ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Accesso agli atti nelle gare d’appalto tra “vecchio Codice” e d.lgs. 36/2023: più in salita la strada che porta avanti al T.A.R.? (nota a T.A.R. Lazio, Roma, sez. IV, 1° luglio 2024, n. 13225)"?
di Giacomo Biasutti
Sommario: 1. Introduzione; 2. La vicenda sostanziale e processuale; 3. Disciplina dell’accesso agli atti tra vecchio e nuovo codice: incidenza sul termine ad impugnare; 4. Regola generale e prospettive applicative particolari; 5. Lo spinoso caso dei segreti commerciali; 6. Alcune ulteriori riflessioni in tema di interesse al ricorso; 7. Conclusioni
1. Introduzione
Presupposti, limiti e disciplina processuale dell'accesso agli atti nelle procedure ad evidenza pubblica sono temi centrali di dibattito nella dottrina in materia[1] come pure nel tempo oggetto di alterni orientamenti nella giurisprudenza[2]. La celerità delle gare[3] e la necessità di tutelare i segreti industriali faticosamente acquisiti dai concorrenti[4] spingono, infatti, a giustificare una compressione delle tutele di chi ambisca alla conoscenza. Da altro punto di vista, tuttavia, quella stessa conoscenza del fatto amministrativo è essenziale e dovrebbe sempre essere garantita quale presupposto di un processo nella parità delle armi che non può essere rinunciato nemmeno ove il prezzo sia la minore velocità nella “messa a terra” degli investimenti pubblici.
Lasciando per un attimo sullo sfondo questo conflitto, è però evidente che il punto di equilibrio delle opposte istanze si deve trovare nell’individuazione della “conoscenza minima dei vizi” richiesta per instillare l'onere di impugnazione. È, infatti, sotto tale profilo che il procedimento di accesso agli atti può incidere sul decorso del termine decadenziale breve del rito ex art. 120 c.p.a.[5].
Con l'avvento dell'attuale Codice dei contratti pubblici, d.lgs. n. 36/2023, sì aggiunto un elemento di indubbia novità destinato ad incidere sulla giurisprudenza nel tempo consolidata, attraverso la previsione di una disciplina in soluzione di continuità rispetto a quelle che erano le disposizioni contenute nel d.lgs. n. 50/2016. La sentenza in commento fornisce quindi l'occasione di approfondire la distanza che separa il codice del 2016 da quello del 2023 prospettando alcuni prime conclusioni rispetto alla delicata ricerca di equilibrio tra diritto alla conoscenza, diritto alla difesa, speditezza delle procedure e tutela del patrimonio degli operatori economici nei pubblici incanti.
2. La vicenda sostanziale e processuale
Oggetto del contendere era l'affidamento di un servizio di mappatura degli habitat marini da parte di Invitalia s.p.a. a mezzo piattaforma telematica[6]. Avverso gli atti del procedimento, la mandataria di un costituendo raggruppamento temporaneo di imprese terzo graduato stendeva ricorso con contestuale domanda di declaratoria di inefficacia del contratto di appalto medio tempore stipulato e di risarcimento del danno tanto in forma specifica[7] attraverso il subentro nel rapporto negoziale tra l'originale aggiudicataria e la pubblica amministrazione, quanto in via equivalente attraverso il risarcimento del danno patrimoniale subito[8].
Un elemento di particolare rilievo della procedura oggetto di contendere era il riparto del punteggio nella valorizzazione dei componenti qualitativi e quantitativi dell'offerta[9]: 90 punti su 100 erano attribuiti all'offerta tecnica, solo i restanti 10 all'offerta economica, così denotando una decisa scelta di campo dell'amministrazione verso la ponderazione qualitativa delle proposte dei concorrenti, probabilmente correlata alla peculiare natura dell'oggetto dell'affidamento.
A formare profilo di contestazione da parte della ricorrente, la carenza di requisiti di idoneità professionale da parte del vincitore[10], l'inadeguatezza complessiva delle modalità proposte per prestazione del servizio[11] e la contraddittorietà interna della lex specialis[12].
Chiamata alla discussione la vertenza ai fini della decisione sull'istanza cautelare, il Collegio aveva però a rilevare una questione d'ufficio ai sensi dell'articolo 73, comma 3, c.p.a.[13], relativamente alla possibile irricevibilità del ricorso. Il Tribunale prendeva, infatti, in considerazione lo iato temporale che era intercorso tra il momento in cui vi era stata la conoscenza del provvedimento lesivo, ossia della approvazione la proposta di aggiudicazione da parte della stazione appaltante, è il momento di proposizione del ricorso giurisdizionale, arrivato oltre i 30 giorni dalla pubblicazione di tale provvedimento sulla piattaforma telematica ove si era svolta la procedura. La ragione di tale allungamento delle tempistiche di ricorso risiedeva nel fatto che la stazione appaltante aveva a rendere disponibile la documentazione tecnica amministrativa ed economica dell'offerta dell'aggiudicatario poco meno di un mese dopo all'iniziale pubblicazione dell'esito della procedura, a seguito di istanza di accesso agli atti della ricorrente. Rilevava però il giudice come il vigente Codice dei contratti pubblici abbia operato una rilevante innovazione rispetto alla disciplina previgente, non riproducendo il d.lgs. n. 50/2016 laddove prevedeva che, una volta proceduto all’aggiudicazione, l’amministrazione dovesse rendere disponibile la documentazione di gara[14] entro 15 giorni[15]. Il vigente d.lgs. n. 36/2023 prevede infatti, all’art. 35, che le stazioni appaltanti assicurano l'accesso agli atti delle procedure mediante acquisizione diretta dei dati e delle informazioni, così elidendo del tutto la necessità di trasmissione entro un termine di tale documentazione[16].
Dunque, nello specifico della gara oggetto del contendere, il Tribunale rileva che la disciplina applicabile era proprio quella del vigente Codice dei contratti pubblici e, pertanto la giurisprudenza maturata in riferimento all’art. 76, comma 2, d.lgs. n. 50/2016[17], invocata dal ricorrente, risultava semplicemente inattuale ratione temporis. Dal punto di vista fattuale, poi, il giudice ha ritenuto rilevante la circostanza per cui in ogni caso la stazione appaltante avesse reso disponibile la documentazione prima dello spirare del termine di 30 giorni ad impugnare che decorreva dal momento in cui la ricorrente aveva avuto notizia dell'esito della procedura[18].
La conclusione, quindi, era a quel punto necessitata: il ricorso sarebbe stato da giudicarsi potenzialmente tempestivo secondo il vecchio codice; tuttavia, esso risultava inammissibile secondo la disciplina oggi vigente.
Viepiù, il T.A.R. ha avuto inoltre a rilevare l'inammissibilità per difetto di interesse del gravame. Infatti, pur non entrando nel dettaglio di questo profilo, occorre sottolineare che la sentenza ha ritenuto che la formula societaria del primo graduato fosse rientrante nella più ampia definizione di operatore economico. Pertanto, la relativa offerta doveva considerarsi di per sé soggettivamente ammissibile. Su tale premessa quindi, rilevato che il ricorrente non aveva portato prova del fatto che l'accoglimento degli ulteriori diversi motivi di ricorso avrebbe portato a colmare il divario di punteggio intercorrente tra la propria offerta e quella vincitrice, il Tribunale ha ulteriormente ritenuto che il gravame fosse inammissibile per difetto di interesse in ragione del mancato superamento della prova di resistenza[19].
Fatte queste due premesse in rito, che consentono al T.A.R. di dichiarare preliminarmente tanto l’irricevibilità del ricorso quanto la sua inammissibilità, la pronuncia si spinge oltre analizzando anche il merito, specificamente appuntandosi in ordine alla contestazione operata circa il fatto che la prima graduata non si sarebbe dotata al suo interno di un gruppo di lavoro adeguato all'esecuzione dell'appalto. Il Giudice capitolino, in ordine a tale motivo richiama alla circostanza che la costituzione del gruppo di lavoro[20] realizza un requisito di esecuzione e non di partecipazione alla gara. Secondo la distinzione precisata dalla giurisprudenza[21], infatti, i requisiti di esecuzione connotano la concreta capacità di realizzare sul piano pratico l'affidamento e, dunque, la relativa sussistenza deve essere valutata in sede di gara in termini di serietà ed attendibilità dell'offerta e non già di possesso del requisito tout court[22]. Dunque, dal momento che, nel caso di specie, la prima graduata era dotata di un project manager in grado di costituire il gruppo di lavoro che il bando richiedeva come necessario per espletamento del servizio, il Tribunale ha ritenuto verificata (in punto di attendibilità astratta) la sussistenza del requisito esecutivo richiesto dalla lex specialis[23].
Per queste ragioni di diritto di merito, il ricorso viene giudicato irricevibile per tardività, inammissibile per difetto di interesse e comunque infondato nel merito.
3. Disciplina dell’accesso agli atti tra vecchio e nuovo codice: incidenza sul termine ad impugnare
Il profilo fondamentale ai fini della rilevata irricevibilità del ricorso ruota attorno alla differenza lessicale intercorrente tra la formulazione degli artt. 53 e 76 del d.lgs. n. 50/2016 e il testo degli artt. 35 e 90, d.lgs. n. 36/2023, oggi in vigore.
Invero, il previgente Codice dei contratti pubblici prevedeva l'obbligo per la stazione appaltante di mettere a disposizione del concorrente che ne avesse fatto richiesta la documentazione di gara entro 15 giorni dalla presentazione dell'istanza di accesso agli atti[24]. In relazione a tale previsione si è osservato un contrasto giurisprudenziale[25] che ha, alfine, portato alla pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 2 luglio 2020, n. 12. In tale sede si era espressamente riconosciuta la possibilità di differire il termine a proporre ricorso per i 15 giorni necessari all'espletamento dell'accesso agli atti. E ciò, sul presupposto per cui la disciplina che regolava dal punto di vista sostanziale l’accesso nei pubblici incanti non poteva opporre ostacoli ad una tutela piena ed effettiva dei concorrenti. L’effettività della difesa in giudizio sarebbe invece di contro risultata compromessa ove, per un difetto di coordinamento della disciplina del procedimento con il codice processuale, si fosse giunti ad onerare l’operatore economico della proposizione di un ricorso al buio[26] in assenza di adeguata conoscenza degli atti e documenti di gara. A ben vedere, tale sistema operava nei fatti una graduazione dei termini ad impugnare. Laddove i vizi fossero stati immediatamente percepibili, si riteneva generalmente che l'onere di impugnazione scattasse immediatamente con la comunicazione dell'aggiudicazione[27]. Laddove i vizi non fossero stati percepibili e fosse stata presentata istanza di accesso agli atti, il termine ultimo aumentava fino a 45 giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione – ciò a patto che l’istanza stessa fosse a sua volta tempestiva, ossia presentata appunto entro 15 giorni dalla conoscenza dell'aggiudicazione medesima[28].
Nella sistematica del d.lgs. n. 50/2016 si era quindi, in tali termini, trovato un punto di equilibrio tra esigenze di celerità della procedura e diritto alla difesa dei concorrenti, cercando al contempo di garantire la conoscibilità piena degli atti di gara ed evitare comportamenti dilatori che avrebbero lasciato in sospeso le determinazioni della stazione appaltante[29].
La prospettiva muta con il Codice del 2023, laddove in particolare non è più riproposta la disposizione che prevede l'onere di rilascio documentale ad opera della pubblica amministrazione entro il termine di 15 giorni dall’istanza di accesso. Di converso, all’art. 35, d.lgs. n. 36/2023 si prevede che tutta la documentazione di gara sia resa immediatamente disponibile attraverso la relativa pubblicazione sulla piattaforma telematica a mezzo della quale viene svolta la gara[30]. In altri termini le nuove disposizioni non prevedono più la mediazione della stazione appaltante tra concorrente documento[31]. Di qui la sopravvenuta irrilevanza dell’istanza di accesso agli atti rispetto al decorrere del termine a impugnare: essendo immediata la conoscenza di tutti gli atti di gara, altrettanto immediato[32] l’onere di impugnare gli atti.
Si aggiunga quindi che, laddove la soluzione esegetica propugnata nell’ambito della disciplina previgente doveva superare il riferimento operato dall’art. 120 c.p.a., che per un difetto di coordinamento indicava la disposizione del Codice de Lise poi abrogata ad opera del Codice del 2016[33], il d.lgs. n. 36/2023, all’art. 209, ha integralmente riscritto l’art. 120 stesso, in maniera tale da ridurre a coerenza la disciplina processuale e quella sostanziale, che ora appaiono solidali[34]. Pertanto, con il nuovo Codice è venuto meno l’addentellamento testuale che consentiva di raggiungere il risultato di differimento temporale, con il quale si era trovato in equilibrio tra conoscenza effettiva, onere ad impugnare ed esigenze di celerità[35].
4. Regola generale e prospettive applicative particolari
Incrociando le intervenute modifiche normative con l’impianto motivazionale dell’Adunanza Plenaria 2020, la conclusione cui giunge la sentenza in commento appare geometricamente coerente. Laddove, infatti, la giustificazione normativa della dilazione temporale del termine ad impugnare era ricondotta al perdurante richiamo di una norma che, pur abrogata, risultava trascritta integralmente nel Codice in allora vigente, non è possibile raggiungere le stesse conclusioni in esito alla modifica disposta dal d.lgs. n. 36/2023. Il risultato del rimaneggiamento normativo -seppur forse non direttamente voluto dal legislatore[36]- è stato all’evidenza proprio quello di comprimere il termine ad impugnare evitando che si potesse conseguire lo scostamento quindicinale conseguente all’esperimento dell’accesso agli atti. Certo è, però, che tale risultato si raggiunge senza compromettere il diritto di difesa solo attraverso la completa implementazione dei sistemi di digitalizzazione e del conseguimento di una piena accessibilità delle procedure nei sistemi di e-procurement. Nondimeno pare ineludibile concludere che l’imperante necessità di accelerare le procedure che la scelta del contraente[37] ha rivestito un ruolo determinante nella riscrittura della disposizione[38].
Ciò detto, occorre però andare oltre alla mera presa d’atto della coerenza della decisione rispetto all’architettura normativa per comprendere se quest’ultima – che, come visto, rende di fatto indifferente la necessità di esperire accesso agli atti per avere contezza dei vizi rispetto all’onere di impugnazione rispetto al decorso dei termini – risulti in sé coerente rispetto ai principi generali che si erano posti alla base della giurisprudenza maturata in seno al previgente Codice.
Volendo, infatti, ricapitolare per sommi capi, la giurisprudenza sovranazionale impone agli Stati membri l’obbligo di realizzare un sistema impugnatorio chiaro ed effettivo[39]. Per chiarezza si considera l’evidenza dei diritti e degli obblighi in capo ai soggetti partecipanti alle gare, in maniera tale che il procedimento preordinato all’aggiudicazione non rechi con sé una menomazione del diritto di tutelare le proprie posizioni giuridiche soggettive[40]. Diretta conseguenza di questo enunciato generale è quindi la circostanza per cui il termine decadenziale per la proposizione del ricorso dovrebbe decorrere solamente da quando “il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della pretesa violazione”[41]. La conoscenza della pretesa violazione dovrebbe essere quindi, se non “piena”, quantomeno sufficiente, ossia tale da consentire l’individuazione dei motivi di diritto e le prove, anche non direttamente conosciute, a sostegno degli stessi. Ad essere esclusa, in ogni caso, è la possibilità di onerare fisiologicamente il concorrente di proporre un ricorso al buio perché il sistema non gli consente di avere una conoscenza adeguata dei vizi dell’atto da impugnarsi.
Su tali premesse, diviene ulteriormente interessante quanto affermato dall’Adunanza Plenaria, che, pur nella vigenza del d.lgs. n. 50/2016 ha richiamato specificamente gli obblighi di diligenza della stazione appaltante. Infatti, il Consiglio di Stato ha avuto modo di sottolineare come la celerità del procedimento, nonostante l'applicazione dell'ulteriore termine di 15 giorni per garantire l'impugnazione, non venga ad essere compromessa laddove l'amministrazione comunque adempia con puntualità ai propri oneri di pubblicità e corretta informazione dei partecipanti[42]. È quindi la precisione della stazione appaltante nell’adempimento degli obblighi pubblicitari in favore dei concorrenti a fare si che la garanzia della piena conoscenza degli atti non comprometta la velocità delle procedure di gara. Si tratta di un aspetto che pare oggi correlarsi direttamente al principio di fiducia sancito all’art. 2, d.lgs. n. 36/2023[43], onerando la stazione appaltante di adempiere effettivamente agli obblighi di pubblicazione sulla piattaforma che le sono imposti[44].
Resta però che nella eventualità in cui tali adempimenti manchino -ossia non risultino pubblicati gli atti o gli stessi vengano erroneamente oscurati- e, quindi, il concorrente verta in uno stato di “incolpevole ignoranza”[45], occorrerà comprendere se sia necessario sempre e comunque proporre ricorso al buio ovvero si possa nonostante il tenore della norma attendere la corretta ostensione documentale per far decorrere il termine ad impugnare.
Ebbene, se si va a leggere le decisioni della Corte di Lussemburgo, paiono esservi pochi dubbi circa il fatto che in difetto di una conoscenza piena dei vizi non si possa onerare in via generalizzata il privato di interporre ricorso al buio. Quindi, in mancanza dell’adempimento dell’obbligo di pubblicazione ad opera della P.A., in violazione del rapporto fiduciario che la lega al concorrente, non dovrebbe potersi predicare decadenza in capo al privato[46]. Manca però a legislazione vigente un “termine di differimento”, come quello quindicinale previsto dal d.lgs. n. 50/2016: vi è quindi il rischio che una soluzione sostanzialista rimetta alla valutazione del caso concreto al tempestività del gravame, in pregiudizio della prevedibilità dei mezzi di ricorso. Tuttavia, pare inevitabile che, laddove la lesione alla sfera giuridica soggettiva dell’operatore economico sia percepibile, questi sarà onerato dell’azione con contestuale richiesta di accesso agli atti in corso di causa – laddove i dati necessari non siano stati oscurati in quanto segreti commerciali, sul punto si tornerà nel paragrafo a seguire. Sarà semmai in esito al processo che potranno essere comminate eventuali sanzioni processuali in capo all'amministrazione (ad esempio in termini di condanna aggravata alle spese di lite) qualora questa non abbia messo a disposizione la documentazione costringendo ad un giudizio che, ancorché infondato, potenzialmente non sarebbe stato spiccato se il privato fosse stato nella condizione di decidere con tutti gli elementi. Invero, toccherà di volta in volta al giudice apprezzare se nel caso di specie le informazioni in possesso del partecipante fossero o meno sufficienti per consentirgli di apprezzare l’illegittimità degli atti onerandolo di interporvi ricorso. Il che, però, è proprio l’opposto di un principio di fiducia che si riconverte anche nella prevedibilità degli strumenti di tutela avverso l’esercizio del potere.
5. Lo spinoso caso dei segreti commerciali
La sentenza in parola fornisce altresì l’occasione per una breve riflessione in ordine all’incrociarsi di una decadenza tanto tranchant con la disciplina relativa all’impugnativa delle decisioni afferenti alla secretazione delle componenti delle offerte contenenti segreti commerciali.
Una delle novità in merito introdotte dal d.lgs. n. 36/2023 è stata la previsione, all’art. 36, commi 3 e 4, che all’atto di aggiudicazione la stazione appaltante comunichi quali parti delle offerte delle quali è stata chiesta la secretazione siano effettivamente segreti commerciali[47]. Tale decisione[48] è contestabile solamente con un ricorso ex art. 116 c.p.a. che si presenta assai sui generis: basti pensare che il gravame deve essere notificato e depositato entro 10 giorni e viene deciso con una dimidiazione integrale di tutti i termini di rito. Dimidiazione che, nondimeno, non assicura che la conoscenza del documento in allora secretato, in caso di vittoria del giudizio, arrivi in tempo utile per impugnare l’aggiudicazione. La proposizione del ricorso avverso l’oscuramento dei segreti commerciali, infatti, non sposta i temini di decadenza al pari di quanto non fa più una richiesta di accesso agli atti. Né pare che la decisione della P.A., se non tempestivamente impugnata con il rito di accesso “speciale” possa indi essere contestata a mezzo della presentazione di domanda di accesso agli atti in corso di causa, come solitamente d’uso per garantirsi il rispetto del termine decadenziale a ricorrere.
Il rischio di un disassamento tra cognizione piena -o, per meglio dire, sufficiente- del procedimento e termine imposto per proporre ricorso avverso gli atti di gara, appare insomma assai significativo. E, la luce della formulazione odierna dell'articolo di riferimento del Codice, pare non essere un disallineamento che possa ragionevolmente essere recuperato attraverso interpretazioni sostanzialiste atte a valorizzare i profili di fatto che sul piano conoscitivo vengono invece in rilievo per la giurisprudenza sovranazionale[49].
6. Alcune ulteriori riflessioni in tema di interesse al ricorso
Un'ulteriore profilo meritevole di interesse nella pronuncia in commento è poi costituito dalle ragioni per le quali il ricorso viene dichiarato anche inammissibile[50]. IL T.A.R. rileva, infatti, che il ricorrente aveva censurato la stessa capacità ad offerendum della seconda graduata; di qui, pur contestando l'attribuzione dei punteggi, l’impugnazione non aveva però ulteriormente dimostrato che l'accoglimento di tali motivi avrebbe consentito di superare la controinteressata, anche qualora quest'ultima fosse stata ritenuta legittimata a presentare offerta.
Si tratta di una tecnica redazionale[51] che rileva sotto un duplice profilo: interno ed esterno. Dal punto di vista interno consente alla parte ricorrente sostanziale di comprendere le ragioni di infondatezza del proprio gravame, così contribuendo ad una funzione conoscitiva sui dati del procedimento. Dal punto di vista esterno, invece, la sentenza sul punto esprime quello che può essere definito un effetto extraprocessuale[52], rendendo un precedente giurisdizionale che può essere applicato in ulteriori giudizi contribuendo a formare la giurisprudenza di merito ai temi della res litigiosa.
Con riguardo, invece, della prova di resistenza, questa è una declinazione applicativa del principio generale di cui all'articolo 100 c.p.c.: il promovimento di una censura, e più in generale dell'azione, deve essere giustificato da una concreta utilità finale nella relativa delibazione ad opera del giudice[53]. All'atto pratico questa valutazione consiste in un apprezzamento a priori circa la sussistenza, in buona sostanza, di un nesso di causalità. Ossia si deve appurare con un sufficiente[54] grado di sicurezza che l'operatore economico risulterebbe aggiudicatario in caso di accoglimento del motivo di ricorso. Nel caso di specie, l'unica doglianza che avrebbe di per sé portato a superare in graduatoria il concorrente controinteressato era quella relativa alla sua incapacità ad offerendum. Con riguardo ad ogni altro motivo di ricorso, invece, il ricorrente avrebbe dovuto dare prova di come il relativo accoglimento avrebbe inciso sul punteggio in graduatoria in maniera tale da consentire di soverchiare il risultato finale.
Quanto precede consente allora di sottolineare come la prova di resistenza in materia di appalti pubblici, non differentemente da altri ambiti[55], si atteggia in maniera differente a seconda della tipologia di vizio rilevato. Infatti, laddove ad essere contestato sia un vizio generale della procedura, o, come nel caso di specie, la stessa possibilità che un soggetto concorrente partecipi ed offra, la prova di resistenza non è richiesta. In questi casi, infatti, dall'accoglimento del motivo conseguirebbe di per sé il raggiungimento finale di soddisfacimento dell'interesse che può essere alternativamente la riedizione della procedura ovvero l'espunzione del controinteressato dalla stessa[56].
7. Conclusioni
Esaminati i principali snodi argomentativi della pronuncia in commento, ne si ritrae una complessiva rilevanza nell'ottica di definire il corretto perimetro applicativo delle disposizioni del nuovo Codice dei contratti pubblici, per identità e differenza rispetto alla disciplina previgente. È significativa, infatti, la linearità esegetica con la quale Tribunale amministrativo capitolino afferma che l'attuale architettura codicistica[57] conduce ad una soluzione circa l’estensibilità del termine di impugnare l’aggiudicazione decisamente antitetica rispetto al punto di equilibrio faticosamente trovato dalla giurisprudenza nella vigenza del d.lgs. n. 50/2016.
A tale geometricità nella soluzione del caso si accompagnano però alcuni rilievi di sostanza rispetto ad un impianto normativo del Codice che, seppur coerente e solidale con il c.p.a. nel ricercare la stabilità degli esiti delle procedure di gara[58], pare portare con sé il rischio di comprimere il diritto alla difesa, onerando di fatto l’operatore economico del ricorso al buio in caso di inefficienza amministrativa. Viepiù, trovare un nuovo punto di equilibrio diviene ancor più complesso ove vengano in questione possibili segreti commerciali, poiché in questo caso il rito di accesso speciale disciplinato direttamente dal d.lgs. n. 36/2023 fissa a termini di decadenza ancor più stretti, peraltro individuando una strada obbligata per la contestazione delle decisioni in tema di secretazione degli atti da parte della P.A.
Le disposizioni nel loro complesso, quindi, paiono voler incidere sulla rapidità nella messa a terra degli investimenti pubblici utilizzando la conoscibilità degli atti come strumento per irreggimentare la contestazione giurisdizionale. Si tratta di una soluzione che, pur dovendo essere misurata nell’applicazione concreta[59], chiama le stazioni appaltanti ad una diversa interpretazione della proprie responsabilità, nell’ambito del perimetro di un rinnovato rapporto di fiducia con gli operatori economici.
[1] Anche nel vigore dei previgenti d.lgs. n. 163/2006 e n. 50/2016, che, come si vedrà, presentavano delle significative discrasie rispetto all'attuale d.lgs. n. 36/2023, le norme speciali sull'accesso agli atti in tema di appalti pubblici erano state oggetto di particolare attenzione. Per tutti, a livello di inquadramento generale dei temi che si andranno a trattare, si rinvia a A.G. Orofino – Cimbali, Sulla tutela cautelare nel rito in materia di accesso: spunti di riflessione e analisi di recenti orientamenti, in Federalismi.it , XV, 2022, S. Mezzacapo, Commento all’art 53. Accesso agli atti e riservatezza, in G.M. Esposito (a cura di), Codice dei contratti pubblici. Commentario di dottrina e giurisprudenza, Vicenza, 2017, pag. 648 e ss. oltre a G.D. Comporti, Il procedimento e il responsabile (artt. 31, 32, 33, 40, 44, 52, 53), in M. Clarich (a cura di), Commentario al codice dei contratti pubblici, Torino, 2019. Con riferimento, invece, ai primi commenti del vigente Codice, cfr. F. Giallombardo, L’accesso nel contesto del nuovo codice dei contratti pubblici, in giustizia-amministrativa.it, 2024, P. Provenzano, L’accesso agli atti senza istanza. Riflessioni a prima lettura sulla nuova disciplina (sostanziale e processuale) in materia di accesso agli atti di gara, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comparato, III, 2023, pag. 490 e ss., F.G. Russo, I rimedi giurisdizionali nel nuovo Codice dei Contratti Pubblici tra la trasparenza e la buona fede, in giustizia-amministrativa.it, 2023.
[2] Per tutti, L. Droghini, Riservatezza, trasparenza e tutela giurisdizionale effettiva nel settore degli appalti pubblici: nuove indicazioni da parte della giurisprudenza europea. Nota a CGUE, quarta sezione, 17 novembre 2022 (Causa C-54/21), in Federalismi.it, V, 2023. Cfr. anche, ex multise senza pretesa di esaustività, la ricostruzione operata da Consiglio di Stato, sez. V, 29 aprile 2022, n. 3392.
[3] Vedasi, ad esempio, Consiglio di Stato, sez. I, 15 marzo 2022, n. 1792, ove, in vigenza del d.lgs. n. 50/2016, già si era chiarito che “Sebbene il nuovo codice degli appalti del 2016, in tema di accesso agli atti di gara, non abbia riprodotto la previsione del previgente art. 79, comma 5-quater, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, che assegnava al concorrente per proporre l’istanza di accesso dieci giorni a decorrere dalla ricezione delle comunicazioni di legge da parte della stazione appaltante, l’attuale disciplina deve ritenersi in continuità con quella precedente, non essendo da un lato consentito attraverso l’istanza di accesso differire ad libitum la decorrenza del termine di impugnazione, e per altro verso dovendo coniugarsi la finalità acceleratoria delle norme in tema di contenzioso sui contratti pubblici con l’esigenza di tutela del concorrente il quale abbia esercitato l’ordinaria diligenza nel chiedere l’accesso anche in relazione al termine assegnato all’amministrazione per provvedere”.
[4] Cfr. B. Gargari, Il ruolo della concorrenza ai fini del bilanciamento tra trasparenza e segreti commerciali, in Federalismi.it – Osservatorio trasparenza, 28 luglio 2021, ove, in particolare, l’Autore sottolinea come ad entrare in gioco nel bilanciamento che viene operato allorquando venga richiesto l'accesso di documenti che sono suscettibili di contenere segreti commerciali, vi è anche l’interesse confliggente alla tutela della concorrenza. Questo bilanciamento si realizza però su di un duplice livello: la concorrenza si tutela, da un lato rendendo possibile la contestazione delle risultanze della procedura di gara, dall'altro, però, pure garantendo che i segreti commerciali che possono costituire un elemento fondamentale nella redditività dell'azienda non vengano divulgati. In questi termini la valutazione operata dalla stazione appaltante risulta inevitabilmente molto complessa.
[5] Ed, infatti, la giurisprudenza ha chiarito che dall’analisi della disciplina si desume “nella prospettiva di adeguata e proporzionata conciliazione del diritto di difesa del concorrente pregiudicato e della celerità dell’azione amministrativa, una articolata e cadenzata scansione temporale, puntualmente ancorata ai diversi momenti di possibile conoscenza degli atti di gara, ad ognuno dei quali corrispondono precise condizioni affinché possa aversi decorrenza del termine di impugnazione, in base alla considerazione, di carattere generale, per la quale l’individuazione di quest’ultima dipenda dal rispetto delle disposizioni sulle formalità inerenti alla “informazione” e alla “pubblicizzazione” degli atti, nonché dalle iniziative dell’impresa che effettui l’”accesso informale” con una “richiesta scritta”, nel termine di quindici giorni previsto dall’art. 76, 2° comma, del d .lgs. n. 50/2016” (Consiglio di Stato, sez. V, 15 marzo 2023, n. 2736, cit.).
[6] Nello specifico si trattava della piattaforma di e-procurement InGaTe proprietaria di Invitalia s.p.a. Per un inquadramento generale in ordine alle modalità di affidamento negli appalti pubblici a mezzo dele piattaforme telematiche si veda, senza pretesa di esaustività, G. Carullo, Piattaforme digitali e interconnessione informativa nel nuovo Codice dei Contratti Pubblici, in Federalismi.it – Osservatorio trasparenza, 26 luglio 2023, E. Guarnaccia, Il processo di digitalizzazione delle gare d’appalto: dal DM n. 148/2021 al Codice dei Contratti Pubblici 2023, in CERIDAP, 19 dicembre 2022, G. Racca, La digitalizzazione dei contratti pubblici: adeguatezza delle pubbliche amministrazioni e qualificazione delle imprese, in R. Cavallo Perin – D.U. Galetta (a cura di), Il diritto dell’amministrazione pubblica digitale, Torino, 2020, pag. 332 e ss., M. Pedersoli, Le garanzie di pubblicità nella gestione telematica delle gare d’appalto, in Nuove autonomie, II, 2017, pag. 387 e ss., G. Cammarota, I contratti telematici delle pubbliche amministrazioni. La digitalizzazione della fase di scelta del privato contraente nelle procedure di approvvigionamento mediante asta pubblica e licitazione privata, in G. Vesperini (a cura di), L’e-government, Milano, 2004, pag. 168 e ss. Con riferimento alla giurisprudenza, Consiglio di Stato, sez. VII, 1° luglio 2024, n. 5789, ha “osservato che il ricorso alle modalità telematiche di gara risponde alla ratio di snellire e velocizzare le procedure, riducendo gli adempimenti formali, promuovendo l’interazione tra stazione appaltante e concorrenti, in un’ottica di semplificazione e di leale collaborazione. È del tutto contrario alla suddetta finalità, viceversa, utilizzare piattaforme telematiche strutturate in modo tale da rendere la presentazione dell’offerta una sorta di gara ad ostacoli”, viepiù significativamente correlando l’utilizzo delle piattaforme telematiche alla principio generale di raggiungimento del risultato, così concludendo che “Non è superfluo osservare che, sebbene la procedura per cui è causa sia stata indetta nella vigenza del decreto legislativo n. 50/2016, l’operato della stazione appaltante non appare in linea col principio del risultato, ora codificato nell'art. 1 del decreto legislativo 1° aprile 2023, n. 36 “Nuovo codice dei contratti pubblici” (si tratta di un principio la cui valenza ricognitiva di canoni generali consente di predicarne l’applicabilità anche alle procedure indette nella vigenza del ‘Codice 50’)”.
[7] È noto, infatti, che l'ordinario strumento di tutela reintegratoria in materia gli appalti pubblici è costituito dalla richiesta di subentro nella posizione contrattuale della parte aggiudicataria attraverso la declaratoria di inefficacia contrattuale, come sottolinea M.M. Fracanzani, Il rito in materia di contratti pubblici, in G.P. Cirillo (a cura di), Diritto processuale amministrativo, Milano, 2017, pag. 1165 e ss.
[8] Occorre peraltro sottolineare come il valore dell'affidamento fosse particolarmente significativo, superando i 43.000.000,00 di euro.
[9] Si ricordi, infatti, che il vigente art. 108, relativamente ai criteri di selezione delle offerte, pur riconoscendo una significativa discrezionalità nella determinazione del criterio selettivo, impone in ogni caso di aggiudicare seguendo il criterio qualità/prezzo “i contratti relativi all'affidamento dei servizi di ingegneria e architettura e degli altri servizi di natura tecnica e intellettuale di importo pari o superiore a 140.000 euro” e “i contratti di servizi e le forniture di importo pari o superiore a 140.000 euro caratterizzati da notevole contenuto tecnologico o che hanno un carattere innovativo”. La piena realizzazione in un sistema di affidamento dei contratti pubblici che faccia un prudente uso nella discrezionalità in ordine alla scelta dei criteri da seguire per l'individuazione dell'offerta migliore è una delle sfide cui l’amministratore è chiamato nell'applicazione l'attuale codice dei contratti pubblici, come sottolineato da D.U. Galetta, Digitalizzazione, Intelligenza artificiale e Pubbliche Amministrazioni: il nuovo Codice dei contratti pubblici e le sfide che ci attendono, in Federalimsi.it, XII, 2023. Vedasi anche F. Saitta, I principi generali del nuovo Codice dei contratti pubblici, in questa Rivista, 8 giugno 2023.
[10] E, in particolare, l'assenza di un direttore tecnico all'interno della struttura organizzativa di quest'ultimo. Peraltro, la carenza dei requisiti da parte dello stesso direttore tecnico è stata il fulcro di due diversi motivi di ricorso.
[11] Sintomatica in tesi dell'eccesso di potere dell'amministrazione (sub specie del difetto istruttorio e di travisamento) poiché la stazione appaltante, nonostante tale evidenza, ha comunque ritenuto migliore l'offerta della controinteressata.
[12] La quale avrebbe operato degli erronei riferimenti alla disciplina delle società di ingegneria e dei consorzi stabili, ancorché la gara avrebbe in tesi dovuto restringere la partecipazione alle sole società tra professionisti.
[13] Tale disposizione, come noto, a tutela del contraddittorio impone che il collegio sottoponga al dibattito delle parti gli elementi che possono portare ad una definizione della contesa sulla base di profili rilevati in via officiosa. Cfr. F. Saitta, La «terza via» ed il giudice amministrativo: la «questione rilevata d’ufficio» (da sottoporre al contraddittorio) tra legislatore e giurisprudenza, in Diritto processuale amministrativo, III, 2014, pag. 850 e ss. nonché G. De Giorgi Cezzi, Poteri d’ufficio del giudice e caratteri della giurisdizione amministrativa, in AA.VV., Principio della domanda e poteri d’ufficio del giudice amministrativo, Annuario AIPDA 2012, Napoli, 2013, pag. 23 e ss. Già da tempo risalente, tuttavia, la dottrina più autorevole ha sottolineato la stretta correlazione che vi è tra la necessità di garantire il libero convincimento del giudicante e la possibilità riconosciuta a quest'ultimo di sollevare questioni d'ufficio (possibilità, quest'ultima, che deve però a sua volta necessariamente essere conciliata con il principio del contraddittorio all'interno dei referenti costituzionali del giusto processo), cfr. R. Villata, Riflessioni introduttive allo studio del principio del libero convincimento del giudice nel processo amministrativo, in Diritto processuale amministrativo, I, 1990, pag. 201 e ss.
[14] Di cui all’art. 76, d.lgs. n. 50/2016.
[15] Che di fatto consentiva la proposizione del ricorso giurisdizionale a 45 giorni dalla conoscenza/pubblicazione , dell'aggiudicazione, cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 8 novembre 2023, n. 9599.
[16] Al quale corrispondeva, come si è visto, una dilazione del termine iniziale a ricorrere avverso l'aggiudicazione medesima.
[17] Il quale appunto recitava che “su richiesta scritta dall'offerente e del candidato interessato all'amministrazione aggiudicatrice comunica immediatamente e comunque entro 15 giorni dalla ricezione della richiesta” i contenuti delle offerte tecniche ed economiche oggetto di accesso agli atti.
[18] Così, peraltro, non dando però rilievo alla circostanza che in effetti il termine ad impugnare era stato compresso dalla mancata conoscenza tempestiva dei documenti necessari. Si tratta di un aspetto di particolare rilievo ove si consideri che ben difficilmente si può avere contezza della illegittimità della valutazione delle offerte senza conoscere i contenuti delle offerte concorrenti. Proprio su questo tema vedasi A.G. Pietrosanti, Piena conoscenza, termine per impugnare ed effettività della tutela nel rito “super accelerato” ex art. 120 co. 2 bis c.p.a., in Federalismi.it, VII, 2017, il quale legge con favore la disposizione contenuta nel d.lgs. n. 50/2016, siccome maggiormente attenta alla necessità di riconoscere in capo al concorrente l’onere di impugnare solo a partire dal momento in cui vi sia una piena conoscenza delle vicende di gara. Ancor più M.A. Sandulli, Nuovi limiti alla tutela giurisdizionale in materia di contratti pubblici, in giustizia-amministrativa.it, 29 luglio 2016, laddove l’Autrice rileva la circostanza che le disposizioni che impongono al concorrente ricorsi con una limitata conoscenza del sedime fattuale di gara non colpiscono nello stesso modo piccoli imprenditori e grandi gruppi, poiché secondi hanno sicuramente una maggiore capacità non solo di comprensione della vicenda amministrativa ma anche di tutelarsi a fronte di eventuali scelte errate della pubblica amministrazione.
[19] La giurisprudenza ha specificato che “In sede d’impugnazione degli atti di gara, è necessario dare adeguata dimostrazione della c.d. prova di resistenza per comprovare la sussistenza dell’interesse al ricorso, il quale costituisce una condizione dell’azione ex art. 100 c.p.c. , rilevabile anche d’ufficio, nel senso che l’annullamento degli atti gravati deve risultare idoneo ad arrecare al ricorrente un’effettiva utilità, con la conseguenza che il gravame dell’aggiudicazione di un appalto pubblico che non sia finalizzato ad ottenere la rinnovazione della gara o l’esclusione dell’impresa aggiudicataria (che implicherebbe un immediato vantaggio per il ricorrente), ma che risulti fondato sulla sola contestazione della correttezza dei punteggi assegnati alle concorrenti (come anche dell’esclusione della ricorrente) deve essere sorretto, per essere ritenuto ammissibile, dalla dimostrazione a priori che, se le operazioni si fossero svolte correttamente, la ricorrente sarebbe risultata con certezza aggiudicataria” cfr. T.A.R. , Palermo , sez. III , 05/07/2022 , n. 2182)” (Consiglio di Stato, sez. III, 10 febbraio 2023, n. 1450). Vedasi, di contro, Consiglio di Stato, sez. V, 13 novembre 2020, n. 7000, ove si sottolinea che l’attività di comparazione in senso stretto delle offerte resta comunque riservata alla pubblica amministrazione e quindi non può essere ripercorsa al giudice nemmeno in sede di valutazione dell'eventuale superamento nella cosiddetta prova di resistenza. In altri termini, la sentenza sottolinea la necessità di un'evidenza sostanzialmente matematico-induttiva della prova necessaria ai fini di garantire l'ammissibilità dei motivi di ricorso, poiché il T.A.R. non può entrare nel merito tecnico delle offerte nemmeno per valutare l’ammissibilità del ricorso.
[20] O, per meglio dire, la capacità concreta di costituire il gruppo di lavoro.
[21] Consiglio di Stato, sez. V, 30 settembre 2020, n. 5734 e 5740, nonché 20 febbraio 2020, n. 1071.
[22] Invero, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sez. I, 8 luglio 2021, n. 428, C-428/19, ha sottolineato come la sussistenza dei requisiti di esecuzione serva a consentire la dimostrazione in favore della stazione appaltante della concreta capacità di eseguire affidamenti pubblici che risultino connotati da una peculiare complessità o da condizioni particolari dal punto tecnico e ambientale. Tale necessità, tuttavia, deve essere controbilanciata dalla obbiettivo di favorire la massima partecipazione ai pubblici incanti, che risulterebbe compromesso ove si richiedesse il possesso di tali requisiti di capacità in un momento eccessivamente anticipato rispetto all'esecuzione. Per tale ragione il bilanciamento di queste due opposte istanze viene operato attraverso la previsione di requisiti di esecuzione che, per l'appunto, sono funzionali dimostrare la concreta capacità futura nel concorrente di eseguire l'appalto sul piano pratico senza onerarlo immediatamente di dotarsi di mezzi e strumenti dei quali deve avere la semplice disponibilità potenziale.
[23] Deve peraltro ritenersi che, in relazione a questo profilo, il T.A.R., quantomeno implicitamente, abbia ritenuto che il motivo di gravame superasse la prova di resistenza poiché la mancata comprova di un requisito di partecipazione avrebbe consentito automaticamente l'espulsione dalla procedura del controinteressato. Nondimeno, alla luce della posizione in graduatoria della ricorrente, terza, la contestazione dell'assenza dei requisiti in capo aggiudicataria non avrebbe comunque consentito l'esito finale positivo del ricorso poiché anche in caso di eliminazione della prima graduata non si sarebbe comunque raggiunto il risultato finale di garantire l'aggiudicazione dell'appalto.
[24] Posto che comunque la promessa generale operata articolo 53 del d.lgs. n. 50/2016 risultava proprio essere il richiamo regolatorio alle norme di cui alla l.n. 241/1990. In termini propri, tuttavia, l’accesso agli atti di gara appartenva allora al genere dell’accesso procedimentale tradizionale, salve alcune disposizioni speciali riguardanti principalmente i casi di esclusione e differimento, cfr. S. Vitali, Trasparenza amministrativa ed accesso agli atti riservati nelle procedure ad evidenza pubblica, in Urbanistica e appalti, I, 2022, pag. 42 e ss. e A. Magliari, Diritto di accesso agli atti di gara e tutela della riservatezza: nota a Corte giust. Ue, Grande Sezione, 7 settembre 2021, causa C-927/19, in Giornale di diritto amministrativo, I, 2022,pag. 79 e ss., A. Moliterni, Pluralità di accessi, finalità della trasparenze e disciplina dei contratti pubblici, in Giornale di diritto amministrativo, IV, 2020, pag. 505 e ss., V. Parisio, La tutela dei diritti di accesso ai documenti amministrativi, in Federalismi.it, XI, 2018. Vedasi però, ancora, Consiglio di Stato, sez. V, 29 aprile 2022, n. 3392, ove i giudici di Palazzo Spada coloriscono di connotati più “partecipativi” che “difensivi” l’accesso agli atti nelle procedure di gara, al fine di consentire anche a chi non è risultato secondo graduato la possibilità di conoscere come si è svolta la procedura. Si ricorda, inoltre, che, proprio in tale ottica, la giurisprudenza ha esteso anche alla materia dei contratti pubblici la possibilità di accesso civico generalizzato: cfr. F. Manganaro, La funzione nomofilattica dell’Adunanza plenaria in materia di accesso agli atti amministrativi, in Federalismi.it – Osservatorio trasparenza, XX, 2021.
[25] Da un lato, infatti, vi è la posizione di quelle sentenza che ritenevano (per altro in continuità con la previgente disciplina che prevedeva un termine di dieci giorni per il rilancio degli atti,) che il termine a ricorrere decorresse spirato il termine per la messa a disposizione dei documenti, in maniera tale da evitare che il concorrente si ritrovasse nella posizione di dover per forza esperire un ricorso al buio. Per tale ragione si riconosceva l’aggiunta al termine ad impugnare di 30 giorni gli ulteriori 15 giorni necessari per l’espletamento dell’accesso agli atti, cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 13 agosto 2019, n. 5717, 10 giugno 2019, n. 3879 e 27 novembre 2018, n. 6725. Sul versante opposto, invece, l'innovazione operata dal codice del 2016 aveva reso inattuali riferimenti normativi contenuti all’art. 120 c.p.a. e, quindi, superato la distinzione tra vizi conoscibili sulla mera base della comunicazione del provvedimento di aggiudicazione e vizi che invece potevano essere conosciuti solo in merito all'espletamento dell'accesso agli atti virgola di fatto unificando il termine di impugnare in 30 giorni per entrambi i casi, cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 28 ottobre 2019, n. 7384 e 20 gennaio 2015, n. 143, nonché sez. IV, 23 febbraio 2015, n. 856.
[26] Con ciò peraltro confermando che il termine di impugnare decorresse al momento di effettiva conoscenza nell'atto della sua portata lesiva viene un'altra si elevando la necessità di garantire il partecipante alla gara negli effetti pregiudizievoli di eventuali condotte dilatorie della pubblica amministrazione. Cfr. per tutti M.A. Sandulli, L’Adunanza Plenaria n. 12/2020 esclude i “ricorsi al buio” in materia di contratti pubblici, mentre il legislatore amplia le zone grigie della tutela, in questa Rivista, 15 luglio 2020, nonché M. Lipari, La tutela giurisdizionale e “preconteziosa” nel nuovo Codice dei contratti pubblici, in Federalismi.it, X, 2016, pag. 39 e ss.
[27] Dalla quale decorreva dunque il termine decadenziale di 30 giorni ad impugnare.
[28] In questi termini ricostruisce con chiarezza la disciplina Consiglio di Stato, sez. III, 8 novembre 2023, n. 9599, ove afferma che “in via di principio, il termine decorre dalla pubblicazione generalizzata, inclusi i verbali, sul profilo internet della stazione appaltante, ai sensi dell'art. 29, comma 1, del codice per quei vizi percepibili direttamente ed immediatamente dai provvedimenti pubblicati, oppure dall'acquisizione delle informazioni che le stazioni appaltanti devono comunicare, d'ufficio o a richiesta, ai sensi dell'art. 76 del codice, se consente la conoscenza di ulteriori elementi di vizi già individuati o di accertare nuovi vizi per la presentazione di motivi aggiunti o del ricorso principale, nonché dalla comunicazione o dalla pubblicità nelle forme indicate negli atti di gara ed accettate dai partecipanti, purché gli atti siano comunicati o pubblicati con i relativi allegati. 13.7. Nell’ipotesi di presentazione di una istanza di accesso, e solo se i motivi del ricorso conseguano alla conoscenza dei documenti che completano l'offerta dell'aggiudicatario, il termine decadenziale di impugnazione è posticipato con la “dilazione temporale”. Ciò per la necessità di dare rilievo alla diligenza dell'operatore economico, per aver tempestivamente formalizzato l'istanza ostensiva, e alla correttezza della stazione appaltante nell'altrettanto tempestivo riscontro della stessa. 13.8. Se l'istanza di accesso è presentata entro 15 giorni dalla comunicazione o pubblicazione dell'aggiudicazione, come è tempestivo il riscontro ostensivo, al termine per impugnare di 30 giorni si applica una corrispondente “dilazione temporale” di 15 giorni. Perciò il ricorso deve essere proposto entro il termine massimo di 45 giorni dalla comunicazione o pubblicazione. Nell'ipotesi contraria, laddove l'istanza di accesso è tardiva, dopo 15 giorni dalla comunicazione o pubblicazione dell'aggiudicazione, non opera la “dilazione temporale”, per evitare che il termine di impugnazione non rimanga aperto o sia modulato ad libitum”.
[29] Questo per vero, come si accennava, è stato il risultato di un lavoro interpretativo particolarmente significativo di dottrina e giurisprudenza. Vedasi indi le prime interpretazioni alla disciplina offerte da A.G. Pietrosanti, Piena conoscenza, termine per impugnare ed effettività della tutela nel rito “super accelerato” ex art. 120 co. 2 bis c.p.a., in Federalismi.it, VII, 2017 nonché S. Tranquilli, Prime riflessioni a margine di alcune recenti oscillazioni giurisprudenziali sull’individuazione del dies a quo per impugnare le ammissioni e le esclusioni dalle gare alla luce della disciplina del rito “super-speciale”, in Federalismi.it, V, 2018.
[30] In questi termini si realizza l'acquisizione diretta alla quale fa riferimento all'articolo 35, d.lgs. n. 36/2023.
[31] Sul punto cfr. A. Corrado, Il regime della trasparenza e dell’accesso digitale ai documenti nei contratti pubblici: vantaggi e criticità alla vigilia dell’applicazione delle nuove norme del Codice, in Federalismi.it – Osservatorio trasparenza, XXXI, 2023, pag. 80 e ss.
[32] Nel senso di non mediato o comunque influenzato dall’attività della stazione appaltante.
[33] Infatti, l’art. 120, comma 5, d.lgs. n. 104/2010, continuava a riferirsi all’art. 79 del d.lgs. n. 163/2006 anche dopo la relativa abrogazione ad opera dell’art. 217 del d.lgs. n. 50/2016. Tale norma, al comma 5-quater, assegnava al concorrente dieci giorni a decorrere dalla ricezione delle comunicazioni di legge da parte della stazione appaltante al fine di proporre l’istanza di accesso. Cfr. M.A. Sandulli, Il rito speciale sui contratti pubblici nel primo decennio del c.p.a.: tra progresso e involuzione, in Diritto processuale amministrativo, I, 2021, pag. 183 e ss. Ulteriormente, anche la Corte costituzionale aveva concluso che la dilazione temporale dovesse essere “correlata all’esercizio dell’accesso nei quindici giorni previsti attualmente dall’art. 76 del vigente “secondo” cod. dei contratti pubblici (e, in precedenza, ai dieci giorni indicati invece dall’art. 79 del “primo” cod. contratti pubblici)” (Corte costituzionale, 28 ottobre 2021, n. 204).
[34] Tant’è che ora l’art. 120, già più volte citato, fa espresso riferimento all’esatto articolo del Codice dei contratti pubblici riguardante la comunicazione immediata degli atti di gara.
[35] Equilibrio, peraltro, in sé precario, posto che vi erano voci nella stessa giurisprudenza che suggerivano la sostanziale iniquità di una previsione che imponeva l’immediata presentazione di una istanza di accesso agli atti senza consentire un minimo spazio di delibazione in ordine alla procedura al fine di vedersi garantito il differimento del termine ad impugnare di 15 giorni. In termini Consiglio di Stato, sez. III, 15 marzo 2022, n. 1792.
[36] Andando, infatti, a leggere la relazione illustrativa del Consiglio di Stato al progetto del codice del 7 dicembre 2022, in relazione all’art. 35 si afferma che esso “introduce le modifiche alla disciplina sull’accesso e riservatezza in tema di contratti pubblici resesi necessarie al fine di allineare lo svolgimento della procedura di accesso all’utilizzo delle piattaforme di eprocurement; si precisa, infatti, che le stazioni appaltanti assicurano l’accesso alle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici in modalità digitale, mediante acquisizione diretta dei dati e delle informazioni inseriti nelle piattaforme, ai sensi dell’articoli 3-bis e 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 e degli articoli 5 e 5 bis del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33”, non facendo cenno ai risvolti che le modifiche stesse potevano venire ad assumere rispetto all’onere ad impugnare. Nel prosieguo dell’analisi della disposizione, peraltro, si fa diretto richiamo all’adunanza plenaria del 2020. Con riferimento all’art. 36 si legge invece che “Il comma 1 in via innovativa dispone la diretta “messa a disposizione” in piattaforma dell’offerta dell’aggiudicataria, per cui l’offerta dell’operatore economico aggiudicatario, insieme a tutti i verbali di gara e agli atti, dati e informazioni presupposti all’aggiudicazione, sono resi disponibili, attraverso la piattaforma digitale di e-procurement utilizzata dalla stazione appaltante, a tutti i candidati e offerenti non definitivamente esclusi al momento della comunicazione digitale dell’aggiudicazione ai sensi dell’articolo 90. La scelta di mettere a disposizione di tutti i partecipanti alla gara non definitivamente esclusi, l’offerta dell’aggiudicataria nasce da una duplice considerazione: in primo luogo l’articolo 55, co. 2, lett. c) della direttiva 2014/24/UE prevede che l’amministrazione aggiudicatrice comunica quanto prima e, comunque, entro 15 giorni dalla richiesta «ad ogni offerente che abbia presentato un’offerta ammissibile le caratteristiche e i vantaggi relativi dell’offerta selezionata e il nome dell’offerente cui è stato aggiudicato l’appalto o delle parti dell’accordo quadro». Quindi a richiesta tutti gli offerenti possono conoscere l’offerta selezionata”.
[37] Si ricorda, infatti, che la Corte costituzionale, con sentenza n. 132 del 17 luglio 2024, ha stabilito che, in costanza di condizioni eccezionali, è consentito al legislatore modificare il perimetro del riparto dell’area di rischio dell’errore grave tra pubblici funzionari e amministrazione-apparato (si trattava in effetti dell’incidente di costituzionalità in ordine alla limitazione della responsabilità erariale alla sola inerzia o dolo operata con d.l. n. 76/2020, art. 21). Questo proprio nell’ottica di consentire il raggiungimento del risultato nell’ambito di procedure, come quelle finanziate da fondi PNRR, in cui è capitale l’importanza del fattore-tempo.
[38] Un tanto si può peraltro rilevare anche dalla lettura del commento all’art. 36 della relazione illustrativa al Codice ad opera del Consiglio di Stato, di cui si è riferito alla nota 36.
[39] Così, Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sez. IV, 14 febbraio 2019, causa C-54/18, in particolare con riferimento al relativo punto 29.
[40] In questi termini già Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 7 novembre 1996, causa C-221/94, nonché 10 maggio 1991, in C-361/88.
[41] Ancora, Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sez. IV, 14 febbraio 2019, causa C-54/18, cit., con particolare riferimento al punto 21.
[42] Nello specifico, l’Adunanza Plenaria n. 12/2020 ha affermato che “I principi che precedono (che portano al riconoscimento del differimento del termine ad impugnare ndr.) risultano conformi alle ‘esigenze di celerità dei procedimenti di aggiudicazione di affidamenti di appalti pubblici’, sottolineate dall’ordinanza di rimessione. Tali esigenze: - sono state specificamente valutate dal legislatore in sede di redazione dapprima dell’art. 245 del ‘primo codice’ (come modificato dal d.lg. n. 53 del 2010) e poi dell’art. 120, commi 1 e 5, del c.p.a. (con le connesse regole sopra richiamate della esclusione della proponibilità del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e della fissazione del termine di trenta giorni, ancorata per quanto possibile ad una ‘data oggettivamente riscontrabile’); - sono concretamente soddisfatte – anche nell’ottica della applicazione dell’art. 32, comma 9, del ‘secondo codice’ sullo stand still- in un sistema nel quale le Amministrazioni aggiudicatrici rispettino i loro doveri sulla trasparenza e sulla pubblicità, previsti dagli articoli 29 e 76 del ‘secondo codice’, fermi restando gli obblighi di diligenza ricadenti sulle imprese, di consultare il ‘profilo del committente’ ai sensi dell’art. 29, comma 1, ultima parte, dello stesso codice e di attivarsi per l’accesso informale, ai sensi dell’art. 5 del d.P.R. n. 184 del 2006, da considerare quale ‘normativa di chiusura’ anche quando si tratti di documenti per i quali l’art. 29 citato non prevede la pubblicazione (offerte dei concorrenti, giustificazioni delle offerte)”.
[43] Sulla base del quale, si ricorda: “L’attribuzione e l’esercizio del potere nel settore dei contratti pubblici si fonda sul principio della reciproca fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici. Il principio della fiducia favorisce e valorizza l’iniziativa e l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, con particolare riferimento alle valutazioni e alle scelte per l’acquisizione e l’esecuzione delle prestazioni secondo il principio del risultato”.
[44] Con il che, se non sul piano della tempestività del ricorso, un eventuale inadempimento di questo obbligo da parte del pubblico funzionario potrebbe comunque trovare sanzione in applicazione delle disposizioni disciplinari, delle previsioni contrattuali in tema di retribuzione da posizione e financo delle norme erariali, trattandosi di inerzia nell’adempimento del proprio dovere d’ufficio (quindi comunque di fattispecie potenzialmente esclusa dall’ambito applicativo dell’esenzione di cui all’art. 21, d.l. n. 76/2020, cfr. C. Pagliarin, L'elemento soggettivo dell'illecito erariale nel 'decreto semplificazioni': ovvero la 'diga mobile' della responsabilità, in Federalismi.it, X, 2021, pag. 182 e ss., nonché, per una classificazione generale degli illeciti erariali S. Cimini, Tipizzazione dell’illecito erariale e limiti all’attribuzione del potere sanzionatorio al giudice contabile, in Federalismi.it, XXIII, 2014, oltre a A. Crismani, Illeciti contabili tipici ed ipotesi sintomatiche di danno erariale, in AA.VV., Responsabilità e giurisdizione contabile (ad un decennio dalla riforma), Atti del LI convegno di studi di scienza dell’amministrazione, Milano, 2005, pag. 705 e ss.).
[45] Tale costituendo, in un rapporto di fiducia bilaterale come quello cui si riferisce il Codice dei contratti pubblici, il contrappunto dell’onere posto in capo alla stazione appaltante.
[46] Questo ovviamente salve le valutazioni del caso concreto, in relazione alle quali al giudice è comunque consentito apprezzare il grado di sufficienza degli elementi conoscitivi in mano al privato rispetto alla possibilità attraverso questi ultimi di cogliere nella sua compiutezza minima l’illegittimità che affligge la procedura di gara.
[47] La casistica in tema di accesso agli atti rispetto a documenti contenenti segreti commerciali è molto vasta. Volendo sintetizzare, i segreti commerciali possono in buona sostanza essere fatti rientrare nell’“insieme delle competenze ed esperienze, originali e tendenzialmente riservate, maturate ed acquisite nell’esercizio professionale dell’attività industriale e commerciale e che concorre a definire e qualificare la specifica competitività dell’impresa nel mercato aperto alla concorrenza” (Consiglio di Stato, sez. V, 7 gennaio 2020, n. 64). Si tratta, insomma, “di beni essenziali per lo sviluppo e per la stessa competizione qualitativa, che sono prodotto patrimoniale della capacità ideativa o acquisitiva della singola impresa e cui l’ordinamento, ai fini della corretta esplicazione della concorrenza, offre tutela di loro in quanto segreti commerciali: cfr. artt. 98 e 99 d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà industriale)” (T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, sez. I-quater, 26 febbraio 2024, n. 3811).
[48] Si deve ulteriormente ricordare che la limitazione del diritto di accesso dovrebbe, in linea generale, essere supportata dall’allegazione ad opera del concorrente che richiede l’oscuramento di una “motivata e comprovata dichiarazione, mediante la quale si dimostri l’effettiva sussistenza di un segreto industriale o commerciale meritevole di salvaguardia” (Consiglio di Stato, sez. III, 11 ottobre 2017, n. 4724). Resta allora in capo alla stazione appaltante la valutazione circa le argomentazioni offerte al fine di stabilire se applicare agli atti un regime di segretezza (in questi termini richiama all’esercizio della motivata discrezionalità amministrativa Consiglio di Stato, sez. V, 31 marzo 2021, n. 2714). È peraltro invero discutibile che nel caso di specie l'amministrazione operi realmente un bilanciamento tra l'interesse e la conoscenza e l'interesse ha la segretezza – bilanciamento che si esprimerebbe attraverso l'esercizio di una discrezionalità amministrativa di tipo puro. Infatti, la norma prevede invece che ove nell’offerta tecnica siano inseriti segreti commerciali, comunque ed in ogni caso, questa debba essere esclusa dall’accesso: ciò pare far virare la valutazione della stazione appaltante decisamente verso l'esercizio di una discrezionalità di tipo tecnico consistente nel valutare se nel caso concreto quella determinata tipologia di informazioni vengano a costituire un segreto commerciale tale da avvantaggiare in un mercato competitivo la posizione dell'impresa rispetto ai propri concorrenti.
[49] Sul punto si consentito nuovamente il rinvio al pensiero di M.A. Sandulli, Il rito speciale, op. cit.
[50] La sentenza in commento poteva quindi operare attraverso la tecnica dell’assorbimento dei motivi, avendo trovato una ragione sufficiente per disporre rigetto dei ricorsi in rito e quindi potendo evitare l'esame nel merito delle varie doglianze (Consiglio di Stato, sez. IV, 8 giugno 2007 n. 3020). Occorre sottolineare che l'individuazione di un motivo che determina assorbimento delle ulteriori ragioni in diritto non ha semplicemente la funzione di chiudere il processo, ma, più in generale, di porre fine alla lite: nel caso di specie attraverso la sopravvenuta irrevocabilità del provvedimento per effetto della omessa impugnazione tempestiva con estinzione del diritto all'azione. Vedasi anche sul punto, nella prospettiva di analisi delle sentenze in forma semplificata M.A. Sandulli, Le nuove misure di «snellimento» del processo amministrativo nella l. n. 205 del 2000, in Giustizia civile, I, 2000, pag. 441 e ss.
[51] Sul punto, R. De Nictolis, La tecnica di redazione delle sentenze del giudice amministrativo, in giustzia-amministrativa.it.
[52] In questi termini, ancora R. De Nictolis, op. cit., pag. 12, cit. Peraltro l'Autrice sottolinea la necessità di trovare il giusto equilibrio tra questo tipo di corretta retorica, che comunque ha una valenza esterna ed interna, dall’improprio uso prolisso degli obiter dicta, che finiscono con l’appesantire inutilmente la trattazione e rendere più complessa la lettura del provvedimento giurisdizionale, a discapito di quel principio di effettività della tutela stesso che passa anche per decisioni che possono essere lette e comprese dal cittadino comune (sul punto si rinvia a G.P. Cirillo, I principi generali del processo amministrativo, in G.P. Cirillo (a cura di), Diritto processuale amministrativo, Milano, 2017, pag. 15 e ss.).
[53] Così Consiglio di Stato, sez. III, 8 settembre 2015, n. 4209.
[54] Così Consiglio di Stato, sez. V, 14 aprile 2016, n. 1495. È evidente come nel caso concreto non sia affatto agevole comprendere quale sia il contenuto di quella sufficienza probabilistica che consenta al giudice di verificare che l'accoglimento dell'istanza porterebbe al subentro della ricorrente nella stipula del contratto. Nondimeno bisogna sottolineare che si tratta di una valutazione di tipo giuridico e non un fattuale (peraltro pure ricordando che il subentro nel contratto è disposto dal medesimo giudice che deve valutare la sussistenza di questo requisito). Il che pertanto consente di dire che in realtà la valutazione sia meno difficile di quanto sembri, proprio perché è operata meramente in astratto.
[55] Principalmente il riferimento in questo caso corre all’esempio dei concorsi pubblici, cfr. T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, sez. III-bis, 23 maggio 2022, n. 6614, secondo cui “il candidato, che impugna i risultati di una procedura concorsuale, ha l'onere di dimostrare il suo interesse, attuale e concreto, a contestare la graduatoria, non potendo egli far valere, quale defensor legitimitatis, un astratto interesse dell'ordinamento ad una corretta formulazione della graduatoria, se tale corretta formulazione non comporti per lui alcun apprezzabile risultato concreto (ex multis, C.G.A., 4 marzo 2019, n. 201; Cons. Stato, sez. V, 23 agosto 2019 n. 5837; sez. IV, 2 settembre 2011, n. 4963 e 20 maggio 2009, n. 3099; sez. III, 5 febbraio 2014 n. 571)”.
[56] In questo caso evidentemente con l'ulteriore precisazione per cui per sussistere un interesse finale all'espulsione del concorrente quest'ultimo deve essere graduato direttamente al di sopra del ricorrente in posizione utile a conseguire l'appalto. Non è infatti ammissibile nemmeno in questo caso sostenere l'esistenza di un interesse alla mera legittimità della procedura nel caso il soggetto graduato al di sopra del ricorrente non sia in posizione utile per conseguire il bene della vita finale che l'esecuzione della commessa.
[57] Nella sua doppia dimensione sostanziale (d.lgs. n. 36/2023) e processuale (d.lgs. n. 104/2010, come peraltro novellato dal primo).
[58] Dunque, fissando termini perentori di decadenza dall'azione in maniera tale da garantire l’inoppugnabilità finale della gara.
[59] Consiglio di Stato, sez. IV, 15 maggio 1995 n. 330, in Foro amministrativo, 1995, pag. 2570 e ss., che, in particolare riconnette significativamente la decorrenza del termine ad impugnare con l'obbligo generalizzato di motivazione dei provvedimenti amministrativi affermando che “l’imposizione all’amministrazione dell’obbligo di comunicare integralmente la motivazione del provvedimento non è fine a se stessa, ma correlata al principio, enucleato in dottrina, secondo cui la piena conoscenza del provvedimento ai fini della decorrenza dei termini di impugnazione presuppone la conoscenza dei vizi che lo rendano non soltanto incidente nella propria sfera giuridica, ma anche lesivo della stessa”. Si tratta di un tema da lungo conosciuto (cfr. E. Cannada Bartoli, Decorrenza dei termini e possibilità di conoscenza dei vizi (nota a Cons. Stato, Sez. VI, 11 gennaio 1961, n. 3) in Foro amministrativo, 1961, pag. 1085 e ss.), ma che in effetti riconduce la tematica della tutela giurisdizionale rispetto all'esercizio del potere al suo cuore, sia il fatto che l'esercizio dell'autorità non contestualmente accompagnato dalle spiegazioni necessarie far comprendere al cittadino le ragioni della misura non consente una tutela reale -recte effettiva- avanti ad alcun giudice.
Il diritto penale italiano verso una pericolosa svolta securitaria.
Il Consiglio direttivo dell’Associazione Italiana del Professori di diritto penale con il documento che pubblichiamo ha espresso forti preoccupazioni in relazione al disegno di legge n. 1236 (Senato) “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario”.
L'Organismo Congressuale Forense (OCF) con il comunicato stampa che pubblichiamo, formula critiche di analogo tenore. Carlo Morace, responsabile del Gruppo Penale dell’OCF, afferma: «Con questo ddl Sicurezza, il Governo sta promuovendo un diritto penale autoritario, che colpisce le fasce più deboli della società: senzatetto, immigrati, detenuti e persino chi manifesta dissenso. Queste modifiche non affrontano i veri problemi, come il sovraffollamento carcerario o i suicidi tra i detenuti, ma rafforzano un sistema repressivo fondato sul carcere come strumento di controllo sociale.»
L’allarme dei professori di diritto penale è destato dall’ampliamento delle fattispecie penali e dall’aggravamento delle pene secondo un procedere panpenalistico che confligge con i principi di proporzionalità della repressione e necessaria sussidiarietà della tutela penale. Si tratta peraltro di un processo di penalizzazione in palese contrasto con la depenalizzazione dell’abuso d’ufficio. Contesto di “penalizzazione” nel rientra l’introduzione del reato universale di maternità surrogata.
L’obiettivo dell’intervento normativo in itinere – come si legge nel documento – è simbolico-comunicativo: nessuno dei nuovi crimini è idoneo ad assicurare una maggiore tutela della sicurezza individuale e collettiva.
All’allarme dei professori aggiungiamo che il fenomeno della “penalizzazione” è in contrasto con il principio della certezza della pena, e ciò in quanto all’aumento dei reati non corrisponde un adeguato aumento delle risorse necessarie a celebrare i processi.
Il disegno di legge prosegue il percorso iniziato con l’introduzione dell’art. 633 bis c.p. reato di rave-party(introdotto con il dl n. 162/22) con l’effetto dell’espansione del c.d. diritto penale d’autore. Gli autori da punire sono i dissenzienti e gli emarginati. L’aumento delle pene edittali poi, questo è bene chiarirlo, non è affatto idoneo a determinare una maggiore deterrenza dei precetti in ottica generalpreventiva.
L’attenzione del legislatore panpenalista è puntata verso settori di emarginazione: gli emarginati minacciati di punizione o punizione più grave; tutta qui la promessa di un Italia più sicura. Non è nelle corde del governo tentare di rimuovere, attraverso strumenti adeguati, le situazioni di grave diseguaglianza sociale che generano le condotte criminalizzate e più duramente quali l’occupazione di immobili e il ricorso all’elemosina.
In contesti economici di estremo disagio sociale la risposta è dunque quella dello strumento penale in funzione repressiva; è in quest’ottica che si inaspriscono le pene per l’accattonaggio, senza alcuna riflessione in ordine alla circostanza che la mendicità sia fonte di sostentamento, in mancanza di interventi di sostegno dello Stato.
È allarmante, secondo quanto messo in luce dagli accademici, la criminalizzazione delle manifestazioni di dissenso: il blocco stradale da illecito amministrativo, nella prospettiva del disegno di legge, diviene illecito penale.
Sono proposte aggravanti ai delitti di violenza e resistenza a pubblico ufficiale in ragione della finalità della contestazione in relazione alle quali sono realizzate, ovvero quando i fatti sono connessi al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o un’infrastruttura strategica. Il deturpamento e l’imbrattamento di cose mobili altrui è aggravato in ragione della finalità di contestazione e di dissenso.
Eppure come è scritto nel documento «in un contesto democratico, il dissenso può talvolta esprimersi attraverso condotte violente che integrano fattispecie di reato e in quanto tali vanno represse: contrasta, invece, con i principii del diritti penale del fatto e di offensività la repressione più severa di reati solo perché alla base hanno una motivazione di contestazione politica».
Un giudizio fortemente critico è espresso infine per le nuove fattispecie di rivolta, rispettivamente negli istituti penitenziari e nei centri di permanenza e di rimpatrio per immigranti irregolari, che puniscono chi all’interno di tali contesti «partecipa ad una rivolta mediante atti di violenza o minaccia, di resistenza all'esecuzione degli ordini impartiti commessi da più o tre persone riunite».
Particolarmente allarmante è l’attribuzione di rilevanza penale alla resistenza passiva che determina l’incriminazione di ogni atto di ribellione non connotato da violenza o minaccia – quali ad esempio il rifiuto del cibo o dell’ora d’aria – ma che impedisce il compimento di atti d’ufficio di gestione dell’ordine e della sicurezza.
«Il giudizio negativo si aggrava quanto più si considera la situazione emergenziale di sovraffollamento nei centri per migranti e nelle carceri che la legge 8 agosto 2024, numero 112 di conversione del decreto legge numero 92. 2024 su “Misure urgenti in materia penitenziaria” non ha fatto contribuito ad allentare».
Si riportano in calce il documento dei Professori di diritto penale e il comunicato stampa dell'Organismo congressuale forense.
Immagine: Vincent van Gogh, Road in Etten, gesso, matita e acquerello, 1881, Robert Lehman Collection, 1975, Metropolitan Museum of Art, New York.
Corte di giustizia: l’Egitto non è un paese sicuro.
Ecco perché il tribunale di Roma, con il decreto del 18 ottobre 2024 n.42251, in applicazione della sentenza della corte di giustizia 4 ottobre 2024 causa C-406/2022, ha rigettato la richiesta di convalida del trattenimento in Albania di un migrante, cittadino egiziano.
Il Tribunale di Roma, con il decreto del 18 ottobre 2024, chiamato a decidere sulla convalida di cittadino egiziano, trattenuto in Albania, ai sensi dell’art. 6-bis del d.lgs. n° 142/2015, non ha convalidato il decreto in applicazione della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea – Grande Sezione, del 4/10/2024.
La Corte di Giustizia, è bene rammentarlo, il 4 ottobre scorso ha affermato il principio secondo il quale “l’articolo 37 della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che esso osta a che un paese terzo sia designato come paese di origine sicuro qualora talune parti del suo territorio non soddisfino le condizioni sostanziali per una siffatta designazione, di cui all'allegato I di tale direttiva.» e la scheda-Paese del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale definisce il l’Egitto paese sicuro ma con eccezioni per alcune categorie di persone: oppositori politici, dissidenti, difensori dei diritti umani o coloro che possano ricadere nei motivi di persecuzione di cui all’art 8, comma 1, lettera e) del D.lvo 19 novembre 2007, n. 251.
La nozione di sicurezza va collegata, come ha spiegato la Corte di Giustizia dell’Unione europea, a tutto il territorio e a tutti i cittadini e ciò in ragione della necessaria concretezza del requisito.
La sentenza ricorda al punto 68 che «[...] la designazione di un paese come paese di origine sicura dipende, […], dalla possibilità di dimostrare che, in modo generale e uniforme, non si ricorre mai alla persecuzione quale definita all'articolo 9 della direttiva 2011/95, tortura o pene o trattamenti inumani o degradanti e che non vi sia alcuna minaccia dovuta alla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato internazionale o interno».
La Corte di Giustizia sottolinea, altresì, che: «interpretare l’articolo 37 della direttiva 2013/32 nel senso che esso consente ai paesi terzi di essere designati come paesi di origine sicuri, ad eccezione di talune parti del loro territorio, avrebbe l'effetto di estendere l'ambito di applicazione di tale particolare regime di esame. Poiché una siffatta interpretazione non trova alcun sostegno nel tenore letterale di tale articolo 37 o, più in generale, in tale direttiva, il riconoscimento di una siffatta facoltà violerebbe l'interpretazione restrittiva cui devono essere subordinate le disposizioni derogatorie (v., in tal senso, sentenze del 5 marzo 2015,Commissione/Lussemburgo, C-502/13, EU:C:2015:143, punto 61, e dell'8 febbraio 2024, Bundesrepublik Deutschland (Ricevibilità di un ricorso reiterato),C-216/22, EU:C:2024:122, punto 35 e giurisprudenza ivi citata)» (punto 71). La precedente direttiva consentiva l’esclusione di parti di territorio (e di categorie di persone), ma tale possibilità è stata abrogata dalla direttiva attualmente in vigore e l’espressa intenzione di abrogare tale possibilità è confermata dalla spiegazione dettagliata di tale proposta elaborata dalla Commissione e fornita al Consiglio dell’Unione Europea (punti 74, 75 e 76).
I giudici nazionali si sono dunque attenuti al principio vincolante della Corte Giustizia, d’altro canto, nessun’altra via interpretativa era loro consentita e ciò nemmeno per compiacere il Governo italiano.
Contro il decreto del Tribunale di Roma del 28 ottobre 2014 emesso nell’ambito del procedimento RG 42251/24 è possibile il ricorso alle impugnazioni di rito; nessun’altra via è percorribile.
Senz’altro non appare utilizzabile lo strumento della pressione del Governo nazionale contro decisioni giurisdizionali e tanto più perniciosa appare la minaccia di provvedimenti governativi contro decisioni giurisdizionali emesse in applicazione di decisione vincolante della Corte di Giustizia.
Finalement. Storia di una tromba che si innamora di un pianoforte di Claude Lelouch
Recensione di Eva di Palma
Dalle prime scene di questo lungometraggio che il maestro francese all’età di ottantasette anni regala al cinema (fuori concorso all’ottantunesima Mostra del Cinema di Venezia) si comprende che la storia che ci si accinge a seguire si muoverà su molteplici piani narrativi. Di questi ne assaporiamo subito alcuni: il protagonista (un Kad Merad all’altezza delle aspettative) si sta allontanando da una vita che scopriremo essere apparentemente completa e per farlo vivrà attraverso una serie di scene in vite d’altri, vissute o, forse, soltanto immaginate. Lino Massaro, avvocato penalista di successo, sposato con un’attrice di fama (Elsa Zylberstein), dopo aver trascorso una vita a “mettersi nei panni degli altri” per poterli difendere in tribunale, prova a spogliarsi dei propri.
Sono molti gli incontri che farà girovagando per la Francia, da Mont Saint-Michel alle spiagge dello sbarco in Normandia, dalla Borgogna a Béziers, da Le Mann ad Avignone, fingendosi un prete spretato dipendente dal sesso, uno stupratore, un regista di film porno, dietro la patina del musicista dilettante, grazie alla tromba acquistata in un suggestivo mercatino delle pulci. Una tromba che si rivelerà essere la voce più autentica tra quelle parlate nel film. Poco importa se tutto questo accade realmente o è relegato in una dimensione onirica alla quale accediamo durante il suo vagabondaggio, perché le connessioni logiche che legano gli equilibri della trama saltano fin da subito.
Il suo allontanamento, che tanto farà preoccupare la moglie e l’amico e collega di sempre (Michel Boujenah), ha un motivo preciso, una forma di degenerazione lobo-frontale diagnosticatagli a seguito di forti e ripetuti mal di testa, un disturbo tale da farlo esprimere senza filtri, altrimenti detto “la follia dei sentimenti”. Tutto, dinanzi a tale vastità multiforme e indefinita, gli appare stretto come un paio di scarpe troppo piccole, come nell’aneddoto umoristico raccontato dall’amico.
Una storia che sembra essere più che altro un palinsesto, quella in cui Lino si muove oscillando tra ragione e sentimento (tra “sense and sensibility”) e questo andamento ondivago, che rischia di disorientare lo spettatore, è proprio quello della vita. Difficile tirarne le fila (“la vita avrebbe bisogno di un avvocato”, viene detto).
Un cinema, quello di Lelouch, che si interseca nella realtà senza soluzione di continuità, così come la realtà forse non esisterebbe senza cinema, almeno nella visione del regista, confermata con quest’ultimo film.
Autoriflessivo, ma mai autoreferenziale, nessun compiacimento si concede il maestro francese, nonostante le molteplici autocitazioni sparse per la pellicola. A partire dal destino che porta nel nome Lino Massaro, omonimo di uno degli attori protagonisti de L’avventura è l’avventura, Lino Ventura, che ha recitato per Lelouch anche in Una donna e una canaglia, in scena con Françoise Fabian, che rivediamo nei frammenti rievocati e qui affascinante novantenne, madre di Lino. E Ventura è il padre del nostro Lino, criminale morto in carcere, mentre il figlio, ancora piccolo, andava a trovarlo promettendogli che sarebbe diventato avvocato per tirarlo fuori di lì.
Continui i rimandi e le sottotrame, le citazioni e i riferimenti (anche all’amato Clint Eastwood, con I ponti di Madison County, al quale strizza l’occhio l’incontro più autentico tra quelli vissuti dal protagonista, con la fattrice, François Gillard). Il bagaglio di Lelouch si fa passato degli attori e le scene con Lino Ventura si trasformano in frammenti sbiaditi della loro memoria personale. Perché il discorso è unitario, il disegno è unico, anche quando sembra sfuggirci, anche quando appare retorico (“sono sincero quando dico di aver fatto nella mia carriera un solo film”, ha sostenuto Lelouch). E questa potrebbe essere una summa della lunga carriera del regista, che, se ha sempre prediletto l’originalità agli schemi, a questo punto può permettersi di rinunciare del tutto alla didascalia e alla linearità: Finalement è un film di sole curve e intersezioni, talvolta immaginarie, senza alcuna linea retta, solo fili riannodati per poi essere slegati di lì a poco. Viene automatico accostare la scelta stilistica che Lelouch si concede con quanto lui stesso ha affermato in una recente intervista su Radio Tre parlando del rapporto con il suo film di maggior successo: per lui, Un uomo, una donna ha avuto il ruolo di genitore, l’ha messo al mondo, gli ha donato la libertà di poter essere ascoltato e fare film come voleva.
Un film – più film – nel film, forse frammentario e a tratti spaesante; ma è inevitabile, perché tutto è parte della stessa rappresentazione, di un discorso più ampio, da leggere su più piani, in un ritmo ondivago come il continuo oscillare tra leggerezza e densità, tra raziocinio e follia.
La musica sarà l’unica sintesi possibile (la guida di lettura è già nel sottotitolo di questa “fiaba musicale”), chiave per accedere alla dimensione dei sentimenti, altrimenti impenetrabile, se non “per colpa” della singolare malattia che colpisce Lino, pienamente compresa dalla figlia (un’intensa Barbara Pravi), che ci regala un brano canoro, La folie des sentiments, appunto, capace di profumare di levità i titoli di coda.
Così, il ritmo slegato e giustapposto, di sottotrame accennate, sfiorate o attraversate, assume ai nostri occhi il suono di un’improvvisazione jazz.
Un film stratificato, che rischia di lasciare interdetto lo spettatore. Interdetto come dinanzi alla visione di un’intera vita, della quale viene da chiedersi cosa rimanga, finalement.
Siglato a Trento un protocollo di intesa contro la tratta di esseri umani
18 ottobre 2024 diciottesima Giornata Europea contro la tratta di esseri umani, istituita dalla Commissione Europea nel 2006
di Luca Perilli
L’iniziativa del Tribunale di Trento per la formazione di un protocollo per l’identificazione delle vittime di tratta e altre forme di grave sfruttamento e l’avvio a procedure di referral è sorta da una necessità che è il frutto di una consapevolezza. Quando, con i collaboratori della sezione specializzata per l’immigrazione del Tribunale di Trento, addetti all’ufficio per il processo e ricercatrice dell’Agenzia dell’Unione Europea per l’Asilo, abbiamo impostato la programmazione della sezione per far fronte a una consistente mole di lavoro, abbiamo concentrato la nostra attenzione su richiedenti asilo vulnerabili al fine di dare priorità alla trattazione dei loro casi. Tra le centinaia di storie di vite restituite dai fascicoli, abbiamo individuato decine di persone, per lo più donne, che hanno consegnato alle Commissioni territoriali delle storie - ritenute dalle Commissioni amministrative non credibili - contrassegnate da indicatori di tratta e sfruttamento. Si parla di indicatori, perché le persone, pur non dichiarando una vicenda di sfruttamento e raccontando invece una storia di persecuzione diversa, spesso segnata dalla violenza grave, hanno disseminato il racconto con frammenti di vita che, considerati nel loro insieme, restituiscono una situazione di tratta.
Nei procedimenti di protezione internazionale, a differenza dei processi civili, le dichiarazioni della parte possono integrare la prova dei fatti e del rischio di persecuzione che quei fatti rivelano, purché le dichiarazioni presentino determinate caratteristiche di credibilità stabilite dalla legge: una descrizione completa degli avvenimenti, la coerenza interna del racconto, la concordanza con le fonti sul Paese di provenienza. La valutazione della credibilità della storia, essendo ancorata a parametri legali basati su regole di esperienza, non è valutazione della sincerità del richiedente; essa implica invece la capacità del decisore di calarsi nelle vicende individuali della persona e di leggerle in controluce, cercando informazioni sul Paese, sulla società, comunità, cultura in cui quelle storie sono maturate. Questo sforzo presuppone innanzitutto che il giudice provi a liberarsi dal pregiudizio che lo invita a considerare quelle vicende secondo le massime di esperienza che egli ha maturato nella propria società e secondo criteri di plausibilità delle dichiarazioni che, quasi sempre, non corrispondono a quelli della cultura di provenienza del richiedente asilo.
La difficoltà dell’esame delle dichiarazioni si amplifica nei casi in cui i richiedenti protezione siano persone vulnerabili. I soggetti vulnerabili sono così qualificati da numerose fonti giuridiche, soprattutto internazionali e di soft law (come ad esempio: le Linee Guida dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati). Le vittime di tratta sono persone altamente vulnerabili. Le norme dell’Unione europea impongono al giudice di assicurare speciali garanzie nelle procedure di esame delle persone vulnerabili. Questo significa, in estrema sintesi, assicurare che persone svantaggiate possano accedere alla giustizia e ottenere protezione alle stesse condizioni delle persone che non sono portatrici di vulnerabilità. Si tratta dunque di assicurare il principio di uguaglianza sostanziale (articolo 3.2 della Costituzione italiana), altrimenti definito come principio di non discriminazione. Le vittime di tratta sono ad altissima vulnerabilità perché per ragioni diverse, legate all’umiliazione che sovente degrada in schiavitù e al trauma patito, vanno incontro a fenomeni di dissociazione o di rimozione dei fatti, che non consentono loro di raccontare gli eventi dolorosi nella loro interezza. Talvolta la menzogna, se così si può definire la parte del racconto diversa rispetto agli accadimenti, è determinata dalla condizione di attuale sottomissione agli sfruttatori, alla violenza o alla minaccia in atto.
Per questa ragione, i giudici, gli avvocati, gli operatori degli enti anti-tratta e tutti coloro che entrano in contatto con persone portatrici di indicatori di tratta, non possono arrendersi di fronte all’apparenza di un racconto che non regge. Devono, invece, utilizzare i segnali che il racconto non riesce a celare, gli indicatori dello sfruttamento appunto, per accertare una storia diversa che chiama un intervento di protezione. Nei casi riguardanti le persone vulnerabili, i concetti legali principali dei procedimenti di protezione internazionale assumono un carattere relativo: essi devono essere piegati alle esigenze individuali della persona. In tal modo, si relativizzano i concetti di allegazione completa, di prova, di atto persecutorio, di agente di persecuzione, di rischio di persecuzione.
La valutazione di credibilità supera dunque l’apparenza della menzogna, per concentrarsi su aspetti del racconto che inducono a concludere che la persona non è in grado di raccontare ciò che gli indicatori, spesso in modo inequivocabile, restituiscono. Il paradosso è che la persona è sincera anche se mente, perché non può dire la verità ma non può nasconderla.
Il giurista in tal modo rende il procedimento giusto (fair).
Il giurista non trova però nella legge, pur piegandola alle esigenze individuali, la soluzione a ciò che le norme sulla protezione internazionale da sole non possono offrire: una protezione effettiva alle vittime di sfruttamento attuale.
Il riconoscimento dello status di rifugiato assicura alla persona che non sarà espulsa; le restituisce un’identità; ma non le assicura quella dignità che la persona può riconquistare solo uscendo dallo sfruttamento e cominciando a ricostruire una vita sulle proprie risorse personali, con il sostegno dello Stato.
Di qui la necessità, di cui si è detto nell’incipit, che nasce dalla consapevolezza che la soluzione giuridica, di per sé sola, potrebbe non restituire la dignità alla persona. Questo ci conduce alle finalità del protocollo.
L’articolo 24 della Direttiva europea “Procedure” conferisce allo Stato due compiti principali: quello dell'identificazione dei richiedenti asilo vulnerabili e quello di offrire a queste persone un supporto (support). Il giudice deve così cambiare il suo abito o la sua toga: non si tratta solo di ascoltare, nel contraddittorio, per poi decidere; si tratta invece di offrire un supporto. Supportare non implica la perdita di imparzialità, che significa distanza dagli interessi delle parti nella decisione; implica invece il rendersi parte attiva e l’agire insieme alle forze della società civile e alle Istituzioni al fine di assicurare una protezione effettiva alla vittima.
Il protocollo, dunque, guida innanzitutto all’identificazione delle vittime di tratta, utilizzando gli indicatori: mira, in altre parole, a costruire consapevolezza circa il fenomeno della tratta e le sue caratteristiche in tutti coloro, avvocati, magistrati, operatori della società civile, istituzioni che si imbattono in potenziali vittime di tratta. Il protocollo, anche grazie alla presenza dell’Università di Trento, delle scuole forensi e delle principali organizzazioni internazionali che si occupano di tratta – Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Agenzia dell’Unione Europea per l’Asilo, Organizzazione Mondiale per le Migrazioni delle Nazioni Unite -mira anche a una formazione comune finalizzata alla comune consapevolezza.
La seconda parte è quella del supporto e il supporto non è possibile senza la creazione di una rete con la con la società civile, le associazioni e le istituzioni che si occupano della tratta, ma anche con i Tribunali e le Procure per i minorenni, perché spesso le vittime di tratta hanno figli, le persone più vulnerabili tra i vulnerabili. Il protocollo propone un approccio comune e condiviso al supporto, con lo scambio di informazioni e di assistenza, e, nel perseguire questo obbiettivo, è incentrato sulla persona della vittima.
Il fatto che il protocollo abbia accolto un’adesione così ampia da parte delle associazioni della società civile, delle istituzioni provinciali, degli uffici giudiziari e degli ordini degli Avvocati del Trentino – Alto Adige e dell’Università di Trento è una grande dimostrazione dell’attenzione che questo territorio dedica alla tutela dei diritti fondamentali delle persone.
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