L'oralità (ir)rinunciabile nel processo penale
di Sandra Recchione
Sommario: 1. Il processo da remoto e l’oralità rinunciabile; - 2. Il dibattimento, luogo di elezione dell’oralità; - 3. L’oralità irrinunciabile; - 4. Il diritto dell’eccezione; - 5. Una occasione per riflettere sul degrado dell’oralità.
1. Il processo da remoto e l’oralità rinunciabile
Il dibattito acceso sul diritto dell’eccezione e, segnatamente sul processo senza oralità diretta o “da remoto” induce a chiedersi se, e quando, l’oralità “diretta” sia irrinunciabile.
Domanda tanto più rilevante ed attuale dopo l’intervento normativo effettuato dal D.l. n. 28 del 2020 che consegna alle parti la facoltà di celebrare “da remoto” le udienze di discussione e quelle nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti e periti (art 83, comma 12 bis d.l. n. 18 del 2020 come riformato dal d.l. n. 28 del 2020)[1].
Partiamo da una prima banale osservazione: l’oralità nella “formazione della prova” si disperde visibilmente nel corso della progressione processuale: in appello è limitata ai casi in cui si dispone la rinnovazione ed in cassazione è assente.
Diversa è la sorte dell’oralità nella “discussione” che caratterizza, invece, tutti i gradi di giudizio.
La discussione è il momento in cui i difensori ed il pubblico ministero, anche facendo ricorso alle loro abilità retoriche, offrono al giudice la loro valutazione sulla legittimità ed efficacia dimostrativa delle prove. Le parti confidano molto (forse troppo) in questo momento “persuasivo”.
Va detto che la rilevanza della discussione si attenua nel corso della progressione processuale: una brillante disamina orale non sana infatti eventuali deficienze degli atti scritti di impugnazione.
L’atto di appello, per esempio, è decisivo. Ed è scritto.
Un appello aspecifico, oltre a rischiare di essere dichiarato inammissibile non perimetra l’area del devoluto e si ripercuote negativamente sulle possibilità di successo dell’ultima impugnazione dato che interrompe la catena devolutiva ed impedisce la rilevazione in sede di legittimità dei vizi non dedotti e non rilevabili ex officio.
Un processo (proclamato come) orale ed immediato è, invero, visceralmente legato alla qualità degli atti scritti che determinano la progressione e sotto il profilo probatorio si cartolarizza inesorabilmente nel corso della progressione con le poche finestre riservate alla rinnovazione in appello.
2. Il dibattimento, luogo di elezione dell’oralità
Il luogo di elezione dell’oralità sembra invece essere il dibattimento di primo grado: è lì si sviluppa la cross examination nell’esame dei testimoni, dei periti e dei consulenti tecnici e si esprime a pieno il progetto accusatorio nella formazione in contraddittorio della prova.
Ma quanta di tale oralità è davvero irrinunciabile? Quanta di tale oralità contribuisce davvero a fornire al giudice la prova epistemologicamente più affidabile per la decisione?
I dibattimenti spesso sono il teatro del fallimento del progetto accusatorio.
La maggior parte dei testimoni viene infatti udito a distanza di tempo dai fatti: gli ufficiali di polizia sono spesso autorizzati a leggere gli atti (che non ricordano); i sanitari che leggono i referti (che non ricordano). Anche i periti spesso leggono le loro relazioni; mentre i testi semplici sono tempestati di contestazioni perché, anche loro, a distanza di tempo dai fatti non ricordano.
Il tutto si svolge non in una sola udienza, o in poche udienze ravvicinate, come da progetto accusatorio, fondato sui principi di oralità ed immediatezza: per un processo medio in genere si celebrano almeno otto-dieci udienze che si sviluppano in un arco temporale di circa un anno.
E’ sempre oralità necessaria? Forse no.
3. L’oralità irrinunciabile
Ma una oralità irrinuciabile esiste e va difesa. Con forza.
L’oralità che non si rinuncia è quella che si esprime nell’esame dei testi decisivi: nell’esame del perito sulle parti della relazione poco comprensibili o contestate dai tecnici di parte; degli ufficiali di polizia giudiziaria sulle parti non chiare o incomplete degli atti che hanno stilato; dei sanitari sui dati non refertati, ma rilevanti (come ad esempio le condizioni psichiche della persona curata).
A ben guardare non tutto il compendio dichiarativo è ad “oralità irrinunciabile” ed anche le prove tecnico scientifiche (talvolta) possono prescindere dall’esame orale, quando gli esiti e le relazioni scritte sono chiari (si pensi agli esami sulla sostanza stupefacente).
A ciò si aggiunge un dato che segnala una vera e propria mutazione genica del processo: la maggior parte delle prove ad oralità irrinunciabile, ovvero quelle dei testi “coinvolti nel fatto”, sia come vittime che come imputati di reato connesso o collegato, vengono raccolte prima e fuori dal dibattimento, in incidente probatorio. La capsula incidentale è diventata infatti la sede privilegiata per la raccolta della prova dichiarativa decisiva. Ed anche di quella scientifica. Con buona pace dell’immediatezza; ma con salvezza dell’oralità.
L’anticipazione del contraddittorio orale nella raccolta di queste prove decisive incide non solo sulle valutazioni “processuali”, ma anche su quelle procedimentali in ordine all’esercizio dell’azione penale (si pensi ad un incidente probatorio peritale in un processo per colpa medica o relativo ad un infortunio sul lavoro).
Ebbene: nella capsula incidentale le prove dichiarative che spesso vengono assunte con forme di oralità “attenuata”: perché i testi sono vulnerabili e sono protetti dal contatto con le parti dal vetro specchio o perché i dichiaranti sono collaboratori di giustizia uditi a distanza con le forme previste dall’art. 146 bis disp. att. cod. proc. pen.
La dispersione dell’immediatezza viene tuttavia spesso bilanciata dal ricorso a forme di documentazione aggravata come la videoregistrazione che rende l’evento testimoniale a “fruibilità permanente” anche i contenuti extraverbali dell’esame.
La prova decisiva, dunque, nella maggior parte dei casi si assume prima del dibattimento ed in modo “distanziato”, attraverso una parziale compressione dell’oralità ed una totale dispersione dell’immediatezza.
Lo stesso principio di oralità è, peraltro, sottoposto a vistose fibrillazioni interpretative: la Corte costituzionale con due sentenze emesse a distanza di pochi mesi la ritiene irrinunciabile in caso di riedizione della testimonianza in appello[2] e rinunciabile nel caso di mutazione del collegio[3]. Le sezioni Unite hanno rivisitato l’art. 525 cod. proc. pen. offrendo una inedita lettura dell’ obbligo di rinnovazione del dibattimento in caso di mutazione del collegio, di fatto affidando alle parti l’onere di allegare le ragioni per la irrinunciabilità della reiterazione degli esami di fronte al nuovo collegio[4][5].
4. Il diritto dell’eccezione
Se questo è lo stato dell’arte la discussione sull’oralità a distanza poterebbe assumere toni diversi ed essere l’occasione per rivalutare l’oralità essenziale. E, indirettamente, anche di salvaguardare l’immediatezza, annichilita da tempi processuali biblici, e da udienze frazionate che, di fatto, trasformano le prove “orali” in prove “di carta”, dato che al momento della decisione il giudice rileggerà i verbali di prove assunte molto tempo prima e che non ricorda più. Immediatezza che potrebbe risorgere se si ideasse una architettura processuale ad oralità variabile.
Forse per dare attuazione al mandato costituzionale accusatorio bisogna avere il coraggio di “isolare” e difendere l’oralità decisiva rinunciando alle “parate” formali di testi e periti che nulla aggiungono agli atti scritti e che erodono l’effettività del diritto al contraddittorio orale subdolamente trasformando in processi di carta anche i processi di primo grado.
Insomma: il processo ad “oralità variabile” che difenda e valorizzi il contraddittorio nella formazione della prova decisiva potrebbe essere la risposta al conclamato fallimento del dibattimento.
L’adesione a tale prospettiva selettiva richiederebbe un esame accurato delle fonti predibattimentali che conduca anche alla identificazione delle prove critiche ed incerte, oltre che di quelle “fisiologicamente” decisive. Alle parti sarebbe richiesto un atteggiamento processuale “direttivo” e non passivo funzionale alla trasformazione del dibattimento da “defatigante e formale” in “irrinunciabile e decisivo”.
Sarebbe importante inoltre - si ritiene sommessamente - che le prove orali siano sempre documentate in forma aggravata (ovvero con la videoregistrazione) in qualunque fase siano raccolte, dunque anche in dibattimento. La videoregistrazione renderebbe infatti la comunicazione extraverbale ed il contegno del dichiarante a “fruibilità permanente” e consentirebbe di contenere le rinnovazioni riservandole ai soli casi in cui nel corso della prima audizione vi siano contenuti (testimoniali o tecnici) incerti o inesplorati.
5. Una occasione per riflettere sul degrado dell’oralità
Tornando al diritto dell’eccezione: per il legislatore del Covid quello che è disponibile non è l’oralità tout court, che continua ad essere garantita (tranne che nel processo in Cassazione), ma l’oralità diretta, non distanziata, quella che si ottiene con la presenza in aula.
L’alternativa proposta dal legislatore del Covid, e rimessa al consenso delle sole parti[6], non è, infatti, tra processo di carta e processo orale ma tra processo ad oralità remotizzata e processo ad oralità piena. Il “salto” verso la cartolarizzazione consensuale è stato invero compiuto solo per il rito della cassazione (art. 83 comma 12 ter del D.l. n. 18 del 2020 convertito con modificazioni dalla legge n. 27 del 2020): passaggio facilitato dal fatto che il processo in quella fase è già “di carta” e residua uno spazio orale solo per la discussione, che, nella prassi, spesso si risolve in un formale rinvio ai motivi del ricorso.
Si tratta di diritto dell’eccezione. Nessuno si augura che diventi regola[7]. Se non altro per tornare a celebrare con continuità (e devozione) la liturgia dell’udienza che giustifica con le “forme” la (terribile, se si percepisce) sovrapposizione della realtà processuale a quella reale, e la rinnovata accettazione collettiva della convenzione secondo cui giustizia è amministrata dagli uomini, per gli uomini.
Tuttavia il Covid ci ha imposto di ragionare sulle oralità irrinunciabili, su quelle salvaguardabili in forma attenuata (da remoto) e su quelle inutili.
Resta fermo, ed in questo si condividono pienamente le osservazioni di G. Santalucia[8], che il diritto dell’eccezione non può incidere in via permanente sulla regola: si tratta di un diritto “temporaneo” che non può ambire ad alcuna stabilizzazione[9].
Tuttavia la scelta di prevedere che le parti possano scegliere di rinunciare all’oralità piena per scegliere l’oralità telematica o addirittura, in Cassazione, il processo “di carta” ha condotto a riflettere su quanta oralità sia irrinunciabile. E non per deprivare il processo e farlo regredire a stadi inquisitori, ma per valorizzare davvero l’oralità decisiva, quella davvero irrinunciabile. Quella sulle prove-cardine, che oggi vengono assunte senza essere “isolate” e rischiano di essere travolte ed “oscurate” da dibattimenti interminabili e defatiganti, nei quali l’oralità diffusa offusca e disperde quella necessaria.
Forse è arrivato il momento di chiedersi se la salvaguardia cieca ed acritica della oralità sia davvero una garanzia o se, invece, difendendo l’oralità diffusa si incida negativamente sulle pretese delle parti, disperdendo l’immediatezza ed elidendo di fatto la essenziale dimensione orale delle prove decisive, che valutate a distanza di molto tempo rispetto a quando sono state assunte, saranno paradossalmente esaminate su carta, attraverso la lettura dei verbali.
Si tratta di una riflessione che potrebbe condurre ad un miglioramento del processo se la tensione ideale per la tutela del progetto costituzionale si orientasse verso la massima valorizzazione della oralità nella assunzione delle prove decisive, e verso la diffusione della videoregistrazione.
In sintesi, se tale tensione si indirizzasse verso la ridefinizione di un processo “gestito” dalle parti e non “subito” come un ineluttabile ed, a tratti, inutile dispiegarsi di episodi di oralità formale.
Un’ultima notazione: le “rinunce” all’oralità non dovrebbero (come scelto dal Legislatore del Covid) essere mai sottratte al controllo del giudice, che può avere bisogno del contatto diretto con la prova, come anche della discussione orale. Al giudice deve essere infatti riservata l’ultima parola sulla sufficienza della “prova di carta” e deve potere “accendere” il processo ogni volta che ritiene l’oralità indispensabile, anche se le parti vi rinunciano.
Forse la immane tragedia del Covid ci porterà a progettare un processo gestito, pensato e non subito. Vedremo.
[1] Sul diritto processuale dell’eccezione v. G. Santalucia, “L’impatto sulla giustizia penale dell’emergenza da Covid 19: affinamenti delle contromisure legislative – note a prima lettura del d.l. n. 18”, in questa rivista 18 marzo 2020; nonché dello stesso autore “La giustizia penale di fronte all’emergenza da epidemia da Covid 19 (brevi note sul d.l. n. 11 del 2020, in questa rivista, 9 marzo 2020.
[2] Corte cost. n. 124 del 2019.
[3] Corte cost. n. 132 del 2019.
[4] Secondo le Sezioni unite l'intervenuto mutamento della composizione del giudice attribuisce alle parti il diritto di chiedere sia prove nuove sia, indicandone specificamente le ragioni, la rinnovazione di quelle già assunte dal giudice di originaria composizione, fermi restando i poteri di valutazione del giudice di cui agli artt. 190 e 495 cod. proc. pen. anche con riguardo alla non manifesta superfluità della rinnovazione stessa (Sez. U, n. 41736 del 30/05/2019 - dep. 10/10/2019, PG C/ BAJRAMI KLEVIS, Rv. 276754).
[5] Tra i commenti si segnalano Mangiaracina Annalisa, Mutamento della persona fisica del giudice e rinnovazione del dibattimento. (Immutabilità del giudice versus efficienza del sistema: il dictum delle Sezioni Unite), in Processo Penale e giustizia, 2020, 1, p. 136; nonché Galluccio Mezio Gaetano-Caligaris Anna, “Sezioni unite e ideale accusatorio: una relazione in crisi. (Galluccio Mezio Gaetano) - Quando l'immediatezza soccombe all'efficienza: un discutibile (ma annunciato) sviluppo giurisprudenziale in tema di rinnovazione del dibattimento per mutamento del giudice. (Caligaris Anna), in Cass. Penale, 2020, 3, sez. 2, 1030.
[6] V. G. Santalucia, decreto legge 30 aprile 2020 n. 28, in questa Rivista, 1 maggio 2020.
[7] Sulla transitorietà della disciplina e i rischi di snaturamento del processo v. G. Santalucia, “La tecnica al servizio della giustizia penale. Attività giudiziaria a distanza nella conversione del decreto “cura italia”, in questa rivista, 10 aprile 2020. V. anche C. Intrieri “La tecnologia nel processo penale e “l’abbaglio della normalità” in questa rivista 13 maggio 2020.
[8] G. Santalucia, “La tecnica al servizio della giustizia penale. Attività giudiziaria a distanza nella conversione del decreto “cura Italia”, cit., § 8.
[9] Sulla natura temporanea del diritto dell’eccezione v. T. Epidendio “il diritto nello “stato di eccezione” ai tempi dell’epidemia del coronavirus, in questa Rivista, 30 marzo e 19 aprile 2020,