ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Tragic choices, 42 anni dopo. Philip Bobbitt riflette sulla pandemia.
Intervista di Roberto Conti
1.La scelta del tema. 2. Le risposte 3.Le conclusioni. 4.Versione in lingua inglese. 5.Documento integrale in pdf
1.La scelta del tema.
Giustizia Insieme ha chiesto a Philip Bobbitt, coautore insieme a Guido Calabresi del libro divenuto un classico - come lo ha giustamente indicato Stefano Rodotà nella prefazione alla traduzione italiana Scelte tragiche, a cura di C.M.Mazzoni e V. Varano, Milano, 2006 di rivisitare gli scenari allora proposti sul tema delle decisioni dilemmatiche alla luce della recente crisi pandemica da Covid-19.
Lo spunto offerto dal saggio, già sviluppato nell’intervista a più voci (L. Eusebi, L. Ferrajoli, A. Ruggeri, G. Trizzino, L. Eusebi) raccolta dalla rivista su Scelte tragiche e Covid-19 quando il nostro Paese era nel pieno dela fase 1 dell'emergenza pandemica, ha dato il “la” ad una riflessione generale sulle vicende che in Italia e negli Stati Uniti, come in molti altri Paesi, hanno riguardato la gestione della crisi epidemiologica e del passaggio alla c.d. fase 2, orientando l’attenzione dapprima sulle scelte operate dal personale medico in ragione della scarsa disponibilità di presidi salva-vita e, progressivamente, sulle decisioni dei singoli Paesi in tema di allocazione delle risorse in ambito non solo sanitario, ma anche rispetto all’intera popolazione divenuta destinataria, a vari livelli, di fortissime limitazioni delle proprie libertà, comprese quella di iniziativa economica.
Un fascio di tragicità avvertite, fin dai primi giorni dell’epidemia, dai singoli operatori per la consapevolezza di non potere offrire contemporanea assistenza sanitaria a tutti i malati che ricorrevano alle cure mediche, a causa dell’insufficienza delle strutture sanitarie.
Drammaticità che, nella gestione dell’emergenza, ha correlativamente orientato le scelte primarie dei governanti volte, da una parte, a predisporre, spasmodicamente, nuove terapie intensive , poiché quelle esistenti si erano rivelate insufficienti a coprire le richieste di cure dei malati più gravi in vista dell’ulteriore previsto aggravamento degli effetti prodotti dall’emergenza epidemiologica, e dall’altra, a disporre la forzata riduzione delle attività economiche per ridurne la diffusione, con evidenti ricadute sulle condizioni di vita di una parte della popolazione. Ma senza che ciò abbia potuto eliminare la parimenti difficile condizione dei medici che, impossibilitati ad offrire le terapie a tutti i malati, hanno per un certo periodo di tempo verosimilmente dovuto “scegliere” a chi aprire le porte delle terapie intensive, trovandosi di fronte ad un dilemma destinato, una volta risolto, a condurre a morte quasi certa qualcuno e a dare un’opportunità di vita a qualcun altro.
Erano stati, del resto, Calabresi e Bobbitt a chiedersi se realtà ordinamentali e sociali diverse, come quelle italiana e statunitense, potessero considerare le stesse scelte come tragiche ed affrontare i dilemmi medesimi nello stesso modo (Scelte tragiche, cit., pag.174).
Da qui nasce la griglia di domande rivolte a Bobbitt, non più solo orientata ad indagare il tema sotto il versante medico-sanitario, ma considerando il fascio di scelte tragiche che in diversi settori la pandemia continua a determinare negli USA e in Italia.
Un particolare ringraziamento va a Guido Calabresi che, contattato grazie alla preziosa intermediazione del Prof. Enrico Al Mureden, ha con generosa disponibilità facilitato la realizzazione dell’intervista ed ha poi revisionato la traduzione in italiano resa dal Dott. Calogero Ferrara, da Lui molto apprezzata per essere riuscita ad esprimere in modo fedele e preciso il pensiero di Philip Bobbitt, al quale Giustizia Insieme rivolge un caloroso grazie!
3. Le risposte.
1.Professore Bobbitt, il suo celebre libro, scritto insieme al Prof. Guido Calabresi, ha costituito la base di studi in campo etico, economico e giuridico. Cosa cambierebbe e cosa confermerebbe, oggi, dopo la pandemia che ha colpito il mondo, rispetto alle conclusioni alle quali eravate giunti?
Penso che ancora oggi l'analisi complessiva effettuata in Tragic Choices regga: che le società mascherino con vari sotterfugi sia il razionamento che gli scambi che sono inevitabili per preservare un senso di inestimabilità di determinati valori; che poiché le società hanno un eccesso di valori, ad un tale livello che neppure i loro valori più profondi possono essere protetti simultaneamente, le scelte tragiche sono inevitabili; che questo eccesso di valori si riflette nel circuito dei vari metodi di allocazione, con la conseguenza che alcuni valori vengono dapprima esaltati e in seguito scartati o declassati; che non esiste un "punto di equilibrio" che bilanciando i diversi valori in competizione riesca a massimizzarli tutti contemporaneamente; e forse, soprattutto, che è proprio il modo in cui una società risolve le sue tragiche scelte che definisce quella stessa società.
Penso che la nostra esperienza con la crisi del coronavirus conferma questa analisi. Tuttavia ci sono enfatizzazioni che io personalmente potrei cambiare. Ad esempio, il ruolo della leadership politica potrebbe essere sottoposto a pressione in misura maggiore. Abbiamo fatto riferimento al capro espiatorio e persino alla xenofobia, ma dubito che qualcuno di noi avrebbe potuto immaginare la profondità del fallimento del leader politico che questa crisi avrebbe svelato.
2. Nel vostro libro voi fate una bipartizione fra decisioni di primo e di secondo grado. Ritiene che questa distinzione possa essere applicata all’emergenza epidemiologica in corso?
Ritengo di si. Tragic Choices ha descritto due diversi tipi di decisioni: scelte di primo grado come quanti test produrre, quanti ventilatori e così via, e scelte di secondo grado che equivalgono ai protocolli che stabiliscono le varie priorità -- chi avrà accesso ai ventilatori, chi viene testato e dove, chi deve essere messo in quarantena, chi viene rianimato, chi viene vaccinato e chi deve essere tirato fuori dall'intubazione.
Va da sé che prendere le decisioni di primo grado solo a condizione che comportino un miglioramento delle prospettive politiche del capo del governo è insopportabile, ma non sarebbe da meno prendere decisioni di secondo grado solo nei confronti di quelle regioni o di quelle città in cui i destinatari di quella decisione siano ritenuti più favorevoli in funzione di una particolare agenda politica.
3.I processi di allocazione delle risorse in ambito sanitario nei paesi del mondo occidentale hanno visto confrontarsi diversi modelli. Quello italiano è fondato, essenzialmente, sul criterio universalistico ma ha mostrato grandissima difficoltà a reggere l’emergenza pandemica per il divario esistente tra diverse aree del Paese. Cosa può dirci del modello statunitense rispetto all’emergenza? Come ha retto?
Non sono sicuro che gli Stati Uniti abbiano un "approccio". Il nostro sistema politico è così decentralizzato e la nostra leadership nazionale è stata così indecisa che penso che sarebbe un errore ritenere che esista un piano americano. L'approccio che sembra emergere, guidato principalmente da alcuni Stati, è quello di una strategia di isolamento, con vari gradi di rigore, che mira a rallentare il ritmo delle nuove infezioni. Le scuole e le imprese sono state chiuse in modo che gli ospedali e le infrastrutture mediche non venissero travolti. Inoltre, forse, c'è stata la speranza che se fossimo riusciti a guadagnare tempo con queste misure, sarebbe potuto emergere un vaccino o addirittura una cura.
L'America è una società molto ricca e può darsi che possa permettersi una strategia così costosa; ma l'America è anche una società piuttosto stratificata e se pure questa strategia potrebbe avere successo nel suo insieme non significa che certi gruppi - gli anziani nelle case di cura, le persone nelle carceri, i poveri nei quartieri densamente popolati e sottoccupati e vari gruppi razziali ed etnici che sono strutturalmente sfavoriti - non siano costretti a sopportare una percentuale maggiore ed ingiusta del peso di queste scelte.
E questo può anche significare che non ne verremo fuori come società "nel suo insieme".
4.Il divario fra strutture sanitarie esistenti nel nostro Paese ha messo a dura prova quelle del Nord Italia, meno quelle del sud. Esistono negli Stati Uniti fenomeni analoghi fra i diversi Stati federali?
Il contrasto tra le varie regioni degli Stati Uniti ha mostrato che alcune aree sono state maggiormente colpite - - New York in particolare - - ma il vero contrasto è stato nel modo in cui i diversi Stati hanno reagito alla crisi. Questo si è tradotto nella proposta di Accordo interstatale che ha visto stati diversi proporre le stesse strategie generali di contrasto. Pertanto, le regioni costiere del Nordest, tra cui in particolare New York e gli stati circostanti, hanno lavorato attraverso i loro governatori per collegarsi con gli stati costieri occidentali, in particolare con la California e Washington. Questi stati hanno introdotto i programmi più aggressivi per ridurre il contatto interpersonale. Allo stesso tempo, gli Stati del Midwest e del profondo Sud hanno proposto piani tra loro simili che si basano su normative un po' meno rigide. Queste differenze rispecchiano affinità più profonde che il sistema federale tende a coltivare e temo che, a seguito dell'esperienza del coronavirus, tali alleanze potranno determinare una perdita di coerenza nazionale.
5. In Italia, ma anche in Spagna e in Francia, si è acceso il dibattito sulle prassi esistenti negli ospedali che non sono in grado di reggere alla domanda di pazienti da inviare nelle unità di terapia intensiva. Rispetto ai criteri in astratto utilizzabili per queste scelte dilemmatiche – criterio utilitarista, criterio cronologico (c.d. first come, first served) criterio casuale (c.d. lottery), criterio terapeutico correlato alle maggiori probabilità di successo dell’intervento medico o della maggiore speranza di vita (i.e. Le 'Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione, in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili) – cosa si è fatto negli Stati Uniti?
Anche negli Stati Uniti si è avuto lo stesso dibattito. Diversi ospedali, anche nella stessa città, hanno adottato protocolli diversi; alcuni protocolli, una volta resi pubblici, sono stati ritirati a seguito delle proteste del pubblico. Alcuni medici hanno rifiutato di applicare i protocolli prescritti. Ma generalmente non c’è stato un insieme coerente di priorità. Né credo che alcuno dei criteri descritti nella sua domanda sopravvivrebbe a lungo al controllo pubblico negli Stati Uniti.
6. Se un medico si trovasse a dovere scegliere a chi destinare le cure intensive tra il luminare che sta scoprendo il vaccino del covid-19 ed un giovane con maggiore speranza di vita cosa dovrebbe fare un medico statunitense. E un medico italiano?
Anche se ho viaggiato a lungo in Italia e ho persino scritto un libro su uno dei suoi più grandi pensatori (The Garments of Court and Palace: Machiavelli and the World that He Made *), e sebbene gli italiani mi abbiano sempre fatto sentire a casa quando sono stato in loro compagnia, non ho la presunzione di dire quale dovrebbe essere la decisione di un medico italiano nelle circostanze che mi ha sottoposto nella sua domanda.
Se fossi un medico americano - un vero medico, un MD e non un semplice dottore di ricerca - immagino che preferirei salvare la persona di qualsiasi età che sta scoprendo il vaccino contro il covid-19 rispetto a qualcuno anche molto più giovane perché, così facendo, potrei essere in grado di salvare in futuro la vita di molti uomini più giovani anziché quella solamente di uno. Chiamiamolo "pragmatismo americano", se vi piace.
Ma se il giovane fosse mio figlio, Pasha di 7 anni, io scapperei da questa decisione.
7. Lei pensa che le scelte tragiche di cui discutiamo debbano essere prese dai medici liberamente, ovvero occorrono dei protocolli che prendano in esame le posizioni di varie professionalità in campo medico etico filosofico e giuridico?
Come ho sottinteso nella mia risposta a una domanda precedente, credo che un pluralismo di protocolli troverà attuazione, anche se uno di questi sarà quello di rinviare alle decisioni individuali prese dai singoli medici. Le scelte tragiche sono per loro natura insoddisfacenti e instabili, ma devono essere fatte.
Le decisioni lasciate ai singoli dottori devono far fronte a quello che potrebbe essere chiamato il paradosso di Ippocrate: prendersi cura instancabilmente del paziente che ha immediato bisogno potrebbe portare alla lunga a gravi disuguaglianze basate su ricchezza, razza, etnia, posizione sociale e così via e quindi sacrificare il benessere della società considerato nel suo insieme.
Per molte ragioni culturali e storiche, gli Stati Uniti sono una società il cui rispetto verso sé stessa è diventato sempre più dipendente da come vengono trattati i più deboli e i più vulnerabili.
8.Quanto le scelte della politica sulle allocazioni delle risorse in materia sanitaria vanno lasciate al mercato e quante devono essere riservate alla sfera pubblica?
Penso che sarebbe un esercizio deprecabile del potere statale se una società dovesse rinviare interamente al mercato la decisione sulla distribuzione di beni di primaria importanza.
Anche se si potesse dimostrare che, in linea di principio, tale rinvio al mercato crea una maggiore ricchezza, che a sua volta potrebbe essere utilizzata per compensare quelle persone che non possono avere accesso a quel bene primario, in pratica tali forme di compensazione raramente si verificano e, in ogni caso, l'impronta del materialismo che rimarrebbe su una siffatta società sarebbe indelebile.
Stavo tentando di distinguere tra uno stato che semplicemente rinuncia al suo ruolo per deferenza verso il mercato --- come hanno fatto per larga parte gli Stati Uniti in tema di assistenza sanitaria e prima dell'amministrazione Johnson che ha adottato Medicare (per gli anziani) e Medicaid (per i poveri) --- in contrasto con i programmi statali che utilizzano il mercato, come ha fatto l'amministrazione Obama rispetto all'Affordable Health Care Act che ha tentato di ampliare la copertura assicurativa medica.
Un altro esempio potrebbe porre in contrasto la opzione di acquistare un proprio "sostituto" durante la guerra civile americana da parte di persone che volevano evitare la leva militare, con il passaggio negli anni '70 dalla coscrizione obbligatoria al solo arruolamento volontario per reclutare il personale militare. Nel primo caso, lo stato rinvia al mercato permettendo a una persona arruolata di acquistare la sua via d'uscita, scavalcando il meccanismo politico della leva; nell'altro caso, lo stato sta usando il mercato per aumentare la forza dell’esercito così come usa il mercato per acquistare armi.
9. Professore Bobbitt, qual è il valore economico di una vita umana nel suo Paese?
Questa domanda è senza risposta, almeno da parte mia, perché ritengo che il termine "valore economico" sia sottostimato. Come ho scritto al mio caro amico e coautore giudice Calabresi, sarebbe come porre la seguente domanda: - date alcune variabili sulla velocità delle automobili, il consumo di carburante, la abilità e la fatica del conducente, limiti di velocità e così via, quanto tempo sarà necessario alla macchina per viaggiare dalla Casa Bianca alla sua destinazione?
"Valore economico" significa - almeno nella tua domanda - il prezzo più efficiente di un particolare bene (vita umana). Ma non posso determinare ciò che è più efficiente se non viene specificato l'obiettivo. È la vita più lunga? La vita più soddisfacente? La vita che contribuisce maggiormente alla società?
10. Quanto l’universalismo dei valori e il principio di eguaglianza possono condizionare le scelte primaria dei decisori politici in materia sanitaria?
Temo di avere una difficoltà simile con il principio di uguaglianza. Senza un valore preventivamente specificato l'uguaglianza, come è stata osservata alcuni anni fa da Peter Westen, è un'idea vuota.
Dobbiamo prima determinare "uguali rispetto a che cosa" tra i molti tipi di uguaglianza che entrano tra loro in competizione. Ad esempio, quando parliamo di uguaglianza davanti alla legge, facciamo affidamento sulle molte differenze che la legge fa (colpevoli o non colpevoli, responsabili o non responsabili, aventi diritto o meno) tra persone che teoricamente sono uguali. Una lotteria è più rispettosa della uguaglianza perché è casuale (e tratta tutti alla cieca e quindi allo stesso modo) o è probabile che sia considerata meno equa, come metodo di allocazione, perché senza un insieme predeterminato di priorità, tratta invariabilmente persone di condizioni molto diverse come se fossero uguali?
11. La scelta del lockdown per salvare da morte quasi sicura una parte consistente di popolazione per l’assenza di strutture sanitarie adeguate incide in maniera decisiva su fattori economici vitali. Essa rischia di determinare effetti collaterali anche “mortali” per un’altra fetta di popolazione. Può anch’essa definirsi una scelta tragica di primo grado? Dove è il punto di equilibrio fra le due esigenze?
Sì, tale decisione è nella nostra terminologia una determinazione di "primo grado ". Non ho un algoritmo che determina il giusto equilibrio tra la protezione della salute di varie persone in una società rispetto alla produttività dell'economia di quella stessa società. Sono propenso, tuttavia, a pensare che non esista una regola. Vale a dire che la regola su cui si fonda una società sarà invariabilmente imperfetta.
12. L’emergenza pandemica ha riacceso il dibattito su Stato sociale e mercato. In Italia, dalla dichiarazione dello stato di emergenza di fine gennaio 2020 non vi è ancora oggi la possibilità di dotare la popolazione di mascherine perché le imprese italiane non ritenevano conveniente la produzione. Secondo lei l’intervento statale quando è in gioco la salute pubblica è una possibilità o un dovere?
Ritengo che esistono pochi doveri che possono ritenersi più importanti della protezione da parte dello stato del benessere della sua gente.
* Che, a proposito, è dedicato al giudice Calabresi.
4.Le conclusioni
La riflessione che Giustizia Insieme ha inteso rilanciare nel pieno della crisi pandemica a proposito delle scelte tragiche alle quali i sanitari sono stati ripetutamente chiamati nei confronti dei malati più fragili e vulnerabili, dapprima con le riflessioni di Eusebi, Ferrajoli, Ruggeri e Trizzino già ricordate all’inizio e, oggi, con quelle di Bobbitt rappresenta il punto di inizio di un ragionamento che è partito da casi specifici ed ha quasi inevitabilmente visto ampliarsi, nel corso del tempo della pandemia l’orizzonte, dispiegandosi in modo chiara la consapevolezza che la tragicità delle decisioni in situazioni di emergenza avrebbe condotto i plurimi decisori ad affrontare dilemmi non agevolmente risolvibili, destinati ad essere esaminati, criticati, condivisi od osteggiati. A monte di tutto questo un bisogno estremo di agganciarsi a qualcosa capace di dare un senso, una giustificazione, una razionale spiegazione del perché quella scelta fosse stata o non fosse stata presa.
Il rinvio al corpo dei diritti fondamentali è apparso tanto naturale quanto complicato, comprendendosi fin dall’inizio che al sacrificio dell’uno avrebbe fatto la contrappeso l’espansione dell’altro. Da qui l’amara constatazione di quanto fosse agevole evocare il quadro dei valori fondamentali ma assai più oneroso applicarlo sul campo, sacrificarne uno in nome dell’altro.
Nihil sub sole novi, si potrebbe dire rispetto alle ordinarie operazioni di bilanciamento alle quali i decisori sono chiamati quotidianamente.
Ma il punto è che le scelte tragiche di cui si è detto hanno con la crudezza che si è verificata cagionato la fine della vita dei malati impossibilitati ad accedere nelle terapie intensive insufficienti.
Questa immediatezza della tragicità delle decisioni si è andata poi solo lievemente dissolvendo quando l’emergenza ha determinato la necessità di adottare scelte solo in apparenza meno traumatiche nella c.d. fase 2, via via che il problema delle terapie intensive si andava attenuandosi per effetto delle misure di contenimento della pandemia adottate a livello nazionale.
Solo in apparenza, si diceva, meno traumatiche poiché quelle ulteriori scelte, destinate a regolare la vita di una intera collettività nel persistente rischio di contagio del virus, hanno progressivamente messo in evidenza la capacità delle misure stesse di colpire al cuore, nel breve o medio tempo, gli interessi ed i diritti di un numero ancora superiore di persone, imprese, attività, coinvolte dalle misure emergenziali.
Conferma autentica di quanto fin qui affermato e della centralità dell’analisi di Calabresi e Bobbitt è venuta, qualche giorno fa, dall’esplicito riferimento operato dal Presidente del Consiglio dei Ministri al Senato della Repubblica alla tragicità delle decisioni incidenti sulla ripresa del Paese ed alla figura di Guido Calabresi- G. Conte, Una sfida epocale per l’Europa, in Ilsole24ore, 28 marzo 2020-.
Ora, le articolate e argute risposte di Bobbitt hanno offerto, per un verso, uno spaccato irripetibile sulla gestione della crisi epidemiologica da parte delle autorità statunitensi e, per altro verso, confermano l’estrema attualità delle intuizioni espresse nel volume edito molti anni fa.
Emergono, forse in modo inaspettato, fortissime analogie fra quanto è accaduto e continua ad accadere nel nostro Paese, nel quale le relazioni fra misure nazionali disposte a livello centrale e provvedimenti regionali hanno fatto emergere notevoli criticità – già sfociate in contenziosi giudiziari non ancora esauriti- v., a titolo meramente esemplificativo, TAR Calabria 9 maggio 2020, n.841, sul tema dei rapporti fra potere centrale e potestà regionale – e la situazione americana, in cui ci si interroga, allo stesso modo, sui rischi e le conseguenze che possono derivare dalle varie politiche adottate -dall’autorità centrale piuttosto che dalle singole “regioni” - sulla diverse fasce della popolazione- anziani, detenuti, lavoratori, senza casa-. Ciò che conferma che anche il metodo politico per la gestione di alcune scelte di primo grado e l’opzione fra decentramento e centralizzazione delle scelte di cui si è appena detto- Scelte tragiche, cit., 52 ss.- ha un coefficiente di dilemmaticità non indifferente in società pur diverse quali sono quelle italiana e statunitense.
Nella ricerca delle scelte ottimali, rese spesso difficili dalla scarsità dei beni disponibili, le opzioni che si delineano presuppongono un apprezzamento in forma per così dire graduata di valori meritevoli di essere protetti integralmente e simultaneamente.
Questo complesso bilanciamento, che risente delle scelte politiche e del giudizio dell’opinione pubblica, che indiscutibilmente le condiziona sembra, nelle parole di Bobbitt, non potere prescindere in alcun modo dal valore uomo, pur difficile da identificare economicamente in relazione a diverse variabili e pur portatore di una pluralità di bisogni parimenti fondamentali, ma comunque necessariamente presente come bene primario da difendere e soddisfare nei suoi bisogni. Il punto è, semmai, che in nome della tutela del bene vita e salute si assiste, talvolta, a “scelte” formalmente indirizzate a proteggere la salute pubblica con scarsa ponderazione delle ricadute di quelle stesse decisioni sui soggetti più vulnerabili.
Si pensi alla scelta del decisore politico della regione italiana più colpita dal coronavirus nel mondo di indirizzare i malati anziani di covid-19 verso le residenze sanitarie assistite al fine di ridurre il peso sulle terapie intensive. Decisioni che hanno poi dato il la alle stragi di anziani verificatesi all’interno di quelle strutture – v. G.Savagnone, I Chiaroscuri – Non è un continente per vecchi –.
Nessuno si vuol qui ergere a censore di valutazioni sicuramente ardue da adottare.
Si è piuttosto cercato di porre in evidenza come la mancata ponderazione delle ricadute che una scelta del tipo di quella sopra ricordata avrebbe avuto su un vastissimo numero di persone già in condizioni di vulnerabilità, ha determinato un risultato non rispettoso di tutti i valori fondamentali coinvolti dalla pandemia.
Sembra dunque evidente che il piano delle responsabilità politiche si leghi a quello delle scelte operative e attuative, mostrando la drammaticità tanto delle une che delle altre.
Si arriva, così, quasi inconsapevolmente al piano delle responsabilità, di vario ordine, che ricadono sugli autori – di primo e di secondo grado - delle scelte tragiche, responsabilità che rimandano al piano economico, filosofico, etico, culturale e appunto politico.
E le responsabilità di ordine giuridico? E il ruolo del diritto?
Le risposte di Bobbitt forse dimostrano che il diritto - e la legge - che pure nasce per offrire alla società risposte anche rispetto a situazioni estremamente complesse, non può avere la pretesa di confezionare da sé, muovendo da una prospettiva meramente giuridica una regola, caratterizzata da certezza e prevedibilità, valida per ogni situazione, ma ha nondimeno il dovere di aprirsi alla scienza, quando occorre nella gestione del rischio – esemplare, sul punto, l’analisi svolta su questa Rivista da G. Pitruzzella, La società globale del rischio e i limiti alle libertà costituzionali. Brevi riflessioni a partire dal divieto di sport e attività motorie all’aperto; v., altresì, Scelte tragiche, cit.,138 – predisporre un sistema nel quale quelle scelte difficili, proprio perché spesso incidenti su diritti fondamentali contrapposti, di qualunque livello siano, possano collocarsi perseguendo i valori dell’eguaglianza, formale e sostanziale, e dell’onestà di chi le adotta, pur nelle accezioni ambivalenti che tali nozioni possono avere Scelte tragiche, cit., 15, 17, 215 . E pur con un ineliminabile sentimento di angosciosa insoddisfazione per gli esiti di quelle scelte, per le morti silenziose, drammaticamente destinate ad essere dimenticate e confinate nel quasi ineliminabile costo sociale della pandemia che una società deve comunque sostenere. Condizione che, del resto, Calabresi e Bobbitt avevano già descritto proprio riflettendo sulle decisioni di includere o meno alcuni soggetti in un gruppo in quarantena – Scelte tragiche , 177–.
Passando poi ad indagare il ruolo dello Stato nel suo complesso rispetto alla pandemia, ci si accorge che proprio la centralità del “valore uomo” di cui si diceva impone al decisore politico di non lasciare integralmente alle regole di mercato puro le scelte che incidono sul bene vita della sua popolazione, dovendo avvalersi del mercato in maniera accorta, anche per salvaguardare quei valori di cui si diceva, così evitando che uno sfrenato liberismo possa determinare pregiudizi inaccettabili e incalcolabili.
Ciò potrà dunque rendere accettabili e digeribili decisioni che comunque sono destinate a rimanere inappaganti per alcuni, anche se rimane difficile trovare, quando vi è, a monte, una scarsità di risorse, il “metodo dei metodi” per realizzare scelte ottimali e, quindi, risposte univoche a prevedibili.
La posizione di Bobbitt a proposito della scelta che avrebbe compiuto, da medico, se fosse stato chiamato a salvare un anziano luminare che stava per scoprire il vaccino anti Covid-19 o una persona più giovane o, ancora, suo figlio di sette anni, segue il solco tracciato da Scelte tragiche, prendendo come base il tema dell'allocazione dei reni artificiali.
Trovano così conferma, a distanza di poco meno di cinquant’anni, le intuizioni che Calabresi e Bobbitt avevano preconizzato su quanto diverse variabili potessero incidere sulle decisioni e sui metodi per giungere alle decisioni tragiche (criterio utilitarista, criterio cronologico (c.d. first come, first served, criterio casuale -c.d. lottery- o criterio terapeutico correlato alle maggiori probabilità di successo dell’intervento medico o della maggiore speranza di vita (v. Scelte tragiche, 38, 39)- rendendole più o meno accettabili in relazione al contesto nel quale esse maturano (Scelte tragiche, pag. 173).
Qui si comprende in modo forse ancora più marcato quanto la dimensione giuridica che pure è indispensabile per garantire situazioni informate a principi di certezza e prevedibilità non possa essere da sola appagante, dovendo coabitare con l’analisi economica del diritto, da essa traendo alimento e linfa anche ai fini interpretativi -v. G. Alpa, Il futuro di Law and Economics nel pensiero di Guido Calabresi. La Costituzione economica e i diritti fondamentali, in Contratto e impresa, 2013, f.3-. Un percorso, quest’ultimo, capace di alimentare un sistema giuridico in modo più accorto e consapevole tanto rispetto alle regole del legislatore, quanto a quelle di chi è chiamato ad applicare quelle regole. Un percorso, in definitiva, capace di valorizzare il passato senza scadere nel moto rivoluzionario che, pur in voga in questo periodo, rischia di essere distruttivo se privo di una visione programmatica che misuri e apprezzi il modo con il quale le scelte sono considerate dalla società nella quale viviamo.
Le riflessioni di Bobbitt sulle decisioni adottate negli Stati Uniti ed in Italia durante la crisi epidemiologica sembrano dunque avvolgere le prime da un mantello nel quale i valori della persona protetti dalle Carte dei diritti fondamentali devono godere di una protezione particolarmente intensa pur dovendo convivere, inesorabilmente, con le regole del mercato che pure lo Stato deve sapere usare in modo accorto.
Rimangono nelle coscienze dei familiari che hanno perso i loro cari per la scarsità di strutture e nei sanitari, chiamati a destreggiarsi all’interno di un sistema condizionato da risorse inadeguate, dei pesi difficilmente sostenibili che il corpo sociale dovrà cercare di valorizzare, considerare e condividere – v.le considerazioni esposte sul punto da L. Cocucci, Il diritto alla salute ai tempi del coronavirus e la scomparsa di una generazione tradita. Recensione a “L’Ovulo Rosso nel Sottobosco” di Nico Cocucci , pure pubblicato in versione pdf all’interno di questa Rivista –. E ciò non tanto o soltanto in una prospettiva “risarcitoria” – v., sul punto, l’intervista di Michela Petrini a G.Travaglino e C. Cupelli su Responsabilità Medica e Covid 19. Nubi all’orizzonte per gli eroi in corsia?, in questa Rivista, 7 maggio 2020 – ma anche quando“…in nome della solidarietà, la collettività assuma su di sé, totalmente o parzialmente, le conseguenze di eventi dannosi fortuiti e comunque indipendenti da decisioni che la società stessa abbia preso nel proprio interesse.” –cfr.Corte cost.n.118/1996–.
E il giudice di fronte all’esame delle scelte tragiche adottate dai decisori come si comporterà? Da cosa sarà a sua volta condizionato nel ponderare la portata e la conformità di quelle scelte al paradigma normativo di riferimento? Quanto la tragicità di una scelta può spettare al giudice, quando si trova davanti una persona ed è chiamato a decidere se rimanere al mondo o cessare di vivere? –v., sul tema, S. Rossi, Il diritto in equilibrio: il mestiere dei giudici e i “casi tragici” di tutti i giorni, in Diritto e società, 2013, I, 127 ss.–
Abbiamo lasciato alla fine qualche riflessione sul tema.
Ci si accorge, in verità, che la tragicità delle decisioni, anche giudiziarie, è tema talmente risalente nella storia della persona umana e della letteratura da mostrare quanto l’intervista di Bobbitt – insieme al testo dei due giuristi americani – sia di estrema attualità in un contesto ben più ampio rispetto a quello di partenza, toccando dalle fondamenta il ruolo del giudicare e dei diritti fondamentali nell’attuale contesto storico. E proprio negli hard cases che la tragicità della scelta del giudice tende ad alimentarsi della riflessione dei due studiosi americani qui più volte ricordati, ancorché non collegata alla scarsità dei beni da allocare, ma al contrasto dei valori sotteso a talune di queste scelte tragiche e della necessità di giungere, ad in via ermeneutica, ad un bilanciamento che cerchi di preservare comunque quei valori. Riflessione, quest’ultima, che è del resto lo stesso Guido Calabresi a svolgere nella prefazione alla seconda edizione italiana del volume – v. Scelte tragiche, XXII –.
Non è dunque casuale che le Università abbiano affrontato, ben prima della crisi epidemiologica, il tema delle scelte tragiche del giudice, costituzionale e non, ponendo al centro delle loro indagini il volume qui già ricordato e alcuni casi giudiziari ormai storici- caso Englaro, caso Welby, caso Cappato, maternità surrogata, vaccinazioni( per cui v., da ultimo, Corte coost.n.118/1996 e Corte cost.n.5/2018) nei quali vengono in gioco la vita delle persone più vulnerabili, il rapporto fra il diritto alla vita e quello alla dignità delle persone delle stesse, alla nozione che di dignità si intende offrire – cfr. Le scelte tragiche della Corte costituzionale italiana. Incontro dibattito con Daria De Pretis, Giudice della Corte costituzionale. Incontro organizzato dal Dipartimento di Giurisprudenza della Facoltà di giurisprudenza di Messina, 25 novembre 2019, in https://www.facebook.com/dirittocostituzionale/videos/629317840933320/ – poi espressamente tornando a riflettere sul tema del giudicare sulle scelte tragiche ai tempi del Covid-19- webinar su "Giudicare in tempo di crisi. Le scelte tragiche di fronte al Covid-19", organizzato dal Dipartimento di Giurisprudenza delle sedi di Messina e Priolo Gargallo il 29 aprile 2020 con la partecipazione dei Professori Alessio Lo Giudice e Luigi Manconi, in https://www.facebook.com/338415109925730/videos/605642656707478--
Anzi, drammaticamente, il Covid-19 ha dimostrato quanto sia stato lungimirante l’approfondimento del tema dei diritti fondamentali a livello accademico e giudiziario, del loro peso, della loro valenza interpretativa nei processi decisionali dei giudici (id est, nelle loro scelte).
Non vi è stato, in questi mesi, alcun operatore, teorico e pratico, che non abbia avvertito la necessità di richiamare i temi dei diritti, delle libertà, del bilanciamento per giustificare o criticare le misure restrittive adottate.
Ci si è accorti, forse in maniera più concreta che in altre, di quanto il ruolo del giudicare sulle scelte tragiche si alimenti di queste prospettive, di quanto il tema della disobbedienza del giudice sul quale Gaetano Silvestri, Vincenzo Militello e Davide Galliani si erano già soffermati sulla pagine di questa Rivista- Il giudice disobbediente nel terzo millennio, 5 giugno 2019, ora pubblicato ne “Il mestiere del giudice”, a cura di R.G.Conti, Padova, 2020, con prefazione di P. Grossi-.
L’intervista a Philip Bobbitt si arresta qui ma sembra aprire nuovi scenari anche sul concetto stesso di “risposta giudiziaria” e sulla capacità del sistema di offrire decisioni rapide e capaci di considerare le ricadute di tale rapidità in termini economici.
Chi scrive non ha la capacità e la forza di imbarcarsi su questioni di natura processuale. Ma sente quasi istintivamente che uno dei temi che non potrà trascurarsi sarà proprio quello del ruolo delle Corte di Cassazione, di come essa potrà svolgere la funzione che l’ordinamento le assegna se i meccanismi di accesso alla sua giurisdizione continueranno ad essere informati, spesso si suol dire, al canone dell’eguaglianza al quale fa da pendant l’accesso “libero” ed indiscriminato a difesa del diritto alla giustizia. Un’eguaglianza che, tuttavia, rischia di risolversi, in gravissime diseguaglianze se si guarda al peso ed al valore economico delle diverse decisioni che il giudice di legittimità è chiamato ad adottare e che, forse, richiederà uno sforzo aggiuntivo di riflessione sull’egualitarismo al quale Calabresi e Bobbitt hanno dedicato notevole attenzione – Scelte tragiche, cit., 17 –
Insomma, il dilemma che sta alla base della scelta di primo grado se consentire l’accesso alla giustizia di legittimità a tutti coloro che lo richiedono o solo ad alcuni, in un sistema di scarsità di risorse sarà uno dei temi centrali nel futuro del nostro Paese.
Come lo sarà quello correlato alle scelte di secondo grado che chiameranno il giudice di legittimità a selezionare, nel caleidoscopio delle decine di migliaia di ricorsi in ingresso, quelli che meritano di essere decise con priorità, riproponendosi i dilemmi che i due studiosi americani hanno richiamato sul metodo migliore per rispondere alla scelta tragica “di turno”.
Scelte che, a ben considerare, non possono ritenersi circoscritte, quanto alla soluzione, al mondo dei giudici che compongono la Corte, poiché la Giustizia non appartiene soltanto a loro, ma è della società nel suo insieme, risente dei valori e della cultura che lì si ritrova.
Un fascio di questioni che si mostrano certo “tragiche” per chi dovesse non avere accesso al giudice di ultima istanza o dovesse averlo con grande ritardo perché ritenuto meno meritevole di quella tutela rispetto ad altro.
Ritorna, ancora una volta, il ruolo del e dei metodi di allocazione delle risorse ed il loro grado di accettabilità da parte di una società.
Quanto la nostra società sarà capace di sopportare una giustizia lenta che consente l’accesso egalitario e quanto preferirà una giustizia pronta, capace di incidere sulle questioni nodali o vitali mettendo al primo posto il canone dell’eguaglianza nell’accesso? All'orizzonte ecco affacciarsi un futuro costellato, in Italia come negli Stati Uniti e nel mondo, da scelte dilemmatiche di primo e di secondo grado che, combinandosi secondo vari metodi, chiameranno i decisori ed i destinatari delle decisioni a verificarne i contenuti, le modalità, l’incisività, l’utilità e ad assumerne, ciascuno, il peso in modo responsabile.
Il saggio di accettabilità di queste scelte da parte della società dipenderà, per un verso, dal grado di onestà e limpidezza con il quale esse saranno adottate all’interno di assai delicate operazioni di bilanciamento fra diritti fondamentali – A. Buratti, Quale bilanciamento tra i diritti nell’emergenza sanitaria? Due recentissime posizioni di Marta Cartabia e Giuseppe Conte, in Diritticomparati e le condivisibili riflessioni successive di G. Martinico, Due dottrine dei diritti?, ib., 5 maggio 2020 – e di appropriatezza, proporzionalità e temporaneità delle misure intraprese che vede comunque nella Costituzione lo strumento capace di “offrire alle Istituzioni e ai cittadini la bussola necessaria a navigare «per l’alto mare aperto» dell’emergenza e del dopo-emergenza che ci attende” -M.Cartabia, Relazione annuale sull’attività della Corte del 2019 , 28 aprile 2020-.
Peraltro, la tenuta del futuro prossimo dipenderà anche dalla capacità di mettere davvero al primo posto nelle operazioni di bilanciamento fra valori – e dunque nelle scelte di secondo grado dei giudici – la vita e la dignità della persona nelle dimensioni plurali che esse assumono in funzione della pluralità dei soggetti coinvolti, in modo comunque da evitare, in nome della protezione della salute della collettività tanto la rottamazione delle persone in nome di una sconsiderata ricerca del voluttuario, del bello ma non utile (Eusebi, Scelte tragiche e Covid-19, cit.) quanto la “cultura dello scarto” in danno dei “meno utili” per la società che Papa Francesco ha stigmatizzato qualche tempo addietro – Il Papa: una società è “civile” se combatte la “cultura dello scarto"; v. pure L. Manconi, L’età dello scarto, La Repubblica, 19 aprile 2020, 1–.
Non sembra casuale che il Presidente del Bundestag tedesco Schäuble abbia di recente evocato il rispetto della dignità umana come valore fondante del suo paese, proprio per sottolineare la continua opera di bilanciamento che va ricercata per soddisfare e contemperare le prerogative più espressive della persona umana, in Germania come in Italia –v. l’intervista di chi scrive da V.Elbling, Italia-Germania, unite in un'Europa più solidale solidale e "sovrana". Parola d'ambasciatore! su questa Rivista, 9 maggio 2020 –.
Si comprende, così, come il filosofo Jürgen Habermas, in una recente intervista rilasciata a N.Truong per il quotidiano Le Monde, 15 aprile 2020, – Europa, hai l’ultima chance per salvarti l’anima – si sia posto di fronte al seguente quesito: “Si deve accettare il rischio di sovraccaricare il sistema sanitario e, quindi, aumentare il tasso di mortalità per far ripartire prima l’economia e ridurre così anche la miseria sociale causata dalla crisi economica?”
A questo punto il discorso si mostra in tutta la sua circolarità rispetto a quanto si è qui detto e sembra complicarsi enormemente, rinviando ancora una volta al tema del “giudicare” e delle sfide etiche alle quali occorrerà dare risposte.
E sarà, dunque, il giudice interprete – costituzionale e non – a dovere tentare di rispondere al quesito se la dignità rappresenti un valore a sé incomprimibile, attorno al quale ruotano gli altri valori come si è sostenuto da una parte della dottrina (per tutti, da ultimo, v. A. Ruggeri, La dignità dell’uomo e il diritto di avere diritti (profili problematici e ricostruttivi, in Consulta on line, 3 giugno 2018) o se in nome della dignità anche la vita possa essere sacrificata, ovvero ancora se la dignità rappresenti unicamente uno dei tanti valori, comprimibile allo stesso modo degli altri ( v., per tutti, M. Luciani, da ultimo in La pandemia aggredisce anche il diritto?, intervista di F. De Stefano a C.Caruso, G.Lattanzi, G. Luccioli e M.Luciani, in questa Rivista, 2 aprile 2020).
Comunque la si pensi su tale questione sarà necessario confrontarsi per risolvere gli ulteriori dilemmi che riguardano il bilanciamento fra diritti fondamentali – come testimoniato dalla già ricordata Corte cost. n.2/2015 e questa fame di dignità che sembra a più riprese emergere – v. S. Petitti, Il giudice è garante della dignità umana?, in questa Rivista, 14 settembre 2019; C. Salazar, Il giudice è garante della dignità della persona?, in questa Rivista, 3 ottobre 2019: R. Conti, Bioetica e biodiritto. Nuove frontiere, in questa Rivista, 29 gennaio 2019; id. Scelte di vita o di morte, Il giudice è garante della dignità umana? Roma, 2019 –, tenendo presente il dovere di solidarietà nel suo fare tutt’uno con quello di fedeltà alla Repubblica (A. Ruggeri, Scelte tragiche e Covid-19, cit.).
Le risposte offerte da Bobbitt potrebbero essere utili nella direzione qui indicata.
R. Conti
Versione originale(trad. domande a cura del dott. Calogero Ferrara)
Tragic choices, after 42 years. Bobbitt thinks over pandemic emergency.
1.Professor Bobbitt, you celebrated book, coauthored with Prof. Guido Calabresi, formed the basis of ethical, economic and legal studies. Nowadays, after the pandemic that hit the world, what would change and what would confirm, comparing with the conclusions you had reached at that time?
I think the overall analysis of Tragic Choices holds up: that societies disguise through various subterfuges the rationing and trade-offs that are inevitable in order to preserve a sense of the pricelessness of certain values; that because societies have a surfeit of values such that even their most deeply held values cannot be instantiated simultaneously, tragic choices are inevitable; that this surfeit of values is reflected in the cycling of various methods of allocation so that some values are exalted and then discarded or downgraded; that there is no “saddle point” that by balancing competing values, maximizes them; and perhaps most importantly, that how a society resolves its tragic choices defines that society. I think that our experience with the coronavirus crisis confirms this analysis. Still there are emphases that I might change. For example, the role of political leadership could be stressed to a greater degree. We referred to scapegoating and even xenophobia, but I doubt that either of us imagined the depths of the failure of character in a leader that this crisis would expose.
2. In your book you a bipartition between first and second degree decisions. Do you think this division can apply to the ongoing epidemiological emergency?
Indeed I do. Tragic Choices described two different kinds of decisions: first order choices such as how many tests to produce, how many ventilators, and so on and second order choices that amount to protocols setting various priorities – – who will get access to ventilators, who gets tested and where, who must be quarantined, who gets resuscitated, who gets vaccinated, and who is removed from intubation. It ought to go without saying that making the first order decisions turn on whether they enhance the political prospects of the head of government is unspeakable though no less so than making second order decisions like what regions and cities will be favored depend on whether the recipients are deemed supportive of any particular political agenda.
3. In the Western world, the procedures for allocating resources in the health system have registered different models of action. The Italian model is essentially based on the universalistic criterion but, at the same time, it has shown great difficulty in dealing with the pandemic emergency, due to the gaps between different areas of the country. Can you explain us the US approach towards the emergency? Do you think it worked and was successful?
I’m not sure that the United States has an “approach.” Our political system is so decentralized and our national leadership has been so indecisive that I think it would be a mistake to conclude that there is an American plan. The approach that seems to be emerging, driven primarily by some states, is a shelter-in-place strategy, with varying degrees of rigor, that aims to slow the pace of new infections. Schools and businesses have been closed so that hospitals and medical infrastructure would not be overwhelmed. Also, perhaps, there has been the hope that if we could buy time with these measures, a vaccine or even a cure might emerge. America is a very wealthy society, and it may be that we can afford such an expensive strategy; but America is also a rather stratified society and whether we can emerge successfully as a whole does not mean that certain groups – – the elderly in care homes, incarcerated persons in prisons, the poor in dense and underemployed neighborhoods, and various racial and ethnic groups that are disfavored structurally – – won’t bear an unfair share the burden. It may even mean that we will not emerge “as a whole.”
4. The gap between existing health structures in Italy put a strain on those in Northern Italy and much less in the Southern regions. Were there similar phenomena in the United States between the various federal states?
The contrast among regions in the United States has shown some areas as harder hit – – New York in particular – – but the real contrast has been in how the states have responded to the crisis. This is reflected in proposed interstate compacts that would link different states with the same general strategies of coping. Thus coastal regions in the Northeast, including especially New York and its surrounding states, have worked through their governors to link up with coastal states in the West, notably California and Washington. These states have had the most aggressive programs to reduce interpersonal contact. At the same time, states in the Midwest and the deep South have proposed similar plans that rely on somewhat looser regulations. These differences mirror deeper affinities that the federal system tends to nurture and I fear that, as a result of the coronavirus experience, such alliances will bring about a loss of national coherence.
5. In Italy as well as in Spain and France, it was debated the effectiveness of existing practices in hospitals when they are not able to cope with the demand for intensive care units. Many different criteria could be used for these dramatic choices: utilitarian criterion, chronological criterion (so called first come, first served), random criterion (i.e. lottery), therapeutic criterion based on the greater probability of success of the medical intervention or greater life expectancy- i.e. Le 'Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione, in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili', just to mention the most important ones. What kind of approach was adopted in the United States?
All of the above. Different hospitals even in the same city have adopted different protocols; some protocols, once they were made public, have been withdrawn in the face of public outcry. Some physicians have refused to apply the prescribed protocols. But generally there is no consistent set of priorities. Nor do I believe that any one of the criteria described in your question would long survive public scrutiny in the United States.
6. In case of a necessary choose to put under intensive care the old luminary who is discovering the covid-19 vaccine or a young man with greater life expectancy, what should be the decision of an American doctor? And of an Italian doctor?
Although I have traveled in Italy and even written a book on one of its greatest thinkers (The Garments of Court and Palace: Machiavelli and the World that He Made*), and although Italians have always made me feel at home in their company, I would not presume to say what the decision of an Italian doctor should be in the circumstances you posit. If I were an American doctor – – a real doctor, an MD, and not a mere PhD – – I imagine I would prefer the person of whatever age who is discovering the covid-19 vaccine over someone much younger because by doing so I might be able to save the lives of many younger men rather than just one. Call it “American pragmatism,” if you like. But if the young man were my son, Pasha aged 7, I should shrink from such a decision.
7. Do you think that the tragic choices we are discussing about should be freely taken only by doctors, or do we need protocols taking into consideration the positions of various professionals in the ethical, philosophical and legal medical field?
As I implied in my answer to a preceding question, I believe that a pluralism of protocols will eventuate even if one of these is to defer to individual decisions taken by treating physicians. Tragic choices are by their nature unsatisfying and unstable, but they must be made. Decisions left to individual doctors must cope with what might be called the Hippocratic paradox: that unswervingly serving the immediate patient could lead to gross inequalities based on wealth, race, ethnicity, social standing and so on and thus sacrifice the well-being of the society taken as a whole. For many cultural and historical reasons, the United States is a society whose self-respect has increasingly come to depend on how the weakest and most vulnerable among us are treated.
I think it would be an egregious exercise of state power were a society to defer entirely to the market in the distribution of tragic goods. Even if it could be shown that, in principle, such deference created greater wealth that in turn could be used to compensate those persons who could not successfully bid for the tragic good, in practice such reparations seldom take place and, in any event, the stamp of oppressive materialism upon the face of such a society would be indelible. The question rather should be: to what extent should public power and regulation use the market to achieve social aims?
8. To what extent the political choices on the allocation of health resources should be regulated only by the market? Or should they be reserved to the public powers and regulations?
I think it would be an egregious exercise of state power were a society to defer entirely to the market in the distribution of tragic goods. Even if it could be shown that, in principle, such deference created greater wealth that in turn could be used to compensate those persons who could not successfully bid for the tragic good, in practice such reparations seldom take place and, in any event, the stamp of oppressive materialism upon the face of such a society would be indelible. I was attempting to distinguish between a state that simply abdicates its role in deference to the market---as the United States largely did with respect to medical care before the Johnson administration that adopted Medicare (for the elderly) and Medicaid (for the poor)---as contrasted with state programs that use the market, as the Obama administration did with respect to the Affordable Health Care Act that attempted to broaden medical insurance coverage. Another example might contrast the option to purchase a “substitute” during the American Civil War by persons who wished to avoid the draft, with the switch from conscription in the 1970’s to an all- volunteer force to raise military personnel. In the former case, the state is deferring to the market by allowing a conscripted person to buy his way out, overriding the political mechanism of a draft; in the latter case, the state is using the market to raise armies much as it uses the market to purchase arms.
9. Professor Bobbitt, what is the economic value of a human life in your country?
This question is unanswerable, at least by me, because I believe the term “economic value” is underspecified. As I wrote my dear friend and co-author, Judge Calabresi: it is like asking the following question – – Given certain assumptions about automobile speeds, gas consumption, driver skills and fatigue, speed limits and so on, how long will it take a car to travel from the White House to its destination? “Economic value” means – – in your question, at least – – the most efficient pricing of a particular good (human life). But I cannot determine what is most efficient unless the objective is specified. Is it the longest life? The most satisfying life? The life that contributes most to society?
10. Should the universalism of values and the principle of equality affect the political decisions on the public health protection field ? And to what extent ?
And I’m afraid I have a similar difficulty with the principle of equality. Without a specified value, equality as was observed some years ago by Peter Westen, is an empty idea. We must first determine “equal in what respect” for the many kinds of equality that compete. For example, when we speak of equality before the law we rely on the many differentiations that the law makes (guilty or not guilty, responsible or not responsible, entitled or not entitled) as to which persons are equal. Is a lottery more equal because it is random (and treats everyone blindly and thus the same) or is it likely to be considered less equal as a method of allocation because without an overriding set of priorities, it invariably treats people of very different conditions as if they were the same?
11. The choice of lockdown to spare the probable death of a substantial part of the population, due to the absence of adequate health facilities, determined a strong impact on vital economic factors. Thus, it risks leading to "fatal" side effects for another bigger part of the population. Can this kind of decision be defined as a first degree tragic choice? How can be identified the balance between these two different and contrasting needs?
Yes, such a decision is in our terminology a “first order” determination. I don’t have an algorithm that would determine the proper balance between the protection of the health of various persons in a society versus the productivity of that society’s economy. I’m inclined, however, to think that there is no one rule. That is to say, that the rule on which a society settles will invariably be an imperfect one.
12. The pandemic emergency switched on again the debate on the welfare state and the market. In Italy there is still no possibility to equip the whole population with protective masks due to the fact that Italian factories did not consider this production economically convenient. In your opinion, whereas public health is at stake, the State intervention should be just a possibility or a duty?
I should think there are few more important duties than the protection by the state of the well-being of its people.
*Which, by the way, is dedicated to Judge Calabresi.
Termini a ritroso e “sospensione per pandemia”[1]
di Marco De Cristofaro Prof. Ordinario di Diritto Processuale Civile nell’Università di Padova
Un tema che solleva problematiche molto intricate è quello dei termini a ritroso a cui il legislatore del D.L. n. 18/2020, a differenza di quello del D.L. n. 11/2020, ha dedicato espressa attenzione (v. https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/1036-covid-19-e-sospensione-dei-termini-sostanziali)
L’art. 83, co. 2, D.L. 18/2020 prevede nel proprio quarto periodo che, «quando il termine è computato a ritroso e ricade in tutto o in parte entro il periodo di sospensione» (periodo di sospensione come noto prorogato fino all’11.5 dall’art. 36 D.L. n. 23/2020), allora devono essere differite le date delle udienze in connessione alle quali si calcola a ritroso il termine[2].
Quando al sintagma: “il termine … ricade in tutto o in parte”, è ineluttabile ritenere che esso faccia riferimento al “decorso del termine”. Posto che il termine “cade” sempre in un giorno unico, e quindi o scade entro il periodo di sospensione o scade al di fuori dello stesso, è solo il “decorso” dello stesso che può “ricadere” in tutto o in parte in detto periodo.
Posta questa premessa, per comprendere le potenzialità applicative della disposizione diviene necessario formulare una serie di ipotesi sia con riguardo agli atti introduttivi, sia con riguardo a memorie o comparse endo-processuali (queste ultime, per solito, ricollegate ad un’udienza di discussione o ad un’adunanza camerale, ex artt. 281 sexies, 429, 378, 380 bis, 380 bis.1 c.p.c.).
a) Se il termine, che il convenuto deve rispettare ai fini della tempestiva costituzione in giudizio[3], cade entro il periodo di sospensione, nulla quaestio, l’udienza dovrà essere rinviata.
Se il decorso del termine ricade anche solo per una parte entro il periodo di sospensione, il convenuto ha diritto alla fissazione di una nuova prima udienza, perché ha diritto a godere per intero dello spazio a difesa minimo che il legislatore gli ha concesso. Immaginiamo quindi il termine dell’art. 163 bis c.p.c., con citazione notificata a febbraio ed udienza fissata a metà giugno: il convenuto dovrebbe avere un termine a difesa minimo che è di 90 giorni liberi meno i 20 per la costituzione tempestiva per sottrarsi alla decadenza concernente riconvenzionali, eccezioni “in senso stretto”, chiamate di terzi (ossia un termine minimo di 71 giorni per predisporre le proprie difese); ebbene, se questi 71 giorni decorrono anche in parte nel periodo che va dal 9.3 fino all’11.5 maggio, l’udienza dovrà essere necessariamente rinviata.
Pertanto, ove già non abbia provveduto al rinvio d’ufficio (cui si accompagnerà sempre ed in ogni caso il differimento anche del termine di costituzione[4]), all’udienza il giudice, nella contumacia del convenuto, dovrà fissare una nuova prima udienza. Non dovrà invero a nostro avviso tecnicamente rilevare la nullità della citazione, perché la citazione di per sé era valida – l’attore aveva fissato correttamente la data di prima udienza, venendo a propria volta “colto di sorpresa” da sospensione da pandemia –, ma solo fissare una nuova prima udienza con finalità di rimessione del convenuto nella pienezza del termine a difesa, in applicazione analogica dell’art. 164, co. 2, c.p.c. (ed a prescindere da un’apposita istanza in tal senso, da cui appunto il co. 2 dell’art. 164 reputa di poter prescindere allorché la lesione delle prerogative difensive della parte sia avvenuta nella fase introduttiva).
Se invece il convenuto si è costituito, subentra l’art. 164, co. 3, c.p.c. richiamato del resto nella relazione illustrativa al D.L. n. 18/2020[5], il giudice dovrà fissare una nuova data di prima udienza per consentire il godimento integrale del termine minimo a difesa previsto dalla legge: anche se ciò presupporrà ex necesse la richiesta del convenuto, perché è sempre necessaria un’apposita istanza del convenuto costituito, sia ai sensi della norma testé evocata, sia ai sensi dell’art. 157 c.p.c.
Resta il tema di verificare – per entrambe le ipotesi considerate (termine che scade entro il periodo di sospensione, termine che decorre parzialmente entro il periodo di sospensione) – quale sia l’ambito del rinvio, ossia se esso deve offrire al convenuto ulteriori 90 giorni che decorrano successivamente all’11.5.2020, ovvero se si possano cumulare i giorni decorsi prima dell’inizio della sospensione da pandemia con quelli che saranno decorsi dopo la fine della sospensione. Questa verifica però ci pare opportuno condurla a valle della considerazione di altri termini, più contenuti rispetto a quello ordinario ex art. 163 bis c.p.c.
b) Se immaginiamo invece che l’udienza sia quella ex art. 702-ter c.p.c. oppure quella ex art. 420 c.p.c. nel rito del lavoro, in linea di principio valgono le soluzioni sopra viste.
Diviene qui però più agevole focalizzare una situazione assai particolare, di ben più facile realizzazione rispetto a quanto accade per il “lungo” termine ordinario fissato in citazione. Accade non del tutto infrequentemente che il ricorso, depositato magari ad inizio febbraio, abbia visto la fissazione dell’udienza ad inizio luglio; l’attore, pur avendo la possibilità di ritardare fino all’ultimo la notifica (ossia fino al quarantesimo giorno prima dell’udienza nel sommario[6], fino al trentesimo giorno prima dell’udienza nel rito del lavoro[7]), ha invece proceduto immediatamente alla notifica, prima dell’inizio del periodo di sospensione da pandemia. Qui il termine per la costituzione del convenuto “è decorso” durante detto periodo; tuttavia il termine “minimo” concessogli a difesa (i 30 giorni del sommario piuttosto che i 20 giorni del rito laburistico) si dipana per intero nel periodo post 11 maggio.
Se dunque i termini minimi a difesa decorrono integralmente dopo la fine della sospensione, in questo caso l’udienza fissata ad una distanza che è superiore ai 40 giorni, per il rito sommario, e superiore ai 30 giorni, per quanto riguarda il rito del lavoro, ben potrà essere confermata, perché comunque il convenuto ha avuto modo di beneficiare, dopo la fine della sospensione, dell’intero spazio a difesa minimo che il legislatore ha ritenuto essere incomprimibile per queste situazioni.
Del resto, la notifica del ricorso con pedissequo decreto di fissazione d’udienza (anziché, ad es., il 25 febbraio) fosse arrivata il 12 maggio, il convenuto avrebbe avuto i giorni minimi indispensabili per predisporre la propria difesa; ed allora non diversamente si dovrà concludere allorché la notifica di ricorso e decreto di fissazione d’udienza sia stata fatta, anticipatamente, già a fine febbraio-inizio marzo, poiché il convenuto avrà comunque, dopo l’11 maggio, tutto lo spazio a difesa che il legislatore ha inteso assicurargli.
Sorge però qui il quesito su come affrontare il caso in cui, dopo la fine della sospensione, non vi sia spazio sufficiente per garantire detti termini minimi. L’ipotesi è dunque quella in cui, successivamente alla notifica, il termine sia in parte decorso e sia ripreso successivamente all’11 maggio, per compiersi con il rispetto dei minimi, nella somma della decorrenza ante e post.
Qui, in linea puramente logico-matematica, non vi sarebbe uopo a differimento dell’udienza. Tuttavia la risposta non pare più così semplice ove si consideri il caso affine in cui – avvenuta la notifica con ampio anticipo, tale da consentire il decorso dei termini minimi anteriormente all’inizio del periodo di sospensione da pandemia – l’udienza si trovi fissata al 18 maggio, con il termine che, originariamente, doveva ritenersi in scadenza l’8 maggio precedente, in pieno periodo di sospensione.
In tale ultima fattispecie è indiscusso che l’udienza debba essere differita. Il che porta però a chiedersi se – con notifica effettuata il 24 gennaio – abbia senso che venga differita l’udienza fissata il 21 maggio, con il termine di costituzione in scadenza l’ultimo giorno della disposta sospensione, e non debba invece esserlo quella del giorno successivo, 22 maggio, poiché in tal caso il convenuto avrebbe avuto la possibilità di usufruire, prima dell’inizio della sospensione, tutto il termine minimo a difesa assicuratogli dalla legge.
È evidente che questa conclusione – in sé palesemente iniqua e contra tenorem rationis (perché, ammettendo che scadano termini persino il giorno successivo al venir meno della sospensione, costringe a realizzare gli incontri preparatori ed a predisporre lo scritto difensivo in costanza di sospensione) – pretermette altresì il modo in cui si struttura e si dipana l’attività difensiva nella vita reale. Nel senso che, se il cliente comunica al legale di aver ricevuto a gennaio una notifica per un’udienza di metà maggio, trattandosi di un termine ante quam, quel legale “scadenzierà” la memoria difensiva per il decimo giorno anteriore a quell’udienza, né si può pretendere che abbia provveduto a predisporre tale memoria nel termine a quo decorrente dalla notifica.
Detto altrimenti, per quanto in anticipo si sia ricevuta la notifica, è ineluttabile che vi sia un “settaggio” dell’attività del difensore che lo porta a calendarizzare le attività funzionali alla difesa in funzione della data da cui decorre, a ritroso, il termine di costituzione; e tale “settaggio” resta ineluttabilmente disorientato nel momento del sopravvenire, ex post, dell’evento del tutto imprevedibile del Covid-19, e della conseguente sospensione del termine disposta dai D.L. n. 18 e n. 23/2020.
A questo punto la conclusione ci pare necessitata. Il decorso del termine «ricade in tutto o in parte entro il periodo di sospensione» in tutte le ipotesi in cui, muovendo a ritroso dalla data dell’udienza, risulta che non solo il termine di costituzione, ma anche l’intero termine minimo a difesa si dipani successivamente al venir meno della sospensione; e ciò non solo nei casi dei termini “più brevi”, di cui agli artt. 415 o 702 bis c.p.c., ma anche – qui sciogliendo il dubbio che abbiamo lasciato aperto prima – con riguardo al termine dell’art. 163 bis c.p.c.
Il termine cui ha riguardo il legislatore è dunque l’intero termine a difesa, calcolato a ritroso dalla data d’udienza, che deve tutto decorrere successivamente al venir meno della sospensione. Se ci fosse anche sola una sua frazione che risulti esser decorsa nel periodo di sospensione, le udienze debbono essere rinviate.
Quanto al profilo della comunicazione al convenuto del differimento d’udienza, ove il modello introduttivo sia quello del ricorso, trattandosi della modifica di un decreto di fissazione d'udienza, che è stato notificato insieme al ricorso, il nuovo provvedimento del giudice dovrà essere parimenti oggetto di comunicazione; nel caso in cui invece il modello introduttivo sia costituito dalla citazione, a motivo del fatto che neppure l’art. 168 bis, co. 5, c.p.c., prevede la comunicazione dello spostamento d'udienza disposto dal giudice, non pare necessaria alcuna ulteriore modifica[8].
c) Questo approdo si pone invero a nostro avviso – diversamente da quanto sostenuto nella Relazione del Massimario della Cassazione, n. 28 del 1°.4.2020 – in coerenza con i principi giurisprudenziali elaborati in materia di computo dei termini a ritroso, allorché il loro decorso venga a cadere in costanza del periodo feriale “ordinario” ex lege n. 742/1969 (coincidente, dal 2015, con il periodo tra il 1° ed il 31 agosto): è noto infatti che, per tale caso, si è ritenuto che la costituzione tempestiva del convenuto debba svolgersi “neutralizzando” l’intero periodo feriale, sì che – fissata udienza al 5 settembre – il termine a ritroso dovrà essere calcolato senza contare il mese di agosto, andando così a cadere (seconda del rito, ordinario ovvero sommario/laburistico) il 15 ovvero il 25 luglio (così come, nell’ottica dell’attore, la fissazione dell’udienza libellata dovrà non tener conto dei giorni agostani ai fini del rispetto del termine minimo a comparire dell’art. 163 bis c.p.c.)[9].
Un siffatto principio però può valere in tanto in quanto l’esistenza e la durata del periodo di sospensione siano conoscibili ex ante, di modo che la parte interessata possa prevedere i propri comportamenti; là dove invece la sospensione sopravvenga in modo del tutto imprevedibile, è chiaro che non si può ascrivere al convenuto di non aver provveduto all’attività difensiva in modo da costituirsi … prima della sospensione. Anzi proprio per rimanere coerenti con la ratio del principio – per cui né il convenuto (ed il suo legale), né l’attore (ed il suo legale) debbono vedersi coartati a profondere il proprio impegno, difensivo od in replica, nel periodo di sospensione – si dovrà questa volta concedere alla parte interessata l’intero decorso del termine successivamente al venir meno della sospensione, senza che il convenuto debba computare nemmeno un giorno al suo interno.
Né con tale approdo modo si entra in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale in base al quale, nel caso di necessità di fissazione di nuova udienza ex art. 164, co. 3, c.p.c., il giudice ben può tener conto del tempo trascorso dalla notifica[10]. La tesi qui sostenuta non mette in dubbio che, rispetto ad un’udienza originariamente calendarizzata per il 29 maggio, il giudice possa fissare la nuova udienza in una data che consideri anche il periodo a partire dall’11 maggio nel computo dei 90 giorni liberi complessivi prima della successiva udienza[11]; quel che rileva è che comunque vengano conteggiati solamente i giorni successivi all’11 maggio, poiché i giorni che fossero eventualmente decorsi prima dell’8 marzo non sono rilevanti in quanto la sola decorrenza che rileva è quello che si sarebbe dipanata a ritroso rispetto all’udienza per l’intero termine minimo a difesa.
d) Altro ordine di situazioni che richiede approfondimento, sulla base della nuova regola sui termini a ritroso, è quello in cui il giudice, ad es. a fine gennaio, per un’udienza di discussione ex art. 281 sexies, per un’udienza di discussione finale ex art. 702 ter, per un’udienza di discussione nel rito del lavoro ex art. 429 c.p.c., abbia fissato l’udienza finale verso fine maggio, dando un termine per note conclusive per 10 o 15 giorni prima. In questo caso la “scadenza” del termine si colloca dopo la fine del periodo di sospensione, e si potrebbe essere indotti, in linea di principio, a ritenere che essa sia sempre “congrua”, poiché non vi sono termini minimi incomprimibili, ed altresì perché il giudice ha fissato quel termine di norma in funzione delle esigenze del ruolo e non certo per aver valutato che quello spatium temporis fosse l’unico adeguato all’approfondimento difensivo ad opera delle parti.
Tuttavia ci possiamo chiedere, in questo caso come in quello che abbiamo visto prima del termine di costituzione che decorre in parte prima e in parte dopo la fine del periodo di sospensione, se non vi sia da salvaguardare una aspettativa del difensore che, in qualche modo, ha “settato” la propria organizzazione di studio sapendo che l’udienza di discussione ex art. 429 od ex 281 sexies c.p.c., era a circa 4 mesi di distanza, non certo prevedendo di dedicarsi alla redazione delle note conclusive immediatamente dopo la concessione del termine. Anche in quest’ipotesi, per un verso, la parte è rimasta privata del decorso di almeno due mesi circa, per la sospensione da pandemia di cui ai D.L. n. 18 e 23/2020; per altro verso, il difensore potrebbe trovarsi a dover predisporre le note conclusive nei pochissimi giorni successivi al venir meno della sospensione, trovandosi disorientato e soprattutto costretto – contra tenorem rationis dell’intervento urgente del legislatore – a contatti con il cliente o con la cancelleria[12] ed alla predisposizione dell’atto ancora nei giorni di sospensione e di “distanziamento sociale”.
Va tuttavia operata una precisazione: in assenza di termini legali da rispettare, la parte non ha un diritto quesito alla lunghezza del termine (ad es. di quattro mesi, nell’esempio fatto) in ragione dell’originaria fissazione dell’udienza di discussione. Ciò significa che non riteniamo sia obbligatorio disporre il rinvio d’udienza allorché la parte possa comunque disporre per la predisposizione delle note conclusive, dal venir meno della sospensione da pandemia alla data dell’udienza, di un numero di giorni che siano almeno pari a quelli minimi che la legge le conferisce per la prima costituzione in giudizio: se cioè, per predisporre la difesa “a freddo”, appena ricevuta la notifica dell’atto introduttivo e con l’incombere delle preclusioni, il legislatore reputa sufficiente un termine di costituzione di 20 giorni (nel rito del lavoro) o di 30 giorni (nel rito sommario, probabilmente estendibili anche all’opposizione a stato passivo), l’udienza non dovrà essere differita nella misura in cui la prevista scadenza delle note conclusive consenta alle parti di usufruire, dopo l’11 maggio, di un numero di giorni quanto meno equivalente a quello indicato (dovendo considerarsi in linea di principio meno complicata, rispetto alla difesa iniziale, appunto a preclusioni incombenti, la ricapitolazione dei fatti di causa e delle questioni di diritto, entro un atto che non può avere contenuto diverso dal «compiuto svolgimento delle ragioni di fatto e di diritto su cui si fondano» le conclusioni rassegnate[13]).
Il che significa altresì che, non essendovi qui termini legali da rispettare, ma essendo lo spatium temporis originariamente assegnato per le note conclusive per regola indipendente da valutazioni circa la complessità difensiva della causa, il giudice ha ampia discrezionalità nel fissare la nuova udienza, a condizione che venga rispettata la garanzia sopra indicata. Per quanto invece riguarda i procedimenti cautelari e possessori (se ed in quanto non rientranti tra le eccezioni alla sospensione ex art. 83, co. 3, D.L. n. 18/2020), in ragione della loro natura intrinsecamente urgente, il giudice non avrà in linea di principio alcun vincolo (se non quello degli almeno 7 giorni ricavabile dall’art. 669 octies, co. 2, c.p.c.), ma avrà il dovere di compiere un’adeguata ponderazione delle rispettive esigenze (celerità nel provvedere, garanzia del contraddittorio)[14].
e) Con riguardo al giudizio in Cassazione, infine, sappiamo che, con provvedimento del 10.4.2020, il Primo Presidente ha rinviato a nuovo ruolo tutte le udienze pubbliche fissate entro il 30 giugno e tutte le adunanze camerali fissate entro il 31 maggio.
Se si tiene conto che in Cassazione l’unico termine endo-processuale fissato in relazione ad un’udienza è quello per il deposito della memoria illustrativa ex artt. 378, 380 bis e 380 bis.1 c.p.c., in questo modo il tema del decorso parziale dei termini entro il periodo di sospensione è pressoché per intero superato; e trova altresì conferma l’impostazione che abbiamo sin qui sostenuto.
Siccome infatti la parte ha diritto ad avere comunicazione della data dell’udienza pubblica o dell’adunanza camerale «almeno venti giorni prima» (art. 377, co. 2, ed art. 380 bis, co. 2, c.p.c.), il rinvio di tutte le attività a dopo il 31 maggio assicura per intero il termine minimo a difesa, poiché dopo l’11 maggio decorreranno senz’altro i 20 giorni prima dell’udienza pubblica o dell’adunanza camerale in Sez. VI, e si avranno comunque i 15 giorni incomprimibili concessi per la preparazione ed il deposito (oggi possibile anche in via telematica[15]) della memoria.
Resterebbe invece scoperto il maggior termine per le adunanze camerali in Sezione ordinaria, ex artt. 375, ult. co., e 380 bis.1 c.p.c. Per queste, infatti, la comunicazione dell’adunanza dev’essere data alle parti ed alla Procura Generale «almeno quaranta giorni prima», per consentire la dialettica tra le conclusioni scritte del P.M., che potranno esser depositate venti giorni prima dell’adunanza, e le successive memorie di parte, che potranno esser depositate non oltre dieci giorni prima.
È vero che il provvedimento del Primo Presidente del 10.4.2020 prevede che le adunanze ex art. 380 bis.1 c.p.c. si possano svolgere solo a partire dal 22 giugno, di modo che sia assicurato anche qui l’intero decorso del termine successivamente alla sospensione. Resta però un piccolo difetto di coordinamento là dove il rinvio generalizzato a nuovo ruolo delle adunanze camerali è previsto solo per quelle fissate entro il 31 maggio: essendo evidente che, per quelle in Sezione ordinaria, tale rinvio dovrà ricomprendere anche i giorni fino al 22 giungo, potendosi solo da quest’ultima data procedere alla nuova trattazione dei ricorsi in “adunanza camerale non partecipata” secondo il modello elettivo dell’art. 375, ult. co., c.p.c.
[1] Relazione tenuta alla conferenza-zoom “I processi ai tempi dell’emergenza”, organizzata dall’Ordine degli Avvocati di Padova in data 9.4.2020.
[2] Sul punto non vi è stata modifica ad opera della legge di conversione, approvata definitivamente il 24.4.2020 ed in attesa di pubblicazione.
[3] Stiamo tuttavia parlando di tutti i termini a ritroso, ivi compresi quelli per la presentazione della domanda di ammissione al passivo ex art. 93 l.fall. V. Cass., 24.7.2012, n. 12960: «il termine perentorio per la presentazione delle domande di insinuazione al passivo fallimentare, sancito dagli artt. 16, co. 1, n. 5, e 93, co. 1, l.fall., è soggetto alla sospensione feriale, sulla base delle indicazioni desumibili dagli artt. 92 R.D. n. 12/ 1941 e 36 bis l.fall., in quanto si tratta di termine processuale, entro il quale il giudizio deve necessariamente essere proposto, non essendo concessa altra forma di tutela del diritto».
Dovendosi intendere sospesi tutti i termini di natura processuale, non credo che tra gli stessi possa farsi rientrare il termine dilatorio dei 10 gg. del precetto, di cui all’art. 480, co. 1, c.p.c.: il precetto è atto prodromico all'esecuzione, e pone al debitore un termine per procedere ad un atto, il pagamento, che è di pura natura sostanziale; ed i termini di natura sostanziale sono sospesi solo quando – per rispettarli – si renda necessaria la proposizione di una domanda o comunque il compimento di un’attività giudiziale. E certo il pagamento non è una domanda giudiziale. Viceversa, e coerentemente, deve ritenersi sospeso il termine di perenzione del precetto, ex art. 481 c.p.c. (così come quello per la notifica del decreto ingiuntivo, ex art. 644 c.p.c.).
[4] V. anche Panzarola-Farina, L’emergenza Coronavirus ed il processo civile. Osservazioni a prima lettura, in Giustizia civile.com, par. 4, in fine.
[5] Sebbene a nostro avviso non si possa sostenere che, in linea generale, l’intero meccanismo “ricalchi” quello dell’art. 164, co. 3, c.p.c.
[6] Co. 3 dell’art. 702 bis c.p.c.: «il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato al convenuto almeno 30 gg. prima della data fissata per la sua costituzione», coincidente – questa data – con i 10 giorni anteriori all’udienza.
[7] Co. 5 dell’art. 415 c.p.c.: «tra la data di notificazione al convenuto e quella dell’udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di 30 gg.», dovendosi il convenuto costituire «almeno 10 gg. prima dell’udienza» (art. 416, co. 1, c.p.c.). Per tutte Cass., 29.11.2005, n. 26039: «in materia di controversie di lavoro, il termine di dieci giorni assegnato al ricorrente per la notificazione del ricorso e del decreto giudiziale di fissazione dell'udienza di discussione al convenuto, ai sensi dell'art. 415, co. 4, c.p.c., non è perentorio, ma ordinatorio, con la conseguenza che la sua inosservanza non produce alcuna decadenza né implica la vulnerazione della costituzione del rapporto processuale a condizione che risulti garantito al convenuto il termine per la sua costituzione in giudizio non inferiore ai trenta giorni, come stabilito dal co. 5 della stessa norma (ovvero a quaranta giorni nell'ipotesi prevista dal successivo co. 6)». E fermo restando pure il mancato rispetto di questo termine non comporta l’improcedibilità del giudizio (in particolare d’opposizione a decreto ingiuntivo o d’impugnazione, nel caso dell’art. 435 c.p.c.), «bensì la nullità di quest’ultima, sanabile ex tunc per effetto di spontanea costituzione dell’appellato o di rinnovazione, disposta dal giudice ex art. 291 c.p.c.» (Cass., 17.4.2018, n. 9404; Cass., 12.9.2018, n. 22166; Cass., 7.1.2019, n. 172).
[8] Altra questione è, invece, quella su cui si soffermano Panzarola-Farina, L’emergenza Coronavirus ed il processo civile. Osservazioni a prima lettura, in Giustizia civile.com, par. 4, in fine, con riguardo all’ipotesi di udienze fissate dopo l’8 marzo, rispetto alle quali il termine di tempestiva costituzione sia scaduto anteriormente alla sospensione da epidemia: per queste ipotesi va in effetti condivisa la tesi per cui – essendo il termine venuto a compimento prima della sospensione – non dovrebbe darsi spazio per una rimessione in termini del convenuto.
[9] V. Cass., 17.5.2010, n. 12044; già Cass., 17.10.2005, n. 19530.
[10] Cass., 20.11.2018, n. 29839: «la fissazione della nuova udienza, ai sensi dell'art. 164, co. 3, c.p.c., deve essere disposta dal giudice facendo riferimento, quale dies a quo del nuovo termine, alla data della notificazione dell'atto di citazione, che segna il momento a partire dal quale il convenuto, acquisita la conoscenza legale dell'atto, ha diritto al termine per approntare una congrua difesa, dovendosi invece escludere – perché non trova riscontro nella legge e perché in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo – la necessità che il giudice provveda all'assegnazione, ex novo, dell'intero termine di comparizione, senza tener conto del tempo già trascorso».
[11] Sebbene qualche perplessità possa covarsi con riguardo ai termini di comparizione più brevi (nel rito sommario o laburistico), poiché il calcolo del periodo precedente rispetto al rilievo della mancata concessione del termine minimo a comparire rischia di sfociare nell’assegnazione di un termine di pochissimi giorni (nell’esempio del testo, con udienza fissata al 29 maggio, nel rito del lavoro il giudice potrebbe limitarsi a rinviarla all’11 giugno, con termine per costituzione del convenuto che scadrebbe il 1° giugno, dopo due soli giorni (uno prefestivo ed uno festivo) a disposizione per la predisposizione della memoria di costituzione ex art. 416 c.p.c.
Se si tiene conto di siffatte ipotesi – nonché di quelle in cui l’errore nel computo del termine per la fissazione dell’udienza libellata– risulta che l’evocato orientamento della Suprema Corte, pur comprensibile per ragioni di celerità (nel rito ordinario: in quelli speciali la normale cadenza dei rinvii rende alquanto più agevole un differimento a data successiva pari all’intero termine minimo a difesa), risulti quanto mai astratto e rigido, e sia probabilmente da respingersi a vantaggio di un rinvio che conceda sempre al convenuto la possibilità di usufruire di un nuovo intero termine di comparizione.
[12] Per la consultazione di eventuali documenti depositati in cartaceo, essendo prevista la garanzia del deposito telematico solo in costanza di sospensione da pandemia.
[13] Questo il contenuto delle comparse conclusionali secondo il co. 2 dell’art. 190 c.p.c., poi abrogato – ma non nella sostanza – con la riforma del 1990.
[14] Peraltro il problema non dovrebbe avere occasione di porsi, in linea di principio: non dovrebbe infatti essere accaduto che, con un ricorso depositato prima dell’8 marzo, la data d’udienza risultasse stabilita solo a maggio; se l’udienza fosse stata stabilita nel periodo di sospensione, il differimento sarà ineluttabile; per i ricorsi depositati nel periodo di sospensione, il giudice avrà già proceduto alla fissazione d’udienza tenendo in considerazione il nuovo panorama determinato dai D.L. nn. 18 e 23/2020.
[15] Provvedimento del Primo Presidente della Corte di cassazione del 31.3.2020, punto C, lett. f); nonché art. 83, co. 11 bis, D.L. n. 18/2020, come modificato dalla legge di conversione.
La giustizia civile di fronte all’emergenza epidemiologica. Parte I
Intervista ad Antonello Cosentino (Corte di Cassazione), Franco Petrolati (Presidente Sezione VII C.d.A. Roma), Paola Del Giudice (Presidente Tribunale di Paola), Antonella Magaraggia (Presidente Tribunale di Verona)
di Riccardo Ionta
Giustizia Insieme, con l’intento di offrire uno sguardo diretto sull’attività giudiziaria, ha chiesto a quattro magistrati appartenenti a diversi ruoli e realtà giurisdizionali di esprimere il proprio punto di vista sul presente e futuro della giustizia civile di fronte all’emergenza epidemiologica. La Parte I intervista Paola Del Giudice (Presidente Tribunale di Paola) e Antonella Magaraggia (Presidente Tribunale di Verona).
Sommario:1. La giustizia civile che verrà; 2. Prima dell’epidemia; 3. La proroga della sospensione; 4. Giustizia civile e penale; 5. Il lavoro agile e le (non) agevolazioni per le cancellerie; 6. L’alternativa del lavoro in presenza; 7. La tutela delle professionalità; 8. Trattazione scritta e da remoto; 9. Il ruolo dei presidenti; 10. Il primo mese e la proroga; 11. Frammentazioni possibili e frammentazioni esistenti; 12. Esigenze di uniformità; 13. Insegnamenti
1. La giustizia civile che verrà
Migliaia di procedimenti civili sono stati e saranno rinviati a causa della sospensione dell’attività giudiziaria. Altri saranno rinviati per effetto e della sospensione dei termini ed altri ancora sono già pronti ad essere iscritti dopo il lungo fermo delle attività. Come si prospetta il prossimo futuro della giustizia civile, anche considerando il ruolo che le spetta nel difficile periodo economico alle porte?
Paola Del Giudice
Certamente il rinvio di ufficio delle udienze civili per tre mesi aggraverà la situazione della Giustizia civile nei circondari, come quello del Tribunale di Paola, in cui le pendenze ultra-triennali sono numerose per ragioni strutturali legate alla composizione della pianta organica. Nondimeno, sono fiduciosa sulla possibilità di recupero della sezione civile per le seguenti ragioni:
a) alla ripresa dell’attività giurisdizionale non dovrebbe fare seguito una impennata immediata delle nuove iscrizioni, tenuto conto del fatto che il “fermo” si è accompagnato ad una brusca interruzione dell’attività professionale dell’Avvocatura e anche dei contatti dei professionisti con la clientela;
b) i magistrati della sezione civile, presso le loro abitazioni e con l’uso della consolle, stanno lavorando alacremente e stanno eliminando ogni forma di arretrato, anche quello non patologico, e questa è una circostanza di non poco conto per un ufficio, come quello di Paola, in cui i carichi di lavoro sono notevoli;
c) questo momento di lontananza fisica dall’ufficio e di interruzione della routine delle udienze sta rappresentando (lo si coglie nei dibattiti appassionati che fervono sulle mailing list) per tutti noi magistrati l’occasione per una riflessione profonda sulla organizzazione del lavoro giudiziario, del singolo e dell’intero ufficio, che potrà costituire una spinta, alla ripresa, per l’adozione di metodi di lavoro più razionali che contribuiscano ad una accelerazione dei tempi di trattazione, senza alcun risvolto negativo sulla qualità della risposta alla domanda giudiziaria e, naturalmente, sempre nel rispetto delle norme di legge e delle garanzie costituzionali.
Se la mia previsione è corretta, la sezione civile (il Tribunale di Paola è costituito da un’unica sezione civile che ingloba anche il settore lavoro – previdenza – assistenza) dovrebbe essere in condizioni di affrontare quel contenzioso aggiunto derivante dalla congiuntura economica negativa nazionale ed internazionale che prevedibilmente, a partire dall’autunno, coinvolgerà tutti i tribunali d’Italia.
Antonella Magaraggia
La riorganizzazione non sarà semplice. Nel periodo di sospensione ho ritenuto che non si potesse celebrare alcuna udienza, tranne quelle relative a procedimenti dichiarati urgenti. So che in altri Tribunali si sono fatte scelte differenti. Non penso siano corrette sia perché contrarie al dettato legislativo sia perché, per lo meno nella regione in cui opero (il Veneto), non avrebbero rispettato le cautele igienico sanitarie. Questo affermo anche per quanto riguarda la trattazione scritta e “da remoto” in quanto, pur non comportando la presenza fisica di giudici e avvocati e, quindi, rischi per questi ultimi, sarebbero state incompatibili con le scarne presenze del personale amministrativo, organizzato in presidi.
Il flusso di processi che gli uffici si troveranno a gestire nella fase successiva alla sospensione sarà notevole. Tuttavia, al fine ridurre, non certo di eliminare, i disservizi, con i giudici, ho condiviso la necessità che si facessero rinvii “ragionati”, non differendo le udienze solo di data, ma scaglionando i processi e fissando date diverse a seconda della prioritaria necessità di trattazione.
2. Prima dell’epidemia
La giustizia civile stava riuscendo nella riduzione dell’arretrato e nella riduzione dei tempi dei procedimenti.
Paola Del Giudice
Per quanto riguarda il tribunale da me presieduto, il “fermo” dell’attività giurisdizionale ha bruscamente interrotto un percorso - lento ed accidentato per il consueto “turn over” che caratterizza la sua composizione organica - di miglioramento dell’efficienza.
Certamente la possibilità di recupero di cui ho parlato prima non sterilizzerà del tutto gli effetti negativi del “fermo”, in quanto, ad esempio, le udienze sui ruoli civili generici più gravati (che contano anche più di 900 cause) sono state rinviate a distanza di almeno sei/otto mesi sicché medio tempore si assisterà ad un aumento ulteriore dei tempi di durata dei procedimenti civili.
Antonella Magaraggia
Nel triennio che ci ha preceduto vi è stata una generalizzata riduzione del contenzioso. Non è questa la sede per esaminare le ragioni di tale calo, non sempre legate ad una minore domanda di giustizia fisiologica (penso all’aumento del contributo unificato che ha scoraggiato molti). Ritengo che la necessaria riduzione dell’afflusso dei processi (vera riforma che tutti invochiamo), per essere davvero equa, dovrebbe dipendere da scelte della politica, che, invece, non pare avere intenzione di operarle, limitandosi a meri maquillage processuali. Il calo è stato così significativo che costringe gli uffici anche a ripensare la distribuzione dei giudici tra settore penale e civile. Nel mio Tribunale, ad esempio, con la prossima Tabella di organizzazione dell’ufficio prevederò un passaggio di unità dal civile al penale.
Non so se il rinvio generalizzato dovuto all’emergenza farà venir meno quella boccata di ossigeno che avevamo avuto con il calo significativo delle entrate. Certo è che prevedo un periodo molto impegnativo, che presumo durerà fino alla fine dell’anno e che non consentirà di portare a compimento i programmi ex art. 37 D.L. n.98/2011.
3. La proroga della sospensione
Il periodo di sospensione delle attività giudiziarie è stato prorogato dopo già un lungo, inevitabile, periodo di fermo. Il legislatore aveva comunque previsto la possibilità di rinviare le cause civili e di utilizzare, per le stesse, forme alternative di trattazione, sfruttando al massimo le potenzialità del processo telematico ed evitando così la frequentazione dei palazzi di giustizia. Era necessaria la nuova proroga anche per i procedimenti civili?
Paola Del Giudice
Ritengo che questa ulteriore proroga all’11.5.2020 del periodo di “sospensione” delle attività giudiziarie fosse indispensabile. Sebbene le forme alternative di trattazione previste dall’art. 83 comma 7 lettere e) ed h) del D.L. n. 18/2020 – per come, a mio avviso, correttamente intese anche quali strumenti offerti al magistrato per svolgere la propria attività giurisdizionale in piena sicurezza presso la propria abitazione - consentano lo svolgimento delle udienze senza alcun rischio di contagio (oltre che per il giudice) anche per parti e difensori, la ripresa con le restrizioni previste dalla decretazione di urgenza avrebbe avuto certamente un impatto negativo sulla tutela del personale di cancelleria dai rischi di contagio.
E’ noto che i registri informatici civili, SICID e SIECIC, non possono essere allo stato utilizzati al di fuori della rete giustizia, sicché, in mancanza della nuova proroga disposta con il D.L. n. 23/2020, sarebbe stato indispensabile rimpinguare il presidio in presenza del personale di cancelleria. Ma non solo.
La ripresa delle attività giudiziarie non può non accompagnarsi alla cessazione della sospensione dei termini e tale cessazione, a sua volta, non può non avvenire contemporaneamente all’attivazione dell’intero circuito gravitante sull’attività giurisdizionale. Faccio degli esempi per meglio rendere l’idea di quanto affermo: se comincia nuovamente a decorrere il termine perentorio per proporre una impugnazione, non solo dovrà essere consentito al cittadino di avere un colloquio in presenza con il suo difensore per portare consegnare tutto ciò che è rilevante per la sua difesa ma dovrà essergli garantita anche la possibilità di reperire documenti presso altri uffici pubblici e di avere contatti sociali con altre persone finalizzati ad articolare la linea difensiva; se il presidente del tribunale comincia a fissare con regolarità le udienze di comparizione dei coniugi nei giudizi di separazione e divorzio assegnando ai ricorrenti un termine per la notifica del ricorso e del decreto, gli agenti postali si dovranno recare con regolarità ad eseguire le notifiche presso la residenza/domicilio dei destinatari, con il conseguente aumento dei contatti sociali.
Occorre poi considerare che il processo telematico è inesistente presso gli uffici del giudice di pace, presso i quali sarebbe ripresa non solo l’attività di udienza (che in ipotesi secondo l’art. 83 citato poteva essere mantenuta sospesa con provvedimento del presidente del tribunale fino al 30.6.2020) ma anche quella di iscrizione a ruolo, da farsi necessariamente in presenza.
Infine, evidenzio che, nei tribunali d’Italia con maggiore arretrato, i fascicoli delle cause civili sono misti (cartacei e telematici) sicché non è detto che il giudice, per svolgere le sue funzioni con completezza, non avrebbe dovuto raggiungere la sede giudiziaria prima della celebrazione delle udienze.
La ripresa dell’attività giurisdizionale nel solo ambito civile in data 15.4.2020 avrebbe inciso, a mio avviso, negativamente sulla necessità del distanziamento sociale in un momento in cui la curva del contagio epidemiologico nel nostro Paese non presentava ancora alcun segnale incoraggiante.
Antonella Magaraggia
Premetto che la gestione normativa di questo periodo non è stata semplice, soprattutto all’inizio. Io che vivo e lavoro in una tra le regioni più colpite, soprattutto all’inizio, posso attestare che è stato un crescendo quasi giornaliero che ha trovato tutti impreparati. Tra l’altro ogni previsione sanitaria e, conseguentemente, legislativa che si faceva in un momento in poco tempo doveva essere rivista. Non è stato semplice per il Governo e per il Ministero della giustizia, in particolare, registrare questi mutamenti repentini. Non è stato facile per noi dirigenti fare provvedimenti organizzativi non semplici di per sé e continuamente revocati, ripensati, modificati.
Premesso questo, non ho condiviso la proroga “secca”, che lascia la possibilità di utilizzare le forme alternative solo per i procedimenti urgenti. Il legislatore avrebbe potuto pensarle anche per gli altri in quanto non comportano alcun rischio sanitario. Magari avrebbe potuto fornire un ventaglio di possibilità, che poi ciascun dirigente avrebbe adattato al proprio ufficio in relazione alla gestione del personale amministrativo (come sopra ho detto, unico limite alla possibilità di trattazione con le forme alternative).
4. Giustizia civile e penale
La giustizia civile ha strumenti e principi diversi dalla giustizia penale. Una distinzione di disciplina per il periodo emergenziale sarebbe stata opportuna o così inopportuna?
Paola Del Giudice
Sicuramente il processo civile telematico (lasciando da parte la situazione degli uffici del giudice di pace) salvaguardia maggiormente le parti e il giudice dal pericolo che possa derivare, in tempo di epidemia, dai contatti sociali.
Non secondaria, inoltre, è la circostanza che il giudizio civile più si presta alla possibilità che le parti (magari con la copertura del protocollo) rinunzino ad eccepire nullità derivanti dalla contrazione dell’oralità posta a presidio di interessi delle parti. Tanto è vero che i protocolli tra Tribunali e Avvocatura, per le udienze civili da celebrarsi dopo l’11 maggio prossimo, che si stanno adottando presso diversi circondari, prevedono 1) in taluni casi il ricorso alla trattazione scritta anche qualora le parti, la comparizione delle quali è prevista dalla legge, vi rinunzino; 2) in caso di giuramento di un ausiliario, che si possa ricorrere alla trattazione scritta qualora le parti accettino che quest’ultimo, in luogo della comparizione, invii una nota scritta contenente il giuramento di rito.
Tuttavia ritengo, per le ragioni esposte al punto 3, che non fossero maturi i tempi per una ripresa dell’attività, neppure limitata al settore civile.
Antonella Magaraggia
Sarebbe stata opportuna. La disciplina è necessariamente diversa per la semplice ragione che il processo civile è tendenzialmente telematico (non del tutto, purtroppo, come abbiamo constatato in questo periodo) mentre il processo penale è ancora cartaceo (quello telematico sta ancora balbettando) e richiede quasi sempre la presenza fisica dei protagonisti.
Forme alternative di trattazione sono più facilmente individuabili nel settore civile, ma, con i dovuti limiti, possono trovare posto anche nel settore penale. Tra l’altro, proprio in quest’ultimo sarebbe stato opportuno avere una copertura legislativa per una disciplina, anche minimale, a fronte della sempre più forte resistenza delle Camere Penali. Sul punto credo che il legislatore debba farci comprendere quale linea intenda prendere.
5. Il lavoro agile e le (non) agevolazioni per le cancellerie
Lo sfruttamento pieno delle potenzialità del processo civile telematico implica l’intensificazione del lavoro di c.d. back office per le cancellerie. Il Ministero tuttavia, consente al personale l’accesso “da casa” solo per taluni degli applicativi (protocollo e spese di giustizia) ma non dei registri di cancelleria. Dal recente tavolo tecnico tra C.S.M. e Ministero è emerso che l’accesso da remoto è limitato per ragioni di sicurezza dei dati. Esiste una soluzione?
Paola Del Giudice
Non ho le necessarie competenze per rispondere a questa domanda. Mi limito ad osservare che l’uso dei registri informatici a distanza da parte dei cancellieri avrebbe eliminato una delle ragioni che mi ha fatto apprezzare l’ulteriore proroga della sospensione dell’attività giurisdizionale fino all’11.5.2020: la tutela della salute del personale di cancelleria.
Antonella Magaraggia
Lo smart working che abbiamo dovuto attuare ci ha trovato davvero impreparati sia perché è una modalità lavorativa mai sperimentata sia perchè si scontra con gli evidenti limiti citati nell’uso domestico dei registri da parte del personale. In collaborazione con la dirigente amministrativa e con uno sforzo di fantasia notevole abbiamo “inventato” varie forme di lavoro agile. Non è stato semplice sia perché, come ho detto, si trattava di modalità non praticata in precedenza sia perché si è dovuto fare tutto nell’urgenza e con la pressione dei lavoratori, giustamente sempre più forte mano a mano che la situazione sanitaria si aggravava. Devo anche dire che il Ministero ha, forse, individuato una disciplina un po' troppo articolata (se si leggono i progetti si può constatare quante indicazioni si devono inserire), incompatibile con l’emergenza e la novità dell’istituto. Aggiungo che lo smart working è una delle possibilità perché i dirigenti hanno dovuto articolare il lavoro del personale amministrativo avendo a disposizione un ventaglio di alternative (lavoro agile, ferie pregresse, all’esenzione dal lavoro ecc.) che non sempre è stato compreso e accettato da lavoratori e sindacati. In ogni caso scontiamo l’arretratezza del nostro sistema. Tutto sarebbe stato più agevole se il personale avesse potuto utilizzare i registri da casa. Insieme ad altri Presidenti, ho fatto espressa richiesta al Ministero della Giustizia.
6. L’alternativa del lavoro in presenza
E’ possibile garantire il lavoro “in presenza” degli uffici di cancelleria in piena sicurezza?
Paola Del Giudice
Proprio in concomitanza con l’ultima proroga della “sospensione” dell’attività giurisdizionale (a dimostrazione, ancora una volta, dell’opportunità della proroga) stanno pervenendo i frutti delle iniziative poste in essere per adeguare l’ufficio giudiziario alle prescrizioni impartite nei vari decreti legge e D.P.C.M. che si sono succeduti in materia di prevenzione della diffusione del contagio da COVID-19.
Difatti, nonostante gli uffici giudiziari nella stragrande maggioranza dei casi si siano mossi tempestivamente per l’acquisto dapprima dei prodotti per l’igienizzazione e poi delle mascherine – queste ultime a partire dal momento in cui (superata l’originaria raccomandazione che sconsigliava l’uso alle persone sane) anche il ministero ha cominciato a promuovere l’acquisto dei dispositivi di protezione individuali - la penuria degli stessi sul mercato ha rallentato e sta ancora rallentando notevolmente l’approvvigionamento.
Ad esempio, presso il Tribunale di Paola, soltanto da una ventina di giorni abbiamo ricevuto la parziale fornitura di prodotti disinfettante ordinati all’inizio del mese di marzo e soltanto da una settimana circa una prima fornitura di mascherine acquistate dalla Corte di appello di Catanzaro. Allo stato ciascun ufficio giudiziario si sta organizzando in proprio per approvvigionarsi ma è chiaro che la risposta del mercato alla domanda è determinante. Alla ripresa dell’attività e fino a quando non cesserà l’epidemia occorrerà poi fare periodiche sanificazioni degli spazi. Alcuni uffici giudiziari già hanno previsto anche la rilevazione della temperatura corporea di tutti coloro che accedono presso le sedi giudiziarie.
Insomma, ciascun dirigente di ufficio giudiziario, nell’ambito dei fondi messi a disposizione dal Ministero della Giustizia, sta fruttando questo periodo di “sospensione” per adottare accorgimenti che consentano una ripresa dell’attività giurisdizionale in condizioni di sicurezza.
Mi auguro, pertanto, che con tali accorgimenti, consentendo però ancora il lavoro agile per una parte del personale (anche se più esigua rispetto all’attuale percentuale) e limitando l’accesso dell’utenza, si possa garantire il lavoro in cancelleria in condizioni di sicurezza.
Mi preme evidenziare che tanto affermo in considerazione della conformazione del Palazzo di Giustizia di Paola e della tipologia degli spazi riservati al personale: la valutazione è inevitabilmente destinata a mutare in ragione delle diverse condizioni logistiche dei singoli uffici.
Antonella Magaraggia
La domanda non ha una risposta univoca perché dipende dalla struttura dei nostri palazzi di giustizia, molto diversi gli uni dagli altri. Al di là dell’uso dei dispositivi di protezione che, finalmente, sono arrivati (quanto abbiamo dovuto penare per averli), credo che si debba fare una verifica degli spazi, delle disposizioni delle postazioni, dei front office ecc. In vista della parziale ripresa dell’11 maggio sto facendo, con la dirigente e i funzionari dei vari uffici (ricordo che il Presidente del Tribunale sovraintende anche l’Ufficio del giudice di pace e l’Unep), una “mappatura” degli spazi, ufficio per ufficio, cancelleria per cancelleria, verificando, in sinergia con i lavoratori, se possono essere osservate le distanze e, in caso negativo, mettendo divisori e facendo, nei limiti del possibile, i necessari spostamenti ecc. Diciamo che è un’attività inedita per una Presidente di Tribunale, ma ritengo che rientri a pieno titolo nei compiti del capo dell’ufficio/datore di lavoro. Certo si dovrebbe fare molto di più e il Ministero dovrebbe supportarci. Con altri Presidenti in una recente lettera inviata al Ministro abbiamo chiesto quanto segue: “il posizionamento di cartelli di spiegazione e segnaletica anche a terra per indicare le distanza previste; il posizionamento di policarbonati per proteggere gli addetti allo sportello, altro personale in contatto con il pubblico, magistrati, avvocati, parti e testi nelle aule d’udienza; la verifica della capienza massima nel rispetto del distanziamento sociale, con indicazioni specifiche, di aule, uffici, corridoi; la posa in opera di strumenti automatici di verifica e regolamentazione degli accessi; dotazioni nelle aule penali di strumenti microfonici per ognuno dei protagonisti del processo, con relativa sanificazione; la fornitura periodica dei dispositivi personali di protezione e dei liquidi disinfettanti; la programmazione della sanificazione degli immobili con cadenza settimanale; la stipula di contratti che garantiscano una pulizia quotidiana degli uffici, laddove oggi non garantita; servizi di controllo della temperatura corporea all’ingresso”.
7. La tutela delle professionalità
E’ concreto il rischio che il Ministero lasci “a casa” molti dipendenti svuotandoli in sostanza delle proprie mansioni in violazione dell’art. 52 del T.U. sul pubblico impiego e conseguentemente anche dell’art. 2087 c.c.?
Paola Del Giudice
Non credo che si corra il rischio paventato. Il lavoro agile viene svolto sulla base di un dettagliato progetto ed è peraltro intervallato dalla partecipazione al presidio e dal godimento dell’eventuale residuo di congedo ordinario. Avendo contatti quotidiani soprattutto con i funzionari giudiziari dei diversi settori dell’ufficio, ho avuto modo di constatare come, anche a distanza, continuino a svolgere alcune tipologie di attività che ordinariamente eseguivano in ufficio.
Antonella Magaraggia
L’art. 52 TU è legge ordinaria e può essere derogata da norme successive, soprattutto da quelle che, nel rispetto della parità di trattamento, regolano la situazione di emergenza a tutela della salute e integrità fisica del dipendente, garantite dagli obblighi di sicurezza previsti dall’art. 2087 c.c.
L’art. 83 del D.L. n. 18/2020 attribuisce ai capi degli uffici il potere di limitare la presenza dei dipendenti allo stretto indispensabile per lo svolgimento di attività indifferibili utilizzando quel ventaglio di possibilità cui ho fatto riferimento sopra.
Credo che il lavoratore potrebbe lamentarsi solo se l’esenzione dal servizio non fosse adeguatamente motivata (per esempio potrebbe indicare possibilità concrete di smart working o una più frequente rotazione).
8. Trattazione scritta e da remoto
La trattazione scritta e da remoto sono strumenti adeguati, costituzionalmente e processualmente, per affrontare il periodo emergenziale?
Paola Del Giudice
La trattazione scritta, secondo la mia esperienza, è senza dubbio la modalità che è stata accolta con maggior favore dagli operatori si adatta a diversi momenti processuali in cui l’oralità non apporta necessariamente un valore aggiunto. Difatti, ho già prima messo in evidenza come nei protocolli tra Tribunali e Avvocatura per organizzare le udienze civili da celebrarsi dopo l’11 maggio prossimo, si stia valorizzando ed estendendo questa tipologia di trattazione.
L’udienza da remoto è uno strumento anch’esso prezioso in questa fase emergenziale ma appare meno risolutivo soprattutto negli uffici giudiziari con notevoli carichi di udienza. Il numero di cause da trattare con quella modalità deve essere, infatti, necessariamente ridotto per evitare sforamenti dell’orario.
Ho rilevato, inoltre, che non tutti i magistrati e gli avvocati hanno mostrato quell’apertura a mettersi in gioco con la piattaforma teams (cercando di capire per tempo come procedere con efficacia) che è fondamentale per la celebrazione con successo dell’udienza con quella modalità. Inoltre, i magistrati che già si sono cimentati in prove in vista della ripresa hanno evidenziato non trascurabili problematiche. Peraltro, nel mio ufficio si sono verificati casi di magistrati aventi in dotazione PC portatili privi di webcam ed è in corso la risoluzione della problematica.
Per quanto mi riguarda, nel prevedere le modalità di trattazione dell’udienza presidenziale, ho valutato (salvo i casi di indifferibilità) non proficua la trattazione dell’udienza presidenziale in remoto per la difficoltà di svolgere l’audizione separata di ciascun coniuge (senza l’assistenza del difensore), che è funzionale sia all’esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione che all’assunzione dei provvedimenti temporanei ed urgenti.
Antonella Magaraggia
Certamente sono strumenti assolutamente consoni al periodo emergenziale perché impediscono la compresenza delle persone.
Sono adeguati processualmente per alcune udienze e non per altre. Ad esempio la trattazione scritta lo è sicuramente per alcune (precisazione delle conclusioni nei procedimenti di cognizione ordinaria ex art. 163 e ss. c.p.c. e sommaria ex art. 702 bis c.p.c.; ammissione delle prove; conferimento incarico al CTU; esame della CTU dopo il suo deposito ecc.), può essere compatibile, a determinate condizioni, per altre (discussione ex art. 281 sexies c.p.c. ed ex art. 429 c.p.c.; udienze ex art. 183 ed ex art. 420 c.p.c.) e per altre ancora difficilmente attuabile (assunzione testi).
Sono adeguati sotto il profilo costituzionale ove non comprimano i diritti delle parti e osservino i principi che governano il processo. Ricordo che stiamo parlando di mezzi e non di contenuti, ma se il mezzo non garantisce un contenuto processualmente adeguato (non è tutelato il diritto di difesa, non viene osservato il principio del contraddittorio ecc.) non può trovare ingresso. Insomma la modalità non è buona o cattiva in sé, ma dipende come viene utilizzata. Dobbiamo usare la tecnologia per quello che ci può essere utile. Usarla e non essere usati. Così facendo la trattazione scritta e da remoto potranno essere utile strumento, nel settore civile, forse anche dopo il periodo emergenziale (l’oralità, molto, spesso, dobbiamo dirlo, non esiste più) o costituire una buona “cassetta degli attrezzi” per eventuali altri periodi di emergenza.
9. Il ruolo dei presidenti
Il legislatore, per la prima volta, ha rimesso alla magistratura una normativa processuale di dettaglio ed ha affidato ai presidenti degli uffici molti poteri. Una scelta adeguata o inadeguata?
Paola Del Giudice
La scelta di affidare ai “capi degli uffici giudiziari” il compito di indicare le misure organizzative anche con riguardo alla trattazione degli affari giudiziari, in contraddittorio con l’Autorità sanitaria regionale e l’Avvocatura, obbedisce ad una scelta di fondo che condivido: quella di ancorare le modalità della ripresa dell’attività giurisdizionale con restrizioni alle peculiarità del singolo ufficio giudiziario (area geografica, entità del rischio di esposizione a contagio nel circondario, quantità e qualità del contenzioso trattato, caratteristiche del Palazzo di Giustizia - ad esempio: la sua estensione prevalentemente in orizzontale o in verticale, il sistema di aerazione esistente-, ampiezza delle aule e degli spazi destinati alle cancellerie, numero di udienze che si celebrano quotidianamente).
La prima criticità che ho rinvenuto in questa scelta risiede nel fatto che, mentre con l’Avvocatura è immediatamente stata avviata una proficua interlocuzione, nessuna raccomandazione specifica è pervenuta fino ad ora (almeno per gli uffici giudiziari ubicati nella Corte di Appello di Catanzaro) dalla Presidenza della Regione, quale tramite con l’Autorità sanitaria regionale, sicché per ora manca il (fondamentale) punto di vista sanitario locale nell’interlocuzione prevista, interlocuzione che già dal mese di marzo il presidente della corte ha sollecitato a beneficio di tutti gli uffici giudicanti del distretto. Nell’attesa, i presidenti hanno fatto le loro valutazioni tenendo conto delle indicazioni igienico – sanitarie generali e stanno inviando all’attenzione della Presidenza della Regione i protocolli fatti in vista della ripresa e le bozze delle linee guida elaborate.
Un altro punto critico che ho riscontrato è la mancata previsione di un ausilio tecnico che consenta di stabilire con il più alto grado di approssimazione il livello di occupazione “in sicurezza” dei singoli ambienti dell’ufficio, in relazione, cioè, non soltanto all’estensione ma anche alla loro tipologia.
Questo parametro consentirebbe di agganciare quella scelta a dati più seri. In mancanza, molti dei presidenti con i quali mi sono confrontata hanno valutato di adottare una linea prudenziale nella ripresa dell’attività, nel senso di peccare, nel dubbio, in difetto piuttosto che in eccesso.
Antonella Magaraggia
La storia di questa pandemia, in Italia, ha avuto una forte connotazione regionale, sia per una diversa diffusione del contagio sia per una diversa disciplina data dai Governatori, che hanno assunto ruolo determinante. Anche i dati, se si pone attenzione, sono sempre stati diffusi regione per regione. I nostri provvedimenti organizzativi, d’altro canto, vengono emessi “sentita l’autorità sanitaria regionale” (art. 83 comma sesto D.L. n. 18/2020).
Forse sarebbe stato opportuno che venisse imposta una disciplina distrettuale (nella forma di provvedimenti organizzativi, Linee guida, Protocolli ecc. emanati dalla Corte d’Appello), magari da adattare in sede circondariale. Come ho detto sopra, ogni Tribunale ha delle peculiarità per cui può programmare o non programmare certe attività in relazione agli spazi, alla possibilità di intese con il foro ecc. Il tutto, però, andava armonizzato in un’unica cornice. La bontà di quanto affermato, per lo meno nella regione Veneto, è dimostrato dal fatto che proprio in questi giorni la nostra Presidente della Corte sta cercando di uniformare i vari provvedimenti organizzativi/Protocolli circondariali per evidenti finalità di equità e semplificazione. L’averlo previsto sin dall’origine sarebbe stata scelta più opportuna.
10. Il primo mese e la proroga
Gli uffici, nell’arco del primo mese di sospensione, hanno reagito in modo diverso rispetto alla “fase 2”, taluni con provvedimenti o protocolli dettagliati, taluni con provvedimenti ripetitivi delle disposizioni legislative, taluni non hanno provveduto. Questo come ha influito sulla proroga della sospensione?
Paola Del Giudice
Credo che la proroga della sospensione sia dipesa non dalla constatazione di una inerzia degli uffici bensì dalla gravità della pandemia, che ha sconsigliato di mettere in movimento il “pianeta Giustizia”, peraltro in un momento in cui sul mercato non era possibile reperire i presidi di sicurezza.
Antonella Magaraggia
Certo. Vi è stata una disciplina a macchia di leopardo. Con uno sforzo non indifferente, anche di fantasia, ognuno ha cercato di attrezzarsi. Questo “fai da te” dei singoli Uffici ha portato a differenti discipline, conseguenza che non ritengo positiva. Almeno distrettualmente si sarebbe dovuta richiedere una certa uniformità.
11. Frammentazioni possibili e frammentazioni esistenti
Il potere attribuito ai dirigenti degli uffici in tema di politica dei rinvii, di tempistica delle azioni e di regolamentazione delle forme alternative di trattazione delle cause civili si presta all’idea di una giustizia civile frammentata? E questo come incide sulle frammentazioni già esistenti?
Paola Del Giudice
Certamente la scelta di fondo fatta dal legislatore si presta ad una ripresa dell’attività a velocità diverse e se la ripresa è più rallentata proprio nelle aree ove il contenzioso civile è in maggiore sofferenza la frammentazione può aggravarsi.
Nondimeno, non penso che questa constatazione debba influenzare le scelte da farsi, che devono rispondere unicamente all’esigenza di consentire la ripresa dell’attività giurisdizionale senza mettere a repentaglio la sicurezza di coloro che frequentano gli uffici giudiziari. Fermo restando che è compito del Ministero della Giustizia apprestare nell’immediatezza tutti gli interventi strutturali per adeguare i Palazzi di Giustizia alle esigenza di tutela della sicurezza dei lavoratori (e dell’utenza), ora anche dai rischi determinati dalla pandemia.
Antonella Magaraggia
Certamente in questo periodo emergenziale tale frammentazione si è attuata. Era, d’altro canto, inevitabile. Come dirigenti ci siano trovati a rincorrere i decreti legge (si ricorderà che, a volte, venivano emanati la domenica per il lunedì, con varie anticipazioni che, molto spesso, hanno creato solo confusione) e a dover provvedere quasi ad horas. Credo che, soprattutto nel civile, con un po' più di calma, non sarà difficile ricondurre ad unità la disciplina.
Vedo più difficile il percorso nel penale sia per l’arretratezza telematica sia, e soprattutto, perché, come sopra ho detto, vi deve essere una scelta di fondo della nostra politica.
12. Esigenze di uniformità
Il C.S.M. ha redatto delle linee guida in cui, almeno per la trattazione scritta, i punti maggiormente problematici non sono stati affrontati. La SSM, impegnata nell’attività di formazione e supporto, non si è vista assegnare il compito di formulare delle linee guida nonostante il ruolo scientifico che le spetta. Da un lato c’è chi invoca l’aiuto del legislatore, dall’altro c’è chi invoca una soft law che s’imponga per forza culturale ed autorevolezza della fonte. Se una tendenza all’uniformità appare necessaria, come raggiungerla?
Paola Del Giudice
Mi sembra che il dibattito che si sta svolgendo all’interno della magistratura in vista dell’applicazione delle modalità di trattazione previste dalle lettere f) ed h) del comma 7 dell’art. 83 del D.L. n. 18/2020 sia un buon viatico per una corretta applicazione della nuova disciplina.
Sinceramente la situazione non mi sembra diversa da altri casi di frettolose innovazioni procedurali non accompagnate da disposizioni di dettaglio.
Sarà, come di consueto, l’applicazione pratica della normativa da parte dei giudici, unitamente agli spunti che verranno da parte della dottrina processualcivilistica, con gli approfondimenti che saranno favoriti dalla Scuola superiore della Magistratura (la quale ha già avviato l’offerta formativa a distanza, partendo dai MOT in tirocinio), a suggerire le modalità più consone al rispetto del contraddittorio.
Antonella Magaraggia
Credo che il CSM possa fornirci un ausilio, continuando nel solco, già percorso proficuamente nelle due ultime consiliature, di emanazione di Linee guida più puntuali, magari di concerto con il Consiglio Nazionale Forense. Forse ci dovrebbe essere una maggior interlocuzione con il Ministero e una spinta per l’innovazione.
Pure la Scuola Superiore della Magistratura potrà giocare un ruolo, ma lo declino prevalentemente sotto il profilo culturale e formativo per il futuro più che di ausilio nell’emergenza.
Vedo una grande risorsa negli Osservatori della giustizia civile, da sempre avanguardia nel settore delle innovazioni, nella facilità di interlocuzione con i diversi utenti della giustizia e nella capacità di fare sintesi raccogliendo prassi ed elaborando Protocolli.
13. Insegnamenti
Il riflesso sulla giustizia civile dell’emergenza epidemiologica ha già chiarito qualcosa e insegnato qualcosa?
Paola Del Giudice
Certamente.
In primo luogo l’emergenza epidemiologica ha confermato come il processo civile telematico sia stata una innovazione epocale e come sia necessario che il legislatore porti a compimento questa innovazione, rendendo in primo luogo regola non più emergenziale ma definitiva quella secondo cui, nei casi in cui non è consentita la costituzione personale della parte, la previsione di cui al comma 11 dell’art. 83 D.L. 18/2020 - che impone, negli uffici che hanno la disponibilità del servizio di deposito telematico, il deposito in modalità telematica anche di quegli atti e documenti (ai sensi dell'articolo 16-bis, comma 1-bis, del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221) che di regola possono essere depositati in forma analogica. Ma soprattutto estendendo il processo civile telematico nella sua interezza anche agli uffici del giudice di pace e agli uffici giudiziari superiori.
L’emergenza epidemiologica ha dimostrato quanto sia fondamentale la possibilità tecnica per il personale di cancelleria di lavorare a distanza sui sistemi SICID e SIECIC. Basti pensare che in questo momento storico l’innovazione legislativa della trattazione scritta e dell’udienza da remoto, in combinazione con tale possibilità tecnica, avrebbe consentito lo svolgimento, certamente non di tutte, ma di numerose attività giurisdizionali.
Ritengo, inoltre, visto anche il favore che la trattazione scritta ha trovato presso gli operatori del diritto, che questa esperienza emergenziale possa costituire l’occasione per rimeditare sulla effettiva proficuità della previsione dell’udienza in alcuni snodi processuali (penso all’udienza di ammissione delle prove, all’udienza di precisazione delle conclusioni, all’udienza di conferimento dell’incarico al C.T.U.) e possa spingere verso una riflessione volta a riservare l’oralità soltanto a quei momenti processuali in cui essa rappresenti effettivamente un valore in più.
Infine, il collegamento da remoto (se migliorato e previo potenziamento della rete internet di giustizia, che purtroppo in alcune parti del Paese, come la Calabria, lascia molto a desiderare), può rivelarsi uno strumento importante in talune evenienze processuali, come ad esempio per lo svolgimento di attività istruttorie che coinvolgono pubblici uffici (penso alle informazioni da raccogliersi presso i Servizi sociali nei procedimenti camerali relativi ai minori), e anche per le attività successive alle udienze (è il caso delle camere di consiglio collegiali per lo scioglimento delle riserve).
Insomma, la pandemia ancora in corso sembra avere avuto già l’effetto di accelerare una serie di riflessioni e di dibattiti suscettibili di condurre ad un miglioramento tecnologico del “pianeta Giustizia”.
Fondamentale, in particolare, mi è apparsa l’incitazione di chi ha affermato che è necessaria una nuova consapevolezza: quella che la gestione delle udienze possa essere variegata a seconda del tipo di contenzioso e delle modalità con cui occorre attuare il contraddittorio.
Antonella Magaraggia
Questo periodo ci ha insegnato che possiamo trovare, sia come giudici che come personale amministrativo, nuovi modi di lavorare.
Ci ha anche fatto capire che in materia di innovazione abbiamo ancora tanta strada da fare. Di questo è responsabile certamente il Ministero, ma anche le resistenze di parte della magistratura, che ora stiamo pagando.
Giustizia penale e ideologie emergenziali
di Giorgio Spangher
Sommario: 1. Premessa. - 2. Oralità e cartolarità. - 3. La detenzione carceraria. - 4. Le misure cautelari. - 5.Gli orizzonti.
1. Premessa.
Una analisi Intesa a verificare il substrato culturale e ideologico sotteso alla parte della normativa d’urgenza relativa alla giustizia penale non dovrebbe arrovellarsi più di tanto, tanto sono esplicite ed evidenti le relative linee ispiratrici.
Invero, le aree interessate dal d.l. n. 18 del 2020, ed ancor più dagli emendamenti approvati al Senato con il maxiemendamento con la successiva fiducia evidenziano chiaramente dove “batte il mare” della maggioranza parlamentare o almeno di quella parte di essa che, silente l’altra, governa ormai da tempo l’area della giustizia e di quella penale in particolare.
Come è noto le aree di intervento sono due: processi e libertà personale. Il primo è cristallizzato nell’art. 83, dove non casualmente è regolata anche la materia della custodia preventiva e il secondo è disciplinato dagli artt. 123 e 124 dove trovano disciplina i profili legati all’esecuzione della pena negli istituti penitenziari.
Con riferimento alla prima tematica la logica sottesa alla normativa – dopo una prima fase orientata alla sospensione – è quella finalizzata alla celebrazione dei processi da remoto: l’ulteriore logica delle previsioni è sicuramente quella tesa ad anticipare la logica già da tempo orientata alla c.d. smaterializzazione del processo, come si è evidenziata con la riforma Orlando degli artt. 139 bis, 146 bis e 45 bis disp. att. c.p.p.
2. Oralità e cartolarità.
Invero, come succede spesso nelle fasi emergenziali, i precari equilibri sui quali si reggono le previsioni frutto di compromessi, si rompono e si cerca di “spostare in avanti gli equilibri” sui quali si regge la materia. E’ evidente che l’epidemia come emerge quotidianamente è lo strumento attraverso il quale si cerca di perfezionare e consolidare la filosofia di un processo che punta alla marginalizzazione della difesa e al ridimensionamento del contraddittorio effettivo a vantaggio di uno meramente formale.
In altri termini si cerca di ottenere nei fatti quella dimensione del processo che pone a fondamento le esigenze decisionali di cui è garante il solo giudice monocratico, la cui collegialità appare sempre più marginale, e il pubblico ministero per la fase investigativa di cui si cerca di consolidare i risultati.
Irrilevanti si prospettano i contributi difensivi filtrati dalla asettività, impersonalità, precarietà del mezzo tecnologico.
Il processo assume il ruolo di un rito virtuale, impersonale, freddo, un contenitore algido, con soggetti separati nella lontananza delle immagini spersonalizzate.
Questi elementi obliterano l’aspetto più importante che la informatizzazione avrebbe dovuto e dovrebbe realizzare: la sburocratizzazione degli adempimenti per l’espletamento delle attività procedurali: notificazioni, deposito degli atti, formazione dei fascicoli, o quant’altro non implichi riflessi che superano gli elementi puramente formali, escludendo quelli di merito.
Il dato trova una precisa conferma nella visione che si vuole assegnare al processo in Cassazione, perfezionando la vocazione alla sua auspicata cartolarità, che sottende molte implicazioni tese a ridurre il confronto delle opinioni, alimento che dovrebbe, invece, nutrire la funzione nomofilattica del Supremo Collegio, attraverso il confronto delle idee.
Innestato sulla freddezza che ha ormai attanagliato il fatto, anche la questio iuris si inaridisce nella cartolarità delle argomentazioni.
3. La detenzione carceraria.
Si potrebbe pensare che sia stata dedicata maggiore sensibilità al tema della restrizione nelle carceri, considerato quanto previsto dagli artt. 123 e 124, attraverso il parziale recupero di quanto previsto dalla legislazione svuota carceri, in particolare dalla l. n. 199 del 2010 che, infatti, viene in parte richiamata.
Si tratta di pura apparenza, perché il dato non risulta calibrato sull’effettiva condizione penitenziaria, relativamente al suo stato di degrado, ma esclusivamente sull’abbassamento della tensione sfociata nelle manifestazioni dei detenuti.
Lungi dall’affrontare il tema delle carcere nei suoi profili strutturali, si è preferito un provvedimento tampone che non trova le sue premesse neppure nella verifica delle condizioni sanitarie indotte dall’emergenza.
Questo elemento è stato sicuramente condizionato dalla mancanza di un intervento in materia da parte del Ministro della Salute che avrebbe dovuto – e peraltro dovrebbe e potrebbe ancora verificare, come è nella sua competenza, le condizioni sanitarie oggettive e soggettive.
Si consideri sul punto quanto è previsto in generale dall’art. 11 della l. n. 354 del 1975, nonché più specificamente dall’art. 286 bis c.p.p. relativamente al divieto della custodia in carcere per i soggetti affetti da HIV.
In altri termini, posto l’art. 32 Cost. che tutela la salute individuale e collettiva, riconosciuto come diritto fondamentale, il tema avrebbe richiesto una approfondita riconsiderazione delle condizioni di vita collettiva nella situazione di restrizione che supera la mera situazione dell’affollamento. Sarebbe stato necessario e sarebbe necessario, fra le altre, verificare le condizioni di socialità, regolare le modalità di aggregazione, indicare le malattie suscettibili di accentuare il rischio connesso a possibili contagi.
4. Le misure cautelari.
Questa mancata iniziativa oltre a prevenire le situazioni interne agli istituti penitenziari, in relazione non solo ai detenuti, ma anche con riferimento agli operatori penitenziari, alla polizia penitenziaria, al personale amministrativo, ha condizionato le scelte relative ai soggetti ristretti in carcere in esecuzione di una misura cautelare.
Conseguentemente, questo elemento è rifluito nella disciplina processuale che – come anticipato – è rimasta non solo insensibile a questa condizione personale del ristretto ma addirittura ha imposto la sospensione dei termini della custodia e ne ha aggravato la condizione.
Una attenta valutazione della condizione dell’epidemia nelle carceri, con le conseguenti implicazioni, avrebbe contribuito a riconsiderare l’intero sistema delle cautele, alla luce del mutato quadro di riferimento dei pericula libertatis e delle presunzioni relative della pericolosità.
Dall’esclusione del carcere, fatte salve le situazioni di pericolosità assoluta e di eccezionali esigenze cautelari, il criterio processuale del carcere extrema ratio, così ridimensionato ulteriormente, avrebbe – dovrebbe – comportare scelte processuali calibrate sulla situazione delle cautele e conseguentemente sulle altre misure restrittive (arresti domiciliari) e non custodiali.
5.Gli orizzonti.
Come anticipato in esordio, la filosofia sottesa alla normativa d’urgenza si muove e continua a muoversi su piani slegati e senza progettualità, consegnando alla fine dell’emergenza tutte le problematicità esistenti, ma anche profonde divisioni tra gli operatori della giustizia.
Sul fronte del processo si scontreranno quelli che vorranno consolidare il modello di processo emerso dalla “sperimentazione”, a cui si contrapporranno le opinioni di coloro i quali chiederanno che si fermi la deriva di un processo “contenitore tecnologico”, sollecitando invece, scelte nel nome dell’efficienza degli strumenti informatici.
Sul fronte del carcere, si riproporrà il confronto mai sopito sul ruolo della pena, tra funzione retributiva e dimensione rieducativa, in attesa che Corte edu e Corte Costituzionale arginino le situazioni che maggiormente stridono con la dignità e l’umanità della reclusione, aprendo qualche spiraglio alle misure alternative. L’applicazione delle misure cautelari, non intaccata da qualche decisione ispirata al favor, resterà marchiata dal suo codice genetico, legato all’anticipazione della colpevolezza.
La giustizia dall’animazione sospesa passa in terapia intensiva: altri sviluppi della legislazione d’emergenza nel processo civile (note a prima lettura alla legge di conversione del d.l. n. 18 del 2020).
di Franco De Stefano
Sommario: 1. La proroga secca. - 2. Le modifiche in sede di conversione del d.l. n. 18 (Cura Italia). - 3. Novità di ordine generale. - 4. Le modifiche alla fase uno. - 5. Le modifiche alla fase due. - 6. Specificità per i giudizi di cassazione. - 7. Epilogo.
1. La proroga secca.
In materia di Giustizia, già posta in stato di animazione sospesa, intervengono almeno due norme di notevole impatto.
Va prima di tutto segnalato che l’art. 36 del d.l. 8 aprile 2020, n. 23 (Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali), prevede, al suo comma 1, che il termine del 15 aprile 2020 previsto dall’articolo 83, commi 1 e 2, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 è prorogato all’11 maggio 2020; e si premura di soggiungere che, di conseguenza, il termine iniziale del periodo previsto dal comma 6 del predetto articolo è fissato al 12 maggio 2020.
L’articolo estende la sua applicazione, coi consueti limiti di compatibilità, ai procedimenti di cui ai commi 20 e 21 dell’articolo 83 del decreto-legge n. 18 del 2020; i quali, nel testo originario, precedente cioè la modifica di cui alla legge di conversione, sono: i procedimenti di mediazione ai sensi del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, i procedimenti di negoziazione assistita ai sensi del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, tutti i procedimenti di risoluzione stragiudiziale delle controversie regolati dalle disposizioni vigenti, i procedimenti relativi alle commissioni tributarie e alla magistratura militare.
La proroga al giorno 11 maggio non si applica ai procedimenti penali in cui i termini di cui all’articolo 304 del codice di procedura penale scadono nei sei mesi successivi all’11 maggio 2020 e quindi fino all’11 novembre 2020; e non si applica neppure nel processo amministrativo, se non per i termini per la notificazione dei ricorsi, fermo restando quanto previsto dall’articolo 54, comma 3, del relativo codice.
Al contrario, la proroga del termine di cui al comma 1, primo periodo, si applica altresì a tutte le “funzioni e attività della Corte dei conti”, come elencate nell’art. 85 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18.
Rimane quindi la distinzione in due fasi, la prima di sospensione generalizzata ed ampia con eccezioni e che impatta in modo deciso sulla funzionalità della giustizia, la seconda di regime articolato intermedio verso una ripresa che si presume – o, più verosimilmente, si auspica – complessiva o definitiva: ma si interviene solo sulla fase uno, che è aumentata fino a quasi due mesi, senza modificare – per ora – il termine finale anche della fase due (al 30 giugno, data sempre più prossima) e quindi riducendo in modo corrispondente la fase due, dell’organizzazione duttile e flessibile, anche territorialmente differenziata, che in origine era articolata su due mesi e mezzo ed ora si limita a poco meno di due, cioè un tempo inferiore a quello dell’emergenza acuta.
In definitiva, si tratta di una scelta probabilmente imposta dall’andamento dell’epidemia, ma ancora una volta inopportunamente indifferenziata, che cristallizza la situazione delle prime ore, dalla quale potrebbe forse adesso trarsi ogni utile spunto per superare il rischio di un immobilismo mortale, comprensibile ed in parte giustificabile solamente nei primi momenti di sbandamento e di priorità, nell’emergenza acuta, dell’imperiosa esigenza di prevenire l’impennata dei contagi e di organizzare la linea del Piave per la ripartenza dell’offensiva alla malattia e soprattutto della società nel suo complesso.
Altre quattro settimane di piena paralisi sono molte, moltissime; oltretutto, la comprensibile rigidità della fase uno impedisce l’adozione, fin d’ora, di strumenti agili e flessibili come quelli previsti dai commi sei e sette, esclusivo appannaggio della fase due, salva l’impervia strada della dichiarazione di urgenza ope iudicis e, beninteso, ferma la trattazione dei procedimenti definiti tali per legge o, auspicabilmente, nei casi dubbi a tale categoria ricondotti da provvedimento ricognitivo del giudice.
Lo stato di animazione sospesa (quasi un coma farmacologico) in cui era stata collocata la Giustizia col d.l. 18 si trova quindi protratto, come una terapia, dall’art. 36 del d.l. 23; ma, al tempo stesso, qualche intervento per limitare gli effetti nefasti che possono temersi dalla protrazione di questo stato di cose si tenta con le modifiche arrecate in sede di conversione del primo: come se, insomma, almeno si volesse trasferire il paziente in terapia intensiva, una volta che questo possa ancora dare segni vitali e potenzialità di ripresa o, almeno, per non rendere quest’ultima ancora più complicata o non lasciare postumi invalidanti permanenti irreversibili.
2. La legge di conversione del d.l. 18/20 (Cura Italia).
All’esito della modifica arrecata al Senato (il 9 aprile 2020), il testo finale della legge di conversione del d.l. n. 18 del 2020 è stato varato dalla Camera dei Deputati il 24 aprile.
L’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020 ne risulta trasformato in una norma ancora più complessa di almeno trentaquattro commi.
La disciplina diventa molto frastagliata proprio in ordine all’individuazione delle fasce temporali di applicazione, che vengono pure talvolta differenziate all’interno della tendenziale bipartizione nella fase uno (fino al giorno 11/05) e due (fino al 30/06, almeno allo stato).
Per quanto riguarda il civile e il processo in generale dell’art. 83 d.l. 18/2020 sono stati modificati:
- il comma 3, con l’affinamento dell’elenco dei procedimenti esclusi dalla sospensione nella fase uno;
- il comma 7, con la precisazione delle udienze civili in cui sarà possibile, nella fase due, la modalità da remoto, ma pure con l’estensione di queste alle attività di tutti gli ausiliari di tutti i giudici;
- il comma 20, quanto alla sospensione dei procedimenti di mediazione o risoluzione stragiudiziale delle controversie.
Sempre per il processo civile o in generale sono state:
- previste modalità di deposito telematico di atti nei procedimenti civili in Cassazione;
- abilitate le celebrazioni da remoto delle camere di consiglio, ma nella sola fase due e per i soli procedimenti non sospesi;
- previste modalità di svolgimento da remoto a determinate condizioni degli incontri di mediazione;
- introdotte nuove modalità di conferimento delle procure in ogni procedimento civile, con previsione di un termine finale pericolosamente incerta o mobile.
Non è questa la sede per occuparsi specificamente di modifiche ad altre disposizioni complementari, come l’art. 103 (formalmente dedicato ai procedimenti amministrativi, ma che, con disposizione assolutamente incongrua per la sedes materiae proclamata nella rubrica, potrebbe finire con l’estendersi ai procedimenti esecutivi e concorsuali fino al 15/04/2020, oltre che, secondo quanto già previsto dall’originario comma 6, alle procedure di rilascio fino al 01/09/2020) o l’art. 54-ter (sulla sospensione delle procedure esecutive sulle prime case). Basti allora un cenno al fatto che il primo prevede (al co. 1-bis) una sospensione, curiosamente limitata però al solo 15 aprile 2020, in materia di procedimenti amministrativi, per i “termini relativi ai processi esecutivi e alle procedure concorsuali, nonché ai termini di notificazione dei processi verbali, di esecuzione del pagamento in misura ridotta, di svolgimento di attività difensiva e per la presentazione di ricorsi giurisdizionali” (nonostante questi procedimenti nulla abbiano in comune con i procedimenti amministrativi, come insegna la dottrina processuale da almeno settant’anni); ma si interviene pure sui procedimenti amministrativi per il recupero di somme dovute in materia di lavoro e legislazione sociale, con una ancora più curiosa modulazione del relativo periodo di sospensione, dal 23 febbraio al 31 maggio 2020, estesa anche al relativo termine prescrizionale.
3. Novità di ordine generale.
Incide su norme generali del processo, non solo civile, la liberalizzazione dello svolgimento da remoto di tutte le attività di tutti gli ausiliari del giudice (e, attesi i richiami delle rispettive discipline, anche di quelli dei magistrati), alla condizione generale della salvaguardia del contraddittorio e dell’effettiva partecipazione delle parti: si tratta della lettera h-bis del co. 7: pertanto, è disposizione studiata e dettata per la fase due (12 maggio – 30 giugno 2020) ed anche stavolta tutto è rimesso al provvedimento del capo dell’ufficio giudiziario. Al riguardo, è auspicabile un indirizzo unitario coordinato a livello nazionale dal CSM in sede di adozione delle linee guida, ma comunque a livello distrettuale dal presidente della Corte d’appello. L’ampiezza della lettera della legge dovrebbe consentire una auspicabile corrispondente ampiezza del ricorso a tali modalità, nel rispetto del principio di libertà delle forme e dei soli due obiettivi appena visti come riconosciuti meritevoli di garanzia. Pertanto, in applicazione di principi generali del processo civile, nessuna eventuale nullità derivante dalla violazione delle relative norme, primarie, secondarie o subsecondarie, potrà essere dichiarata ove l’atto abbia comunque raggiunto il suo scopo ed il diritto di difesa della parte non sia stato in concreto pregiudicato.
Incide invece su norme generali del processo, stavolta soltanto civile, la previsione del nuovo comma 20-ter, la cui durata è ancorata ad una data futura ed incerta quale la “cessazione delle misure di distanziamento previste dalla legislazione emergenziale in materia di prevenzione dal contagio COVID-19”: in forza di tale disposizione, nei procedimenti civili la sottoscrizione della procura alle liti può essere apposta dalla parte anche su un documento analogico trasmesso al difensore, anche in copia informatica per immagine, unitamente a copia di un documento di identità in corso di validità, anche a mezzo strumenti di comunicazione elettronica. In tal caso, l’avvocato certifica l’autografia mediante la sola apposizione della propria firma digitale sulla copia informatica della procura. La procura si considera apposta in calce, ai sensi dell’articolo 83 del codice di procedura civile, se è congiunta all’atto cui si riferisce mediante gli strumenti informatici individuati con decreto del Ministero della giustizia. Si tratta di norma che, quindi, per potere concretamente operare necessita di un atto di normazione secondaria peculiare, quale appunto il decreto ministeriale; ma ogni relativa irregolarità (tra cui l’adozione con modalità in parte difformi, se non forse anche l’applicazione di simili modalità prima della formale pronuncia del Ministro), tranne il solo caso delle procure speciali previste per peculiari giudizi (come quello di legittimità), deve potersi sanare ai sensi dell’art. 182 c.p.c., configurandosi al riguardo una potestà del giudice (e, quindi, un suo autentico potere-dovere in tal senso).
Per un periodo diverso ed estraneo alla modulazione della tempistica finora esaminata, siccome individuato tra il 16 aprile ed il 31 maggio 2020, è poi la riduzione a modalità da remoto, fatta salva una diversa ed evidentemente specifica disposizione del giudice (sicché, in mancanza di positivo intervento di questi, si dovrebbe applicare la previsione di cui appresso), degli incontri tra genitori e figli in in spazio neutro, ovvero alla presenza di operatori del Servizio Socio assistenziale, disposti con provvedimento giudiziale. Unica condizione è che siano permesse le comunicazioni audio e video tra il genitore, i figli e l’operatore specializzato, secondo le modalità che saranno individuate dal responsabile del Servizio Socio assistenziale e comunicate al giudice procedente; ma con la clausola di salvaguardia che, mancando un diverso provvedimento di questi, ove non sia possibile assicurare il collegamento da remoto gli incontri sono sospesi; e, nella dinamica dei difficili rapporti tra genitori e figli, un mese e mezzo può essere un periodo intollerabilmente lungo, sicché è auspicabile una particolare attenzione da parte del giudice, che potrebbe pur sempre, informato delle difficoltà tecniche, disporre diversamente e – beninteso – nel rispetto delle esigenze sanitarie.
La peculiarità del giudizio di legittimità specificamente introdotta per rendere trattabili i procedimenti civili dinanzi alla Corte di cassazione merita un cenno a parte, su cui v. infra.
Lo svolgimento in modalità da remoto è esteso poi – dal co. 20-bis – ai procedimenti di mediazione: a condizione del consenso di tutte le parti, questa è una facoltà generale nel periodo dal 9 marzo al 30 giugno 2020, ma si prevede pure (in modo probabilmente non del tutto congruente con la limitazione della previsione al periodo emergenziale) che in tempi successivi, sempre previo quel consenso, gli incontri possano aver luogo in via telematica, ai sensi dell’art. 3, co. 4, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, mediante sistemi di videoconferenza; e si precisa che, in caso di procedura telematica, l’avvocato, che sottoscrive con firma digitale, potrà dichiarare autografa la sottoscrizione del proprio cliente collegato da remoto ed apposta in calce al verbale ed all’accordo di conciliazione. Il verbale relativo al procedimento di mediazione svoltosi in modalità telematica sarà sottoscritto dal mediatore e dagli avvocati delle parti con firma digitale ai fini dell’esecutività dell’accordo prevista dall’art. 12 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28.
Con una generalizzazione opportuna (al co. 21), infine, la disciplina dell’intero art. 83, tra cui la suddivisione in due fasi del periodo di crisi, è estesa (oltre che alla giustizia tributaria e militare) anche ai procedimenti di competenza delle giurisdizioni speciali, anche se non contemplate direttamente od esplicitamente dal decreto legge, come pure agli arbitrati rituali, con il consueto limite generale della compatibilità.
4. Le modifiche alla fase uno.
Limitata alla fase uno, di indifferenziata sospensione di termini (salve le sole eccezioni previste), è una serie di precisazioni.
La prima riguarda i procedimenti di competenza del tribunale per i minorenni in cui è urgente ed indifferibile la tutela di diritti fondamentali della persona: si tratta di dizione volutamente ampia, idonea a garantire una discrezionalità opportuna in un settore dove una generalizzazione ex ante è spesso impropria ed inopportuna; piuttosto, è arduo il contemperamento con l’ultima parte della stessa lettera a) del co. 3, che già prevedeva l’esenzione dalla sospensione dei procedimenti in cui la ritardata trattazione avrebbe potuto produrre un grave pregiudizio alle parti, visto che la valutazione del giudice è indispensabile in entrambi i casi. A non volere ritenere che proprio in materia minorile le parti godano di una tutela minore, si può concludere che le due forme di esenzione, entrambe ope iudicis e quindi abbisognevoli di un provvedimento positivo del giudice (propriamente ricognitivo nel primo caso e costitutivo nel secondo), concorrano, ma non si escludano.
La seconda riguarda la limitazione dell’esenzione dalla sospensione delle cause relative ad alimenti od obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, parentela, matrimonio od affinità ai soli casi in cui vi sia pregiudizio per la tutela di bisogni essenziali. Valgono considerazioni analoghe a quelle appena svolte per la precisazione in tema di urgenza ed indifferibilità della tutela dei diritti fondamentali della persona nei procedimenti di competenza del tribunale per i minorenni: con la conseguenza che particolare attenzione andrà dedicata dal giudice alla valutazione della ricorrenza dei presupposti della seconda oppure dell’ultima delle ipotesi del primo periodo della lett. a) del comma 3; tuttavia, non dissimilmente che per la precedente, un richiamo indifferenziato o generico all’una o all’altra (anche con formula di congiunzione e, in alternativa, di aggiunta) dovrebbe fondare a sufficienza la determinazione del giudice competente di trattare l’affare.
La terza riguarda i particolari procedimenti elettorali di cui agli artt. 22 a 24 del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, intrinsecamente urgenti per l’indifferibilità delle decisioni in materia, soprattutto per il caso in cui le competizioni elettorali cui si riferiscono siano state tenute egualmente nonostante l’emergenza sanitaria.
Ancora, il co. 12-quinquies regolamenta le modalità di deliberazione da remoto dei provvedimenti collegiali nei procedimenti civili e penali non sospesi: alla lettera, quindi, poiché di sospensione si parla esclusivamente per la cosiddetta fase uno (mentre per la fase due rimane una ampia gamma di provvedimenti rimessi all’iniziativa dei capi degli uffici, tra i quali non si fa mai menzione della sospensione), la disciplina può applicarsi in via diretta ed immediata esclusivamente a quelli ed a quegli altri, che ordinariamente non sono sospesi, nella fase due. In particolare, dal 9 marzo 2020 al 30 giugno 2020, nei procedimenti civili e penali non sospesi, le deliberazioni collegiali in camera dì consiglio possono essere assunte mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Il luogo da cui si collegano i magistrati è considerato camera di consiglio a tutti gli effetti di legge. Nei soli procedimenti penali, dopo la deliberazione, il presidente del collegio o il componente del collegio da lui delegato sottoscrive il dispositivo della sentenza o l’ordinanza e il provvedimento è depositato in cancelleria ai fini dell’inserimento nel fascicolo il prima possibile e, in ogni caso, immediatamente dopo la cessazione dell’emergenza sanitaria. Nei procedimenti civili, per i quali nulla è previsto in modo esplicito dalla legge, le modalità di deposito degli elaborati restano affidate al provvedimento del singolo capo dell’ufficio, se intervenuto ai sensi del co. 7, oppure, in mancanza, dal giudice (o, in caso di collegio, dal suo presidente) che vi provvede.
5. Le modifiche alla fase due.
Nonostante l’evidente opportunità di una generalizzazione di tali precisazioni, tale disciplina (del co. 12-quinquies) è espressamente limitata anche temporalmente, dal 9 marzo al 30 giugno 2020, benché dall’11 maggio non vi siano più procedimenti sospesi; ma può ritenersi codificazione esplicita di principi della materia, quale quello dell’equiparazione alla camera di consiglio “in presenza” del luogo o dei luoghi da cui si collegano i magistrati dell’organo collegiale, nonché quello del deposito quanto prima dell’originale in cancelleria, oppure quello della delegabilità delle relative funzioni del presidente del collegio.
Pertanto, nulla esclude l’applicazione di analoga modalità di trattazione da remoto, purché però tanto sia reso oggetto di provvedimento ad hoc del capo dell’ufficio ai sensi della lett. f) del medesimo co. 7, adottato nel rispetto delle regole procedurali del comma 6 (vale a dire previa consultazione dell’autorità sanitaria regionale, sentito il Consiglio dell’ordine degli avvocati e comunque d’intesa col Presidente della Corte d’appello o il Procuratore generale della Repubblica presso la medesima, con la sola eccezione di Corte di cassazione e Procura generale presso quest’ultima).
Con simile provvedimento il capo dell’ufficio sarà quindi ancora in facoltà di determinare le modalità di trattazione non solo delle udienze, ma pure delle adunanze (in Cassazione, anche se non partecipate) e delle relative camere di consiglio da remoto: a tale conclusione (di indifferenziato riferimento alle attività comunque espletate dal giudice nello sviluppo del procedimento come regolato davanti a lui) potendo giungersi ora anche sulla base di due nuovi argomenti testuali: in primo luogo, l’esplicita estensione – alla lett. f) – a tutte le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti e dagli ausiliari del giudice, anche se finalizzate all’assunzione di informazioni presso la pubblica amministrazione; in secondo luogo, l’inserimento della lett. h-bis (anch’essa appunto relativa alla sola fase due), con la previsione dello svolgimento dell’attività da remoto di tutti gli ausiliari del giudice, fatti salvi il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti (per cui, tra l’altro, nulla che presupponga l’esame fisico od obiettivo di cose o persone dovrebbe potersi ricondurre a tale facoltà: non certamente una visita medica sulla persona, ad esempio, o – verosimilmente – un’ispezione di luoghi).
La conclusione che si ricava è che tutte le attività funzionali alla giurisdizione civile, diverse da quelle che esigono la presenza fisica delle parti di persona, sono sostituibili, se non altro finché dura l’emergenza, con le modalità da remoto e, deve ritenersi, a condizione dell’equipollenza del contatto così istituito con quello normalmente esistente nel processo civile, di cui può comunque – e in linea di principio – garantirsi oralità, concentrazione ed immediatezza anche tra persone distanti ma adeguatamente collegate.
6. Specificità per i giudizi di cassazione.
Preliminarmente, può notarsi che, quanto alla firma dei provvedimenti civili della Corte suprema di cassazione, opportunamente il Primo Presidente della Corte di cassazione ha disposto, con suo decreto n. 40 del 18-19 marzo 2020, che, in caso di residenza del presidente o del relatore fuori Roma, possa configurarsi uno degli impedimenti per i quali l’ultima parte dell’ultimo comma dell’art. 132 cod. proc. civ. prevede la possibilità della sottoscrizione da parte del consigliere più anziano. Tale norma, conformemente alle prime valutazioni anche di altri commentatori ed in virtù di un’interpretazione estensiva, necessitata dall’eccezionalità della situazione e della probabilità della diffusione dell’impedimento dovuta alla dimensione nazionale dell’ufficio ed alla dislocazione dei suoi magistrati su tutto il territorio italiano, deve ritenersi applicabile a scalare in caso di impedimento anche del componente del collegio più anziano dopo il presidente, fino a raggiungere ed investire del potere di firma il più anziano dei componenti del collegio che non sia impedito.
Soltanto un cenno poi, per il grande impatto pratico che potrebbe avere per consentire la ripresa decisa delle attività della Cassazione civile ed anzi per costituire un’occasione di superamento di un anacronistico ritardo nell’applicazione delle innovazioni tecnologiche nell’ufficio di vertice della magistratura italiana, può essere qui fatto al co. 11-bis, per il quale, nei procedimenti civili innanzi alla Corte di Cassazione, ma – allo stato – sino al 30 giugno 2020, il deposito degli atti e dei documenti da parte degli avvocati può avvenire in modalità telematica nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.
Si precisa che condizione per l’attivazione del servizio è un provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, di constatazione dell’installazione e dell’idoneità delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici. Va di pari passo l’abilitazione dei difensori delle parti al pagamento del contributo unificato di cui all’art. 14 d.P.R. 30 maggio. 2002, n. 115 (e dell’anticipazione forfettaria di cui all’art. 30 del medesimo decreto), dovuto per il deposito telematico degli atti dì costituzione in giudizio presso la Corte di Cassazione, mediante sistemi telematici di pagamento anche tramite la piattaforma tecnologica di cui all’articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.
La sperimentazione pare avviata proprio in queste ore.
E proprio in queste ore è stato pubblicato sul sito istituzionale della Corte un protocollo di intesa tra la Corte di cassazione, il Consiglio Nazionale Forense e la Procura Generale presso la Corte per la trattazione delle adunanze camerali civili (e delle udienze ex art. 611 c.p.p.), dichiarato immediatamente efficace e valido fino al 30/06/2020 e del quale il CNF si impegna a dare ampia pubblicità, in base al quale:
1. il provvedimento di fissazione dell’adunanza o dell’udienza camerale conterrà l’invito ai difensori a trasmettere, ove nella loro disponibilità e secondo le forme di cui agli articoli seguenti del protocollo, entro sette giorni dal ricevimento della comunicazione stessa, copia informatica - in formato pdf - degli atti processuali del giudizio di cassazione, sia civili che penali, già in precedenza depositati nelle forme ordinarie previste dalla legge (per il civile: ricorso, controricorso, nota di deposito ex art. 372, comma 2, c.p.c., provvedimento impugnato); con espresso avvertimento che nel caso in cui non pervengano nel detto termine in cancelleria tali copie, la trattazione della causa, già fissata, potrà essere rinviata a nuovo ruolo ove il collegio non sia in condizione di decidere nella camera di consiglio da remoto;
2.1. il difensore provvederà a trasmettere gli atti richiesti, dei quali abbia la disponibilità, mediante invio dal proprio indirizzo di posta elettronica certificata risultante dal RE.G.IND.E., congiuntamente:
a. agli indirizzi di posta elettronica certificata delle cancellerie della Corte di cassazione e delle segreterie della Procura Generale, che saranno previamente comunicati al Consiglio Nazionale Forense ed adeguatamente pubblicizzati sui rispettivi siti internet dei soggetti che sottoscrivono il presente protocollo,
b. all’indirizzo di posta elettronica certificata dei difensori delle altre parti processuali risultante dai pubblici registri di cui all’art. 16.ter del d.l. n. 179 del 2012 e successive modificazioni;
2.2. l’invio dovrà essere fatto separatamente per ciascuno dei ricorsi per i quali si è ricevuto l’avviso di fissazione dell’udienza ed il messaggio dovrà contenere la chiara indicazione nell’oggetto del numero del ruolo generale, della sezione, civile o penale, della data dell’udienza o adunanza secondo il format che verrà previamente comunicato ed adeguatamente pubblicizzato;
2.3 l’adesione all’invito di cui al presente protocollo implica, in capo ai difensori, l’impegno a trasmettere copie informatiche di contenuto uguale agli originali o alle copie già presenti nel fascicolo cartaceo;
2.4 con analoghe modalità di cui ai punti 2.1. e 2.2. potranno essere trasmesse le memorie ai sensi degli artt. 380-bis, 380-bis 1 e 380-ter c.p.c.;
2.5 resta fermo quanto previsto dai decreti del Primo Presidente della Corte di cassazione innanzi richiamati, quanto alla trasmissione delle memorie e dei motivi aggiunti nei procedimenti civili e penali;
2.6 ciascuna delle parti processuali ha facoltà di trasmettere tutti gli atti del processo, ivi compresi quelli depositati dalle altre parti;
3. la trasmissione degli atti indicati nell’art. 1 dovrà avvenire entro e non oltre il settimo giorno successivo alla ricezione dell’avviso di fissazione dell’udienza o adunanza camerale. Nel caso in cui non pervengano nel detto termine in cancelleria le copie informatiche di tutti gli atti rilevanti, la trattazione della causa, già fissata, potrà essere rinviata a nuovo ruolo ove il collegio non sia in condizione di decidere nella camera di consiglio da remoto, per avere già acquisito le copie di atti e documenti;
4.1. la Procura Generale provvederà a trasmettere agli indirizzi di posta elettronica certificata delle cancellerie della Corte di cassazione ed agli indirizzi di posta elettronica certificata dei difensori di cui al punto 2.1, copia informatica degli atti processuali del giudizio di cassazione, sia civili che penali, già in precedenza depositati nelle forme ordinarie previste dalla legge;
4.2. con le stesse modalità potranno essere trasmesse le conclusioni scritte ai sensi degli artt. 380-bis.1 e 380-ter c.p.c., nonché le richieste e le memorie di cui all’art. 611 c.p.p.;
5. La Camera di Consiglio sarà svolta secondo le modalità indicate nei decreti del Primo Presidente nn. 44 del 23 marzo e 47 del 31 marzo 2020;
5.2. per quanto attiene il deposito delle note di cui al punto 2.5, sarà onere delle cancellerie provvedere all’inserimento nei fascicoli cartacei, ai fini della loro completezza;
6. la trasmissione della copia informatica dell’originale cartaceo non sostituisce il deposito nelle forme previste dai codici di rito, civile e penale, né determina rimessione in termini per le eventuali decadenze già maturate.
7. Epilogo.
Qualcosa, insomma, si muove. La Giustizia, colpita al cuore anch’essa da una sciagura senza precedenti e paralizzata per la fase acuta dell’emergenza, può ambire ad essere spostata dall’animazione sospesa prima alla terapia intensiva e poi in corsia, perché vuole dare il suo contributo al Paese; questi provvedimenti, nel complesso, offrono agli operatori qualche strumento per agire in questa direzione: e, impregiudicate beninteso le priorità sanitarie e la sicurezza minima di tutti i lavoratori ed i soggetti coinvolti nelle attività giurisdizionali, starà a loro, nell’ampio ventaglio di possibilità comunque offerto o ricavabile da una normativa comunque complessa, applicarli al meglio delle loro possibilità.
Perché un Paese non può sopravvivere senza cibo, ma non può restare a lungo senza Giustizia. Perché, insieme e se lo si vuole davvero, ce la si può fare.
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