ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Postilla a La giustizia di fronte all’emergenza Coronavirus. Le misure straordinarie per il processo amministrativo.
Fabio Francario
Si segnala che il parere reso dal Consiglio di Stato nell’Adunanza della Commissione speciale del 10 marzo 2020 esclude che il richiamo dell’art. 54 d lgs 104/2010 da parte dell’art. 3 del dl 11/2020 comporti una vera e propria sospensione dei termini processuali nel periodo che va dall’entrata in vigore del dl 11/2020 al 22 marzo 2020. La Commissione si è espressa infatti nel senso che “il periodo di sospensione riguardi esclusivamente il termine decadenziale previsto dalla legge per la notifica del ricorso (artt. 29, 41 c.p.a.)” e non anche gli altri termini endoprocessuali. La conclusione viene raggiunta muovendo dalla duplice considerazione che “con precipuo riguardo al termine per il deposito del ricorso (art. 45 c.p.a.) e soprattutto a quelli endoprocessuali richiamati dal già citato art. 73, comma 1, c.p.a., non si ravvisano le medesime esigenze che hanno giustificato la sospensione delle udienze pubbliche e camerali perché trattasi di attività che il difensore può svolgere in via telematica e senza necessità di recarsi presso l’ufficio giudiziario. Non appare esservi, dunque, alcun pericolo per la salute dei difensori né si moltiplicano le occasioni di contatto sociale e dunque le possibilità di contagio” ; e che “se la rapida diffusione dell’epidemia giustifica pienamente il rinvio d’ufficio delle udienze pubbliche e camerali, disposto dal decreto nel periodo che va dall’8 al 22 marzo 2020, allo scopo di evitare, nei limiti del possibile, lo spostamento delle persone per la celebrazione delle predette udienze, nonché la trattazione monocratica delle domande cautelari (salva successiva trattazione collegiale), sempre allo scopo di evitare lo spostamento delle persone e la riunione delle stesse all’interno degli uffici giudiziari, non sembra reperirsi adeguata giustificazione, invece, per la dilatazione dei termini endoprocessuali”. Secondo il Consiglio di Stato, in buona sostanza, non si tratta affatto di un’applicazione eccezionale dell’istituto della sospensione dei termini processuali contemplato dall’art 54 del d lgs 104/2010, ma di una sospensione del solo termine per la notifica del ricorso giustificata da una ratio normativa che si prefigge di evitare gli spostamenti delle persone e la loro riunione presso gli uffici giudiziari.
Al riguardo si segnala altresì che le disposizioni di coordinamento dettate dal Presidente del Consiglio di Stato con il decreto 71 del 10 marzo 2020 precisano che “trattasi di avallo esegetico che, seppur autorevole, non ha efficacia cogente per i giudici chiamati a decidere sul caso concreto, sicchè non può che confidarsi, al fine di una effettiva, pronta e corale reazione alla diffusione epidemiologica che non sacrifichi oltremodo l’efficienza e la capacità di risposta del sistema giudiziario amministrativo, in un atteggiamento pienamente collaborativo dell’avvocatura e dei singoli avvocati che si traduca in una sostanziale rinuncia ad avvalersi, per quanto concerne il deposito telematico degli atti defensionali di cui all’art. 73, comma 1, c.p.a., della sospensione di cui all’art. 3 comma 1 del DL 11/2020”.
Si riporta di seguito il testo del parere.
La giustizia di fronte all’emergenza coronavirus. Le misure straordinarie per il processo amministrativo.
Fabio Francario
Sommario: 1. Premesse - 2. Sospensione dei termini processuali - 3. Rinvio ex lege o con disposizione presidenziale della trattazione dei ricorsi e delle domande cautelari - 4. Possibilità di trattazione, a richiesta e comunque senza discussione in camera di consiglio, delle istanze cautelari durante il periodo di sospensione dei termini processuali - 5. Trattenimento in decisione di ricorsi e domande cautelari senza discussione in udienza pubblica o camerale, salvo che non venga espressamente chiesta anche da una sola delle parti e con possibilità di collegamento da remoto - 6. Peculiari modalità di deposito di atti e documenti
1. Premesse
Il decreto legge 8 marzo 2020 n. 11 prevede misure straordinarie e urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria anche con specifico riferimento al processo amministrativo.
Le disposizioni che interessano il processo amministrativo sono recate dall’art. 3.
In deroga alla disciplina generalmente dettata dal d. lgs. 104/2010., le nuove norme introducono misure che nel loro complesso prevedono:
-la sospensione dei termini processuali;
-il rinvio ex lege o con disposizione presidenziale della trattazione dei ricorsi e delle domande cautelari;
-la possibilità di trattazione, a richiesta e comunque senza discussione in camera di consiglio, delle istanze cautelari durante il periodo di sospensione;
-il trattenimento in decisione di ricorsi e domande cautelari senza discussione in udienza pubblica o camerale, salvo che non venga espressamente chiesta anche da una sola delle parti e con possibilità di collegamento da remoto;
-peculiari modalità di deposito di atti e documenti.
2. Sospensione dei termini processuali.
La prima misura introdotta consiste nella sospensione dei termini processuali nel periodo compreso tra l’8 marzo 2020, data di pubblicazione in GU del decreto, e il 22 marzo 2020. La sospensione dei termini processuali è generalmente disciplinata, con riferimento al periodo feriale, dall’art 54 deld lgs. 104/2010, al quale fa rinvio il comma 1, primo cpv, dell’art 3. La disciplina generale della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, in ragione del principio di effettività della tutela giurisdizionale e, con esso, della esclusione della possibilità di ammettere soluzione di continuità nella tutela cautelare, esclude che la sospensione si applichi anche ai procedimenti cautelari (art 54, comma 3, cod. proc. amm.). In linea con il suddetto principio generale, il decreto legge 11/2020 prevede che la tutela cautelare rimanga fruibile anche nel periodo di sospensione dallo stesso introdotto, sebbene soltanto nella forma del rito monocratico di cui all’art 56 d. lgs 104/2010 (v. infra).
Nessun particolare problema si pone per i termini che si pongono ad es. per la notifica o il deposito del ricorso. Questi s’interrompono e riprenderanno a decorrere al termine del periodo di sospensione.
Il problema sussiste invece per i termini che, calcolati a ritroso da un’udienza già fissata dopo la scadenza del periodo di sospensione, verrebbero a scadere durante il periodo della sospensione, ad es. per il deposito memorie e documenti. In tal caso, infatti, differentemente dall’ipotesi generale della sospensione feriale, le parti non hanno previamente avuto contezza dell’esistenza del periodo di sospensione e sarebbero nell’impossibilità di compiere quelle attività processuali i cui termini sarebbero già scaduti. Il problema dovrebbe trovare soluzione nell’esercizio del potere presidenziale di riordino dei calendari e dei ruoli d’udienza previsto dal successivo comma 2 (v. infra) e comunque nella facoltà di chiedere la rimessione in termini contemplata dal comma 7 con riferimento all’esercizio del suddetto potere presidenziale. Ove l’udienza non sia già stata rinviata d’ufficio, l’istanza di rimessione potrebbe infatti determinarne anche il rinvio al fine di consentire il rispetto del contraddittorio.
3. Rinvio ex lege o con disposizione presidenziale della trattazione dei ricorsi e delle domande cautelari
Dal momento che la sospensione dei termini processuali viene introdotta con riferimento ad un periodo in cui risultano già fissate udienze pubbliche e camerali (tanto cautelari, quanto dei riti speciali), il primo comma dell’art 3, al secondo cpv, ne dispone il rinvio “d’ufficio a data successiva al 22 marzo 2020”. Come chiarisce il Comunicato del 9 marzo dell’ “Ufficio stampa e comunicazione istituzionale della giustizia amministrativa”, si tratta di una “misura drastica ma necessaria al fine di consentire su tutto il territorio nazionale comportamenti coerenti con gli obbiettivi di contenimento del virus in questa prima fase in cui ci si attende il picco epidemiologico” e volta ad ottenere che “nessuna udienza sarà celebrata”. Il rinvio viene disposto ex lege per le udienze già calendarizzate fino al 22 marzo, ivi comprese le camere di consiglio previste per la discussione delle domande cautelari, che, a richiesta della parte, potranno essere eventualmente esaminate soltanto ai sensi dell’art. 56d.lgs 104/2010.
L’art 3 prevede poi che i presidenti titolari delle sezioni del Consiglio di Stato, il presidente del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana e i presidenti dei tribunali amministrativi regionali e delle relative sezioni staccate possano adottare “linee guida vincolanti per la fissazione e la trattazione delle udienze coerenti con le eventuali disposizioni dettate dal Presidente del Consiglio di Stato” e possano altresì disporre il rinvio delle udienze “a data successiva al 31 maggio 2020, assicurando in ogni caso la trattazione delle cause rinviate entro la data del 31 dicembre 2020 in aggiunta all’ordinario carico programmato delle udienze fissate e da fissare entro tale data”. I rinvii a mezzo dei suddetti decreti presidenziali a data successiva al 31 maggio vanno comunque disposti dopo avere sentito sia l’autorità sanitaria regionale che il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati della città ove ha sede l’Ufficio e, differentemente dal rinvio disposto ex lege per le udienze calendarizzate fino al 22 marzo, in tal caso non riguarda le udienze camerali per le domande cautelari e i ricorsi elettorali, che potranno svolgersi secondo le modalità indicate dal successivo comma 4. Analoga possibilità è prevista per le cause rispetto alle quali la ritardata trattazione potrebbe produrre grave pregiudizio alle parti, ma in tal caso è necessario che l’urgenza sia previamente dichiarata dai presidenti di cui al comma 2 con decreto non impugnabile.
4. Possibilità di trattazione, a richiesta e comunque senza discussione in camera di consiglio, delle istanze cautelari durante il periodo di sospensione dei termini processuali.
La sospensione dei termini processuali, in linea con il principio generale, non opera con riferimento alle domande cautelari. E’ tuttavia previsto il mutamento del rito, nel senso che durante il periodo di sospensione, e cioè fino al 22 marzo, le domande cautelari possono essere trattate solo seguendo il rito monocratico di cui all’art 56d lgs 104/2010, e sempre che vi sia un’espressa richiesta di parte in tal senso. La trattazione collegiale sarà in tal caso fissata “in data immediatamente successiva al 22 marzo 2020”. La misura assicura così il rispetto tanto del principio che non ammette soluzioni di continuità nella possibilità di fruizione della tutela cautelare, quanto dell’esigenza di evitare di tenere qualunque tipo di udienza dall’entrata in vigore del decreto legge fino al 22 marzo 2020.
5. Trattenimento in decisione di ricorsi e domande cautelari senza discussione in udienza pubblica o camerale, salvo che non venga espressamente chiesta anche da una sola delle parti e con possibilità di collegamento da remoto
Misure a carattere derogatorio vengono previste non solo con riferimento al periodo della sospensione dei termini processuali, che termina il 22 marzo, ma anche con riferimento ad un secondo periodo, che si suppone di transizione verso il ripristino della normalità, di durata fino al 31 maggio 2020.
Fino al 31 maggio 2020 si prevede in sostanza un procedimento semplificato per la decisione delle controversie, sia nel merito che per la cautela, che di regola esclude anche in tale periodo la discussione in udienza pubblica o camerale: “tutte le controversie fissate per la trattazione, sia in udienza camerale sia in udienza pubblica, passano in decisione sulla base degli atti” (art 3, comma 4). Differentemente dal primo periodo temporale destinato a concludersi il 22 marzo, nel quale opera la sospensione e nel quale la tutela cautelare può essere concessa solo e unicamente secondo il rito monocratico di cui all’art 56 d. lgs 104/2010, in questo secondo periodo che va fino al 31 maggio 2020 è comunque possibile che, a richiesta di almeno una delle parti, la causa venga trattata in udienza camerale o in udienza pubblica. A tal fine è necessaria la presentazione di apposita istanza che va notificata alle altre parti costituite e va depositata almeno due giorni liberi prima della data fissata per la trattazione. Sempre il già citato comma quarto si preoccupa di precisare che “i difensori sono comunque considerati presenti a tutti gli effetti”, anche se non sia stata richiesta la discussione.
In ogni caso, in deroga all’articolo 87, comma 1, d. lgs 104/2010 “fino al 31 maggio 2020 le udienze pubbliche sono celebrate a porte chiuse” (art 3, comma 6).
Nel caso in cui sia stata chiesta la discussione, il comma 5 dell’art 3 consente ai presidenti (titolari delle sezioni del Consiglio di Stato, il presidente del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana e i presidenti dei tribunali amministrativi regionali e delle relative sezioni staccate) di organizzare lo svolgimento delle udienze pubbliche e camerali che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante collegamenti da remoto con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione dei difensori alla trattazione dell’udienza. In tal caso, sempre secondo il citato comma 5, “il luogo da cui si collegano magistrati, personale addetto e difensori delle parti è considerato aula di udienza a tutti gli effetti di legge”. La decisione deve essere ovviamente giustificata dalla situazione concreta di emergenza sanitaria e il verbale deve dare atto delle modalità con cui si accerta l’identità dei soggetti partecipanti e la libera volontà delle parti.
6. Peculiari modalità di deposito di atti e documenti
Il decreto legge prevede infine che, durante il periodo della sospensione dei termini processuali, ovvero entro il 22 marzo 2020, i presidenti titolari delle sezioni del Consiglio di Stato, il presidente del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana e i presidenti dei tribunali amministrativi regionali e delle relative sezioni staccate, per quanto di rispettiva competenza, possano adottare le misure organizzative necessarie per consentire il rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie fornite dal Ministero della salute, anche d’intesa con le Regioni, e le prescrizioni di cui all’allegato 1 al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020, al fine di evitare assembramenti all’interno degli uffici giudiziari e contatti ravvicinati tra le persone. Oltre alle già ricordate linee guida per la fissazione e la trattazione delle udienze e al rinvio delle udienze a data successiva al 31 maggio 2020, le misure organizzative possono prevedere la limitazione dell’accesso agli uffici giudiziari ai soli soggetti che debbono svolgervi attività urgenti; la limitazione dell’orario di apertura al pubblico degli uffici o, in ultima istanza e solo per i servizi che non erogano servizi urgenti, la sospensione dell’attività di apertura al pubblico; la predisposizione di servizi di prenotazione per l’accesso ai servizi, anche tramite mezzi di comunicazione telefonica o telematica, curando che la convocazione degli utenti sia scaglionata per orari fissi, e adottando ogni misura ritenuta necessaria per evitare forme di assembramento; la sospensione dell’obbligo del deposito di almeno una copia del ricorso in forma cartacea sia sospeso.
Tali misure devono armonizzarsi con le disposizioni di coordinamento dettate dal Presidente del Consiglio di Stato o dal Segretariato generale della Giustizia Amministrativa e devono essere comunque adottate dopo aver sentito l’autorità sanitaria regionale e il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati della città ove ha sede l’Ufficio.
Alfredo Morvillo
di Leo Agueci
Ho conosciuto Alfredo Morvillo nei terribili giorni del luglio 1992 quando, appena arrivato in applicazione volontaria alla Procura di Palermo, fui brutalmente accolto dalla strage di via d’Amelio, costata la vita a Paolo Borsellino ed agli agenti della sua scorta.
Lo sconforto tra i colleghi dell’ufficio appariva evidente e comprensibilmente fortissimo perché erano trascorsi meno di due mesi dall’altra terribile strage, della quale erano state vittima Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, e perché il Procuratore Aggiunto Paolo Borsellino era molto amato all’interno della Procura e costituiva il fondamentale punto di riferimento per chiunque volesse realmente combattere la mafia.
Ma ebbe presto a manifestarsi anche una tenacissima volontà di rivalsa della quale Alfredo Morvillo divenne indiscusso protagonista.
L’impatto emotivo della strage aveva reso evidente la delicata situazione all’interno dell’ufficio, dovuta soprattutto alla mancanza di autorevolezza e credibilità del Procuratore capo, al quale veniva addebitato tra l’altro il boicottaggio attuato in passato verso il Procuratore Aggiunto Giovanni Falcone (che aveva costituito una delle ragioni della decisione di quest’ultimo di trasferirsi a Roma) e, più recentemente, i suoi notori rapporti di amicizia con esponenti politici locali compromessi con la mafia.
In questo drammatico frangente Alfredo Morvillo non ebbe alcuna remora nel rendere pubblica la situazione che si era determinata in Procura, facendosi interprete del forte disagio dei sostituti (soprattutto quelli della DDA) e nel promuovere con altri iniziative e documenti di denunzia che, portati a conoscenza del Procuratore, lo convinsero a lasciare l’ufficio.
Grazie anche al suo contributo, la Procura di Palermo – nel suo momento più difficile e lacerante – ha saputo dimostrare a tutti solida e determinata capacità di reazione al durissimo attacco mafioso e ritrovare al suo interno l’energia morale e la determinazione necessarie ad avviare la grande stagione di riscossa delle Istituzioni contro la mafia.
La stagione delle stragi per lui - fratello di Francesca Morvillo e cognato di Giovanni Falcone – è stata particolarmente dolorosa e lacerante per averlo colpito anche e soprattutto nella dimensione, profonda e privata, dei suoi affetti più cari.
Rispetto ai suoi legami familiari ha però sempre mantenuto un atteggiamento esterno di assoluto e religioso riserbo, tanto da manifestare evidente fastidio nell’essere chiamato in causa – e spesso è avvenuto – semplicemente come “...fratello di…” o “…cognato di…”.
Ma, quando è stato necessario per proteggere il ricordo di Giovanni Falcone o di Francesca Morvillo, e difendere il profondo legame affettivo che li univa, non ha avuto alcuna esitazione nell’intervenire energicamente, come è avvenuto in occasione della sua conclamata (e sacrosanta) protesta rispetto alla inopportuna delibera di accogliere nella chiesa di S. Domenico, Pantheon dei palermitani, le sole spoglie di Giovanni Falcone, così separandole da quelle della moglie, che pure ne aveva condiviso fino all’ultimo il tragico destino.
Ed ancora è nota la sua intolleranza verso le tante persone – magistrati, e non solo – che nel corso degli anni si sono auto attribuite una asserita “eredità morale” da Giovanni Falcone, senza averne posseduto alcun titolo e piuttosto averlo al contrario avversato in vita, ovvero lo hanno abitualmente menzionato, pur non avendo avuto effettivi rapporti con lui, con il confidenziale nome “Giovanni”
In contrapposizione a costoro, Alfredo Morvillo, quando si trova a parlare in pubblico di lui, lo fa sempre con delicatezza e rigoroso distacco ostentatamente chiamandolo con nome e cognome per intero.
I suoi interventi pubblici in materia di mafia sono appassionati e coinvolgenti. A differenza di altri, non indulge in autocelebrazioni ma richiama abitualmente il concetto che la lotta alla mafia non rappresenta solo un affare di magistrati e di polizia, ma deve costituire obiettivo corale di tutte le componenti della società.
Si rivolge con particolari accenti critici alla classe dirigente, soprattutto politica, denunziandone l’insufficiente impegno nel contrastare ed eliminare connivenze, infiltrazioni e condizionamenti mafiosi e l’indisponibilità a fare tesoro, a tal fine, delle imponenti informazioni che le indagini giudiziarie riportano in misura molto più ampia rispetto a quanto destinato a costituire specifico oggetto dell’azione penale, alla quale soltanto – in definitiva – si finisce per fare riferimento.
Alfredo Morvillo è stato uno dei magistrati di punta della formidabile stagione, succeduta a quella delle stragi, nella quale gli uffici giudiziari di Palermo hanno profuso il massimo impegno nella lotta alla mafia, conseguendo risultati di storica rilevanza, con gli arresti e le condanne definitive di tutti i principali esponenti di cosa nostra (con un’unica eccezione), con la ricostruzione di gravissimi intrecci criminali e di strette connivenze con vertici politici, amministrativi ed economici, con l’efficace repressione delle manifestazioni mafiose più violente e sanguinarie (fino alla loro quasi totale scomparsa), con la riconquista, da parte dello Stato, di aree territoriali, economiche e sociali sottratte al controllo dalla criminalità.
Tra le tante operazioni da lui gestite e coordinate, dapprima come Sostituto Procuratore e quindi come Procuratore Aggiunto, merita di essere ricordata quella che ha portato all’arresto del boss mafioso latitante Salvatore Lo Piccolo (in quel momento vertice assoluto delle famiglie palermitane) frutto di un’indagine particolarmente articolata ed impegnativa, condotta con estrema tenacia ed ostinazione.
Alfredo Morvillo ha sempre esercitato un carisma trascinante verso i colleghi, soprattutto i più giovani, per effetto della notoria esuberanza e capacità comunicativa con cui ha saputo trasmettere impegno appassionato sul lavoro, senso di giustizia, grande forza interiore, rifiuto di compromessi e schiettezza di giudizi.
Un suo connotato specifico è sempre stato costituito dal desiderio e dalla capacità di “fare squadra” con i colleghi, in tutte i momenti della sua esperienza professionale. È stato un convinto assertore del lavoro di gruppo, nel quale valorizzare le singole personalità. Si è così tenuto lontano da atteggiamenti di egocentrismo ed autoreferenzialità (vizio comune a molti Pubblici Ministeri) per operare da catalizzatore di energie, professionalità ed esperienze diverse da armonizzare e far crescere in vista di un risultato comune da perseguire con unica ed indistinta determinazione.
Di questa meritoria funzione è stato efficace interprete nelle sue diverse esperienze di “semidirettivo”, quale Procuratore aggiunto di Palermo e quindi di “direttivo” come Procuratore della Repubblica di Termini Imerese e di Trapani, costituendo ogni volta rapporti di pieno affiatamento e reciproca fiducia con i colleghi a lui affidati, testimoniati dall’affetto e dal rimpianto lasciati ad ogni trasferimento d’ufficio.
Alfredo Morvillo, in definitiva, costituisce da sempre – e certamente lo sarà anche in futuro – l’immagine, concordemente riconosciuta, di magistrato corretto e rispettoso dei diritti di tutti, ma nello stesso tempo determinato ed intransigente sul lavoro. Per chi ha lavorato al suo financo, esempio vivente di collega limpido leale ed affidabile, dal quale sai che non potrai mai ricevere tradimenti o delusioni.
In definitiva, uno splendido magistrato ed un vero uomo …. e non è che in giro se ne vedono tanti!!
Recensione di Paola Belsito a "Le unghie rosse di Alina" di Christine Von Borries
Prendi quattro giovani donne curiose, spiritose, intriganti, impegnate, apparentemente forti e decise anche se, dietro all’apparenza, nascondono notevoli tratti di fragilità e di insicurezza, in particolare per quel che concerne le loro vite private e i loro rapporti sentimentali.
Immagina che quelle quattro giovani donne siano saldamente legate l’una all’altra, accomunate da quel sentimento di solidarietà che spesso contraddistingue e qualifica positivamente i rapporti personali declinati al femminile, un vincolo fatto di affetto, vicinanza e complicità, così stretto da farle sentire parte di un gruppo in cui ciascuna completa e sostiene l’altra; amiche per la pelle, insomma, che non riescono a lungo a fare a meno l’una dell’altra perché il legame che le unisce è così forte che, senza le altre, ciascuna di loro si sente privata di una delle due ali che le servono per volare.
Inserisci quelle donne in una cornice unica e affascinante, Firenze, la città nella quale tutte loro vivono e che grazie ai loro incontri, attraverso i loro sguardi, possiamo cogliere in alcuni squarci intensi e vivaci, ora una strada, ora una piazza, ora un noto locale del centro cittadino, ora i meravigliosi colli che la circondano esaltandone la straordinaria bellezza.
Una cornice all’interno della quale irrompe prepotentemente l’omicidio di una giovanissima e bella ragazza, una prostituta ucraina, un delitto che inizialmente coinvolge solo due delle amiche fiorentine, Valeria, pubblico ministero e madre di due bimbi, in attesa del terzo, magra, capelli fini biondi, sorriso luminoso e un tono di voce morbido e gentile, ed Erika, poliziotta, sportiva e mamma single del piccolo Tommaso, una massa di capelli rossi alla prese con un esame per diventare ispettore di polizia; un’inchiesta che in breve vedrà partecipi a tempo pieno anche le altre due amiche, Monica, commercialista, vivace e appassionata del suo lavoro, accogliente e generosa, e non soltanto per il suo gradevole aspetto fisico, e Giulia, giornalista d’inchiesta, capelli corti, decisa e naturalmente curiosa, dagli apparenti modi bruschi e in perenne lotta con un ambiente maschilista che cerca inutilmente di escluderla dalle indagini più scottanti.
Dopo “A noi donne basta uno sguardo” l’autrice scrive un altro capitolo della serie incentrata sulle quattro amiche fiorentine e ci regala un nuovo giallo di attualità, “Le unghie rosse di Alina”, la narrazione di un’indagine per omicidio che si interseca e si dipana intorno alla vita delle sue protagoniste che, mosse dall’amicizia che le lega ma anche da una istintiva curiosità e da quel pizzico di temerarietà e avventatezza che non guasta alla costruzione di un clima di crescente suspense, si ritrovano ad investigare riuscendo infine, tutte insieme, a svelare le ragioni dell’efferato delitto e a smascherare il colpevole.
Sullo sfondo il motivo conduttore del romanzo e dell’indagine trattata dalle nostre quattro intraprendenti amiche, un tema delicato e controverso quale è il desiderio di maternità, l’aspirazione di molte, tante donne di poter avere un bambino indipendentemente dalla possibilità biologica di concepirlo; il concatenarsi degli eventi ci porta così nel mondo della fecondazione assistita, e ci fa intravedere come dietro ad un atto d’amore si possano nascondere interessi economici rilevanti e finalità illecite camuffate con la necessità di abbreviare dei tempi spesso troppo lunghi e di bypassare la burocrazia e le limitazioni all’accesso all’assistenza sanitaria previste dalla legge vigente nel nostro paese.
Il tema viene affrontato dall’autrice con leggerezza e sensibilità, oltre che con una particolare attenzione per la vittima del reato, ancora una volta una giovane immigrata che paga con la vita il desiderio di costruirsi un futuro dignitoso nel nostro paese.
Il risultato è un thriller sentimentale che si legge tutto d’un fiato, godibile, scorrevole, equilibrato e ben costruito che, via via che si dipana la storia, si fa più avvincente, tanto da celare proprio nelle ultime pagine, quando tutto sembrava oramai definitivamente chiarito, un ultimo colpo di scena. L’autrice centra ancora una volta l’obbiettivo di divertire e appassionare il lettore alternando alla vicenda criminale e giudiziaria le storie professionali e personali delle quattro amiche che, tra una chiacchierata e una confidenza, si buttano anima e corpo in una storia che riuscirà a mettere a repentaglio la sicurezza ora dell’una, ora dell’altra, ma che sapranno risolvere in maniera corale e rocambolesca. Christine si conferma così scrittrice in grado di narrare storie di grande attualità con garbo e invidiabile naturalezza, e con una dose di delicatezza che è caratteristica e pregio dell’animo femminile.
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Francesco Iacoviello: intellettuale e di pensatore del diritto di Cataldo Intrieri
Ho scritto di Francesco Mauro Iacoviello che da magistrato è stato la perfetta rappresentazione “dell'intellettuale spesso scomodo, qualche volta sopportato e mai banale.” Tomaso Epidendio ha scritto di lui come un esempio di magistrato coraggioso per tutti i suoi colleghi. Ecco, spero nessuno si offenda, ma limitarlo al pur prestigioso ruolo di eccellente magistrato forse è limitativo, pur augurandomi che ci siano ancora tanti come lui a raccogliere la sua eredità (https://www.giustiziainsieme.it/it/il-magistrato/1081-francesco-iacoviello-il-magistrato-come-uomo-libero).
E mi spiego.
Per Iacoviello la definizione di intellettuale e di pensatore del diritto è un’esatta sintesi. Sarebbe stato e sarà lo stesso in qualunque altra veste da giurista e credo si possa dire che il ruolo ricoperto, caso raro per ognuno di noi, non abbia influito sul suo modo di vedere le cose.
In ognuna delle sue più famose requisitorie , come negli interventi nei convegni o nei suoi scritti è sempre presente lo sforzo di una analisi in funzione di un’idea liberale dell’ordinamento.
In questo il suo pensiero è realmente politico (anche se io non ho idea di cosa voti), nel senso che l’interpretazione del diritto debba essere espressione di uno Stato democratico, rispettoso dell’equilibrio dei poteri, contro ogni tentazione autoritaria.
In un mondo fortemente conformista e legato a regole formali anche nelle modalità di espressione lui ha adottato un linguaggio moderno, asciutto, quasi scheletrico fino alla civetteria di concedersi il lusso di scrivere uno storico manuale , il suo “opus magnum” sulla Cassazione senza note a piè di pagina.
Un giurista essenziale, illuministicamente convinto del necessario primato della logica su tutto il resto.
Studiando i suoi interventi si comprende che ciò che a lui interessa è la soluzione di un ragionamento che deve essere quello più equilibrato e non il più opportuno o il più atteso. Ed in tal senso lui alla sua corporazione qualche dispiacere ha arrecato. Credo, ma è una mia impressione senza riscontro e potrei essere facilmente smentito , che lui si sia sentito talvolta gratuitamente offeso e non capito dal suo mondo.
In alcune delle sue più famose requisitorie ( Dell’Utri ed Eternit) vi è la precisa consapevolezza che la “ sua” soluzione non sarebbe stata la più popolare ma la più coerente con la sua visione culturale : come ha detto chiudendo un suo intervento alle Sezioni Unite “ tra giustizia e diritto” lui avrebbe sempre scelto quest’ultimo. E così è stato: dal diritto ha sempre colto e tratto fuori la visione più liberale, non quella “politicamente corretta”.
Si badi bene, l’uomo non è fuori dal suo tempo, anzi vi è pienamente dentro: un esempio fra tutti sulla sua capacità di intuire il momento storico resta per me il suo intervento ad un convegno del Lapec di Roma, che allora dirigevo, sul tema del diritto penale europeo, un’iniziativa che rappresenta per me e coloro che la organizzarono un motivo di particolare orgoglio. Era “ solo” il 2016.
L’evento era articolato su quattro tavole rotonde con oggetto quattro fondamentali sentenze delle corti europee ( Contrada, Grande Stevens, Varvara e Taricco)
Lui parlo’ di Contrada[1] con molta passione, e non poteva essere diversamente , perché aveva precorso i tempi qualche anno prima quando alle Sezioni Unite della Cassazione aveva sollecitato ed ottenuto il riconoscimento del valore vincolante ( con efficacia retroattiva quando in “bonam partem”) della interpretazione giurisprudenziale come “ fonte normativa”.[2]
Era una sentenza che consentiva l’applicazione di un indulto, per essere precisi, una “ roba” garantista.
Una sentenza così rivoluzionaria da suscitare la reazione di netta chiusura della Corte Costituzionale che sul punto a distanza di brevissimo tempo serrò le porte non solo alle Sezioni Unite ma alle stesse sentenze della Corte Europea cui non era possibile riconoscere altra incidenza se non quella legata al singolo caso cui era legata.[3]
Che il relatore di tale posizione conservatrice fosse un indimenticabile ex presidente dell’Unione Camere Penali che in questa veste aveva condotto e vinto grazie anche al vento innovatore delle sentenze di Strasburgo la battaglia sulla riforma costituzionale del giusto processo dice molto sui paradossi della Storia e sulle difficoltà di accettare i cambiamenti anche per le menti più acute e libere.
Iacoviello nel suo intervento si levò qualche sassolino, diciamo che la suscettibilità non gli fa difetto, descrivendo la Consulta affannosamente tesa a rispolverare “l’argenteria di famiglia”, come in una pagina di Proust, mentre in platea a sentirlo con attenzione c’era Giorgio Lattanzi, allora vicepresidente della Corte.
Parlo’ di concetti come il “ prospective ovverruling” e della legalità convenzionale come prevedibilità del mutamento d’indirizzo giurisprudenziale, temi oggi largamente dibattuti, ma soprattutto spiegò con grande efficacia e preveggenza il rischio forte di un’imminente collisione tra le Corti sovranazionali e quelle interne. La Storia gli ha dato ragione ed io spero che questo profilo sara’ al centro dei suoi futuri studi e riflessioni perché su di esso si sta giocando una fetta non indifferente dei destini europei, come dimostra la recente disputa tra la Corte costituzionale tedesca e la Corte di Giustizia del Lussemburgo sui programmi di “quantitative easing” .
Quando qualche tempo dopo gli chiesi di mettere per iscritto il suo intervento mi rispose quasi scandalizzato che era “ robetta detta a braccio”. Da quella “ robetta” personalmente trassi una discussione di un paio d’ore sul principio di legalità nei mutamenti giurisprudenziali e per riconoscenza gli inviai il testo che ne avevo ricavato.
Si complimentò ma mi fece rilevare che ero stato “ un pò troppo concettuale”. Conservo gelosamente l’SMS e la sua critica. Da lui ci sarà sempre da imparare con la certezza di una continua incessante ricerca ed evoluzione del pensiero, di un punto di vista nuovo, della ricerca spasmodica dell’evoluzione incessante del pensiero liberale e democratico.
Buon lavoro ed alla prossima, Maestro.
Cataldo Intrieri
[1] https://www.radioradicale.it/scheda/468482/tra-europa-e-italia-come-le-corti-europee-stanno-cambiando-il-diritto-penale-italiano?i=3527796
[2] “… tale soluzione è imposta dalla necessità di garantire il rispetto dei diritti fondamentali della persona in linea con i principi della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, il cui art. 7, come interpretato dalle Corti Europee, include nel concetto di legalità sia il diritto di produzione legislativa che quello di derivazione giurisprudenziale” ( Cass. Sez. Un. 21 gennaio 2010, n. 18288, Beschi).
[3] Corte Cost. Sentenza 230/12 pres. Quaranta, relatore Frigo.
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