryanair richiama espressamente l’art. 49 della Convenzione di Montreal la quale dispone l’imperatività delle proprie norme e la nullità delle clausole con essa contrastanti contenute nei contratti di trasporto internazionali a cui essa si applica.
Del resto lo stesso regolamento n. 1215/2012 prevede al considerando n. 35, che nel caso di conflitti esso non vada ad incidere sulle convenzioni a cui gli Stati membri hanno aderito e che sono relative a materie specifiche.
Inoltre, tale regolamento si preoccupa di tutelare la prevalenza delle norme di diritto internazionale pattizio[35] a cui gli Stati membri hanno aderito, sulle norme regolamentari. In particolare l’art. 71 accorda preminenza a tali norme relative a «materie particolari» con la duplice finalità di assicurare, da un lato, il rispetto delle convenzioni di cui si discute e, dall’altra di consentire agli Stati membri che ne sono vincolati di rispettare gli obblighi ivi sanciti al fine di non incorrere nelle conseguenti responsabilità internazionali che deriverebbero[36].
7.Qualche considerazione conclusiva
La Suprema Corte ha risolto il contrasto di giurisdizione sottopostole attraverso un’articolata pronuncia alla quale sono sottese una molteplicità di norme contenute in atti eterogenei, dalla cui disamina comparata è emerso innanzitutto il carattere di lex specialis della Convenzione di Montreal e la sua applicabilità diretta in materia di trasporto aereo.
Invero, dopo un’attenta disamina del quadro normativo di riferimento, le Sezioni Unite, sulla questione di giurisdizione, sono giunte a ritenere di dover verificare l’applicabilità, al caso di specie del principio di prevalenza del diritto internazionale convenzionale rispetto a quello nazionale e di diritto comunitario derivato.
La Suprema Corte, dunque, richiamando il suo precedente n. 18257/2019, ha definitivamente affermato la competenza giurisdizionale del giudice italiano ponendo fine al contrasto in atto nella giurisprudenza di merito, laddove in non poche occasioni, a fronte della medesima eccezione sollevata da Ryanair, i giudici hanno incontrato difficoltà nell’individuazione della normativa da applicare per la determinazione della giurisdizione.
Sovente i giudici di merito sono stati investiti di controversie simili a quelle sottese al regolamento di giurisdizione in oggetto ed hanno optato per la determinazione della giurisdizione seguendo le norme del regolamento UE n. 1215/2012 a discapito della Convenzione di Montreal. Essi, dunque, hanno ritenuto che la norma di diritto comunitario derivato prevalesse ratione materiae sul diritto internazionale pattizio, sulla base della erronea circostanza che la Convenzione non disciplinasse il danno da mancata partenza o soppressione del volo. Dunque, secondo alcuni giudici di merito la Convenzione si occuperebbe dei danni causati dalla difettosa esecuzione della prestazione ma non della più grave fattispecie del danno derivante dalla manca esecuzione.
La non corretta statuizione sul punto è derivata, dunque, dall’erronea interpretazione, in combinato disposto, delle norme di coordinamento contenute dei due atti.
Le Sezioni Unite, dunque, evidenziano come la chiave di lettura dell’applicabilità diretta della Convenzione di Montreal si rinviene proprio nel regolamento UE n. 1215/2012 il cui art. 71, comma 2, lett. a), prevede espressamente priorità applicativa alle convenzioni che disciplinano «materie particolari».
La Corte, poi, ha evidenziato che il contratto stipulato tra i viaggiatori e il vettore irlandese rientra nella qualificazione giuridica di trasporto internazionale di persone e l’appartenenza delle parti all’Unione europea impone anche di valutare, come detto, l’applicazione del regolamento UE n. 1215/2012, il quale stabilisce che per dirimere i conflitti nell’ipotesi di concorrente applicabilità della normazione convenzionale e di quella europea, prevale in via generale la disciplina convenzionale internazionale.
Esclusa la sua applicabilità al caso di specie in funzione del suo art. 71 e dell’art. 17, par. 3, il Giudice di Legittimità afferma poi che il contratto de quo rientra nell’ambito dei contratti on line in cui, evidentemente, risulta difficile l’individuazione del luogo di conclusione del contratto medesimo. È chiaro, dunque, che le Sezioni Unite sebbene abbiano concluso per la prevalenza della Convenzione di Montreal hanno dovuto «adattare», il suo art. 33 al caso concreto, in cui l’acquisto del titolo di viaggio è avvenuto on line e si è perfezionato con la conferma telematica dell’accettazione dell’ordine trasmesso dai passeggeri.
È evidente che il criterio di localizzazione dettato dall’art. 33 della Convenzione di Montreal è di agevole individuazione qualora il contratto venga concluso con le modalità standard, mentre ben più complesso è il caso dello spazio telematico che viene definito dalla dottrina come un «non luogo»[37] in quanto non radicato territorialmente. Pertanto, la portata innovativa della pronuncia in commento va rintracciata nella contestualizzazione di uno dei fori concorrenti dell’art. 33 della Convenzione nei contratti conclusi on line. In essi l’individuazione degli elementi costitutivi della fattispecie contrattuale sui quali ancorare la competenza giurisdizionale, va effettuata tenendo presente la posizione dei soggetti che si apprestano a concludere il contratto piuttosto che il tipo di contratto in sé.
Ai fini della decisione le Sezioni Unite hanno, quindi, dovuto tenere in debita considerazione, la particolarità con cui si perfeziona siffatto contratto ed hanno, quindi, dovuto considerare l’«asimmetria» dello stesso che vede quale contraente debole il passeggero[38] ed hanno applicato come criterio determinativo della competenza giurisdizionale quello del luogo di perfezionamento del contratto, ossia il domicilio del consumatore.
La ragione di ciò è evidente, in quanto certamente non si può gravare il passeggero/consumatore dell’accertamento relativo alla ricerca dell’esatta collocazione del server tramite il quale è stato perfezionato l’acquisto del biglietto. Di conseguenza le Sezioni Unite, richiamando anche il loro precedente giurisprudenziale più volte citato, hanno precisato che il criterio concorrente contenuto nell’art 33, comma 1, della Convenzione di Montreal, in quanto ispirato al principio di prossimità, deve essere individuato, negli acquisiti on line, nel luogo in cui l’acquirente sia portato a conoscenza dell’accettazione della proposta formulata con l’invio telematico dell’ordine. Tale luogo, evidentemente, non può che essere identificato con il domicilio dell’acquirente.
In ultimo, guardando la scelta del Giudice di Legittimità dalla prospettiva del vettore, è evidente come essa tuteli anche i suoi interessi. Invero, potrebbe accadere anche il contrario, cioè che il vettore venga esposto al rischio del forum shopping, ove al viaggiatore sia lasciata la possibilità di indicare qualsiasi luogo dal quale, mediante dispositivi telematici di cui eventualmente fruisce, possa venire a conoscenza dell’accettazione della proposta di acquisito.
In definitiva, dunque, le Sezioni Unite attraverso tale decisione hanno risolto il conflitto di giurisdizione contemperando gli interessi di entrambe le parti processuali, tenendo conto della peculiarità della tipologia contrattuale esaminata, al fine di contenere gli effetti distorsivi del forum shopping, in un senso piuttosto che in un altro.
* Dottore di ricerca in Scienze Giuridiche, Curriculum Spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia e cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale; Professore a contratto presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali - Università degli Studi di Salerno. Indirizzo e-mail:
[1] I due ricorrenti avevano dovuto acquistare due nuovi biglietti per il giorno dopo e avevano sostenuto ulteriori spese dovute a un pernottamento in albergo e per il vitto.
[2] Clausola effettivamente selezionata flaggando la relativa casella, da parte degli acquirenti, on line per poter acquistare il titolo di viaggio, perché senza flag non sarebbe stato possibile acquistare il biglietto.
[3] Invero, le norme che vengono in soccorso per disciplinare la fattispecie sono l’art. 33 della Convenzione che detta una serie di criteri alternativi per individuare il giudice competente a scelta dell’attore, e l’art. 49 che fissa la regola della propria imperatività e della conseguente nullità di tutte le clausole con essa contrastanti contenute nel contratto di trasporto.
[4] La Convenzione conclusa a Montreal il 28 maggio 1999 è stata ratificata dall’Italia ai sensi della l. 10 gennaio 2004 n. 12, in GU, n. 20 del 26 gennaio 2004, suppl. ord. n. 12. Essa ha sostituito, pur non abrogandola, la Convenzione di Varsavia del 1929. Sul ruolo della Convenzione di Montreal nel panorama internazionale, si rimanda a I. Konig, The Disabling of the EC Disability Regulation: Stott v. Thomas Cook Tour Operators Ltd in the Light of the Exclusivity Doctrine,in European Review of Private Law, 2014, p. 769; G.N. Tompkins, Are the Objectives of the 1999 Montreal Convention in Ranger of Failure?, in Air and Space law, 2014, p. 203.Si veda ancora: L. Ancis, Il contratto di trasporto aereo, in L. Tullio - M. Deiana, Codice dei trasporti, Milano, 2011, p. 910; L. Tullio (a cura di), La nuova disciplina del trasporto aereo. Commento della Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999, Napoli, 2006; M.G. Sarmiento García, Estructura de la responsabilidad del transportador aéreo en el Convenio de Montreal de 1999, in Diritto dei trasporti, 2004, p. 687; E.G. Rosafio, Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999: problemi applicativi, in Diritto del turismo, 2004, p. 10; P.M. De Leon - W. Eyskens, The Montreal Convention: Analysis of Some Aspects of the Attempted Modernization and Consolidation of the Warsaw System, in Journal Air Law Commerce, 2001, p. 1155; J. Hermida, The New Montreal Convention: the International Passenger’s Perspective, in Air Space Law, 2001, p. 150; M.M. Comenale Pinto, Riflessioni sulla nuova Convenzione di Montreal del 1999 sul trasporto aereo, in Diritto marittimo, 2000, p. 798.
[5] Art. 19 della Convenzione.
[6] Corte di cassazione, SS. UU., ordinanza del 7 luglio 2019 n. 18257; Corte di cassazione, Sez. III, ordinanza del 23 gennaio 2018, n.1584.
[7] Si tratta, per l’appunto, di una Convenzione di diritto internazionale uniforme e processuale che, disciplinando sia aspetti di diritto sostanziale che aspetti processuali, viene considera a carattere c.d. “doppio”.
[8] La Convenzione, al primo comma del detto articolo, riprende i criteri di collegamento giurisdizionale già presenti nella previgente disciplina della convenzione di Varsavia del 1929, applicabili sia al trasporto di persone che di merci; mentre, al secondo comma, limitatamente alle ipotesi di sinistri accorsi al passeggero, prevede la possibilità di incardinare la richiesta risarcitoria davanti ad un foro particolare, il c.d. “quinto foro”. Il passeggero ha diritto di esercitare l’azione di risarcimento nel territorio di uno Stato Parte alla Convenzione, con la possibilità di scegliere il tribunale «of the domicile of the carrier or of its principal place of business, or where it has a place of business through which the contract has been made or before the court at the place of destination»; inoltre l’azione potrà essere promossa, nei soli casi di danni da morte o lesione del passeggero, nel territorio dello Stato della sua residenza principale e permanente con la condizione che nello stesso territorio il vettore svolga, direttamente o indirettamente, un servizio di trasporto aereo di passeggeri.
[9] Quest’ultima tesi, oggi minoritaria in Italia, è stata sostenuta, con riferimento alla competenza territoriale nell’ambito della Convenzione di Varsavia, da C. Medina, Appunti di diritto aeronautico, Torino, 1983, p. 102 ss., F.N. Videla Escalada, Derecho aeronáutico, Buenos Aires, 1976, p. 544 ss. e sotto la vigenza della Convenzione di Montreal da: S. Busti, Il contratto di trasporto aereo, Milano, 2001, p. 829; S. Montanari, Sull’interpretazione della Convenzione di Varsavia in materia di giurisdizione e competenza territoriale nel trasporto aereo internazionale, in Diritto dei trasporti, 1994, p. 199; C. Punzi, La risoluzione delle controversie concernenti il risarcimento dei danni, L. Tullio (a cura di), La nuova disciplina del trasporto aereo, Napoli, 2006.
[10] Nel caso oggetto di indagine l’Irlanda.
[11] Nel caso di specie l’Italia.
[12] È chiaro che qualora il passeggero, come nel caso di specie, optasse – perché economicamente e processualmente più conveniente – per la giurisdizione italiana, dovrà rivolgersi al giudice di pace od al tribunale (a seconda del valore della controversia) nel cui circondario ricade il luogo di residenza, quale foro inderogabile del consumatore. Qualora, invece, avesse preferito optare per gli altri criteri di collegamento ed invocare la giurisdizione irlandese, avrebbe dovuto incardinare il giudizio sulla base di tale ordinamento e scegliere il giudice competente secondo le regole processuali irlandesi.
[13] Sul punto si veda: S.F.Montanari, Sull’interpretazione dell’art. 28 della Convenzione di Varsavia, cit., p. 199.
[14] Come anche negli Stati Uniti. Di segno opposto la giurisprudenza francese.
[15] M. Comenale-Pinto, Problemi di giurisdizione nella Convenzione di Montreal del 1999, in Diritto@Storia, 2016, n. 14, pp. 14 ss.; Id., L’imbarco del passeggero e la responsabilità del vettore aereo, in Revista Latino Americana de Derecho Aeronàutico del 20 febbraio 2014; Id., Jurisdicción y competencia en el convenio de Montreal de 1999, in Id. del 26 dicembre 2017.
[16] In tal senso Cass. Civ., SS. UU., ordinanza n. 18257 del 7 luglio 2019; Cass. Civ., SS.UU., ordinanza n. 8901 del 2016 per la quale l’art. 33 della Convenzione non si occupa affatto della competenza per materia in tema di controversie tra passeggero e vettore aereo, ma disciplina la diversa questione del riparto di giurisdizione tra giudici appartenenti a Stati diversi, in virtù del «quarto comma della medesima norma, ove si stabilisce che alla controversia tra vettore e passeggero “si applicano le norme procedurali del tribunale adito”, ivi comprese, dunque, quelle sul riparto di competenza per valore tra i vari uffici giudiziari», con la conseguenza che, giacché nel nostro ordinamento nessuna norma riserva al tribunale la competenza per materia sulle controversie in tema di trasporto aereo, ha dichiarato la competenza specifica per valore del giudice di pace. Ancora Cass. Civ., ord. 15 luglio 2005, n. 15028, in Diritto dei trasporti, 2007, p. 152, con nota di D. RAGAZZONI, Competenza giurisdizionale e competenza territoriale nel trasporto aereo, nella quale, in particolare, è stato chiarito che l’eventuale contestazione della competenza territoriale va fatta con riferimento a ciascuno dei diversi criteri di collegamento previsti dal nostro ordinamento dagli artt. 18, 19 e 20 c.p.c. ivi compreso il criterio del foro del consumatore di cui all’art. 1469 bis, n. 19, c.c.; Cass. 26 maggio 2005, n. 11183 (ord.), in Diritto dei trasporti, 2007, p. 1147; Cass., SS.UU., ordinanza del 26 maggio 2009, n. 12105.
[17] Corte di giustizia, sentenza del 6 maggio 2010, causa C-63/09, Axel Walz c. Clickair SA, punto 20. Si veda altresì: Corte di giustizia, sentenza del 7 novembre 2019, causa C-213/18, Guaitoli e altri c. EasyJet Airline Co. Ltd. In dottrina per maggiori approfondimenti: E. G. Rosafio, Il problema della giurisdizione, cit., p. 119.
[18] Regolamento (UE) n. 1215/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2012 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (rifusione), in GUUE, n. L 351 del 20 dicembre 2012 p. 1, come modificato dal regolamento (UE) n. 542/2014, del 15 maggio 2014, recante modifica del regolamento (UE) n. 1215/2012 per quanto riguarda le norme da applicare con riferimento al Tribunale unificato dei brevetti e alla Corte di giustizia del Benelux, in GUUE, L 163 del 24 maggio 2014, p. 1, e dal regolamento delegato (UE) 2015/281, del 26 novembre 2014, che sostituisce gli allegati I e II del regolamento (UE) n. 1215/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, in GUUE, L 54 del 25 febbraio 2015, p. 1. Per una panoramica generale sul regolamento si vedano: M.E. Ancel, H. Gaudement-Tallon, Compétence et exécution des jugements en Europe. Règlements 44/2001 et 1215/2012 Conventions de Bruxelles (1968) et de Lugano (1988 et 2007), Parigi, 2018; S. M. Carbone, C. E. Tuo, Il nuovo spazio giudiziario europeo in materia civile e commerciale. Il regolamento UE n. 1215/2012, Torino, 2016; F. Ferrari, F. Ragno, Cross-border Litigation in Europe: the Brussels I Recast Regulation as a Panacea?, Milano, 2016; U. Magnus, P. Mankowski (dir.), Brussels I bis Regulation, Monaco, 2016; A. Malatesta (a cura di), La riforme del regolamento Bruxelles I. Il regolamento (UE) n. 1215/2012 sulla giurisdizione e l’efficacia delle decisioni in materia civile e commerciale, Milano, 2016; A. Dickinson, E. Lein (eds.), The Brussels I Regulation Recast, Oxford, 2015; T. Rauscher (Hrsg.), Europäisches Zivilprozess-und Kollisionsrecht EuZPR/EuIPR, vol. I, Brüssel Ia-VO, 4 Auf., München, 2015; F. Salerno, Giurisdizione ed efficacia delle decisioni straniere nel Regolamento (UE) n. 1215/2012 (rifusione), Vicenza, 2015; E. Guinchard (dir.), Le nouveau règlement Bruxelles I bis, Bruxelles, 2014; F. Pocar, I. Viarengo, F. C. Villata (eds.) Recasting Brussels I, Padova, 2012.
[19] Sulla nozione di «consumatore» e sulla possibilità per lo stesso di citare la propria controparte contrattuale dinanzi al giudice del proprio domicilio indipendentemente dal domicilio del convenuto, sia permesso rinviare a: M. Capozzolo, Introduzione alla libera circolazione delle decisioni in materia civile e commerciale nello Spazio giudiziario europeo. Il regolamento (UE) n. 1215/2012 e gli altri regolamenti “settoriali”, Napoli, 2019, pp. 49 ss.
[20] Corte di cassazione, SS. UU., ordinanza del 8 luglio 2019, n. 18257.
[21] Corte di giustizia, sentenza dell’11 aprile 2019, causa C-464/18 ZX c. Ryanair DAC, par. 28.
[22] Il regolamento (CE) n. 261/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 febbraio 2004, in GUUE, n. L 46 del 17 febbraio 2004, che istituisce regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato e che abroga il regolamento (CEE) n. 295/91, come rettificato, ibidem, n. L 365 del 21 dicembre 2006, e ibidem, n. L 329 del 14 dicembre 2007. Tale regolamento ha abrogato e sostituito il reg. CEE n. 295 del 4 febbraio 1991. Con specifico riferimento alla compatibilità tra la convenzione di Montreal ed il Reg. CE 261/04 si vedano: L. Sandrini, La compatibilità del regolamento 261/2004 con la convenzione di Montreal del 1999 in una recente pronuncia della Corte di Giustizia, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2013, p. 93, ove si fa riferimento, in particolare, ai problemi interpretativi dell’art. 19 della Convenzione di Montreal; S. Radoševic,‘CJEU’s Decision in Nelson and Others in Light of the Exclusivity of the Montreal Convention, in Air and Space Law, 2013, p. 95. Per una puntuale ricostruzione delle tappe del regime normativo in tema di trasporto aereo si veda: A. Pepe, Mancata o inesatta esecuzione del trasporto aereo e tutela dei passeggeri: attualità e prospettive tra interventi della Corte di giustizia e futura revisione del reg. CE n. 261/2004, Le Nuove Leggi civili commentate, 2014, p. 1248; A. Antonini, Il danno risarcibile nel trasporto di persone, in L. Tullio, (a cura di), La nuova disciplina del trasporto aereo. Commentario alla Convenzione di Montreal del 28 Maggio del 1999, Napoli, 2006; M. Lopez de Gonzalo, La tutela del passeggero nel regolamento CE n. 261/2004, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario,2006, p. 213; M. Deiana (a cura di), Studi su: negato imbarco, cancellazione del volo e ritardo nel trasporto aereo, Cagliari, 2005; M. Fragola, Prime note sul regolamento CE n. 261/2004 che istituisce nuove norme comuni in materia di «overbooking» aereo, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, , 2005, p. 129.
[23] Occorre osservare che il regolamento prevede un’uniformazione minima delle singole normative nazionali, ma non esclude che ogni Stato possa intervenire per dettare regole che, nel rispetto delle disposizioni convenzionali, offrano una maggiore protezione per i singoli o comunque regolamentino fattispecie non rientranti nel loro ambito di applicazione.
[24] Ex art. 12 del regolamento.
[25] L’allora Comunità europea ha ratificato la Convenzione sulla base della decisione del Consiglio 2001/539/CE del 5 aprile 2001, in GUCE, n. L 194 del 18 luglio 2001, p. 38.
[26] Ne deriva, inoltre, che le disposizioni della Convenzione di Montreal fanno parte integrante, a decorrere da detta entrata in vigore, dell’ordinamento giuridico dell’Unione e che, di conseguenza, la Corte è competente a statuire in via pregiudiziale sulla loro interpretazione. In tal senso: Corte di giustizia, sentenza del 10 gennaio 2006, IATA e ELFAA, causa C‑344/04, punto 42 e segg.; sentenza del 10 luglio 2008, Emirates Airlines, C‑173/07, punto 42; sentenza del 22 dicembre 2008, Wallentin-Hermann, C‑549/07, punto 32; sentenza del 7 novembre 2019, Guaitoli e altri c. EasyJet, cit., pp. 45 ss. In dottrina a tal riguardo, si veda C.-I. Grigorieff, Le régime d’indemnisation de la convention de Montréal, in Revue européenne de droit de la consommation, 2012, n. 4, pp. 670 e ss.
[27] Trattandosi di contratto concluso tramite il sistema world wide web di internet, ove l’accettazione, previo accesso al sito web e compilazione di un modulo d’ordine elettronico avviene mediante pressione del tasto negoziale virtuale, può farsi rientrare fra quelli che la dottrina ha definito come “contratti virtuali in senso stretto”. In tal senso: E. Tosi, I contratti informatici, telematici e virtuali, Milano, 2010, p. 74 e p. 81.
[28]Corte di giustizia, sentenza del 21 maggio 2015, causa C-322/14, Jaouad El Majdoub c. CarsOnTheWeb.Deutschland GmbH.
[29] Corte di giustizia, sentenza Jaouad El Majdoub, cit., parr.24 ss.
[30] Corte di cassazione, SS.UU., ordinanza del 19 settembre 2017, n. 21622.
[31] Relativamente alla giurisprudenza di merito l’orientamento non è stato univoco. In un primo momento si riteneva che nell’e-commerce continua ad essere necessaria una formale approvazione delle clausole vessatorie, cosicché è necessario che l’accordo sia specificamente sottoscritto dall’acquirente, parte contrattuale decisamente più debole. Pertanto, ai fini della validità di una clausola vessatoria contenuta in un modulo contrattuale on line è necessaria la specifica sottoscrizione della stessa da assolversi con l’utilizzo della firma digitale dell’aderente, non essendo sufficiente il mero click di approvazione del testo contrattuale (Tribunale di Catanzaro con sentenza del 30 aprile 2012). A seguito della pronuncia delle Sezioni Unite, la giurisprudenza di merito ha cambiato orientamento affermando che, aderendo alla tesi suddetta, si finirebbe col trasformare in via pretoria tutti i contratti telematici in contratti a forma vincolata (Tribunale di Napoli con sentenza n. 2508 del 13 marzo 2018).
[32] Si veda: Corte di Cassazione, SS.UU., ordinanza n. 1311 del 19 gennaio 2017.
[33] Ancora Corte di cassazione, SS.UU., n. 1311, cit.; SS.UU., ordinanza del 1 febbraio 2010, n. 2224 e Corte di giustizia, sentenza del 3 luglio 1997, causa C-269/95, Benincasa c. Dantaltik s.r.l.; sentenza del 9 novembre 2000, causa C-387/98, Coreck Maritime GmbH c. Handelsveem BV e altri.
[34] Corte di giustizia, sentenza del 8 marzo 2018, causa C-64/17, Saey Home & Garden NV/SA c. Lusavouga-Máquinas e Acessórios Industriais SA, par.24; sentenza del 28 giugno 2017, Georgios Leventis e Nikolaos Vafeias c. Malcon Navigation Co. ltd., e Brave Bulk Transport ltd., causa C‑436/16, par. 39 e giurisprudenza ivi citata.
[35] È bene precisare che il regolamento attribuisce tale preminenza alle sole convenzioni che riguardano «materie particolari» di cui gli Stati membri dell’Unione siano parti contraenti e tra esse vi rientra la Convenzione di Montreal che ha quale specifico oggetto l’unificazione delle norme, in primis (ma non solo) quelle in materia di giurisdizione, relative al trasporto aereo.
[36] Per più ampie considerazioni sul punto si legga: S.M. Carbone, C.E. Tuo, Il nuovo spazio giudiziario europeo in materia civile e commerciale, cit., Torino, 2016, p. 13.
[37] Su tale argomento si veda tra tanti: A. F. Uricchio, Le frontiere dell’imposizione tra evoluzione tecnologica e nuovi assetti istituzionali, Bari, 2010, p. 51; N. Irti, Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto, Bari, 2006, p. 65.
[38] Si ricordi, infatti, che nel caso di specie non era stato possibile procedere all’acquisto del titolo di viaggio senza flaggare tutte le clausole, tra cui quella di deroga alla giurisdizione.
Le DAT e la banca dati nazionale istituita dal Ministero della Salutedi Simona Cacace.
Sommario: 1. Le disposizioni anticipate di trattamento e la legge n. 219/2017. 2. La creazione della Banca dati nazionale. 3. I limiti delle disposizioni anticipate di trattamento.
1. Le disposizioni anticipate di trattamento e la legge n. 219/2017.
Ai sensi dell’art. 4 della legge n. 219/2017[1], le persone maggiorenni e capaci di intendere e di volere possono, previa acquisizione di «adeguate informazioni mediche», esprimere la loro volontà attraverso le c.d. disposizioni anticipate, ovvero il consenso o il diniego rispetto a determinati trattamenti sanitari in previsione di una loro futura ed eventuale incapacità di autodeterminarsi in merito.
Si tratta di un istituto, peraltro, già disciplinato con un certo dettaglio dall’art. 38, Dichiarazioni anticipate di trattamento, del Codice deontologico medico: il successivo mutamento del sostantivo indica come il potere di «disporre» potesse pacificamente derivare soltanto da un intervento normativo, che soprattutto e al contempo chiarisse i limiti e i contenuti dell’obbligo professionale di contraltare. Il medico, difatti, è ora «tenuto al rispetto delle DAT» (art. 4, quinto comma, l. n. 219/2017) e non deve più, semplicemente, «tenerne conto» (art. 38, terzo comma, CDM).
Nondimeno, le questioni sollevate dalla norma sono molteplici.
Il primo problema attiene all’individuazione del professionista in grado di fornire le «adeguate informazioni» di cui sopra. Il tema è di capitale importanza, perché riguarda il fondamento stesso del consenso informato, ovvero le caratteristiche della previa informazione, cruciali ai fini dell’adozione di una decisione libera e consapevole. Ciò è ancor più vero e fonte di preoccupazione ancor maggiore se si considera altresì il dilagante utilizzo del web per l’acquisizione di informazioni di natura sanitaria, eventualmente associato alla compilazione di una modulistica stereotipata ed estremamente generica, la quale difficilmente sarà idonea a guidare i medici, facendoli sentire a tali volontà vincolati, specie là dove un fiduciario non sia stato nominato[2]. È la formulazione letterale del testo normativo a non specificare, del resto, che sia un medico a rendere queste informazioni; senza contare che non tutti i medici sono competenti a fornire indicazioni adeguate e funzionali alla redazione delle DAT, non potendosi prescindere dalla specializzazione di ciascuno.
Al contrario, nel corso di una pianificazione condivisa delle cure – uno dei punti più interessanti della legge, disciplinato dall’art. 5 – l’ammalato prende anticipatamente decisioni in ordine ad una patologia diagnosticata e con un decorso sufficientemente individuato (attorno al quale è stata altresì resa, dunque, l’opportuna informativa), nell’àmbito di una relazione già instaurata con una determinata équipe sanitaria. Ai fini della conoscibilità di tali volontà, dunque, è sufficiente che la relativa documentazione sia inserita nella cartella clinica del paziente.
La accessibilità e pubblicità delle DAT è, difatti, il secondo problema, e non di poco momento: perché suscettibile di inficiare la razionalità stessa dell’intervento normativo, impedendone l’attuazione e vanificandone gli sforzi. Si tratta della conoscibilità su tutto il territorio nazionale della volontà previamente manifestata da un soggetto non ancora paziente riguardo ad una mera eventualità, e della creazione, dunque, di un unico archivio informatico.
Questa pubblicità attiene non solo all’esistenza e ai contenuti delle disposizioni anticipate di trattamento, ma anche all’eventuale indicazione del fiduciario, il quale rappresenta il paziente divenuto incapace nella relazione con il personale sanitario, curando che la sua volontà venga rispettata e realizzata. Peraltro, neanche la consegna delle DAT al fiduciario ex art. 4, secondo comma, risolve la questione di una tempestiva ed efficace conoscenza del documento da parte del personale sanitario, senza contare che la designazione di tale persona ‘di fiducia’ è solo eventuale e facoltativa.
La legge, dunque, indica le forme di manifestazione e le modalità di raccolta, ma non scioglie il problema della completa ed immediata conoscibilità delle DAT.
La redazione può avvenire per atto pubblico o per scrittura privata autenticata ovvero per scrittura privata consegnata personalmente dal disponente presso l’ufficio dello stato civile del suo comune di residenza, ai fini dell’annotazione su registro, oppure presso la stessa struttura sanitaria, se situata in una regione che abbia adottato modalità telematiche di gestione della cartella clinica o del fascicolo sanitario elettronico o altre modalità informatiche di gestione dei dati del singolo iscritto al Servizio sanitario nazionale. Le banche dati regionali, d’altronde, benché utili là dove esistenti, consentono un’organizzazione delle informazioni solo frammentaria, che non può ritenersi soddisfacente rispetto al perseguimento dell’obiettivo normativo[3].
2. La creazione della Banca dati nazionale
Il decreto del Ministero della Salute n. 168 del 10 dicembre 2019, Regolamento concernente la Banca dati nazionale destinata alla registrazione delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT)[4], interviene trascorsi due anni dall’emanazione della legge n. 219/2017.
Le funzioni assolte da questo archivio informatico unico e nazionale sono quelle di raccogliere copia delle DAT e delle eventuali successive modifiche, copia della nomina del fiduciario, della sua accettazione, della sua possibile rinuncia ovvero della intervenuta revoca da parte del disponente; nonché, di conseguenza, di consentire l’accesso a questi dati al medico curante e al fiduciario del paziente divenuto incapace di autodeterminarsi, senza che debba egli necessariamente essere iscritto, peraltro, al Servizio sanitario nazionale[5].
I soggetti abilitati ad alimentare la Banca dati nazionale sono coloro che il legislatore ha incaricato di ricevere le DAT: si tratta, dunque, degli ufficiali di stato civile dei comuni di residenza dei disponenti, o dei loro delegati, nonché degli ufficiali di stato civile delle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all’estero; dei notai e dei capi degli uffici consolari italiani all’estero, nell’esercizio delle loro funzioni notarili; dei responsabili delle unità organizzative competenti nelle regioni che abbiano adottato modalità di gestione della cartella clinica o del fascicolo sanitario elettronico o altre modalità di gestione informatica dei dati degli iscritti al Servizio sanitario nazionale, e che abbiano, con proprio atto, regolamentato la raccolta di copia delle DAT ex art. 4, settimo comma, della l. n. 219/2017.
All’atto della ricezione dei documenti sopra elencati, tali soggetti ne trasmettono copia elettronica alla Banca dati nazionale: nell’ipotesi di acquisizione di disposizioni contraddittorie, viene presa in considerazione quella con la data di redazione più recente. Modalità di trasmissione ad hoc sono previste, inoltre, per le DAT espresse attraverso videoregistrazione o per mezzo di altri dispositivi che consentano alla persona disabile di comunicare.
Il decreto prevede, peraltro, la interoperabilità tra la Banca dati nazionale, la Rete unitaria del notariato e quelle eventualmente istituite a livello regionale ex art. 3, primo comma, lettera c). Titolare del trattamento dei dati personali presenti nella Banca dati è il Ministero della Salute, trattamento che viene effettuato per i motivi di interesse pubblico rilevante di cui all’art. 2-sexies, secondo comma, lett. t) e u) del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196[6] e con la possibilità di diffondere le relative informazioni solo in forma anonima e aggregata. Parimenti, i notai, i comuni di afferenza degli ufficiali di stato civile, le rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all’estero, le unità organizzative di cui all’art. 3, primo comma, lett. c), e le strutture sanitarie sono titolari del trattamento dei dati raccolti. Questi ultimi sono destinati ad essere cancellati trascorsi dieci anni dal decesso dell’interessato.
Entro sessanta giorni dall’attivazione della Banca dati nazionale i soggetti di cui all’art. 3, primo comma, del decreto n. 168/2019 inviano al Ministero della Salute, affinché venga inserito in Banca dati, un elenco nominativo delle persone che hanno espresso le DAT prima della istituzione del registro unico. Entro centottanta giorni dall’attivazione della Banca dati nazionale, poi, tali medesimi soggetti trasmettono al Ministero copia delle DAT dei disponenti.
L’importanza delle DAT e l’esigenza di una loro immediata conoscibilità transregionale si ripresentano nelle quanto mai attuali Raccomandazioni di etica clinica della SIAARTI[7], onde definire criteri di accesso alle cure intensive a fronte di un paventato squilibrio fra necessità cliniche della popolazione e disponibilità effettiva delle risorse, nello scenario da «medicina delle catastrofi» provocato dall’emergenza sanitaria da Covid-19. Ai fini dell’attivazione della ventilazione meccanica, difatti, le Raccomandazioni osservano come debba «essere considerata con attenzione l’eventuale presenza di volontà precedentemente espresse dai pazienti attraverso eventuali DAT» ovvero quanto definito in sede di pianificazione condivisa delle cure da coloro «che stanno già attraversando il tempo della malattia cronica». Così, una eventuale indicazione di non intubazione deve «essere presente in cartella clinica, pronta per essere utilizzata come guida se il deterioramento clinico avvenisse precipitosamente e in presenza di curanti che non hanno partecipato alla pianificazione e che non conoscono il paziente», mentre lo spostamento degli ammalati da una regione all’altra, alla ricerca di centri con maggiore disponibilità di risorse, mette ancor di più in luce l’importanza della portata nazionale dell’archivio informatico.
3. I limiti delle disposizioni anticipate di trattamento
La debolezza delle DAT risiede nella difficoltà di rispettarle.
È un problema di forma e di sostanza: di precisione nel linguaggio e di terminologia adoperata, da una parte; di consapevolezza rispetto alle scelte e alle relative conseguenze, dall’altra. Inoltre, non essendovi un termine di validità, con il trascorrere degli anni il personale sanitario potrebbe sentirsi a queste sempre meno vincolato, mentre il fiduciario, quanto più è lontana nel tempo la manifestazione di volontà del paziente, tanto più rischierà d’interpretarla, invece di rispettarla e di applicarla. Il tempo incide anche sulle conoscenze scientifiche e sul mutamento dello stato dell’arte, nonché sulla percezione stessa delle proprie condizioni di salute: ciò che sul proprio corpo pareva «straordinario» ed inconcepibile può diventare persino ordinario ed accettabile.
I rilievi di cui sopra sono sintetizzati dall’art. 4, comma quinto, della l. n. 219/2017, ai sensi del quale il medico «può» (meglio: deve) disattendere le DAT quando esse appaiano «palesemente incongrue» o «non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente» ovvero qualora «sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita» secondo una valutazione eteronoma non esente, invero, da un certo margine di discrezionalità.
Qualora il personale sanitario e il fiduciario non concordino sui contenuti e sulle modalità di applicazione delle DAT, la decisione è rimessa al giudice tutelare. Ciò a motivo di un’incertezza o di un’assenza riguardo all’autentica volontà del diretto interessato e del mancato accordo fra un soggetto garante e competente (il medico), il quale oggettivamente considera e persegue il miglior interesse dell’incapace, e un soggetto parimenti garante, che non realizza detta protezione tramite una specifica professionalità, bensì per mezzo di un potere direttamente attribuitogli dal paziente. Di conseguenza, laddove tale discordanza di pareri e di vedute non si verifichi, l’intervento giudiziario non viene contemplato, poiché si tradurrebbe in un vaglio incompetente della valutazione già operata da sanitari e fiduciario: si pensi, per esempio, all’ipotesi di DAT disapplicate perché non contemplanti la fattispecie realizzatasi.
Il medico (e la struttura sanitaria in cui egli è eventualmente incardinato) che si attiene alle DAT perché le ha ritenute valide è responsabile di tale suo giudizio. Il Consiglio di Stato reputa perciò necessaria la certezza in ordine alla «adeguatezza» delle previe informazioni «acquisite dall’interessato e riguardanti le conseguenze delle scelte effettuate»[8].
Tale avvenuta acquisizione, perciò, «pur non potendo rilevare sotto il profilo della validità dell’atto», è opportuno sia «attestata» dalle DAT e contemplata nella modulistica ‘orientativa’ e facoltativa messa a disposizione dal Ministero della Salute, peraltro ad oggi ancora non approntata[9]. Nondimeno, la standardizzazione delle disposizioni anticipate «a fini di conservazione elettronica», che vincoli l’interessato sia da un punto di vista formale sia da un punto di vista contenutistico, «è da escludere», perché implica un automatismo e un burocraticismo che mal si coniugano con un’adeguata ed autentica ponderazione della volontà.
Risolto il problema della pubblicità, dunque, a restare è l’esigenza di informare e di sensibilizzare la collettività riguardo all’importanza e al significato di redigere le DAT, predisponendo altresì gli strumenti più idonei ed agevoli non solo per la loro stesura e raccolta, ma anche per educare cittadini responsabili, consapevoli e capaci di scegliere.
[1] Sulla legge n. 219/2017, Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, cfr. ex pluribus M. Foglia (a cura di), La relazione di cura dopo la legge 219/2017. Una prospettiva interdisciplinare, Pisa, 2019; R. Conti, Scelte di vita o di morte: il giudice è garante della dignità umana? Relazione di cura, DAT e “congedo dalla vita” dopo la l. 219/2017, Roma, 2019; P. Delbon, S. Cacace, A. Conti, Advance care directives: Citizens, patients, doctors, institutions, in Journ. Public Health Research, 2019, 8, 1675; C. Triberti-M. Castellani, Libera scelta sul fine vita. Il testamento biologico. Commento alla Legge n. 219/2017 in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento, Firenze, 2018; M.G. Di Pentima, Il consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento. Commento alla l. n. 219/2017, Milano, 2018; M. Mainardi, Testamento biologico e consenso informato. Legge 22 dicembre 2017, n. 219, Torino, 2018; Aa.Vv., La nuova legge n. 219/2017, in Riv. Biodiritto, 2018, 1-104; B. De Filippis, Biotestamento e fine vita. Nuove regole nel rapporto medico paziente: informazioni, diritti, autodeterminazione, Padova, 2018; M. Foglia, Consenso e cura. La solidarietà nel rapporto terapeutico, Torino, 2018; M. Azzalini, Legge n. 219/2017: la relazione medico-paziente irrompe nell’ordinamento positivo tra norme di principio, ambiguità lessicali, esigenze di tutela della persona, incertezze applicative, in Resp. civ. prev., 2018, 8; G. Ferrando, Rapporto di cura e disposizioni anticipate nella recente legge, in Riv. crit. dir. priv., 2018, 67; M. Foglia, Nell’acquario. Contributo della medicina narrativa al discorso giuridico sulla relazione di cura, in Resp. med., 2018, 373 ss.; R. Conti, La legge 22 dicembre 2017, n. 219, in una prospettiva civilistica: che cosa resta dell’art. 5 del Codice civile?, in Consulta Online, 4 aprile 2018, 221; S. Canestrari, Consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento: una “buona legge buona”, in Corr. giur., 2018, 301; P. Zatti, Spunti per una lettura della legge sul consenso informato e le DAT, in Nuova giur. civ. comm., 2018, II, 247; P. Zatti, Cura, salute, vita, morte: diritto dei principi o disciplina legislativa?, in Riv. Biodiritto, 2017, 185; P. Borsellino, La sfida di una buona legge in materia di consenso informato e di volontà anticipate sulle cure, ivi, 2016, 11; D. Lenzi, Consenso informato e DAT. Riprende il cammino parlamentare, ivi, 3, e E. Mancini, Autonomia come integrità: una riflessione sulle direttive anticipate di trattamento, ivi, 13. Sia qui altresì consentito rinviare a S. Cacace, Il consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento nell’ordinamento italiano, argentino e venezuelano. A proposito di salute, di volontà e di fonti del diritto, in A. Saccoccio-S. Cacace (a cura di), Sistema giuridico latinoamericano. Summer School (Brescia, 9-13 luglio 2018), Torino, 2019, 165-194; a S. Cacace, A. Conti, P. Delbon (a cura di), La Volontà e la Scienza. Relazione di cura e disposizioni anticipate di trattamento, Torino, 2019, specie XVII-XXII e 365-388, e a S. Cacace, La nuova legge in materia di consenso informato e DAT: a proposito di volontà e di cura, di fiducia e di comunicazione, in Riv. it. med. leg., 2018, 935.
[2] Cfr. la circolare del Ministero dell’Interno n. 1/2018, 8 febbraio 2018, Legge 22 dicembre 2017, n. 219, recante “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”. Prime indicazioni operative, in https://dait.interno.gov.it/documenti/circolare-n1-2018.pdf: «l’ufficiale non partecipa alla redazione della disposizione né fornisce informazioni o avvisi in merito al contenuto della stessa».
[3] Cfr. E. Stradella-F. Bonaccorsi, L’esperienza dei Registri delle Dichiarazioni anticipate di Trattamento sanitario tra linee guida e prospettive di regolazione del fine vita, in A. D’Aloia (a cura di), Il diritto alla fine della vita. Principi, decisioni, casi, Napoli, 2012, 320 ss., e N. Vettori, Diritti della persona e amministrazione pubblica, Torino, 2017, 158 ss., nonché Corte cost., 14 dicembre 2016, n. 262, in Foro it., 2017, I, 439 ss.; in Studium iur., 2017, 1307, con nota di P. Giangaspero, La disciplina delle dichiarazioni anticipate di trattamento tra tentativi regionali e inerzia statale, e in Le Regioni, 2017, 563, con commento di L. Busatta, Le dichiarazioni anticipate di trattamento, tra ordinamento civile e “ragioni imperative di eguaglianza”.
[4] GU n. 13 del 17 gennaio 2020, in vigore dal primo febbraio 2020. La istituzione presso il Ministero della Salute di una Banca dati destinata alla registrazione delle DAT è prevista dall’art. 1, comma 418, della l. n. 205/2017, Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020: «È istituita presso il Ministero della Salute una banca dati destinata alla registrazione delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) attraverso le quali ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, può esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari (…). Per l’attuazione del presente comma è autorizzata la spesa di 2 milioni di euro per l’anno 2018». Cfr. altresì il Parere, ai sensi dell’articolo 9, comma 1 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sullo schema di decreto del Ministro della salute concernente la banca dati nazionale destinata alla registrazione delle disposizioni anticipate di trattamento della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, 25 luglio 2019, in http://www.statoregioni.it/media/1886/p-4-cu-atto-rep-n-71-25lug2019.pdf, e il parere positivo espresso dal Consiglio di Stato, Sezione consultiva per gli atti normativi, nella Adunanza del 7 novembre 2019, in http://www.dirittodeiservizipubblici.it/sentenze/sentenza.asp?sezione=dettsentenza&id=6410.
[5] Al contrario, i registri regionali possono raccogliere solo le DAT degli iscritti al SSN: v. il parere del Consiglio di Stato n. 1991/2018 del 31 luglio 2018, emesso in esito alla adunanza della Commissione speciale del 18 luglio 2018: parere facoltativo richiesto dal Ministero della Salute con nota n. 0007507-P del 2 giugno 2018, ai sensi dell’art. 14 del R.D. n. 1054 del 26 giugno 1924. Cfr. M. Noccelli, Libertà e autorità nelle decisioni sanitarie tra principio personalistico e solidaristico, in S. Cacace, A. Conti, P. Delbon (a cura di), La Volontà e la Scienza, cit., 40 ss.
[6] «(…) si considera rilevante l’interesse pubblico relativo a trattamenti effettuati da soggetti che svolgono compiti di interesse pubblico o connessi all’esercizio di pubblici poteri nelle seguenti materie: t) attività amministrative e certificatorie correlate a quelle di diagnosi, assistenza o terapia sanitaria o sociale, ivi incluse quelle correlate ai trapianti d’organo e di tessuti nonché alle trasfusioni di sangue umano; u) compiti del servizio sanitario nazionale e dei soggetti operanti in ambito sanitario, nonché compiti di igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro e sicurezza e salute della popolazione, protezione civile, salvaguardia della vita e incolumità fisica». Cfr. il Parere su uno schema di decreto recante l’istituzione presso il Ministero della Salute di una Banca dati nazionale destinata alla raccolta delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) – 29 maggio 2019, in https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9117770.
[7] Società Italiana Di Anestesia Analgesia Rianimazione E Terapia Intensiva, Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione, in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili, 6 marzo 2020, in http://www.siaarti.it/SiteAssets/News/COVID19%20-%20documenti%20SIAARTI/SIAARTI%20-%20Covid19%20-%20Raccomandazioni%20di%20etica%20clinica.pdf, 5-6.
[8] Cfr. il parere n. 1991/2018, cit.
[9] Cfr. parere n. 1991/2018, cit.: «può essere utile un atto di indirizzo – eventualmente adottato all’esito di un tavolo tecnico con il Ministero della giustizia, il Consiglio nazionale del notariato e il Ministero dell’interno – che indichi alcuni contenuti che possono essere presenti nelle DAT, allo scopo di guidare gli interessati sulle scelte da effettuare. Spetterà poi al Ministero di mettere a disposizione un modulo tipo, il cui utilizzo è naturalmente facoltativo, per facilitare il cittadino, non necessariamente esperto, a rendere le DAT».
Un Presidente alla Corte edu. Guido Raimondi guarda al passato, al presente e al futuro del giudice europeo dei diritti umani.
di Roberto Conti
Guido Raimondi, tornato in Corte di Cassazione come Presidente di sezione, ha accettato di ripercorre su Giustizia Insieme la recente esperienza, prima di giudice, poi di Vice Presidente e quindi di Presidente, alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Lo ha fatto a tutto campo, da uomo e giurista raffinato, toccando con estrema semplicità e naturalezza alcuni dei temi nodali- e per questo più problematici- che ruotano attorno al ruolo ed alla funzione della Corte edu, ma anche guardando alle sfide che quell’organo di giustizia internazionale sarà chiamato ad affrontare nell’epoca del post Covid-19.
Innumerevoli gli spunti che escono da questo colloquio informale, trasformato in un prezioso affresco dalle risposte di Raimondi che, oltre a ripercorrere alcune delle questioni più rilevanti esaminate dalla Corte edu, non ha mancato di soffermarsi sulle tecniche di decisione, sui meccanismi di formazione delle pronunzie e sulle relazioni personali maturate a Strasburgo, svelando aspetti forse inediti al grande pubblico.
Una Corte europea che dalle parole del suo presidente emerito esce più umanizzata e soprattutto legata inscindibilmente ai giudici nazionali, con i quali condivide il dovere di leale cooperazione al servizio dei diritti.
Se poi si guarda al complesso dei diritti convenzionali, di prima e di ultima generazione, resi viventi dalla giurisprudenza della Corte edu, ci si accorge non solo della loro ineludibilità e straordinaria attualità anche nei tempi incerti dell’emergenza, ma anche di quanto essi rappresentino ben più di una semplice sommatoria di singole posizioni giuridiche soggettive. Si tratta, a ben considerare, di un mosaico capace di descrivere il patrimonio delle persone, sempre meritevole di essere garantito e protetto in modo concreto ed efficace, anche in tempo di pandemia.
È dunque il tempo della fedeltà ai principi ed ai valori fondanti dell'Europa che Raimondi finisce con l'auspicare vibratamente anche rispetto all'attuale contesto "eccezionale e bizzarro" nei quale siamo tutti sospesi, ma non meno consapevoli di dovere condurre la nave con fermezza e con tutti gli sforzi possibili verso l’unico porto sicuro immaginabile, quello dei diritti della persona, attorno al quale vanno coagulate le energie delle persone oneste che hanno a cuore le sorti dell’umanità.
Sommario:1. La pandemia e la Corte edu. 2.Il processo davanti alla Corte edu. 3. I diritti di matrice convenzionale. 4. La Corte edu, i populismi e le derive autoritarie. 5. La Corte edu e le Corti nazionali. 6. La Corte edu e il Giudice Raimondi. 7. Riapprodo in Corte di Cassazione. 8. Dove va la Corte edu presieduta da Robert Spano?
1.La pandemia e la Corte edu
Guido, sembra in questo tempo risvegliarsi nella collettività il bisogno di protezione dei diritti fondamentali: circolazione, movimento, relazioni personali. Alcuni sostengono che questi diritti debbano comunque essere scavalcati dall’interesse alla salvaguardia della vita e della salute. Quanto questi diritti sono “disponibili” e qual è il ruolo del giudice nazionale, al quale spetta di interpretare la legge in modo convenzionalmente e costituzionalmente orientato?
Questo è un tempo effettivamente bizzarro ed eccezionale. Provvedimenti straordinari sono stati presi, con limitazioni importanti delle nostre libertà.
Noto che il dibattito sulla compatibilità di queste misure con la Costituzione e con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo è già acceso. C’è chi ha preso posizione nel senso che le decisioni italiane sul blocco delle attività e sul confinamento a domicilio della popolazione avrebbero richiesto una deroga alla Convenzione europea ai sensi del suo articolo 15, che riguarda l’ipotesi di “…guerra o altra pubblica emergenza che minacci la vita della nazione”.
Personalmente credo che, nonostante l’unicità della situazione e la mancanza di precedenti, il reticolo di protezione dei diritti fondamentali assicurato dalla Costituzione e dalla Convenzione, senza dimenticare la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in una con il normale funzionamento del giudice delle leggi, delle corti europee e dei giudici nazionali, sia idoneo a rassicurare circa la solidità dello Stato di diritto e della democrazia anche nel presente momento. A tutti questi livelli è già possibile, e lo sarà in futuro, quando sperabilmente l’emergenza sarà alle nostre spalle, la verifica giurisdizionale della compatibilità delle misure prese – e quindi della loro effettiva proporzionalità – con questi parametri, che garantiscono la nostra libertà.
Certamente, ed è una preoccupazione già sollevata da molti, la sospensione di fatto dell’attività giurisdizionale per un tempo non trascurabile, con l’eccezione delle questioni urgenti, fa pensare, dato che è proprio la possibilità di contare su di una giurisdizione indipendente che garantisce lo Stato di diritto e la democrazia, come sottolinea la recente serie di sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea pronunciate relativamente al sistema giudiziario polacco. Confido dunque che l’attività giurisdizionale possa riprendere al suo ritmo normale il più presto possibile.
Ritengo che non vi sia un pericolo per la democrazia e che l’analisi giuridica sui provvedimenti di questi mesi potrà più opportunamente svilupparsi con la pacatezza che si accompagnerà al ritorno alla normalità. Per esempio, ho letto un intervento secondo il quale la condizione di noi tutti, cioè di persone confinate a domicilio, sarebbe da inquadrare come una privazione di libertà, che quindi chiamerebbe in causa l’art. 13 della Costituzione e l’art. 5 della Convenzione europea, piuttosto che l’art. 16 della Convenzione e l’art. 2 del Protocollo n. 4 alla Convenzione europea, relativi alla libertà di circolazione. Se così fosse la violazione di nostri fondamentali diritti sarebbe flagrante, ma probabilmente non è così. In ogni caso possiamo fare affidamento su giudici credibili, a tutti i livelli che ho evocato, per le opportune verifiche.
A proposito della necessità di considerare i presenti avvenimenti con pacatezza, ho molto apprezzato un recente intervento di Tiziano Scarpa, Una rispettosa risposta a Giorgio Agamben, che invita noi tutti, replicando alle preoccupazioni espresse dall’illustre filosofo, a non precipitarci a considerare l’attuale situazione come il fallimento del sistema democratico ed il trionfo della barbarie.
Per rispondere alla domanda precisa, il ruolo del giudice nazionale, cioè del giudice interno, è fondamentale; dico un’ovvietà, essendo quest’ultimo il vero perno del sistema, anche nell’ottica della Convenzione europea, che è basata sul principio di sussidiarietà, che fa sì che nella complessiva considerazione del meccanismo europeo di protezione dei diritti umani primario sia il ruolo dei giudici domestici, dai quali in definitiva dipende la concreta realizzazione dei diritti, e secondario quello del giudice europeo.
Si è detto che i nostri padri costituenti non avevano preconizzato una situazione simile a quella che in questi mesi sta attanagliando il mondo. Si può traslare, secondo te, questo giudizio alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo sottoscritta nel 1950 a Roma?
Le due Carte sono quasi coeve. Come ho appena ricordato, i padri della Convenzione avevano pensato ad introdurvi un meccanismo derogatorio – l’articolo 15 – che permettesse agli Stati che si venissero a trovare in situazioni di guerra o di altro grave pericolo pubblico, di limitare le garanzie convenzionali. Quindi, in questo senso, avevano previsto la possibilità che la guerra o altre situazioni eccezionali potessero indurre gli Stati contraenti a ritenersi non più in grado, per un certo tempo, di assicurare l’intero livello di protezione previsto dalla Convenzione. Dal punto di vista della tutela dei diritti umani credo che sia una previsione felice, perché permette agli Stati che si trovino ad affrontare situazioni estreme di non denunciare la Convenzione, ma di limitarne l’applicazione, entro confini precisi e sotto il controllo della Corte europea.
Detto questo, personalmente ritengo che il nostro Paese abbia fatto bene a non attivare la procedura dell’art. 15, così sottoponendosi al pieno controllo della Corte sull’applicazione di tutte le misure prese e su quelle a venire. Non c’è dubbio che delle criticità potranno emergere, per esempio, nel caso in cui le violazioni alle limitazioni degli spostamenti dovessero essere autonomamente qualificate come “penali” dalla Corte in applicazione dei c.d. criteri “Engel”, ci si potrà chiedere se la descrizione della fattispecie “incriminatrice” sia sufficientemente chiara e precisa così da rispondere alle esigenze dell’art. 7 della Convenzione (legalità dei delitti e delle pene), ma credo che questo faccia parte della “fisiologia” del sistema.
La tenuta delle garanzie democratiche durante la pandemia. Abbiamo tutti vissuto in prima persona misure particolarmente restrittive, di decisioni giudiziarie che hanno confermato, in via cautelare, tali misure addirittura derogando, in una vicenda decisa da una Corte britannica, in maniera esplicita all’art.15 CEDU. Ma in che misura l’art.15 giustifica uno “stato di eccezione”?
Come dicevo, l’applicazione dell’art. 15 avviene sotto lo stretto controllo della Corte. Perché il meccanismo dell’art. 15 sia attivato occorre una decisione del Paese interessato, decisione che deve precisare i limiti delle deroghe che si intendono adottare e che va notificata al Consiglio d’Europa. Evidentemente spetta in primo luogo allo Stato interessato valutare la sussistenza, al di fuori dell’ipotesi bellica, di “una pubblica emergenza che minacci la vita della nazione”, ma la Corte non si disinteressa della questione e, sebbene naturalmente rispettosa del “margine di apprezzamento” che indubbiamente spetta allo Stato specie in una materia così delicata, non mancherebbe di intervenire se si trovasse di fronte ad una valutazione arbitraria dello stesso Stato, con la conseguenza della piena applicabilità, quindi senza deroghe, delle garanzie convenzionali. Si deve dunque trattare di un pericolo reale. Non va poi dimenticato che ci sono alcuni diritti fondamentalissimi – il c.d. “nucleo duro” della Convenzione – che sono esclusi dal meccanismo derogatorio di cui all’art. 15. Si tratta, per esempio, del diritto alla vita (art. 2) e del diritto a non essere sottoposti a tortura o a pene o trattamenti disumani o degradanti.
2.Il processo davanti alla Corte edu.
Il processo da remoto come effetto della crisi da Covid-19. Anche la Corte edu si è attrezzata a gestire la pandemia. In che modo?
Si, la Corte di Strasburgo si è attrezzata per lavorare “da remoto”, e lo ha fatto in piena trasparenza, pubblicando un comunicato stampa che contiene in dettaglio la descrizione di queste particolari modalità di lavoro. Il comunicato stampa è visibile sul sito della Corte al seguente indirizzo web: https://hudoc.echr.coe.int/eng-press#{%22itemid%22:[%22003-6677746-8882977%22]}.
Le funzioni della Corte sono assicurate nella misura del possibile. La Corte esamina regolarmente le richieste di applicazione di misure provvisorie ai sensi dell’art. 39 del suo Regolamento.
Il processo è stato fin qui considerato come collegato, in termini spaziali, all’aula del Tribunale o della Corte. La modifica di questo assetto e la smaterializzazione del processo, realizzata con l’utilizzazione di un “mezzo” che serve al processo ma governato dal giudice pone questioni rilevanti dal punto di vista della tutela dei diritti di matrice convenzionale delle parti e dei loro difensori? Quali rischi intravedi rispetto alla tutela dei diritti delle persone e dei difensori dall’uso del processo da remoto, in ambito civile e penale?
Forse qui la mia risposta è influenzata dall’anagrafe, ma forse no. Non sono un laudator temporis acti nostalgico del “buon tempo antico”, che poi tanto buono non era. Credo che la giustizia debba servirsi di tutte le tecnologie disponibili per poter funzionare al meglio e che i giudici abbiano il dovere di tenersi al passo delle innovazioni portate dal progresso della scienza e della tecnica. Detto questo, credo che le esigenze del giusto processo siano assicurate in pieno quando vi è interazione reale, e non solo virtuale, dei suoi protagonisti. Riconosco che vi sono situazioni, come quella nella quale ci troviamo, nella quale l’alternativa all’uso delle tecnologie che permettono le riunioni “da remoto” sarebbe la paralisi della giustizia, e quindi credo che ora questa modalità di lavoro sia giustificata da un corretto bilanciamento dei diversi interessi in gioco. Ma permettimi di considerarla un male necessario.
Non si può escludere che taluni, parti o difensori, riterranno incisi i loro diritti convenzionali da queste modalità di funzionamento del processo, tanto da investire la Corte di Strasburgo delle relative questioni. Non mi azzardo a prevedere quale potrebbe essere la risposta della Corte europea, ma sono sicuro che sarà una risposta di buon senso.
Veniamo al processo innanzi alla Corte edu. Può considerarsi realmente giusto, dopo l’introduzione di filtri in entrata particolarmente rigorosi ed improntati ad un formalismo che a volte è sembrato inconciliabile con la prospettiva di effettività e di living instrument che irradia, a dire della stessa Corte edu, l’intera Convenzione europea dei diritti dell’uomo?
Sì, il numero eccessivo di ricorsi ha spinto la Corte ad assumere un atteggiamento “difensivo” nei confronti della massa enorme di ricorrenti che premono alle sue porte. Quando si affronta questo argomento bisogna però tener ben presente la distinzione tra il livello amministrativo e quello giurisdizionale delle attività di filtro.
Dal punto di vista amministrativo, con la riforma dell’art. 47 del Regolamento, è stata effettivamente imposta ai ricorrenti l’esigenza di un elevato rigore formale nella redazione del formulario di ricorso. In particolare, chi intende proporre un ricorso è tenuto a contenere in spazi predeterminati e relativamente esigui la descrizione della fattispecie litigiosa, l’indicazione delle norme che si assumono violate e delle relative ragioni. Vero è che è possibile allegare un’appendice con un testo più lungo e dettagliato, ma il ricorso deve essere “autosufficiente”, cioè deve permettere ad un primo esame, da parte della Cancelleria, ed eventualmente poi, al livello giurisdizionale, del giudice unico, di stabilire, senza la necessità di leggere l’appendice, se esso sia palesemente inammissibile, per difetto di una delle condizioni di ammissibilità, compresa la manifesta infondatezza. Credo che questo rigore formale sia un sacrificio imposto ai ricorrenti giustificato dalla situazione in cui versa la Corte. Non va dimenticato, poi, che il rigetto” amministrativo” del ricorso non è senza rimedio, purché non sia decorso il termine convenzionale di sei mesi dalla decisione interna definitiva, perché il ricorrente potrà inviare un nuovo ricorso rispettoso delle prescrizioni formali richieste.
Sul versante “giurisdizionale” del filtro, cioè con riguardo al giudice unico, si era criticata l’assenza di motivazione delle decisioni di questa “parcellare” formazione di giudizio della Corte. A questo si è cercato di porre rimedio, per cui ora le decisioni del giudice unico contengono una sia pur scheletrica motivazione che permette al ricorrente – e al suo difensore – di comprendere le ragioni del rigetto.
Si tratta di misure che la Corte è stata costretta a prendere proprio per preservare – nei limiti del possibile – la propria capacità di dare risposte adeguate ai ricorsi meritevoli.
Un focus sui rapporti fra giudici e strutture interne della Corte edu? Ma chi scrive le sentenze della Corte? Qual è il processo decisionale che porta alla discussione del caso, prima, ed alla sua decisione, poi?
A differenza della Corte costituzionale e della Corte di giustizia dell’Unione europea, all’interno delle quali vi è un sistema di assistenti di studio, o di referendari, cioè di giuristi che assistono il giudice e sono scelti da lui o da lei, la Corte europea funziona con giuristi che sono inquadrati nella Cancelleria, sono organizzati in Divisioni strutturate su base “nazionale” (Divisione “italiana”, Divisione “francese” e così via) e non dipendono direttamente dai giudici, con i quali, però, essi sono evidentemente chiamati a collaborare strettamente.
I progetti di decisioni e di sentenze sono predisposti dai giuristi su istruzioni del giudice relatore. Normalmente il prodotto “quasi -finale” del relatore, cioè il progetto di decisione o di sentenza da presentare alla Camera, nell’ambito di una riunione di Sezione, è il frutto di diversi interventi sul testo effettuati in riunioni dirette o a distanza in via elettronica nel dialogo tra relatore e giurista. A livello di Grande Camera lo schema è lo stesso, ma la procedura è più complessa. Quanto nel progetto ci sia del relatore e quanto del giurista dipende ovviamente dalla personalità dell’uno e dell’altro. Non credo, sulla base della mia esperienza, che ci sia il rischio di prevaricazioni del giurista sul giudice, il quale ha il dovere di presentare alla formazione giudicante la soluzione che scienza e coscienza gli comandano di prediligere, se necessario imponendosi sul giurista, nel caso questi abbia una diversa opinione, sempre ovviamente in modo rispettoso. Il rispetto dei ruoli, che rimangono distinti, deve ovviamente funzionare nei due sensi.
A livello di Camera il progetto viene fatto circolare tra tutti i componenti della Sezione, compresi quelli che non sono chiamati in prima battuta a comporre il collegio giudicante, e che sono supplenti, almeno quindici giorni prima della data fissata per la camera di consiglio (le udienze pubbliche sono rarissime a livello di Camera). Tutti i giudici possono, prima della riunione, rivolgere domande al relatore e avanzare proposte, normalmente per via elettronica). In camera di consiglio il Presidente dà innanzitutto la parola al relatore, e poi al giudice “nazionale”, se diverso, quindi tutti i giudici che lo desiderano prendono la parola e la Camera delibera. Una volta presa la decisione, il testo del provvedimento viene letto e approvato collegialmente. Nel caso vengano richieste modifiche importanti, l’esame del caso può essere rinviato ad una riunione successiva. Per modifiche meno importanti si lascia al relatore la possibilità di proporre testi in via elettronica che vengono approvati senza la necessità di una riconvocazione formale (c.d. procedura di pigeon hole). In caso di sentenza, il Presidente raccoglie le intenzioni dei giudici che desiderano redigere un’opinione separata – concordante o dissenziente – e fissa il termine per il suo deposito. Al termine della deliberazione, la Camera può segnalare l’opportunità che la sentenza, o decisione, faccia l’oggetto, in ragione della sua importanza, di un comunicato stampa separato, ma la decisione su questo spetta al Presidente della Corte.
Quanto dura un processo innanzi alla Corte edu? Esistono delle regole, conoscibili dall’esterno, che fissano una durata massima dei processi? Esistono delle corsie preferenziali per alcune tipologie di ricorsi?
Questo è un punto dolente. I procedimenti della Corte, nonostante le misure prese, misure delle quali abbiamo parlato, per permettere alla Corte di eliminare rapidamente i ricorsi non meritevoli, sono troppo lunghi. Questa è una realtà che non bisogna nascondere. Non ci sono regole fisse sulla durata massima dei procedimenti. Nel giugno 2009 la Corte ha emendato il suo Regolamento introducendo una politica di esame dei ricorsi secondo criteri di priorità e non più secondo lo stretto ordine cronologico (art. 41). I criteri, che definiscono sette categorie di ricorsi, sono pubblici e sono consultabili al seguente indirizzo: https://www.echr.coe.int/Documents/Priority_policy_ENG.pdf.
Cosa puoi dirci sulla tutela cautelare convenzionale offerta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo- Quando ci si può rivolgere alla Corte in va urgente e quante chance di successo ha questa “strada”? Un processo, quello davanti alla Corte edu, di parti. Ma chi sono per la Corte edu i “terzi” che possono intervenire in quel giudizio e qual è la ratio di questo intervento?
Alla prima domanda rispondo in modo convintamente affermativo. La tutela cautelare è effettiva, anche se non può definirsi propriamente “convenzionale”, nel senso che le misure cautelari non sono previste dalla Convenzione. Questa situazione, per l’appunto, è stata per lungo tempo un fattore di debolezza di questa indispensabile forma di tutela. Fino alla sentenza della Grande Camera nel caso Mamatkulov e Askarov c. Turchia, del 2005, si riteneva che la mancata osservanza da parte di uno Stato convenuto di una misura provvisoria ordinata dalla Corte non integrasse, in sé, un’autonoma violazione, ma potesse al più considerarsi una circostanza aggravante in caso di “condanna” dello stesso Stato. Dal 2005 si ritiene invece che un tale comportamento integri una violazione, indipendente da quella denunciata con il ricorso, della norma che prevede il ricorso individuale, cioè l’art. 34 della Convenzione.
Indipendentemente dalla giuridica obbligatorietà della misura, è evidente che la collaborazione dello Stato nell’esecuzione delle misure provvisorie ha una fondamentale importanza per l’effettività di questo rimedio. Da questo punto di vista credo di poter dire, a conferma della mia opinione suquesto istituto, che i casi di mancata osservanza delle misure provvisorie, anche se purtroppo esistono, sono rarissimi.
La seconda domanda solleva questioni importanti. Le parti processuali davanti alla Corte europea sono solamente il ricorrente, o i ricorrenti, e lo Stato, o gli Stati, convenuti. È nei confronti di questi soggetti che l’art. 46 della Convenzione stabilisce il carattere obbligatorio delle sentenze della Corte. L’articolo 36 della Convenzione stabilisce da una parte il diritto di prendere parte alla procedura – orale e scritta – dello Stato di cui il ricorrente abbia la cittadinanza e, dall’altra, il potere del Presidente della Corte di invitare, nell’interesse di una buona amministrazione della giustizia, un diverso Stato contraente che non sia quindi già parte della procedura o “ogni persona interessata diversa dal ricorrente” a sottoporre commenti scritti o a partecipare alle udienze.
Per questa seconda ipotesi, che è quella che riguarda i c.d. amici curiae, va detto che, anche se il Presidente della Corte è molto attento a non appesantire la procedura, l’alternativa apparente tra la partecipazione con commenti scritti e quella all’udienza, è stata superata, nel senso che in casi particolarmente importanti, soprattutto quando ad intervenire sono Stati contraenti, è stata consentita una partecipazione nella doppia forma; ad esempio, ciò è avvenuto davanti alla Grande Camera nel caso Lautsi c. Italia, relativo all’esposizione del crocefisso nelle scuole pubbliche del nostro Paese.
Nella maggior parte dei casi sono le ONG attive nella difesa dei diritti umani che richiedono di partecipare alle procedure della Corte.
C’è però una dimensione diversa, particolarmente importante, e che può avere dei riflessi nell’ordinamento interno dei Paesi interessati, con riferimento ad una futura possibilità di riapertura dei procedimenti giurisdizionali nazionali in seguito ad un’eventuale “condanna” della Corte, e che è quella della partecipazione alla procedura giurisdizionale europea delle parti del giudizio interno diverse dal ricorrente, cioè di persone che possono essere controinteressate rispetto a quest’ultimo. La prassi della Corte è nettamente orientata ad accogliere le richieste di partecipazione di tali parti. Un esempio è quello del caso Perna, un giornalista che era stato condannato per diffamazione su querela di un magistrato, Giancarlo Caselli. Una volta avviata la procedura europea, Caselli è stato ammesso a partecipare come “terzo interveniente”, ed è intervenuto anche all’udienza della Grande Camera, assistito dal suo difensore. Ovviamente in entrambe le situazioni si parla di “terzi intervenienti”, ma c’è una notevole differenza, giacché è difficile considerare le parti della procedura nazionale come veri “terzi” rispetto alla procedura europea.
L’effettività della tutela dei diritti di matrice convenzionale. Un canone che sta irradiando l’intero ordinamento interno. Come la descriveresti in poche parole?
Userei le parole della Corte, purtroppo impiegate per la prima volta in un caso italiano, Artico, una sentenza del 1980, in un caso in cui ad un imputato era stato assegnato un avvocato d’ufficio che aveva scandalosamente trascurato i suoi doveri difensivi. Al Governo italiano, che si era difeso facendo valere che con la nomina di un difensore le autorità avevano assolto il loro obbligo convenzionale di assicurare una difesa tecnica a chi era accusato di un reato, la Corte rispose che la Convenzione tutela diritti “concreti ed effettivi” e non “teorici ed illusori”. Queste parole tornano spesso nella giurisprudenza della Corte, a dimostrazione che quella dell’effettività dei diritti garantiti dalla Convenzione è una preoccupazione costante dei giudici di Strasburgo.
La teoria del consenso ed il margine di apprezzamento. Croce e delizia della giurisprudenza della Corte. E la certezza del diritto?
La certezza del diritto, o sécurité juridique, per usare l’espressione impiegata dalla Corte, è certamente un valore convenzionale di grandissima importanza, tale da oltrepassare l’ambito dell’art. 6 della Convenzione, e quindi del giusto processo, al quale inerisce, e porsi come idea fondante dello Stato di diritto, e quindi di una delle stesse premesse dell’intero sistema europeo di tutela dei diritti umani. La Corte insiste su questa idea, che per esempio à alla base della censura di situazioni nelle quali è dato assistere ad incertezze ed instabilità eccessive nella giurisprudenza delle Corti supreme, che così vengono meno al loro ruolo di guida delle giurisdizioni di un Paese, attentando, per l’appunto al valore della certezza del diritto.
Detto questo, non credo che la dottrina del margine di apprezzamento, con il suo corollario del consensus europeo, meriti critiche particolari. In fondo questa dottrina è rispettosa del valore della stabilità e della prevedibilità della stessa giurisprudenza della Corte di Strasburgo. La giurisprudenza può – e deve, almeno in certi casi – conoscere un’evoluzione. La prudenza della Corte nel decidere un cambiamento giurisprudenziale, e l’ancoraggio di quest’ultimo, per l’appunto, al consensus europeo, cioè alla constatazione di un’evoluzione sufficientemente diffusa nei sistemi giuridici interni dei Paesi contraenti, mi sembrano cautele poste esattamente a presidio del valore della certezza del diritto.
3. I diritti di matrice convenzionale
Il bisogno di Stato sociale che sembra emergere, in modo imponente, dopo la pandemia, quanta protezione potrà avere riconosciuta dalla CEDU e dal suo giudice ed in che termini?
Quello dei diritti sociali è un grande tema. I limiti che indubbiamente derivano dal testo convenzionale, che senza dubbio è dedicato a diritti c.d. “di prima generazione”, cioè di carattere civile e politico e non a diritti economici e sociali, per i quali esiste un separato strumento del Consiglio d’Europa, la Carta sociale europea del 1961, rivista nel 1996, non hanno impedito alla giurisprudenza della Corte di tutelare le c.d. “propaggini sociali” dei diritti civili e politici.
Con la sentenza nel caso Airey c. Irlanda, del 1979, che riguardava il caso di una signora che, dovendo iniziare una procedura giurisdizionale e non avendo i mezzi per pagare un avvocato, si doleva del mancato rispetto del suo diritto di adire il giudice, di cui all’art. 6 della Convenzione europea, la giurisprudenza della Corte europea ha fatto un passo in avanti. Al Governo irlandese, che si era difeso facendo valere la natura per l’appunto sociale e non civile o politica del diritto invocato dalla ricorrente, la Corte ha risposto che non vi sono “compartimenti stagni” tra le due categorie di diritti, per cui se misure di carattere sociale sono necessarie per l’effettivo esercizio di uno dei diritti previsti dalla Convenzione, lo Stato contraente è tenuto ad adottarle.
Inoltre, sempre in tema di diritti sociali, la Corte ha valorizzato l’art. 14 della Convenzione, sul divieto di discriminazione, e lo stesso art. 1 del Protocollo addizionale, cioè la norma che protegge la proprietà.
Sotto il primo profilo, la giurisprudenza ha attribuito all’art. 14 – che in sé non ha una valenza indipendente, perché stabilisce un principio di non discriminazione non in assoluto, ma con riferimento ai diritti protetti dalla Convenzione – un suo autonomo valore affermando che se uno Stato contraente adotta delle misure sociali alle quali non sarebbe tenuto a termini della Convenzione, se tali misure rientrano in senso lato “nell’ambito di applicazione” (sous l’empire) di una delle disposizioni sostanziali della Convenzione, allora quello Stato è tenuto, in base all’art. 14, a dispensare la misura in modo non discriminatorio. Per esempio, nel caso Dhahbi c. Italia del 2014, la Corte ha trovato una violazione dell’art. 14 perché lo Stato italiano, dopo aver istituito una provvidenza – un assegno – per il nucleo familiare ('articolo 65 della legge n. 448 del 1998), aveva escluso dai beneficiari della misura i non cittadini (il ricorrente era tunisino, anche se successivamente aveva acquisito la cittadinanza italiana), e la Corte ha ritenuto discriminatoria, perché non adeguatamente giustificata, questa disparità di trattamento.
Sotto il secondo profilo, quello della tutela della proprietà, la Corte ha chiarito, con la sentenza Stec c. Regno Unito del 2006, che le prestazioni sociali assicurate dallo Stato, indipendentemente se esse siano di natura previdenziale (cioè collegate ad una contribuzione dei beneficiari) ovvero puramente assistenziali (cioè gravanti interamente sul pubblico erario), godono della protezione di cui all’art. 1 del Protocollo addizionale, per cui esse non possono essere incise dallo Stato se non entro i limiti fissati da questa norma (occorre una base legale, uno scopo legittimo e una relazione di proporzionalità tra la misura presa, cioè la riduzione o la soppressione del beneficio e lo scopo perseguito).
Naturalmente questa apertura della giurisprudenza della Corte verso i diritti sociali non deve creare aspettative eccessive. La Convenzione resta uno strumento dedicato ai diritti “di prima generazione”, per cui gli interventi della Corte in questo settore, certamente di importanza vitale specialmente in vista delle gravissime difficoltà economiche che ci aspettano all’esito dell’attuale emergenza sanitaria, non potranno certamente avere un impatto decisivo. Ma, con i suoi limiti, la tutela sarà certamente effettiva.
La proprietà come diritto fondamentale. Una prospettiva che a molti giuristi interni non piace e che anzi si porrebbe in posizione inconciliabile con la prospettiva costituzionale espressa dall’art.42 Cost. Eppure il numero dei ricorsi che ruotano attorno al diritto al rispetto dei beni è particolarmente elevato. Qual è la tua opinione? Ho appena parlato del ruolo della norma, l’art. 1 del Protocollo addizionale, che protegge la proprietà, il “terribile diritto”, per usare l’espressione di Stefano Rodotà, a tutela dei diritti sociali, il che fornisce già una prima risposta a coloro che rimproverano alla Convenzione di essere il frutto di una concezione neoliberista del diritto. Ricordo un bel volume del 2015 di Cesare Salvi, Capitalismo e diritto civile, nel quale questa tesi viene sostenuta. Salvi muove dalla tutela, ritenuta, eccessiva, che la giurisprudenza della Corte europea accorda ai proprietari espropriati, ai quali si riconosce, in linea di principio, la commisurazione dell’indennizzo al valore venale del bene espropriato, osservando che, per l’appunto, ciò sarebbe in contraddizione con l’impostazione della nostra Costituzione che, garantendo con il suo art. 42 la “funzione sociale” della proprietà, imporrebbe necessariamente un indennizzo inferiore al valore venale del bene espropriato affinché la differenza sia destinata al soddisfacimento dei diritti sociali dei bisognosi.
È vero che, a differenza dell’art. 42 della Costituzione, il Protocollo addizionale non parla di “funzione sociale” della proprietà, ma non credo che vi sia una vera contraddizione, giacché sia nel controllo dell’uso della proprietà sia nell’esproprio assume grande rilievo nella norma europea l’”interesse generale”, nel quale può rientrare anche la funzione sociale della proprietà. Nella stessa sentenza Scordino c. Italia (n. 1) del 2006, che lo stesso Cesare Salvi, in un altro scritto, aveva assunto a paradigma della attitudine “neoliberista” della Corte, non esclude affatto che in determinate circostanze l’indennizzo espropriativo possa essere determinato in misura inferiore al valore venale del bene espropriato, per esempio allorché l’esproprio si collochi in un contesto di riforma economica, sociale o politica ovvero, con formula apertissima, sia collegato a “circostanze particolari” (v. § 102 della sentenza). In definitiva credo che il Protocollo addizionale permetta agli Stati il perseguimento di politiche economiche e sociali rispettose del principio della funzione sociale della proprietà.
Legalità formale e legalità sostanziale: un dissidio insoluto o apparente?
Domanda per la quale la risposta dovrebbe essere sviluppata in alcuni volumi. Mi limito a dire che il principio di legalità, assolutamente fondamentale nella Convenzione europea, viene certamente inteso in senso sostanziale dalla giurisprudenza della Corte. Per esempio, tutte le volte in cui la possibilità per lo Stato di limitare un diritto è ancorata ad una base legislativa, in pratica sempre, la Corte non si accontenta dell’esistenza di una legge in senso formale, ma pretende che la legislazione invocata dallo Stato risponda a certe caratteristiche di qualità, sia cioè facilmente accessibile ai consociati, e in particolare ai destinatari del suo comando, e sia sufficientemente precisa e dettagliata in modo da assicurare agli interessati la garanzia della prevedibilità degli effetti della loro condotta. In mancanza di tali caratteristiche, la Corte considera che manca la base legislativa, il che è sufficiente ad integrare la violazione della Convenzione indipendentemente dalla verifica della legittimità del fine e della proporzionalità della misura limitativa.
I minori, coppie separate, le relazioni familiari ed i Covid-19 messi a dura prova le relazioni familiari ed i diritti in gioco. E la CEDU che dice sul punto?
La giurisprudenza della Corte in materia di tutela dei minori e di rapporti di famiglia è molto ricca ed articolata. Non potrei certamente tratteggiarne efficacemente gli aspetti caratteristici in una semplice risposta. Mi limito a ricordare che, in sintonia con la Convenzione delle Nazioni Unite del 1989 sui diritti del fanciullo, la stella polare della Corte, quando si tratta di bambini, è l’interesse superiore del minore. Vorrei anche ricordare la preoccupazione della Corte per la tutela del legame di sangue, tutela che deve senz’altro cedere di fronte all’interesse del minore in presenza di comportamenti non congrui dei genitori biologici, ma che deve essere mantenuta, magari con l’impegno di adeguate risorse da parte delle pubbliche autorità, quando la difficoltà per i genitori biologici di assicurare ai bambini un ambiente adeguato dipenda non da loro colpa, ma da situazioni che sfuggono al loro controllo.
Sempre sul tema della famiglia, ed avendo presenti i rischi aggravati che l’attuale situazione di limitazione degli spostamenti comporta per le vittime, specialmente le donne, evidentemente, di violenza domestica, vorrei ricordare la speciale attenzione che la giurisprudenza della Corte riserva a questa piaga sociale, rispetto alla quale precisi obblighi, anche di natura positiva, vengono affermati a carico degli Stati contraenti.
Al largo delle coste italiane bagnate dal Mediterraneo stazionano ancora migranti, spesso bloccati su navi delle ONG. Si è letto, in questi giorni, di provvedimenti amministrativi che hanno imposto la quarantena ai soggetti provenienti da territori extra UE per il sospetto di essere portatori di contagio da Covid-19.Misura adeguate, secondo te, a rispettare i diritti delle persone in gioco rapportati agli interessi degli italiani?
Non porrei la questione in termini di contrapposizione degli interessi dei migranti rispetto a quelli “degli italiani”, in una prospettiva che opponga “noi” a “loro”. Non c’è un “loro” e un “noi” nella filosofia della Convenzione, che protegge le persone semplicemente in base alla loro appartenenza alla famiglia umana. In questa prospettiva il carattere regionale del sistema europeo di tutela dei diritti umani non deve far perdere di vista la sua impostazione universalistica, che discende dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, rispetto alla quale la filiazione della Convenzione è con forza affermata nel Preambolo di quest’ultima. Si dice, secondo me con piena ragione, che i sistemi regionali di protezione dei diritti umani sono “vettori locali di un messaggio globale” (local carriers of a global message).
Detto questo, la giurisprudenza della Corte ha sempre riconosciuto il diritto sovrano degli Stati di controllare i loro confini e quindi di regolare i flussi migratori. In ogni caso deve essere rispettata la dignità umana e, come per chiunque altro, le eventuali limitazioni o anche privazioni di libertà alle quali migranti irregolari possano essere sottoposti devono essere poste in essere nel rispetto di tutte le condizioni previste dalla Convenzione, compreso, nei casi appropriati, un adeguato controllo giurisdizionale.
Detenuti al 41 bis ord.pen., condizioni di salute incompatibili con il regime detentivo in carcere per effetto del coronavirus. Abbiamo letto di recenti provvedimenti dei tribunali di sorveglianza che hanno concesso gli arresti domiciliari a boss mafiosi. Ancora una volta diritti fondamentali e valori che attengono alla sicurezza nazionale in gioco, chiamati ad essere bilanciati? Che fare?
La questione è di grandissima importanza non solo dal punto di vista del diritto, ma anche, ovviamente, da quello sociale e politico.
Credo che la Corte si sia recentemente pronunciata su di una richiesta di misura provvisoria, ai sensi dell’art. 39 del suo Regolamento, volta ad ottenere l’indicazione allo Stato italiano di misure urgenti per fronteggiare l’emergenza alla quale ti riferisci, cioè l’altissimo rischio che l’attuale pandemia presenta in una situazione di sovraffollamento carcerario, non ritenendo che sussistessero le condizioni per la concessione della misura. Questo non esclude, naturalmente, l’esame nel merito del ricorso, a tempo debito. Vedremo cosa ci dirà la Corte. Personalmente credo che trattenere in detenzione persone per le quali le autorità non sono in grado di assicurare una ragionevole protezione dal rischio di contagio certamente sollevi degli interrogativi quanto alla compatibilità con la Convenzione di una tale situazione.
Morti su morti per effetto del covid-19. L’Italia devastata. Le generazioni più anziane le più colpite e le più vulnerabili rispetto a strutture sanitarie che, nel nord del Paese, non hanno spesso potuto offrire loro un’assistenza adeguata e sono state chiamate a “scelte tragiche”, spesso preferendo altri soggetti con maggiori chance di sopravvivenza. Si prospetta un contenzioso poderoso a livello interno ma, allo stesso tempo, provvedimenti legislativi volti a limitare la responsabilità dei sanitari. Come si pone la CEDU rispetto a questo fascio di problemi?
Come si sa, dagli articoli 2,3 e 8 della Convenzione, che tutelano rispettivamente il diritto alla vita,all’integrità fisica e psichica delle persone e quello alla vita privata e familiare, discendono per gli Stati obblighi positivi di indagine e di repressione delle condotte dolose, o anche colpose, che possano aver provocato lesioni di quei beni fondamentalissimi. Per quanto riguarda in generale la responsabilità per colpa, ed in particolare quella medica, a partire dalla sentenza Calvelli e Ciglio c. Italia la giurisprudenza non richiede che la risposta dello Stato sia necessariamente di carattere penale, se gli strumenti posti a disposizione sul piano civile o amministrativo sono sufficienti allo scopo. Non c’è dubbio che l’eventuale concessione di uno “scudo” ai sanitari possa sollevare degli interrogativi con riferimento a tali obblighi, ma non è certamente possibile azzardare una previsione su quali potrebbero essere le risposte della Corte a tali questioni.
Extraordinary renditions, torture e diritto alla verità
La posizione della Corte edu sul tema della tortura è stata, nel corso degli anni, di grande importanza anche per il nostro Paese. La vicenda delle "extraordinary renditions" che ha coinvolto ha chiamato la Corte dove tu hai lavorato a scrutinare vicende che hanno riguardato i rapporti fra Stati, i limiti del segreto di stato e la funzione stessa degli organi giudiziari interni. Cosa si prova a dovere mettere in discussione le pronunzie della Corte costituzionale in nome della protezione dei diritti di matrice convenzionale
Si, certamente, e questo è un capitolo particolarmente doloroso per il nostro Paese, che vorremmo veramente vedere pienamente affrancato dalla piaga della tortura, mentre purtroppo diverse sentenze della Corte hanno dovuto constatare nei confronti dell’Italia la violazione dell’art. 3 della Convenzione nella sua forma più grave, per l’appunto quella della tortura.
Penso in particolare alla sentenza Cestaro del 2015, relativa ai fatti di violenza poliziesca svoltisi nella scuola Diaz durante il G8 di Genova nel 2001. Dopo la sentenza, nell’ambito delle attività culturali organizzate dalla Cancelleria all’interno della Corte, è stato proiettato il film di Daniele Vicari “Diaz - Don't Clean Up This Blood”, del 2012, che racconta la vicenda in maniera particolarmente cruda anche se, purtroppo, temo, non esagerata rispetto alla realtà. Ho ritenuto mio dovere non declinare l’invito ad assistere alla proiezione che mi era stato rivolto dal personale, anche se, come puoi immaginare, non è stato facile. Devo dire che, nonostante la tristezza e la difficoltà del momento, e senza voler commentare la sentenza, cosa che non ho fatto neanche in quell’occasione, la proiezione del film mi ha fatto riflettere una volta di più sul grande valore che il sistema europeo di tutela dei diritti umani possiede anche per democrazie mature ed avanzate come la nostra, anche nell’ambito delle quali, disgraziatamente, delle derive sono sempre possibili.
Non bisogna poi dimenticare che la sentenza Cestaro ha portato all’approvazione da parte del nostro Parlamento della legge sulla tortura, che ha colmato una lacuna del nostro ordinamento che veniva denunziata da moltissimo tempo. So che da vari circoli la legge viene criticata come insufficiente, ma in ogni caso si tratta di uno sviluppo positivo, al quale non è certo che si sarebbe giunti senza questa decisione della Corte europea.
Sulle “extraordinary renditions” c’è stata una serie di sentenze della Corte di Strasburgo, a partire da quella della Grande Camera nel caso El Masri c. FYROM del 2012, sentenze delle quali si è molto parlato, anche se le conclusioni della Corte - che ha in genere constatato la violazione dell’art. 3 sotto il profilo sostanziale, appunto la tortura cui le vittime venivano esposte nei Paesi di destinazione, e processuale, come nel caso italiano a proposito dell’impossibilità di procedere alla punizione dei responsabili a causa delle norme sul segreto di Stato, dell’art. 5 sulla tutela della libertà personale, dell’art. 8 sulla tutela della vita privata e familiare e dell’art. 13 della Convenzione sul diritto ad un ricorso effettivo – non possono aver sorpreso nessuno, tanto essere erano per la verità scontate. Tutte sono state adottate all’unanimità.
L’ultima parte della tua domanda richiederebbe da parte mia un commento specifico alla sentenza che riguarda il caso italiano del rapimento dell’imam di Milano Abu Omar, cioè Nasr e Ghali c. Italia, commento dal quale ti chiederei di esonerarmi, avendo io partecipato a quest’ultima decisione. Mi limito a ricordare che anche questa sentenza è stata adottata all’unanimità, mentre quella della Corte costituzionale alla quale ti riferisci riflette una dicotomia tra il giudice relatore e quello redattore della sentenza, segno della difficoltà della decisione e della compresenza di opinioni diverse.
La tua domanda ha però una portata più ampia, che involge il rapporto tra la Corte di Strasburgo e le alte corti nazionali. Come ho già detto si tratta di un rapporto essenziale per il futuro del sistema. In questo quadro non solo il rispetto delle reciproche posizioni deve essere massimo, ma occorre disponibilità all’ascolto da entrambe le parti. Su questo permettimi di essere ottimista. Difficoltà ce ne saranno sempre, ma esse saranno superabili, se lo spirito di lealtà e di collaborazione, che indubbiamente esiste, ed è stato rafforzato dall’intensificarsi negli ultimi anni di molteplici attività di cooperazione, permarrà in futuro.
Esiste e se sì in che termini, un diritto alla verità nella Convenzione e nella giurisprudenza della Corte edu che consenta di derogare ad altri valori convenzionalmente protetti di fronte a temi di particolare rilevanza.
Il diritto alla verità è un tema che, specialmente negli ultimi tempi, è stato notevolmente dibattuto tra gli specialisti dei diritti umani. Esso è evocato dal preambolo e dell’art. 24 § 2 della Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone contro le sparizioni forzate, aperta alla firma a New York il 20 dicembre 2006, e trova riscontro in diverse pronunce di organi giurisdizionali o quasi-giurisdizionali internazionali, come il Comitato dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite.
La Corte di Strasburgo non ha evocato spesso il concetto di “diritto alla verità”, anche se vi è una sviluppatissima giurisprudenza sulla dimensione procedurale degli articoli 2 e 3 della Convenzione, giurisprudenza che stabilisce il diritto delle vittime di violenze o dei loro familiari ad un’inchiesta effettiva, condotta da autorità indipendenti rispetto a quelle implicate nei fatti e alla quale le vittime abbiano adeguato accesso, inchiesta che conduca all’accertamento dei fatti e alla punizione dei responsabili. La giurisprudenza precisa che si tratta di un’obbligazione di mezzi, non di risultato.
Proprio nel caso El Masri, che ho evocato nella risposta sulle extraordinary renditions, la Corte, che era stata invitata dalle parti intervenienti, specialmente l’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, ad esprimersi sul “diritto alla verità” al § 191 della sentenza, ha detto di voler esplicitamente trattare un aspetto dell’inadeguatezza dell’inchiesta che aveva fatto seguito ai fatti di quella vicenda, cioè il suo impatto, per l’appunto sul “diritto alla verità” a proposito delle circostanze di causa. A questo proposito, la Corte ha sottolineato “la grande importanza di questo ricorso non solo per il ricorrente e la sua famiglia, ma anche per le altre vittime di crimini simili e per l’opinione pubblica, che hanno il diritto di sapere cosa è successo”. È interessante notare come la Corte non si sia limitata ad affermare un diritto delle vittime della violazione denunciata, ma sia andata oltre, parlando di un diritto ad essere informati delle vittime di crimini simili e del “grand public”. In precedenza, la Corte era stata invitata da un terzo interveniente a farlo nel caso Varnava c. Turchia del 2009, relativo alle sparizioni forzate a Cipro del Nord dopo l’invasione turca del 1974, ma non aveva raccolto l’invito. Lo stesso si è verificato nel caso Janowiec c. Russia, del 2013.
Detto questo, non credo che il richiamo al diritto alla verità, almeno allo stato attuale di sviluppo della giurisprudenza della Corte, possa avere una valenza derogatoria rispetto ad altri valori convenzionalmente protetti, anche se, come ho detto, dalla sentenza El Masri emerge una notevole apertura, del resto coerente con la consolidata giurisprudenza della Corte, verso questo concetto.
4. La Corte edu, i populismi e le derive autoritarie
Come hai vissuto, nella Tua funzione di Presidente della Corte edu il periodo del fallito golpe turco, tra spinte ad interventi radicali della Corte edu evocate insistentemente ed esigenze correlate al rispetto delle garanzie interne?
Certamente un periodo molto difficile, che del resto non è ancora terminato. So bene che l’atteggiamento della Corte, che, sia pure nel rigore delle sue decisioni giurisdizionali, che spesso hanno concluso nel senso della violazione della Convenzione da parte della Turchia a causa delle straordinarie misure repressive adottate dopo il fallito golpe del 2016, ha continuato a “dialogare” con le autorità turche, è stato vivacemente criticato da vari circoli, turchi e non, che hanno accusato la Corte di una sorta di “connivenza” con un potere autoritario.
La storia dirà se la Corte si è comportata bene. Personalmente non posso che auspicare la più ampia libertà di commento e anche di critica alla prassi seguita dai giudici di Strasburgo.
So bene che certi circoli più radicali dell’opposizione al leader al potere in Turchia auspicavano, come dici tu, una presa di posizione più netta da parte della Corte, cioè una constatazione giurisprudenziale del fallimento della democrazia in Turchia. Secondo queste posizioni la Corte avrebbe dovuto affermare solennemente la mancanza di una giustizia indipendente in quel Paese.
Non spetta a me prospettare delle valutazioni politiche. Ma quale sarebbe stata la conseguenza di una tale affermazione? Una volta constatata l’assenza in Turchia di un apparato giurisdizionale indipendente, come avrebbe potuto il Comitato dei Ministri tollerare la presenza nell’organizzazione di uno Stato mancante dei requisiti statutari per la partecipazione al Consiglio d’Europa? La conseguenza sarebbe stata l’uscita della Turchia dal Consiglio d’Europa e dalla Convenzione europea. Sarebbe stato meglio per la popolazione turca?
Non voglio certo dire con questo che sono state considerazioni di questo genere a spingere la Corte verso posizioni che possono essere state ritenute “indulgenti” verso il regime turco, perché sono convinto che i giudici che sono intervenuti hanno sempre agito secondo scienza e coscienza, senza farsi condizionare da considerazioni più o meno politiche. Da osservatore oramai esterno alla Corte, penso però di poter dire che alla fine dei conti trattenere la Turchia nel sistema abbia servito meglio la causa dei diritti umani di quanto avrebbe potuto fare la sua espulsione.
Il rischio di derive autoritarie all'interno dei Paesi europei e il ruolo della Corte edu. Cosa possiamo o dobbiamo attendere dal giudice dei diritti umani?
È un tema estremamente importante e delicato. Non dobbiamo mai dimenticare che la libertà e la democrazia non sono acquisite per sempre, ma occorre quotidianamente operare per preservarle.
Nel mio ultimo discorso inaugurale dell’anno giudiziario della Corte, tenuto nel gennaio dello scorso anno, ho notato un segnale preoccupante, e cioè l’aumento dei casi di violazione dell’art. 18 della Convenzione. L’art. 18 riguarda l’abuso da parte degli Stati delle limitazioni ai diritti previste dalla Convenzione, cioè i casi nei quali certi Stati procedono a incidere su di un diritto individuale, per esempio arrestando una persona sulla base di accuse penali pretestuose, accuse che in realtà celano l’intenzione di colpire un avversario politico. Ebbene, nel discorso notavo che da quando la Convenzione era entrata in vigore la Corte aveva constatato la violazione dell’art. 18 in dodici casi. Ora, ben cinque di questi dodici casi si riferivano a sentenze pronunciate nel solo 2018.
Questi segnali, come anche la pressione sul principio dell’indipendenza della magistratura, cardine dello Stato di diritto – che emerge per esempio dalla serie di sentenze, alle quali mi riferivo prima, emesse recentemente dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nei confronti della Polonia – devono indurre alla massima vigilanza.
5. La Corte edu e le Corti nazionali
Il giudicato nazionale contrario alla sentenza della Corte edu in ambito civile e amministrativo: la posizione inaugurata dal Corte cost.n.123/217 costituisce per Te una soluzione appagante?
So che il tema ti sta a cuore, perché ho letto il tuo bel commento alla sentenza n. 123 del 2017. Credo che la Corte costituzionale abbia fatto tutto quello che poteva, indirizzando un monito sia al legislatore sia alla Corte di Strasburgo.
Dopo la coraggiosissima sentenza n. 113 del 2011, che ha introdotto per via di giurisprudenza costituzionale la possibilità di revisione delle sentenze penali in seguito alla constatazione di serie violazioni della Convenzione europea, la Corte costituzionale ha confermato l’esigenza, che era stata indicata dal giudice rimettente, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, di un meccanismo volto a permettere, nelle stesse circostanze, la revisione di sentenze non penali, ma ha affermato allo stesso tempo di non poter provvedere con una sentenza additiva, vista la necessità di tener conto di tutti gli interessi in gioco, in primo luogo quelli delle parti processuali rimaste estranee alla procedura giurisdizionale europea, per cui è necessario un intervento del Parlamento, che è stato esplicitamente invitato a legiferare.
Dal canto suo, penso che la Corte di Strasburgo trovi assolutamente pertinente l’invito della Corte costituzionale a favorire la partecipazione alla procedura europea delle parti della procedura nazionale diverse dal ricorrente, cosa che del resto corrisponde già alla sua prassi.
Proporzionalità e ragionevolezza. La “corsetta” vietata al tempo del Covid-19 ha riacceso un dibattito fra operatori e gente comune anche in ragione dell’invocato principio di precauzione. Espressioni che sembrano evocare alcun dei parametri della CEDU e della Costituzione. Quanto sono uguali e quanto sono, secondo Te, diversi e quanto il giudice comune può ad essi ispirarsi nell’esercizio delle sue funzioni?
Non credo che vi siano sensibili differenze tra le due Carte. Nell’applicazione quotidiana delle norme da parte del giudice “comune”, per usare l’espressione impiegata dalla nostra Corte costituzionale, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo sulla proporzionalità delle misure limitative dei diritti può essere particolarmente utile perché, a differenza di quella della Corte costituzionale, origina da casi concreti.
Il dialogo fra le Corti: una realtà, un bluff o un’opportunità che va sperimentata in concreto? Il Protocollo n.16 sarà mai reso esecutivo in Italia?
Sulla sorte del Protocollo n. 16 in Italia non mi azzardo a fare previsioni. Ho accompagnato il Primo Presidente Mammone, lo scorso gennaio, in occasione della sua audizione da parte della Commissione parlamentare presso la quale pende il DDL di ratifica del Protocollo, e ho avuto modo di prendere la parola esprimendo, come lui stesso, il mio parere assolutamente favorevole alla ratifica. Nello stesso senso si è recentemente espresso, autorevolmente, tra gli altri, il Prof. Ruggeri. So che ci sono opinioni diverse.
Come ho detto in tante altre occasioni, per me il dialogo tra le Corti è tutt’altro che un bluff. Direi anzi che è l’unica speranza per il sistema messo in piedi dalla Convenzione europea nel 1950. Al numero eccessivo di ricorsi ho già accennato.
È teoricamente possibile, ma realisticamente improbabile, che gli Stati contraenti dotino la Corte di risorse tali da risolvere il problema dell’arretrato. Personalmente non credo che questa sia la soluzione. Il fatto è che, specie da alcuni Paesi, tra i quali purtroppo c’è il nostro, arriva alla Corte un numero di ricorsi non manifestamente inammissibili tale da rivelare un funzionamento difettoso dello Stato di diritto e quindi, in altre parole, un livello non soddisfacente di applicazione della Convenzione all’interno del sistema nazionale.
Occorre quindi migliorare tale livello, e l’unica strada – a parte la necessità, in certi casi, di investimenti nel settore della giustizia – è quella della collaborazione delle corti nazionali con la Corte di Strasburgo, e quindi del loro coinvolgimento, anche psicologico, nella missione di applicare la Convenzione, missione per la quale vi è una responsabilità condivisa tra il livello nazionale e quello europeo.
Intendiamoci, dialogo non significa obbedienza cieca dei giudici nazionali ai dicta di Strasburgo. Al contrario, anche la Corte di Strasburgo deve essere all’ascolto dei giudici nazionali e del loro eventuale motivato dissenso, al quale deve essere data adeguata risposta.
Per queste ragioni personalmente ho assegnato al progetto di Rete delle corti superiori europee della Corte di Strasburgo un’alta priorità nel corso del mio mandato di Presidente e sono molto lieto che lo stesso sia stato fatto dal mio successore immediato, il Presidente Sicilianos. Per le stesse ragioni auspico che il Protocollo n. 16, che è già in vigore sul piano internazionale, e che istituzionalizza, per così dire, questa collaborazione, sia ratificato il più largamente possibile, anche dal nostro Paese.
6. La Corte edu e il Giudice Raimondi
Hai cessato da poco le funzioni presso la Corte europea dei diritti dell’uomo. Un giudice italiano designato dall’Italia, eletto dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa e poi eletto Presidente dai giudici della Corte. Te lo aspettavi?
Certamente no. Naturalmente, a parte la ovvia gratificazione personale, la stima dei miei colleghi, che si è manifestata già con la mia elezione a vice-Presidente della Corte poco più di due anni dopo il mio arrivo a Strasburgo, poi con l’elezione, e anche la rielezione, a Presidente, mi ha fatto particolarmente piacere in quanto segno di considerazione per il nostro Paese e per la qualità del suo “prodotto” giuridico.
Nessuno conosce meglio della Corte di Strasburgo, inondata di ricorsi italiani in tema di eccessiva lunghezza del processo, le difficoltà del nostro sistema giudiziario, da moltissimo tempo afflitto da una grave crisi di efficienza. Allo stesso tempo, però, ho potuto notare l’apprezzamento sincero dei miei colleghi sia per l’alto livello tecnico delle sentenze delle nostre giurisdizioni, specie quelle superiori, sia per la dottrina italiana, considerata battistrada e guida scientifica in tanti settori del diritto.
Quanto ti manca la Corte europea, il modo di lavorare, i rapporti con i tuoi colleghi?
L’esperienza di giudice a Strasburgo è certamente unica. La ricchezza di stimoli, anche culturali, che promana dalla frequentazione di tanti colleghi provenienti non solo da aree geografiche, ma da percorsi professionali diversissimi tra loro, non ha eguali.
Naturalmente, pur trattandosi di un corpo relativamente ristretto, formato da 47 persone, non c’erano frequentazioni intense con tutti i colleghi al di là delle occasioni di lavoro. Rapporti più stretti, come è naturale, si stringevano all’interno delle sezioni. C’era poi ogni lunedì sera una cena tenuta in un ristorante, la “Petite Mairie”, aperta a tutti in linea di principio, ma che di fatto vedeva la partecipazione di soli colleghi francofoni, una minoranza relativamente esigua. Ricordo queste cene, nelle quali si parlava di tutto, dalla letteratura, al teatro, al cinema, all’arte, alla politica, con una certa nostalgia. Poi c’era (e c’è) il “Gruppo di riflessione”, un’iniziativa molto felice. Si tratta di una forma di utilizzazione della “pausa pranzo” (dalle 12 alle 14) mediante una colazione, alla quale sono invitati a partecipare tutti i giudici (e solo i giudici), ciascuno dei quali paga per sé. L’evento si tiene circa una volta al mese e c’è un comitato scientifico che programma gli interventi e seleziona gli argomenti da trattare. Alle 12.30, terminato il pasto, uno dei colleghi tiene una relazione su un tema d’interesse e si apre poi un dibattito totalmente libero. I temi riguardano spesso, ovviamente, questioni delle quali i giudici si occupano quotidianamente, ma non solo. Ricordo che in una delle occasioni nelle quali sono stato invitato a fungere da relatore mi hanno chiesto di parlare della dottrina italiana di diritto internazionale.
7. Riapprodo in Corte di Cassazione
Il Tuo ritorno al giudiziario nazionale. Affinità o diversità di approccio?
Idealmente mi sono sempre sentito parte della Corte di cassazione, che avevo lasciato nel 2003, dopo quasi sei anni, trascorsi in gran parte alla Procura generale e in misura minore alla sezione tributaria, che era stata istituita un paio d’anni dopo il mio arrivo nel 1997.
Questo naturalmente non era sufficiente a farmi sentire assolutamente tranquillo quanto alla mia possibilità di riprendere a Piazza Cavour con un heri dicebamus, dopo un’assenza di 16 anni, periodo durante il quale c’era stato un ricambio quasi completo dei magistrati della Corte e riforme numerose e profonde avevano modificato sensibilmente i metodi di lavoro.
Per questo, come ho detto in uno scritto recente pubblicato su questa rivista in occasione della jubilación di Vincenzo Di Cerbo, Presidente titolare della Sezione lavoro - Tra Roma e Monaco di Baviera, un grande giudice: Vincenzo Di Cerbo - sono particolarmente grato a lui e a tutti i colleghi di questa Sezione, che mi hanno accolto fraternamente e mi hanno fatto subito sentire di nuovo a casa, accordandomi immediatamente credito e fiducia nelle mie capacità di rimettermi al passo. Devo dire che il mio lavoro alla Sezione mi dà grandissime soddisfazioni, professionali e umane, e devo confessare che vedo con un certo timore approssimarsi il traguardo del limite di età…
8. Dove va la Corte edu presieduta da Robert Spano?
Il giudice Robert Spano è stato da poco eletto presidente della Corte edu. Cosa puoi dirci avendo lavorato con lui?
Con Robert Spano c’è sempre stato un rapporto speciale. A parte la grandissima stima professionale che ho sempre nutrito per questo giovane e brillantissimo giurista, che a poco più di quarant’anni, quando è arrivato alla Corte, era stato magistrato, professore universitario e Preside della Facoltà di giurisprudenza, nonché Ombudsman del suo Paese, pubblicando scritti di esemplare chiarezza che rivelavano una notevole profondità di pensiero, non bisogna dimenticare la nostra comune origine napoletana, un po’ attenuata per lui, nato e cresciuto a Reykjavík, ma pur sempre di padre vomerese.
Robert è certamente un giudice che crede sinceramente al sistema della Convenzione, anche se, ed è a mio sommesso avviso un gran bene, non è un militante dei diritti umani. Credo quindi che il suo equilibrio e le sue grandi qualità professionali, che lo rendono assolutamente credibile sia presso i Governi sia presso i ricorrenti, accompagneranno con successo la Corte nel tempo del suo mandato di Presidente.
In conclusione, quale ruolo sarà chiamata a svolgere la Corte edu nei prossimi anni, secondo la tua esperienza?
La mia speranza è che si alleggerisca finalmente, grazie ad una migliore cooperazione dei giudici nazionali, il carico di ricorsi che attualmente grava sulla Corte, in modo che ad essa venga consentito di concentrarsi sullo sviluppo e sull’affinamento della sua giurisprudenza, che, in quanto sintesi dei valori fondamentali minimi che devono valere per l’intero continente europeo, continui a rappresentare una guida autorevole per le giurisdizioni dei Paesi contraenti.
La condivisione di tali valori, in una con la garanzia assicurata dal giudice europeo, è la più solida assicurazione del perpetuarsi della democrazia, dello Stato di diritto e della tutela dei diritti umani. Credo che si tratti di una prospettiva realistica, le chiavi del cui successo, per quanto dicevo prima, si trovano nelle mani delle corti nazionali, specialmente quelle costituzionali e supreme, giacché tutto dipende dalla misura e dalla lealtà della loro collaborazione con la Corte di Strasburgo.
Grazie
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