Contenzioso climatico e giurisdizione
di Giuliano Scarselli
“Si chiama perciò politica quell’aspetto della realtà che concerne il complesso degli interessi collettivi”.
F. Carnelutti, Teoria generale del diritto, Roma, 1951, 12.
Sommario: 1. Il contenzioso climatico in Italia e la questione della giurisdizione del giudice ordinario. 2. Si deve distinguere le controversie intentate contro lo Stato, nelle quali la giurisdizione è esclusa dal principio di separazione dei poteri. 3. Segue: e dall’impossibilità di sostituire il giudice all’amministrazione. 4. Segue: da quelle intentate contro le grandi imprese, nelle quali la sussistenza (o meno) della giurisdizione va valutata secondo le regole procedurali generali. 5. Il difetto assoluto di giurisdizione tra doveri dello Stato (e/o delle imprese) e diritti dei cittadini. 6. I doveri dello Stato. 7. Segue: quelli delle imprese. 8. Segue: e i diritti dei cittadini. 9. Ai doveri degli Stati (e/o delle imprese) non corrispondono automaticamente dei diritti per i cittadini. Quando ciò si verifica e quando no. Analisi della normativa interna e comunitaria sul punto. 10. Ed inoltre: del difetto di giurisdizione delle azioni che fuoriescono dal crisma della pretesa giudiziaria. 11. Se questi argomenti possono tenere a fronte del diritto dell’Unione europea. 12. Brevissima conclusione.
1. Il contenzioso climatico in Italia e la questione della giurisdizione del giudice ordinario. Intervengo su una questione di grande attualità, che è quella della giurisdizione (o meno) del giudice ordinario a fronte di azioni giudiziarie fatte valere da associazioni, oppure da semplici cittadini, per la condanna dello Stato, o di grandi realtà economico/industriali, ad adeguarsi ai doveri della riduzione nell’emissione di gas serra per ottemperare al raggiungimento degli obiettivi nazionali e internazionali a fronte dei cambiamenti climatici in corso[1].
Al riguardo, dobbiamo soprattutto far riferimento a due controversie in Italia:
a) la prima si è chiusa in primo grado con una sentenza del Tribunale di Roma, 26 febbraio 2024, sezione seconda, n. 3552[2].
Esattamente, una associazione e dei privati adivano il Tribunale di Roma contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri per ottenere la condanna dello Stato, ai sensi degli artt. 2043 e 2058 c.c.: “all’adozione di ogni necessaria iniziativa per l’abbattimento, entro il 2030, delle emissioni artificiali di CO2-ed nella misura del 92% rispetto ai livelli del 1990, ovvero in quell’altra, maggiore o minore, in corso di causa accertanda” (così la domanda delle parti attrici).
Costituitasi in giudizio l’Avvocatura Generale dello Stato, il Tribunale di Roma, con la sentenza sopra menzionata, dichiarava inammissibile la domanda per difetto assoluto di giurisdizione.
Osservava il Tribunale di Roma che: “Gli attori, nel contestare l’inadeguatezza e l’insufficienza della condotta dello Stato nel contrastare i cambiamenti climatici lamentano una responsabilità dello Stato-legislatore, non predicabile fuori dai casi di violazione del diritto dell’Unione europea”; e quindi gli attori, secondo il Tribunale di Roma, chiedevano al giudice di intervenire su “valutazioni discrezionali di ordine socio-economico e in termini di costi-benefici nei più vari settori della vita della collettività umana che rientrano nella sfera di attribuzione degli organi politici e non sono sanzionabili nell’odierno giudizio”.
Una pronuncia di merito su simile domanda, per il Tribunale di Roma, si sarebbe posta: “in violazione di un principio cardine dell’ordinamento rappresentato dal principio di separazione dei poteri” (così Trib. Roma, pag. 12 della sentenza).
b) Parallelamente a questa iniziativa ve n’è stata un’altra, con la quale due associazioni, unitamente sempre a dei soggetti privati, si sono rivolte, di nuovo al Tribunale di Roma, questa volta però non contro lo Stato ma contro ENI s.p.a., perché il Tribunale dichiarasse che “ENI s.p.a., Ministero dell’Economia e delle Finanze, Cassa depositi e prestiti s.p.a., a seguito delle emissioni in atmosfera di gas serra, e in particolare CO2, provenienti dalle attività industriali, commerciali e dei prodotti per il trasporto di energia venduti da ENI, non hanno ottemperato e non stanno ottemperando al raggiungimento degli obiettivi climatici internazionali riconosciuti di cui ENI s.p.a. si sarebbe dovuta dotare in linea con l’Accordo di Parigi, con l’art. 2 l. 240/2016 e con gli scenari elaborati dalla comunità scientifica internazionale per mantenere l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi, in violazione degli artt. 2 e 8 della CEDU, così come previsto dagli artt. 2 e 7 della Carta di Nizza. Per l’effetto accertare e dichiarare che ENI s.p.a., Ministero dell’Economia e delle Finanze, Cassa depositi e prestiti s.p.a., sono solidamente responsabili, per violazione del combinato disposto degli artt. 2 e 8 della CEDU, 2 e 7 della Carta di Nizza, e degli artt. 2043 (o in alternativa art. 2050 0 2051 c.c.) e art. 2059, per tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti e subendi dagli attori per l’effetto delle conseguenze del cambiamento climatico che essi hanno concorso a cagionare”[3].
In questa occasione, probabilmente per la sussistenza della pronuncia del Tribunale di Roma sopra menzionata, le parti attrici promuovevano regolamento preventivo di giurisdizione ex art. 41 c.p.c. per far dichiarare la giurisdizione del giudice adito circa il contenzioso promosso[4].
Il regolamento preventivo di giurisdizione porta la data del 10 giugno 2024, e la questione è pertanto al vaglio della Sezioni Unite della Corte di Cassazione[5].
2. Si deve distinguere le controversie intentate contro lo Stato, nelle quali la giurisdizione è esclusa dal principio di separazione dei poteri. Orbene, io credo che in primo luogo sia necessario distinguere il contenzioso climatico che veda quale convenuto lo Stato, da altro contenzioso climatico che veda quale convenuto una società commerciale/industriale.
La differenza è evidente, poiché lo Stato, a differenze di una società industriale, non inquina e non produce direttamente gas serra; ciò possono farlo solo i singoli cittadini, oppure le imprese.
Dal che, se io chiedo che lo Stato venga condannato “all’abbattimento, entro il 2030, delle emissioni artificiali di CO2-ed nella misura del 92% rispetto ai livelli del 1990”, in realtà io non chiedo che detto abbattimento sia posto in essere dallo Stato, ma chiedo, più precisamente, che lo Stato si attivi perché tale comportamento sia tenuto dai cittadini e dall’imprese.
In questi casi la domanda giudiziaria è quindi indiretta, e non a caso le stesse conclusioni dell’atto di citazione precisano che lo Stato sia condannato più esattamente “all’adozione di ogni necessaria iniziativa per l’abbattimento”, ecc…….
Dunque, non si pretende che il giudice condanni lo Stato all’abbattimento delle emissioni artificiali di CO2-ed, bensì che lo condanni a tenere un comportamento che imponga agli altri di abbattere le emissioni artificiali di CO2-ed.
Ma questa imposizione, ovvero queste “necessarie iniziative” delle quali si chiede la condanna, non potrebbero che avere ad oggetto leggi, o atti aventi forza di legge, con i quali, appunto, imporre il rispetto degli obiettivi.
E poiché è pacifico che il giudice, in uno Stato democratico basato sul principio della separazione dei poteri, non ha alcuna possibilità di ordinare agli organi competenti di fare leggi, o atti aventi forza di legge, di qualunque tipo o natura, (ma direi che la regola valga anche negli Stati totalitari), va da sé che una simile domanda rivolta alla Presidenza del Consiglio dei Ministri non può che scontrarsi con il difetto di giurisdizione[6].
In questi termini la decisione del Tribunale di Roma, 26 febbraio 2024, che ha dichiarato inammissibili le domande per difetto assoluto di giurisdizione in quanto volte a condannare lo Stato-legislatore, non può che trovare piena condivisione, pena altrimenti il venir meno di ogni regola ordinamentale e processuale.
Il potere di imporre le leggi non è riconosciuto nemmeno alla Corte Costituzionale, relativamente alla quale, al più, si parla di “sentenze monito”, ovvero di sentenze che semplicemente indicano, senza alcun obbligo per il legislatore e fuori da meccanismi di condanna giudiziale, quale possa o debba essere la disciplina costituzionalmente legittima di una determinata materia[7].
E se tale potere non spetta alla Corte Costituzionale, certamente non può spettare al giudice ordinario di merito.
Né un potere del genere può essere immaginato presso il giudice amministrativo: e ciò non solo perché il difetto assoluto di giurisdizione è, appunto, un difetto assoluto, nel senso che nessun giudice, nemmeno quello amministrativo, può avere giurisdizione su detta materia, ma anche perché comunque ciò è escluso dallo stesso art. 7, 1° comma del codice del processo amministrativo, in base al quale: “Non son impugnabili gli atti o provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico”.
3. Segue: e dall’impossibilità di sostituire il giudice all’amministrazione.
A completamento di ciò aggiungerei che il difetto assoluto di giurisdizione vi è altresì quando una parte chieda al giudice lo svolgimento di una funzione che fuoriesca dai canoni della giurisdizione a fronte di quelli dell’amministrazione.
È quanto, peraltro, emerge dallo stesso art. 41, 2° comma c.p.c. per il quale non v’è giurisdizione del giudice ordinario “a causa dei poteri attribuiti dalla legge alla amministrazione stessa”.
Al riguardo, alla luce di infiniti scritti dottrinali che sussistono sui rapporti tra giurisdizione e amministrazione, direi che la giurisdizione è il potere di applicare la legge al singolo caso controverso attenendosi al dettato normativo[8], o, per usare le parole di un processualista quale Antonio Segni: “La giurisdizione può definirsi come la funzione statale destinata all’attuazione della norma concreta di legge, attuazione che ha carattere sostitutivo o surrogatorio”[9].
Nessuno, poi, esclude che nel far ciò il giudice goda di un certo potere discrezionale, ma parimenti tutti ammettono che la discrezionalità del giudice è ben diversa dalla discrezionalità della pubblica amministrazione, poiché nel primo caso il potere discrezionale del giudice è circoscritto all’interpretazione della legge, mentre nel secondo caso il potere discrezionale della pubblica amministrazione è riferito alle scelte concrete da compiere e alle decisioni da prendere[10].
Ed anzi, il tratto maggiore che separa la giurisdizione dall’amministrazione sta proprio nel grado di discrezionalità che è riconosciuto nello svolgere la funzione: interpretazione della legge da una parte, scelta e bilanciamento degli interessi generali dall’altra[11].
Si tratta di un dato già presente nella nostra dottrina classica[12], riterrei non venuto meno nel tempo presente, e che continua ancor oggi a contrappone la funzione giurisdizionale a quella amministrativa[13].
Di nuovo, se la domanda giudiziale ha ad oggetto la condanna dello Stato: “all’adozione di ogni necessaria iniziativa per l’abbattimento, entro il 2030, delle emissioni artificiali di CO2”, è evidente che con essa non si chiede al giudice di svolgere una funzione giurisdizionale in senso proprio, quanto piuttosto di sostituirsi all’amministrazione nel prendere decisioni che questa non assume.
Né si chiede al giudice di applicare la legge, poiché anzi le controversie sui mutamenti climatici partono dal presupposto della assenza di leggi che attuino gli impegni internazionali presi dall’Italia sul clima; e, stante anche la circostanza che le norme comunitarie non contengono le determinazioni in concreto delle attività che lo Stato, le imprese o i singoli cittadini devono tenere a fronte dei cambiamenti climatici, è impensabile, a mio parere, che la discrezionalità del giudice possa spingersi fino a consentirgli di porre in essere un’attività amministrativo/legislativa quale è quella di stabilire quali siano le cose da fare in concreto per giungere ad una riduzione della produzione entro il 2030, delle emissioni artificiali di CO2-ed nella misura del 92% rispetto ai livelli del 1990[14].
Ove il giudice facesse una cosa del genere, egli si sostituirebbe all’amministrazione, e quindi porrebbe in essere una funzione che esorbita dalla giurisdizione[15].
4. Segue: da quelle intentate contro le grandi imprese, nelle quali la sussistenza (o meno) della giurisdizione va valutata secondo le regole procedurali generali.
Il discorso, però, può essere diverso se il convenuto del contenzioso climatico non è più lo Stato bensì una società industriale come ENI[16].
Nei confronti di ENI, o più in generale di società commerciali e/o industriali, diversamente dallo Stato, è astrattamente possibile chiedere, direttamente e in concreto, di limitare: “le emissioni in atmosfera di gas serra, e in particolare CO2, provenienti dalle attività industriali, commerciali e dei prodotti per il trasporto di energia venduti da ENI”, o comunque chiedere di accertare che ENI ha tenuto un comportamento non conforme all’Accordo di Parigi e/o al diritto comunitario (così le conclusioni della seconda citazione).
È evidente che a fronte di una controversia di questo genere, il principio della separazione dei poteri non c’entra più niente, e solo qui, secondo i criteri generali, si tratta di valutare se il giudice ordinario abbia o meno giurisdizione a provvedere.
Direi, però, che se la controversia vede come parti solo dei privati e non anche la pubblica amministrazione (e ciò al di là del caso specifico, perché ENI ha un’anima ibrida tra pubblico e privato, e in quella lite è convenuto anche il Ministero dell’Economia), v’è da porsi il problema ulteriore dell’ammissibilità o meno dello stesso istituto del difetto assoluto di giurisdizione,
V’è da chiedersi, infatti, se nei casi in cui il contenzioso è solo tra privati, un difetto assoluto di giurisdizione sia ammissibile[17], visto che il nostro sistema processuale sembra configurarlo esclusivamente nei confronti della pubblica amministrazione (artt. 37 e 41 c.p.c.), mentre la giurisprudenza, almeno per quanto io sappia, non ha dato a questo quesito risposte univoche nel tempo, in quanto in un primo momento ha ritenuto che la improponibilità assoluta della domanda tra privati per mancanza di una norma che tuteli la situazione dedotta in giudizio fosse questione di merito e non di giurisdizione[18], e poi ha cambiato orientamento, asserendo che “Il regolamento preventivo di giurisdizione è ammissibile anche in un giudizio che si svolga tra privati, in quanto la mera qualità soggettiva delle parti non è più criterio discriminante assoluto al fine di stabilire se il ricorso per regolamento preventivo sia ammissibile”[19].
Ad ogni modo direi:
a) tutto ciò che qui cerco di razionalizzare vale in ogni caso con riferimento alle controversie contro la pubblica amministrazione;
b) e vale parimenti anche con riguardo alle controversie contro le società commerciali/industriali, in quanto, senza troppa differenza, la mancanza di una norma che tuteli la situazione dedotta in giudizio può valere o come difetto di giurisdizione, ove si ritenga ammissibile l’istituto (anche) in questi casi, oppure come inammissibilità della domanda; senza mutamento del risultato sostanziale di rigetto.
5. Il difetto assoluto di giurisdizione tra doveri dello Stato (e/o delle imprese) e diritti dei cittadini.
Il difetto assoluto di giurisdizione è contemplato nel nostro ordinamento dagli artt. 37 e 41 c.p.c.
Per circoscrivere il fenomeno credo si possa semplicemente richiamare la nozione che ne dà la dottrina: “Il difetto assoluto di giurisdizione (o improponibilità assoluta della domanda) nei confronti della pubblica amministrazione, si ha ogni qual volta sia dedotto in giudizio un interesse di fatto, cioè giuridicamente non protetto dal nostro ordinamento né come diritto soggettivo né come interesse legittimo.”[20].
Si tratta, dunque, di ipotesi nelle quali la posizione dedotta in giudizio non trova tutela nell’ordinamento[21], o, detto in modo analogo, “si tratta in definitiva di ipotesi in cui vengono dedotte dinanzi al giudice situazioni soggettive (interessi semplici) che non sono tutelabili in via giurisdizionale, non avendo la consistenza né di diritti né di interessi legittimi”[22].
Questa posizione è anche quella della giurisprudenza, sia meno recente[23] che più recente[24]; dal che, ai fini della giurisdizione, si tratta di verificare se la pretesa fatta valere in giudizio abbia natura di interesse semplice oppure la consistenza di un diritto tutelato dall’ordinamento; e, nel nostro caso concreto, si tratta di valutare se i privati abbiano un diritto proprio contro lo Stato (e/o contro le imprese) con riferimento ai problemi climatici del pianeta imputabili al surriscaldamento globale.
Posta la questione in questi termini, due però sono le precisazioni da dare:
a) la prima è che, evidentemente, la valutazione dell’esistenza o meno di questo diritto va fatta in astratto e non in concreto, ovvero si tratta solo di valutare se vi sono, o non vi sono, nell’ordinamento interno e comunitario, norme di protezione in grado di fissare dei veri e propri diritti soggettivi;
b) e la seconda è che, nel far ciò, non si tratta di valutare solo se, e quali siano, i doveri dello Stato (e/o delle imprese) a fronte dei mutamenti climatici, ma anche di chiedersi se ai doveri dello Stato (e/o delle imprese) possano corrispondere contrapposti diritti soggettivi dei cittadini.
V’è la tendenza a ritenere che la sussistenza di un presupposto abbia come conseguenza necessaria la sussistenza dell’altro[25].
Al contrario, si tratta di due momenti distinti, e che distintamente vanno analizzati, in quanto entrambi debbano esserci affinché il giudice abbia giurisdizione, e l’esistenza (eventuale) dell’uno non necessariamente comporta la sussistenza dell’altro[26].
6. I doveri dello Stato.
Circa il dovere dello Stato, si debbono in primo luogo ricordare le norme.
Le fonti normative possono essere indicate nella Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 9 maggio 1992 (UNFCCC), reso esecutivo in Italia dalla legge 15 gennaio 1994 n. 65, e poi soprattutto nell’Accordo di Parigi sul clima del 12 dicembre 2015, ratificato in Italia con la legge 4 novembre 2016 n. 204,
A livello comunitario vi sono inoltre le Direttive del Parlamento e del Consiglio europeo del 23 aprile 2009, 2009/29/CE, il Regolamento europeo sul clima 2021/1119 del 30 giugno 2021[27], e la Decisione, sempre del Parlamento e del Consiglio europeo, 406/2009/CE.
A ciò poi si aggiungono disposizioni di carattere più generale quali gli artt. 2 e 8 CEDU, gli artt. 2 e 7 della Carta di Nizza e art. 9 Cost.
A fronte di tutte queste fonti normative, io credo non vi possa essere dubbio dell’esistenza di un dovere dello Stato a provvedere per il contenimento dell’emissione in atmosfera di gas serra.
Tuttavia, poiché par evidente che per ottenere questo obiettivo, ovvero: “l’abbattimento, entro il 2030, delle emissioni artificiali di CO2-ed nella misura del 92% rispetto ai livelli del 1990” si debbano “fare delle cose”, e queste “cose da fare” non sono precisate negli atti normativi sopra richiamati, è parimenti indiscutibile che questo dovere si concretizzi con l’esercizio di un potere discrezionale/valutativo da parte dello Stato.
Ed infatti l’Accordo di Parigi, fonte sempre richiamata dalle normative successive, e in particolar modo dal Regolamento europeo sul clima 30 giugno 2021 n. 1119, non solo non contiene l’elenco delle cose da fare, ma nemmeno contiene precetti giuridici in senso stretto, quanto piuttosto affermazioni di programma.
A titolo di esempio, per l’art. 2: “I cambiamenti climatici sono preoccupazione comune dell’umanità”, cosicché l’accordo “mira a rafforzare la risposta mondiale alla minaccia posta dai cambiamenti climatici mantenendo l’aumento della temperatura media mondiale ben al di sotto di 2 °C …; per l’art. 4: “Le parti che sono paesi sviluppati dovrebbero continuare a svolgere un ruolo guida”; ed ancora per l’art. 6 gli obiettivi sono quelli di: “Promuovere la mitigazione delle emissioni di gas a effetto serra…..Incentivare e facilitare la partecipazione alla mitigazione delle emissioni di gas a effetto serra”; ed infine per l’art. 10: “Le parti condividono una visione a lungo termine sull’importanza di realizzare appieno lo sviluppo e il trasferimento delle tecnologie al fine di migliorare la resilienza ai cambiamenti climatici” [28].
Direi, in estrema sintesi, che così come non può essere messo in discussione che vi sia un dovere dello Stato di difesa dell’ambiente a fronte dei cambiamenti climatici, allo stesso modo non può nemmeno essere messo in discussione che questo dovere lo Stato lo adempie con atti non specificamente determinati dalle norme e rimessi al suo potere discrezionale.
Inoltre è chiaro che, poiché l’avanzare di nuovi diritti comporta inevitabilmente una contrazione di quelli già esistenti, va da sé che lo Stato deve procedere con prudenza e bilanciamento di situazione che potrebbero porsi tra loro in contrasto.
Direi che questa è stata anche la posizione dell’Avvocatura dello Stato nella misura in cui ha sostenuto che non può non sussistere: “un bilanciamento da effettuare tra tutela ambientale e perseguimento di altri rilevanti interessi sociali”[29].
7. Segue: quelli delle imprese.
La questione, di nuovo, si presenta diversamente quando dal dovere dello Stato si passi al dovere delle grandi imprese industriali e/o commerciali come ENI.
Le imprese, evidentemente, agiscono nel rispetto delle norme, e per loro tale rispetto non potrà che essere sufficiente.
Non possono avere le imprese dei doveri oltre quelli che risultino dalle leggi esistenti; né alle imprese può immaginarsi rimproveri da carenza normativa; né, ancora, alle imprese può essere rimproverata la mancata collaborazione agli obiettivi di cui agli accordi internazionali se non nella misura in cui questi obiettivi si siano tradotti in obblighi specifici a loro rivolti.
L’espressione contenuta in citazione, pertanto, e secondo la quale vi sarebbe responsabilità delle imprese che: “non hanno ottemperato e non stanno ottemperando al raggiungimento degli obiettivi climatici internazionali riconosciuti di cui ENI s.p.a. si sarebbe dovuta dotare in linea con l’Accordo di Parigi, con l’art. 2 l. 240/2016” non sembra, a mio sommesso parere, affermazione corretta poiché: a) o si indicano quali sono specificamente le norme che obbligano ENI o altre imprese a mettersi in linea con l’Accordo di Parigi; b) oppure va da sé che ENI e le altre imprese non hanno l’obbligo di adeguarsi all’Accordo di Parigi, in quanto è un Accordo che coinvolge gli Stati, e non le imprese[30].
In questo modo, mentre questo dovere sembra sussistere per lo Stato, se pur nella elastica forma di un dovere rimesso alla discrezionalità di individuazione delle modalità possibili anche in bilanciamento con altri diritti, egual dovere non sembra potersi predicare per le imprese, che nient’altro sono tenute a fare se non rispettare le leggi esistenti che direttamente le chiamino in causa; e tutto il resto può loro essere rimproverato solo dal punto di vista morale; e ciò, evidentemente, anche ai fini della valutazione della giurisdizione.
8. Segue: e i diritti dei cittadini.
È arriviamo al tema principale, che è quello di valutare se al dovere dello Stato segua automaticamente un corrispondente diritto del cittadino.
E qui vale ricordare che, anche ammessa l’esistenza del dovere dello Stato, questo dovere non sembra proprio né riversarsi sulle imprese, né attribuire automaticamente ai cittadini un diritto generale di agire in giudizio.
Prima ancora che con elaborazioni teoriche, penso che l’insussistenza di una correlazione necessaria tra dovere/diritto si possa dimostrare semplicemente con degli esempi.
È fuori da ogni discussione, ad esempio, che lo Stato abbia il dovere di tenere ad elevati livelli di qualità gli ospedali e la sanità pubblica a tutela del diritto alla salute dei cittadini nel rispetto dell’art. 32 Cost.
Però, parimenti, ritengo che nessuno si sentirebbe di affermare che, allora, un qualunque cittadino possa adire il giudice per chiedergli di condannare lo Stato a rispettare questo suo dovere.
Così, se un cittadino si lamenta di una specifica malasanità, che gli ha prodotto un danno ingiusto, lì è ovvio che la domanda può essere solo (se del caso) respinta nel merito, e nessuna questione di giurisdizione può porsi. Ma se al contrario il cittadino, fuori da ogni fatto specifico, semplicemente lamenti l’inattività dello Stato nella corretta e adeguata tenuta e gestione degli ospedali, chiedendone al giudice la condanna a provvedere entro una certa data, lì diversamente credo che ai più apparerebbe evidente l’esistenza del difetto assoluto di giurisdizione[31].
Lo stesso, sempre a titolo di esempio, potrebbe valere per la scuola a fronte del diritto costituzionale di cui agli art. 33 e 34 Cost.
Se un cittadino si rivolgesse al giudice asserendo che lo Stato mantiene la scuola e l’istruzione in uno stato del tutto scadente per un paese democratico ed evoluto quale l’Italia e chiedesse la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri all’adeguamento della scuola ad un livello accettabile di qualità per un tempo futuro da determinare, oppure la condanna ad adeguare gli stipendi del personale del Ministero dell’istruzione ai parametri dell’art. 36 Cost., di nuovo queste domande, con tutta probabilità, verrebbero rigettate per difetto assoluto di giurisdizione, senza scandalo o discussione di alcuno; e, direi, anche se proposte da una associazione, e non solo da un soggetto privato.
Ma potremmo dare un terzo esempio tratto dall’art. 31 Cost. in materia di famiglia.
Al riguardo, infatti, la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei relativi compiti, con particolare riguardo alle famiglie numerose, nonché protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù favorendo gli istituti necessari a tale scopo.
Se qualcuno si dovesse rivolgere al giudice semplicemente asserendo che lo Stato è inadempiente con riguardo a questi compiti, e ne chiedesse la condanna giudiziale della protezione in modo più incisivo e concreto, beh, riteniamo, di nuovo, che la domanda verrebbe ancora una volta considerata del tutto priva di giurisdizione, e ciò senza meraviglia di alcuno.
9. Ai doveri degli Stati (e/o delle imprese) non corrispondono automaticamente dei diritti per i cittadini. Quando ciò si verifica e quando no. Analisi della normativa interna e comunitaria sul punto.
Ed infatti, stando ai principi, ai doveri dello Stato non corrispondono diritti dei cittadini, se non nella misura in cui la legge li configuri come tali in modo diretto ed esplicito.
I cittadini hanno una miriade di interessi all’interno di un contesto sociale, ma questi interessi si trasformano in diritti soggettivi solo quando la legge li prende direttamente in considerazione e assegna loro una tutela differenziata e individuale.
Conviene, in proposito, tornare alla teoria generale dei diritti[32], e ricordare che non ogni fonte normativa è in grado di creare diritti soggettivi, ma solo quella che dia vita a ciò che Giuseppe Chiovenda chiamava volontà concreta di legge[33].
Se vi è una volontà concreta di legge di attribuire ad un soggetto portatore di un interesse semplice una tutela diretta e differenziata di quell’interesse, allora lì, e solo lì, quell’interesse si trasforma in diritto soggettivo; altrimenti, la mera esistenza di un interesse di fatto dovuto ad un dovere generale dello Stato non attribuisce al cittadino un diritto soggettivo; ciò avviene solo nei casi nei quali la legge in modo espresso operi questa trasformazione.
Né è sufficiente che le fonti normative, anche di primo piano, disegnino una “situazione giuridica protetta”[34], perché si possa rinvenire in ciò diritti soggettivi giustiziabili, in quanto ogni c.d. “situazione giuridica protetta” emerge pur sempre dal rovesciamento della medaglia del dovere dello Stato: se lo Stato ha dei doveri da una parte, allora, in relazione ad essi, da altra parte, i cittadini hanno una situazione giuridica protetta.
Ma questa situazione, come detto, non configura ancora diritti soggettivi che possano essere fatti valere in giudizio se la legge non li considera tali prendendo a riferimento direttamente i privati quali destinatari della norma, e così consentendo a questi di invadere ed incidere sullo Stato[35].
Altrimenti, come già esplicitato, è chiaro che la salute per i cittadini è una situazione giuridica protetta, e tuttavia è parimenti chiaro che questa situazione giuridica protetta non consente un’azione giudiziaria per pretendere una diversa e più attenta gestione e manutenzione degli ospedali pubblici.
Dunque, se queste premesse sono corrette, e torniamo alle fonti normative dei cambiamenti climatici sopra richiamati, vediamo come in nessuna di questa fonti vi sia una volontà concreta di legge che possa, anche solo lontanamente, far ritenere esistenti dei diritti soggettivi dei privati.
Al riguardo si deve ricordare che la legge 15 gennaio 1994 n. 65 costituisce semplice ratifica della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 9 maggio 1992 (UNFCCC); successivamente tale convenzione si trasferiva nell’Accordo di Parigi del 12 dicembre 2015, oggetto a sua volta di ratifica ed esecuzione in Italia con la legge 4 novembre 2016 n. 204; quest’ultima, infatti, dispone ciò con gli artt. 1 e 2, e poi regola le coperture finanziarie con gli artt. 3, 4 e 5; nient’altro vi si trova.
L’Accordo di Parigi, a sua volta, e come sopra abbiamo sintetizzato, contiene una serie di impegni programmatici degli Stati a fronte dei cambiamenti climatici, ed in particolar modo, con l’art. 2, ogni Stato “mira a rafforzare la risposta mondiale alla minaccia posta dai cambiamenti climatici… mantenendo l’aumento della temperatura media mondiale bel al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali”; ma nessuno dei 29 articoli, di cui è composto l’Accordo, attribuisce in modo esplicito e diretto ai cittadini diritti soggettivi, nel senso sopra chiarito, di alcuna sorte.
Lo stesso vale per le fonti comunitarie, ed in particolare:
a) la Direttiva del Parlamento e del Consiglio europeo del 23 aprile 2009, 2009/29/CE, che consta di 52 premesse e di 29 articoli, disciplina “l’attuazione di un impegno più rigoroso della Comunità in materia di riduzioni…che conduca a riduzioni delle emissioni dei gas a effetto serra superiori a quelle previste all’articolo 9”, ed ogni disposizione è sempre rivolta a Gli Stati membri oppure a la Commissione, ecc….
b) La Decisione, sempre del Parlamento e del Consiglio europeo, 406/2009/CE e sempre del 23 aprile 2009, ha ad oggetto “gli sforzi degli Stati membri per ridurre le emissioni dei gas a effetto serra al fine di adempiere agli impegni della Comunità in materia di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2020”, e nelle 34 premesse e 16 articoli non si disciplinano ipotetici diritti soggettivi dei privati.
Lo stesso art. 16, rubricato Destinatari, espressamente asserisce che “Gli Stati membri sono destinatari della presente decisione”; inoltre gli impegni sono tutti degli Stati membri: così l’art. 3: “Ciascun Stato membro è tenuto………” “Ogni Stato membro garantisce………” “Ogni Stato membro limita………”, ecc…
c) Infine, il Regolamento europeo sul clima 2021/1119 del 30 giugno 2021, 40 premesse e 14 articoli, ha contenuto non dissimile ai precedenti: l’art. 1 richiama espressamente l’Accordo di Parigi e “stabilisce l’obiettivo vincolante della neutralità climatica nell’Unione entro il 2050” e “istituisce un quadro per progredire nel perseguimento dell’obiettivo globale di adattamento di cui all’articolo 7 dell’accordo di Parigi”; inoltre l’art. 3 è dedicato alla Consulenza scientifica sui cambiamenti climatici, l’art. 4 ai Traguardi climatici intermedi dell’Unione, l’art. 6 alle Valutazioni dei progressi compiuti e delle misure dell’Unione, ed ancora l’art. 7 alle Valutazioni delle misure nazionali.
Non v’è, anche in questo Regolamento, alcuna norma che possa avere il crisma dell’attribuzione di specifici diritti soggettivi ai privati.
In sintesi, è necessario non mettere sullo stesso piano quelli che sono i diritti soggettivi dagli interessi e/o dai desideri dei cittadini: i primi giustiziabili, i secondi rimessi alla discrezionalità del potere legislativo e amministrativo, ovvero alla politica.
10. Ed inoltre: del difetto di giurisdizione delle azioni che fuoriescono dal crisma della pretesa giudiziaria.
A completamento di queste osservazioni credo possa poi aggiungersi che le domande fatte valere in questi giudizi appaiono altresì fuoriuscire completamente dal crisma della giurisdizione.
Si consideri al riguardo quanto segue:
a) In primo luogo le domande proposte appaiono di contenuto generico a fronte del dovere di specificità che una domanda giudiziale deve avere per essere ammissibile.
Esattamente, chiedere al giudice di condannare lo Stato: “all’adozione di ogni necessaria iniziativa”, ecc…… costituisce domanda priva di determinazione, poiché non in grado di individuare con la dovuta specificità qual è, o quali sono, gli obblighi di fare al quale, o ai quali, la parte condannata è tenuta.
Si tratta, pertanto, di una domanda che si pone in contrasto con lo stesso art. 163 n. 3 c.p.c., per il quale la citazione introduttiva del processo deve contenere: “la determinazione della cosa oggetto della domanda”.
La giurisprudenza considera infatti nulla la citazione quando l’oggetto del giudizio sia “assolutamente incerto”[36].
b) Conseguentemente, la sentenza che, paradossalmente, dovesse accogliere una simile domanda, condannando così lo Stato allo abbattimento, entro il 2030, delle emissioni artificiali di CO2-ed, sarebbe poi sentenza priva delle condizioni del titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c., visto che il titolo esecutivo ha sempre ad oggetto “un diritto certo, liquido ed esigibile”[37], e visto che per certezza del titolo “deve intendersi la precisa individuazione del bene oggetto dell'esecuzione per consegna e rilascio e della prestazione di fare o non fare nell'esecuzione”[38].
In ogni caso detta sentenza sarebbe priva della possibilità di essere attuata in sede esecutiva.
Ed infatti, stante l’assoluta genericità degli obblighi di fare prospettati con la domanda, sarebbe poi impossibile dare una valutazione oggettiva del suo (o meno) adempimento, né il terzo libro del codice di procedura civile dedicato al processo di esecuzione appare in grado, nelle sue articolazioni, di consentire l’attuazione forzata di una sentenza a contenuto così indeterminato[39].
c) Inoltre, la domanda non sembra corrispondere nemmeno ai principi della legittimazione ad agire ex art. 81 c.p.c.
La legittimazione ad agire è infatti strettamente connessa alla titolarità individuale del diritto fatto valere in giudizio, e solo nelle ipotesi espressamente previste dalla legge, che si denominano di legittimazione straordinaria, è consentito a terzi la deduzione in giudizio di diritti che siano da riconoscere in capo a soggetti diversi da quelli presenti nel processo[40].
Qualcosa di analogo sta nel Trattato sul funzionamento dell’unione europea (TFUE), che nell’art. 263, 4° comma espressamente statuisce in punto di legittimazione ad agire: “Qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre un ricorso contro gli atti adottati nei suoi confronti o che la riguardano direttamente e individualmente”.
Poiché l’azione esercitata in questi processi non attiene, al contrario, né ad atti adottati nei confronti delle parti attrici, né ad atti che li riguardino direttamente e individualmente, ma solo ad interesse generici, che toccano l’intera comunità in egual misura, le parti attrici sono carenti di legittimazione ad agire nel senso in cui essa è giudizialmente riconosciuta[41].
Conferma di ciò si ha anche con la decisione dalla Corte Giustizia unione europea 26 settembre 2024 n. 340/23, per la quale: “Riconoscere ad alcuno la legittimazione ad agire fondata unicamente sulla violazione dei suoi diritti fondamentali mediante atti di portata generale, come il regolamento impugnato, equivarrebbe a svuotare di sostanza le prescrizioni dell'articolo 263, quarto comma, TFUE.”.
E conferma di questa posizione si ha anche in forza della sentenza CEDU 9 aprile 2024 (GC) 53600/20, la quale, nel giudizio per la responsabilità da cambiamento climatico della Svizzera, ha escluso la legittimazione ad agire dei privati, e ammessa la legittimazione delle associazioni solo in presenza di tre criteri, tra i qual quella di “essere legalmente stabilita nella giurisdizione interessata o avere la legittimazione ad agire in tale giurisdizione”[42].
E poiché tale legittimazione nella giurisdizione interessata non sembra proprio sussistere, o sussiste solo in presenza di "una lesione diretta, concreta ed attuale dalla violazione di termini"[43], va da sé che le domande giudiziali qui ad analisi non sono state proposte da parti aventi la legittimazione ad agire[44].
d) Le domande giudiziali, inoltre, nella misura in cui hanno ad oggetto la condanna dello Stato a tenere un comportamento futuro, (per l’abbattimento, entro il 2030, ecc…), hanno parimenti ad oggetto quella che viene definita condanna in futuro.
In questi termini la domanda contrasta altresì con il principio secondo il quale la giurisdizione non può essere utilizzata se non per fatti passati[45], mentre la condanna in futuro è ammissibile solo in via del tutto eccezionale, e nelle sole ipotesi specificamente previste dalla legge (ed in questi casi nessuna legge autorizza l’utilizzo della condanna in futuro).
Ciò perché, par evidente: “la sentenza di condanna presuppone una lesione attuale del diritto, e dunque che si sia già verificato l’inadempimento”, cosicché: “la condanna in futuro costituisce uno strumento eccezionale, circoscritto alle ipotesi espressamente previste dalla legge[46].
e) Soprattutto, una sentenza del genere, la quale dovrebbe individuare “l’adozione di ogni necessaria iniziativa per l’abbattimento”, ecc… avrebbe carattere c.d. costitutivo/determinativo, ovvero darebbe al giudice il potere di determinare in concreto il contenuto dell’obbligazione[47].
Ma una simile determinazione, a parte il fatto che non sembra possibile per le ragioni già illustrate, si porrebbe in ogni caso in contrasto con il principio secondo il quale il giudice può pronunciare sentenze costitutive/determinative solo nei casi tipici individuati dalla legge e nella stretta misura ivi prevista, e ciò ai sensi dell’art. 2908 c.c.[48] E qui siamo fuori da questo ambito, non solo perché non v’è legge che legittimi il giudice a pronunciare in questi casi sentenze costitutivi/determinative, ma anche perché ciò è possibile solo quando il contenuto dell’obbligo non è determinato, ma tuttavia esiste sul piano del diritto sostanziale, mentre in questi casi, per quanto sopra detto, non esiste nemmeno un diritto soggettivo in relazione alle pretese giudiziali avanzate.
f) Infine, una sentenza del genere non rispetterebbe i criteri del giudicato giurisdizionale civile, e ciò, direi, né da un punto di vista oggettivo che soggettivo.
In senso oggettivo poiché esso non riesce ad avere la forza tipica del giudicato sostanziale, in quanto privo di un comando che possa ritenersi giudizialmente individuato a carico della parte obbligata soccombente.
E in senso soggettivo, poiché il dovere di abbattimento, entro il 2030, delle emissioni artificiali di CO2-ed non potrebbe considerarsi posto a vantaggio delle sole parti attrici vittoriose in giudizio, ma andrebbe considerato a vantaggio di tutti, così di nuovo confondendo il piano giudiziale della legittimazione processuale con quello politico della soddisfazione di un interesse, e finendo altresì per attribuire alla giurisdizione una funzione di tipo oggettivo che non esiste nel nostro sistema[49].
11. Se questi argomenti possono tenere a fronte del diritto dell’Unione europea.
In estrema sintesi, noi avremmo più ragioni di difetto di giurisdizione a fronte del c.d. contenzioso climatico: a) v’è difetto assoluto di giurisdizione perché il giudice non può ordinare allo Stato di fare leggi o atti aventi forza di legge o di invadere la sfera riservata all’amministrazione; b) v’è difetto assoluto di giurisdizione perché il giudice non può decidere questioni relativamente alle quali le parti attrici non hanno situazioni soggettive di diritto; c) e v’è infine difetto assoluto di giurisdizione perché il giudice non può decidere una questione che fuoriesce completamente dai crismi della pretesa giudiziaria.
Questo è quanto mi sembra di poter sostenere.
Ma poi, da vecchio giurista di civil law, mi sopraggiungono dei dubbi, e mi chiedo se tutti questi ragionamenti non siano superati dai tempi, e non siano travolti dal nuovo diritto comunitario, che guarda più alla sostanza delle cose, fino a considerare inutili cavilli, o sterili sforzi logici, le dissertazioni che impediscano o limitino ai cittadini l’accesso al giudice.
Sinceramente, però, non credo sia questa la conclusione da dare, ed anche rianalizzando il diritto comunitario concernente le questioni trattate, io non riesco a trovare niente (forse per mia inadeguatezza) che possa rovesciare i punti esaminati.
Precisamente, rilevo ancora quanto segue.
11.1. Vi sono le norme comunitarie sopra richiamate, ovvero, oltre all’Accordo di Parigi, le Direttive del Parlamento e del Consiglio europeo del 23 aprile 2009, 2009/29/CE, il Regolamento europeo sul clima 2021/1119 del 30 giugno 2021, e la Decisione, sempre del Parlamento e del Consiglio europeo, 406/2009/CE, oltre alle disposizioni di carattere più generale quali gli artt. 2 e 8 CEDU, gli artt. 2 e 7 della Carta di Nizza.
Per le ragioni già esposte, non mi sembra che queste fonti normative si pongano in contrasto con i rilievi svolti.
11.2. V’è, poi, la vicenda Urgenda, sempre menzionata in ogni scritto di Climate change litigation e anche richiamata dalla sentenza del Tribunale di Roma 26 febbraio 2024 n. 3552: “dove lo Stato olandese (considerato tra i paesi maggiormente emissivi in Europa) è stato condannato definitivamente dalla corte Suprema nel dicembre 2019”[50].
Ma, a parte la circostanza che, nel caso, non si tratta di una Corte europea bensì di una Corte olandese[51], ma, a parte ciò, la situazione non sembra affatto cristallizzata con tale pronuncia, se si considera che proprio in questi giorni è uscita la notizia dell’accoglimento di un appello della società Shell dinanzi alla Corte dell’Aja, che ha annullato il giudizio di primo grado emesso dopo una causa intentata da gruppi di ambientalisti olandesi, che imponeva alla multinazionale britannica di ridurre le emissioni di CO2 del 45% entro il 2030.
Per la Corte dell’Aja non si può imporre una soglia precisa a una singola azienda[52].
11.3. V’è, soprattutto, la sentenza già menzionata CEDU 9 aprile 2024 (GC) 53600/20 nel giudizio di responsabilità da cambiamento climatico della Svizzera[53].
Sia consentito stigmatizzare che si tratta di una sentenza lunga 288 pagine.
Comprendo che una decisione della CEDU debba trovare compromessi tra diverse, e a volte contrapposte, sensibilità, ma trovo davvero riprovevole che non si riesca a produrre provvedimenti giudiziari più precisi e più brevi, soprattutto alla luce dei tempi moderni, che impongono alla giustizia di essere sintetica e specifica.
Ciò premesso, si tratta di una decisione che fissa molti principi generali, per poi concludere, con riferimento alla Svizzera, che: “La Corte ha riscontrato alcune lacune critiche nel processo di creazione del quadro normativo nazionale da parte delle autorità svizzere, tra cui la mancata quantificazione, attraverso un bilancio del carbonio o in altro modo, delle limitazioni delle emissioni nazionali di gas serra. Di conseguenza, lo Stato convenuto aveva superato il suo margine di apprezzamento ed era venuto meno ai suoi obblighi positivi ai sensi dell’articolo 8 del presente contesto”.
Qualcuno potrebbe argomentare che se la CEDU, con questa sentenza, ha provveduto nel merito, allora il tema preliminare della giurisdizione è contenuto e implicitamente riconosciuto.
Da un punto di vista logico, la deduzione tiene.
Da un punto di vista più strettamente giuridico, però, il tema della giurisdizione non appare affatto trattato nella lunga sentenza in questione, e tutto semplicemente viene ricondotto alla questione della legittimazione ad agire dinanzi alla Corte.
Peraltro, una cosa sembrano le azioni di condanna presenti nel contenzioso italiano, altra cosa il mero accertamento che la Corte europea ha posto in essere nei confronti dello Stato svizzero.
E parimenti, una cosa è la legittimazione ad agire, altra cosa la giurisdizione: si dovesse tornare agli esempi fatti, se una associazione a tutela della salute promovesse in Italia una controversia per la buona tenuta degli ospedali, forse qualcuno potrebbe arrivare a riconoscere a questa associazione la legittimazione ad agire, ma difficilmente riconoscerebbe la giurisdizione di una simile domanda.
Ad ogni modo la stessa sentenza precisa che l’accesso al giudice è consentito solo “allo status di vittima ai sensi della Convenzione”, e che al riguardo: “la Corte non ha ritenuto di poter applicare in questo contesto la giurisprudenza relativa alle vittime potenziali, ciò potrebbe coprire praticamente chiunque e non funzionerebbe quindi come criterio limitativo”.
Ed infatti, anche nel rispetto dell’art. 263, 4° comma del Trattato sul funzionamento dell’unione europea (TFUE), la legittimazione ad agire può infatti essere riconosciuta a: “Qualsiasi persona fisica o giuridica” relativamente a questioni: “che la riguardano direttamente e individualmente”.
Poi, però, la sentenza esclude la legittimazione delle parti private ma la riconosce all’associazione, con criteri, a mio sommesso parere, non solo dubbi, ma nemmeno esplicitamente indicati, visto che la Corte motiva sul punto: “Nelle circostanze del caso di specie e tenendo conto di tutti i fattori pertinenti, la Corte ha ritenuto che l’associazione ricorrente soddisfacesse i criteri pertinenti e avesse quindi la necessaria legittimazione ad agire”.
I criteri pertinenti sono: “Scopo dell’associazione…..essere senza scopo di lucro…la natura e l’estensione delle sue attività…….i suoi membri e la sua rappresentatività…i suoi principi e la trasparenza della sua governance….circostanze particolari del caso”, ecc…., per cui: “la concessione di tale legittimazione è nell’interesse della corretta amministrazione”; senza, salvo che non cada in errore, una analisi specifica di rispondenza di detti criteri ai requisiti della associazione attrice del giudizio.
11.4. Ora, io credo che nessuno si sentirebbe di negare che la soluzione adottata da questa sentenza appare di dubbia conformità all’art. 263, 4° comma del Trattato sul funzionamento dell’unione europea (TFUE), e che nessun giudice italiano potrebbe concedere o negare la legittimazione ad agire con una simile motivazione.
Ed inoltre questa sentenza non appare (almeno a me) in linea con altre decisioni comunitarie su temi analoghi.
Faccio riferimento non solo a quelle già richiamate dall’Avvocatura dello Stato nella difesa al contenzioso denominato del “giudizio universale”[54], bensì anche ad altre, che non sembrano proprio coordinarsi con essa[55]; e, come che sia, si ripete, una cosa è la legittimazione ad agire, altra la giurisdizione.
11.5. In ogni caso ricordo altresì che le sentenze CEDU vincolano l’Italia solo se riferibili ad un orientamento consolidato, e la materia non sembra al momento essere circoscritta da un orientamento consolidato, visto che la sentenza CEDU 9 aprile 2024 (GC) 53600/20 è la sola che al momento si ha.
Ricordo la pronuncia della nostra Corte costituzionale al riguardo:
“La questione è, altresì, inammissibile per l'erroneità del presupposto interpretativo secondo cui il giudice nazionale sarebbe vincolato all'osservanza di qualsivoglia sentenza della Corte di Strasburgo e non, invece, alle sole sentenze costituenti "diritto consolidato" o delle "sentenze pilota" in senso stretto. Infatti, se è vero che alla Corte di Strasburgo spetta pronunciare la «parola ultima» in ordine a tutte le questioni concernenti l'interpretazione e l'applicazione della Convenzione e dei suoi Protocolli, resta fermo che l'applicazione e l'interpretazione del sistema generale di norme è attribuito in prima battuta ai giudici degli Stati membri. Il ruolo di ultima istanza riconosciuto alla Corte di Strasburgo, poggiando sull'art. 117, primo comma, Cost. deve quindi coordinarsi con l'art. 101, secondo comma, Cost. nel punto di sintesi tra autonomia interpretativa del giudice comune e dovere di quest'ultimo di prestare collaborazione, affinché il significato del diritto fondamentale cessi di essere controverso.”[56].
Dunque, le questioni di giurisdizioni si inseriscono, direi indiscutibilmente, nell’ambito della “applicazione e l'interpretazione del sistema generale di norme che è attribuito in prima battuta ai giudici degli Stati membri”, e l’assenza di un orientamento consolidato della giurisprudenza europea sul punto esclude che i giudici interni non possano, in tema di giurisdizione, continuare ad applicare le regole proprie di tale istituto processuale.
11.6. Altri precedenti degni di rilievo, non mi sembrano sussistere.
12. Brevissima conclusione.
In conclusione, la sensazione è quella che si sia voluto utilizzare la giurisdizione per ottenere da essa un monito allo Stato affinché sia più efficiente e più determinato nel provvedere all’adempimento degli obblighi comunitari e internazionali con riferimento ai mutamenti del clima.
Ma la giurisdizione non può essere utilizzata per questi scopi, e
nella misura in cui invece lo scopo ultimo di queste iniziative è proprio quello di ottenere ciò, esse non appaiono condivisibili, poiché la politica non può rendersi oggetto di giudizio, e perché, come diceva Francesco Carnelutti è politica, e non giurisdizione: “quell’aspetto della realtà che concerne il complesso degli interessi collettivi”.
Per citare un altro classico, sembra proprio che i tempi di oggi rispondano alle sue previsioni: “Progressivo affievolimento del diritto soggettivo fino a ridursi a un interesse occasionalmente protetto; allargamento del diritto amministrativo a scapito del diritto civile; assorbimento del processo civile nella giurisdizione volontaria e nella giustizia amministrativa; aumento dei poteri discrezionali del giudice; annebbiamento dei confini non solo tra diritto privato e diritto pubblico, ma anche tra diritto sostanziale e diritto processuale; aspirazione sempre più viva del diritto caso per caso. – Tutti questi sono gli aspetti di una crisi che il processualista segue con ansietà nel suo specchio, nel quale si riflette, tradotto in forma di teoria, il vasto travaglio del mondo”[57].
[1] Sul contenzioso climatico v. ad esempio E. BENVENUTI, Climate change litigation e diritto internazionale privato dell’unione europea: quale spazio per la tutela collettiva? in Riv. dir. intern. priv. proc., 2023, 848 e ss.; F. VANETTI – L. UGOLINI, Contenzioso climatico: recenti sviluppi e riflessioni, in Ambiente e Sviluppo, 2024, 403 e ss.; M., DELSIGNORE, Il contenzioso climatico dal 2015 ad oggi, Giornale di diritto amministrativo, 2022, 265 e ss.; S. NESPOR, I principi di Oslo, Giornale dir. amm. 2015, 750 e ss.; F.Z. GIUSTINIANI, Contezioso climatico e diritti umani: il ruolo delle Corti europee sovranazionali, in Federalismi.it., 2023, 271 e ss.; N. DE SADELEER, Il contenzioso climatico dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, Riv. giur. dell’Ambiente, 2024, n. 57.
[2] Vedi la sentenza anche in Nuova giur. civ. comm., 2024, 309 e ss., con nota di C.M. MASIERI, La causa “giudizio universale” e il destino della Climate change litigation, con ampie indicazioni bibliografiche e di precedenti giudiziari.
La sentenza ha già ricevuto numerose critiche. V. per tutti A. MOLFETTA, La sentenza giudizio universale in Italia: un’occasione mancata di fare giustizia climatica, in Osservatorio costituzionale, Associazione italiana dei costituzionalisti, Fasc. 5/2024. Altri commenti critici sono contenuti nel sito www.contenziosoclimaticoitaliano.it.
[3] Vedila nel sito www.contenziosoclimaticoitaliano.it
[4] Sempre in www.contenziosoclimaticoitaliano.it
[5] Si veda VINCRE – HENKE, Il contenzioso climatico: problemi e prospettive, Rivista di Biodiritto, 2023, 137 e ss.
[6] Riterrei che questa regola valga pacificamente anche per la Corte europea dei diritti dell’uomo. V. al riguardo N. DE SADELEER, Il contenzioso climatico dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, Riv. giur. dell’Ambiente, n. 57, 2024: “La Corte EDU ha ricordato i limiti del principio della separazione dei poteri, sottolineando che «un intervento giurisdizionale, ..., non può prendere il posto delle misure che devono essere adottate dal potere legislativo e da quello esecutivo, o sostituire tali misure»”; seppur: “il controllo giurisdizionale è complementare ai processi democratici (§ 412)”.
[7] Per tutti si veda CORTE COSTITUZIONALE, Servizio Studi, Il dialogo con il legislatore: moniti auspici e richiami nella giurisprudenza costituzionale dell’anno 2022, Roma, 2023, 7 e ss.; R. PINARDI, Moniti al legislatore e poteri della Corte costituzione, Quaderni costituzionali, 2022, 3, www.forumcostituzionale.it; A. SPADARO, Del rapporto tra giudice costituzionale e legislatore, in Riv. AIC, 2023, 103 e ss.; E COCCHIARA, L’evoluzione dei moniti della Corte costituzionale al legislatore: un bilancio a settant’anni dalla legge 87 del 1953, Gruppo di Pisa, 2023, 3, 1 e ss.
[8] Ricordo in questo senso studi classici quali GALLI, Il concetto di giurisdizione, in Studi in onore di M. D’Amelio, Roma, 1933, II, 171; e soprattutto MORTARA, Commentario al codice e alle leggi di procedura civile, Milano, 1923, I, 20, per il quale: “Risulta abbastanza chiaro che la funzione giurisdizionale costituisce quella difesa del diritto obiettivo per virtù della quale ottengono protezione le facoltà soggettive al medesimo conformi”; CALAMANDREI, Limiti fra giurisdizione e amministrazione nella sentenza civile, in Opere, Napoli, 1965, I, 65, per il quale la giurisdizione è “un’attività secondaria di natura dichiarativa”; SATTA, Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1966, I, 16, per il quale la giurisdizione è: “attuazione del diritto oggettivo, o del diritto soggettivo garantito dalla norma”; CARNELUTTI, Sistema di diritto processuale civile, Padova, 1936, I, 230, per il quale la giurisdizione è la precisa “composizione della lite”; ANDRIOLI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1973, I, 29.
[9] v. SEGNI, Giurisdizione (in generale), voce del Nov.mo Digesto, Torino, 1961, X, 987.
[10] V. infatti RASELLI, Il potere discrezionale del giudice civile, Padova, II, 1935; ID., Alcune note intorno ai concetti di giurisdizione ed amministrazione, Roma, 1926, 4; FABBRINI, Potere del giudice, voce dell’Enc. del Diritto, Milano, 1985, XXXIV, 721; SANDULLI, Funzioni pubbliche neutrali e giurisdizione, in Studi in onore di Segni, Milano, 1966, IV, 243; DE MARINI, Considerazioni sulla natura della giurisdizione volontaria, Riv. dir. proc., 1954, 270.
[11] Mi permetto di ricordare in argomento un mio vecchio studio, SCARSELLI, La tutela dei diritti dinanzi alle autorità garanti. Giurisdizione e amministrazione, Milano, 2000, 202 e ss.
[12] Ricordo ancora F. FERRARA, Potere del legislatore e funzione del giudice, Riv. dir. civ., 1911, 510; PACCHIONI, Dei poteri creativi della giurisprudenza, Riv. dir. comm., 1912, 41; COVIELLO, Dei moderni metodi d’interpretazione della legge, S. Maria Capua Vetere, 1908, 18; LIPARI, Il problema dell’interpretazione giuridica, Il diritto privato nella società moderna, a cura di S. Rodotà, Bologna, 1970, 118.
[13] Aggiungerei, poi, che il divieto posto al giudice di non invadere la sfera dell’amministrazione, ovvero la sfera del potere discrezionale e politico degli organi dello Stato a ciò preposti, non vale solo per il giudice civile, ma costituisce una regola generale, applicabile anche al giudice penale e al giudice amministrativo.
Esattamente: a) per il processo penale si ricorda l’art. 606 c.p.p. per il quale: “Il ricorso per cassazione può essere proposto per i seguenti motivi: a) esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge a organi legislativi o amministrativi ovvero non consentita ai pubblici poteri”; b) e per il processo amministrativo si ricorda l’art. 31, 3° comma c.p.a.: “Il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità”; e l’art. 7, che richiama l’art. 134 c.p.a., i quali statuiscono che il giudice amministrativo può pronunciare con cognizione estesa anche al merito nelle sole controversie espressamente indicate nella legge.
[14] Il discorso non muterebbe se il giudice, nel pronunciare la sentenza domandata, invece di determinare le cose da fare in concreto, si limitasse ad accogliere la domanda nella sua generalità per come presentata, ovvero condannasse semplicemente lo Stato: “all’adozione di ogni necessaria iniziativa per l’abbattimento”, ecc…,
Saremmo egualmente in una ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione per quanto esposto nel paragrafo n. 10.
[15] Si consideri anche Corte cost. 18 gennaio 2018 n. 6, la quale al punto 15 della motivazione asserisce che: “L’eccesso di potere giudiziario denunziabile con il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, come sempre è stato inteso, sia prima che dopo l’avvento della Costituzione, va riferito, dunque, alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (cosidetta invasione o sconfinamento)”.
[16] V. in argomento F. GOISIS, CEDU e contenzioso climatico nei confronti delle grandi imprese: quale impatto?, in NT+Diritto.il sole24ore, 20 novembre 2024.
[17] In argomento v. Iannicelli, Il c.d. difetto assoluto di giurisdizione fra privati per mancanza di posizione giuridica astrattamente tutelabile, Foro it., 1988, I, 3394; tra i classici LIEBMAN, Domanda infondata e regolamento di giurisdizione, Riv. dir. proc., 1953, II, 35; GARBAGNATI, Improponibilità della domanda e regolamento di giurisdizione, Giust. Civ., 1987, I, 2849.
[18] V., ad esempio, Cass. 15 giugno 1987 n. 5256; e Cass. sez. un. 30 giugno 1999 n. 368; Cass. 7 marzo 2001 n. 90.
[19] Così invece Cass. 13 giugno 2008 n. 15196; Cass. 21 febbraio 2018 n. 4235; e Cass. 9 marzo 2020 n. 6690.
[20] PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2023, 241.
Tra i classici, sul punto, ricordo, ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, Napoli, 1957, I, 127: “La così detta improponibilità della domanda ha luogo quando la pretesa del privato è sì intensamente assoggettata ai poteri attribuiti alla amministrazione attiva da essere sfornita di tutela nel processo contro quest’ultima (CARNELUTTI, Istituzioni, II, n. 423); P. D’ONOFRIO, Commento al codice di procedura civile, Torino, 1957, I, 82: “Il difetto di giurisdizione si verifica allorquando si sottoponga alla autorità giudiziaria ordinaria una pretesa la quale non è azionabile in modo assoluto, ovvero quando la pretesa non ha rilevanza giuridica...Un interesse meramente religioso, estetico o morale, ad esempio, non è tutelabile”;
[21] V. A. MASSARI, Regolamento di giurisdizione e competenza, in Nov.Dig.it., Torino, XV, 1968, 283, citato da G. GIOIA, La decisione sulla questione di giurisdizione, Torino, 2009, 67.
[22] Così BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile, Bari, 2019, I, 116.
[23] Cass. sez. un. 30 marzo 2005 n. 6635: “Il difetto assoluto di giurisdizione è ravvisabile quando manchi nell'ordinamento una norma di diritto astrattamente idonea a tutelare l'interesse dedotto in giudizio”
[24] Cass. sez. un. 1° giugno 2023 n. 15601: “Il difetto assoluto di giurisdizione è configurabile quando manca nell'ordinamento una norma di diritto astrattamente idonea a tutelare l'interesse dedotto in giudizio”. Si veda anche Cass. sez. un. 29 maggio 2023 n. 15058: “Sulla domanda proposta nei confronti dello Stato italiano per il risarcimento dei danni derivanti dalla mancanza di una disciplina normativa per la tutela della maternità delle donne avvocato vi è difetto assoluto di giurisdizione, poiché essa comporta non già la delibazione di una posizione di diritto soggettivo o di interesse legittimo, ma un sindacato sulla sfera riservata dalla Costituzione allo Stato legislatore”.
[25] V. fin d’ora, per tutti BELLOMO, Nuovo sistema del diritto amministrativo, IQ, Diritto e scienza, 2023, I, 43, per il quale: “Non sempre al dovere – diversamente dall’obbligo – in capo a un soggetto corrisponde un diritto in capo ad altro soggetto, potendo sussistere interessi non qualificati che spetta all’amministrazione valutare discrezionalmente. In tale accezione, dunque, l’interesse di fatto consiste nell’interesse dei cittadini ad essere ben amministrati”. Si veda anche CHIEPPA-GIOVAGNOLI, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2024, 163.
[26] È questa, direi, anche la posizione dell’Avvocatura dello Stato nel giudizio sfociato nella sentenza del Tribunale di Roma 26 febbraio 2024; v. la comparsa di risposta nel sito www.contenziosoclimaticoitaliano.it, pag. 26: “Occorre a tal proposito rilevare che l’adesione degli Stati agli accordi sul clima non è idonea di per sé a fondare la base legale da cui evincere un obbligo di natura vincolante la cui (eventuale) violazione vale a fondare un’azione di responsabilità nei confronti delle istituzioni degli Stati stessi”.
[27] D. BEVILACQUA, La normativa europea sul clima: una regolazione strategica o un passo troppo timido, Riv. giur. dell’ambiente, 2022, n. 29.
[28] È questa anche la posizione dell’Avvocatura dello Stato, comparsa di risposta, pag. 27: “L’accordo di Parigi si basa sulla definizione di contributi nazionali non vincolanti di mitigazione, che devono essere stabiliti autonomamente da ciascuna delle parti contraenti (sistema bottom-up…..e soggetti a periodica revisione sulla base delle indicazioni che verranno elaborate dalle istituzioni e dagli organismi previsti dal sistema della Convenzione quadro dell’Accordo stesso…..Per assicurare l’attuazione degli impegni non sono stati, comunque, previsti meccanismi sanzionatori, essendosi privilegiata la diversa strategia di affidare il successo dell’accordo a piani contenenti contribuzioni alla riduzione globale delle emissioni volontariamente e ambiziosamente assunte dagli Stati”.
[29] Avvocatura dello Stato, comparsa di risposta, pag. 15.
[30] Al riguardo v. anche la recentissima Cass. sez. un. 19 giugno 2024 n. 16837: “Il difetto assoluto di giurisdizione per invasione della sfera riservata al legislatore è configurabile quando il giudice speciale ha applicato una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete”.
[31] In senso, direi, del tutto conforme, BELLOMO, Nuovo sistema del diritto amministrativo, cit., 43, il quale fa degli esempi analoghi a quelli sviluppati nel testo. Si legge: “Esempi di interessi di fatto aderenti a tale nozione (ovvero alla circostanza che non attribuiscono corrispondenti diritti ai cittadini) possono indicarsi nell’interesse ad una buona e funzionante illuminazione pubblica, alla manutenzione delle pubbliche strade, alla funzionalità e qualità dei servizi pubblici”.
Di nuovo appare chiaro che nessun cittadino può adire il giudice per pretendere dallo Stato, genericamente, l’adempimento di questi doveri.
[32] V., senza alcuna pretesa di completezza, LENER, Potere (dir. priv.), voce dell’Enc. del Diritto, Milano, 1985, XXXIV, 610; CESARINI SFORZA, Diritto soggettivo, voce dell’Enc. del Diritto, Milano, 1964, XII, 659; FALZEA, Efficacia giuridica, voce dell’Enc. del Diritto, Milano, 1965, XIV, 432 e ss.; SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1997, 70 e ss.; BETTI, Dovere giuridico (teoria gen.), voce dell’Enc. del Diritto, Milano, 1965, XIV,53 e ss.
[33] CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli, 1923, I, 2: “Analizzando l’idea del diritto soggettivo, si trova che questo si risolve in una volontà concreta di legge. Ogni norma contenuta nella legge è una volontà generale, astratta, ipotetica, subordinata cioè al verificarsi di determinati fatti. Ogni volta si verifica il fatto o il gruppo di fatti previsti dalla norma, si forma una volontà concreta della legge, in quanto dalla volontà generale e astratta nasce una volontà particolare che tende ad attuarsi nel caso singolo”.
[34] In questo senso, ancora, VINCRE – HENKE, Il contenzioso climatico: problemi e prospettive, Rivista di Biodiritto, 2023, 143 per i quali le fonti normative di protezione dell’ambiente raffigurano situazioni giuridiche protette “tanto al singolo soggetto quanto alla collettività”.
[35] Per tutti v. CARNELUTTI, Teoria generale del diritto, Roma, 1951, 161, il quale, seppur con diverse parole, ritengo manifestasse la stessa idea: “La differenza tra diritto soggettivo e facoltà è facile da tracciare sul filo della differenza tra l’agere e il iubere: la facoltà non esce dalla sfera dell’interesse proprio mentre il diritto soggettivo invade la sfera dell’interesse altrui”.
[36] V. Cass. 28 agosto 2009 n. 18783; Cass. 3 marzo 2008 n. 5743; Cass. 9 settembre 2004 n. 18184; Cass. 1° giugno 2001 n. 7448;
[37] CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli, 1923, I, 169; L. MONTESANO, Condanna civile e tutela esecutiva, Napoli, 1965, 185, e ID., La tutela giurisdizionale dei diritti, Torino, 1994, 175.
[38] Così LUISO, Diritto processuale, Il processo esecutivo, Milano, 2009, 23, secondo la tradizione della dottrina, tra la quale ricordo: REDENTI, Diritto processuale civile, Milano, 1957, II, 121; ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, Napoli, 1957, 12; GRASSO, Titolo esecutivo, voce dell’Enc. del Diritto, Milano, 1992, XLIV, 692, per il quale il diritto certo è quello che “deve emergere esattamente e compiutamente, nel suo contenuto e nei suoi limiti dal relativo provvedimento giurisdizionale o atto negoziale”. In giurisprudenza Cass. 25 febbraio 1983 n. 1455: “Requisito essenziale dei titoli esecutivi, giudiziali e stragiudiziali, menzionati dall' c. p. c. è la certezza del diritto risultante dal titolo stesso, intesa nel senso che la situazione giuridica accertata in favore di un soggetto deve emergere esattamente e compiutamente, nel suo contenuto e nei suoi limiti dal relativo provvedimento giurisdizionale”. Scriveva altresì Giuseppe Chiovenda che: “La sentenza di condanna presuppone la convinzione del giudice che in base alla sentenza si possa senz’altro, o immediatamente dopo un certo tempo, procedere dagli organi dello Stato agli atti ulteriori necessari per l’effetto del conseguimento del bene garantito dalla legge (v. infatti CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli, 1923, I, 169).
[39] VINCRE – HENKE, Il contenzioso climatico: problemi e prospettive, Rivista di Biodiritto, 2023, 149, ritengono che potrebbe risolvere il problema, in questi casi, l’esecuzione indiretta di cui all’art. 614 bis c.p.c.; il tutto, comunque, in una prospettiva “difficile da pronosticare”.
Io non credo, tutto al contrario, che in questi casi la strada dell’art. 614 bis c.p.c. sia percorribile, poiché nella misura in cui gli obblighi di fare oggetto di questi contenziosi consisterebbero in interventi normativi dello Stato, rimessi peraltro al suo potere amministrativo/discrezionale, e da realizzarsi nel bilanciamento con tutti gli altri diritti e interessi pubblici coinvolti, trovo del tutto inammissibile che a fronte di ciò il giudice possa condannare lo Stato ad una somma di denaro quale sanzione per ogni giorno di ritardo nell’attuazione delle misure.
Se poi si aggiunge che questi obblighi di fare sui quali l’art. 614 bis c.p.c. dovrebbe operare sarebbero contenute in un dispositivo della sentenza a contenuto del tutto generico, e tale da rendere praticamente impossibile una verifica oggettiva dell’adempimento o meno della sentenza,
[40] Sulla legittimazione processuale v. ora L. GALATI, Processo senza soggetti, Milano, 2021, 156 e ss.
[41] In questo senso anche l’Avvocatura generale dello Stato, comparsa di risposta, pag. 22: “Gli odierni attori non appaiono legittimati ad agire in giudizio per lamentare forme di alterazione indiretta dell’ambiente, quali potrebbero essere le conseguenze del cambiamento climatico dovuto ad emissioni di gas serra, in quanto titolari di una posizione indifferenziata rispetto a quella di qualunque altro soggetto”.
A conferma di questa posizione l’Avvocatura dello Stato richiamava i precedenti comunitari di: a) caso Armando Carvalho e a.v. Consiglio e Parlamento europeo (causa T-330/18); b) Corte di Giustizia, 15 luglio 1963, causa C-25/62, Plaumann, punto 199; c) CEDU Lopez Ostra v. Spagna 1994; d) CEDU Guerra v. Italia, 1998; e) CEDU Oneryildiz v. Turchia, 2004; f) CEDU Cordella v. Italia, sentenza 24 gennaio 2019, sul caso “Ilva”.
[42] N. DE SADELEER, Il contenzioso climatico dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, Riv. giur. dell’Ambiente, n. 57, 2024, ricorda che per la menzionata sentenza CEDU, la legittimazione ad agire spetta solo quando v’è: “il «rischio reale» di un «impatto personale e diretto» sul ricorrente”, che: “debba essere «particolarmente elevato» (§§ 486 - 488), il che esclude un semplice pregiudizio superficiale. Quindi, la vittima dovrebbe essere «esposta in modo intenso agli effetti del cambiamento climatico», il che implica “un bisogno imperioso di garantire la sua protezione individuale” (§ 487)”.
[43] V. Cons. Stato, 20 settembre 2024, III, n. 7704.
[44] Per una critica alla legittimità generalizzata delle associazioni a far valere in giudizio interessi diffusi v. ora anche PROTO PISANI – VERDE, Verso una giurisdizione di tipo oggettivo, nota critica a Cass. sez. un. 23 novembre 2023 n. 32559, in Riv. dir. proc., 2024, 1031, per i quali: “Il nostro sistema di giustizia – ricordiamolo – è di tipo soggettivo, in quanto il giudice può intervenire se è chiamato in causa da chi è titolare del rapporto giuridico contestato o è diretto destinatario del provvedimento impugnato”.
[45] Si veda anche, al riguardo, l’art. 34, 2° comma c.p.a., per il quale: “In nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati”.
[46] Così, espressamente, BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile, Bari, 2019, I, 47/48.
Si veda anche in argomento PAOLINI, Note sulla condanna in futuro, Riv. trim. dir. proc. civ., 1976, 507; PROTO PISANI, Appunti sulla tutela di condanna, in Appunti sulla giustizia civile, Bari, 1982, 182.
[47] v. in argomento PAGNI, Le azioni di impugnativa negoziale, Milano, 1998, 1 e ss.; MONTESANO, Obbligo a contrarre, voce dell’Enc. del Diritto, Milano, 1979, XXIX, 508 e ss.; PROTO PISANI, Appunti sulla tutela c.d. costitutiva, Riv. dir. proc. 1991, 60 e ss.
[48] V. al riguardo PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2023, 161, per il quale: “L’art. 2908 c.c. vale ad imporre il marchio della tassatività alle ipotesi riconducibili nello schema dommatico della tutela costitutiva”. V. anche DI MAIO, La tutela civile dei diritti, Milano, 1987, 307; E MONTESANO, La tutela giurisdizionale dei diritti, Torino, 1994, 155: “l’inquadramento della tutela giurisdizionale dei diritti in via determinativa sotto la categoria descritta nell’art. 2908 c.c. non è senza concrete conseguenze, giacché comporta la tipicità della tutela in esame”.
[49] V. infatti ancora PROTO PISANI – VERDE, Verso una giurisdizione di tipo oggettivo, cit., 1031 e ss.
[50] Così, espressamente, la sentenza del Tribunale di Roma 26 febbraio 2024 n. 3552, pag. 7.
[51] In questo contesto possono ricordarsi anche le pronunce del Tribunale amministrativo di Parigi del 3 febbraio 2021, con la quale è stata riconosciuta una responsabilità omissiva in relazione agli obiettivi e agli impegni comunitari e nazionali, e la sentenza della Corte Costituzionale tedesca del 29 aprile 2021, che si è pronunciata sulla parziale incostituzionalità della legge federale sui cambiamenti climatici del 2019.
[52] V. al riguardo, M. PIGNATELLI, Il sole24 ore, 12 novembre 2024.
[53] Vedila in https://hudoc.echr.coe.int/it#
[54] Rinvio alla nota n. 41.
L’avvocatura dello Stato, comparsa di risposta, pag. 16 e ss., indica poi numerose sentenze internazionali in senso conforme all’inammissibilità dei ricorsi.
[55] Corte europea dei diritti dell’uomo, Gran Camera 9 aprile 2024: “La Corte, all'unanimità, ha dichiarato irricevibile il ricorso presentato da sei cittadini portoghesi relativamente alle ricadute, odierne e future, del cambiamento climatico”; F.Z. GIUSTINIANI, Contezioso climatico e diritti umani: il ruolo delle Corti europee sovranazionali, in Federalismi.it., 2023, 271 e ss.
[56] Così espressamente Corte Cost. 26 marzo 2015 n. 49; conforme Corte Cost. 4 dicembre 2009 n. 317: “Con riferimento ad un diritto fondamentale garantito anche dalla Convenzione europea per i diritti dell'uomo, il rispetto degli obblighi internazionali non può mai essere causa di una diminuzione di tutela rispetto a quelle già predisposte dall'ordinamento interno, ma può e deve, viceversa, costituire strumento efficace di ampliamento della tutela stessa. In particolare, la Corte non può ammettere che una tutela superiore, che sia possibile introdurre per il tramite dell'art. 117, primo comma, Cost., rimanga sottratta ai titolari di un diritto fondamentale. L'obiettivo di massima espansione delle garanzie deve essere conseguito attraverso lo sviluppo delle potenzialità insite nelle norme costituzionali che tutelano i medesimi diritti protetti a livello convenzionale e nel necessario bilanciamento con altri diritti fondamentali costituzionalmente garantiti, suscettibili di essere incisi dall'espansione di una singola tutela. La protezione dei diritti fondamentali deve, dunque, essere sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro, e la realizzazione di un equilibrato sistema di tutela è demandata, per gli ambiti di rispettiva competenza, al legislatore, al giudice comune e al giudice delle leggi. Il risultato complessivo dell'integrazione delle garanzie dell'ordinamento deve essere di segno positivo, nel senso che dall'incidenza della singola norma Cedu sulla legislazione italiana deve derivare un plus di tutela per tutto il sistema dei diritti fondamentali. Resta fermo che la Corte costituzionale non può sostituire la propria interpretazione di una disposizione della Cedu a quella della Corte di Strasburgo, con ciò uscendo dai confini delle proprie competenze, in violazione di un preciso impegno assunto dallo Stato italiano con la sottoscrizione e la ratifica, senza l'apposizione di riserve, della Convenzione, ma può valutare come ed in qual misura il prodotto dell'interpretazione della Corte europea si inserisca nell'ordinamento costituzionale italiano. La norma Cedu, nel momento in cui va ad integrare il primo comma dell'art. 117 Cost., da questo ripete il suo rango nel sistema delle fonti, con tutto ciò che segue in termini di interpretazione e bilanciamento, che sono le ordinarie operazioni compiute dalla Corte in tutti i giudizi di sua competenza”. V. anche in senso analogo Corte Cost. 11 marzo 2011 n. 80.
[57] P. CALAMANDREI, La relatività del concetto di azione, Studi sul processo civile, Padova, 1947, V, 26.
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