ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Giustizia penale e ideologie emergenziali
di Giorgio Spangher
Sommario: 1. Premessa. - 2. Oralità e cartolarità. - 3. La detenzione carceraria. - 4. Le misure cautelari. - 5.Gli orizzonti.
1. Premessa.
Una analisi Intesa a verificare il substrato culturale e ideologico sotteso alla parte della normativa d’urgenza relativa alla giustizia penale non dovrebbe arrovellarsi più di tanto, tanto sono esplicite ed evidenti le relative linee ispiratrici.
Invero, le aree interessate dal d.l. n. 18 del 2020, ed ancor più dagli emendamenti approvati al Senato con il maxiemendamento con la successiva fiducia evidenziano chiaramente dove “batte il mare” della maggioranza parlamentare o almeno di quella parte di essa che, silente l’altra, governa ormai da tempo l’area della giustizia e di quella penale in particolare.
Come è noto le aree di intervento sono due: processi e libertà personale. Il primo è cristallizzato nell’art. 83, dove non casualmente è regolata anche la materia della custodia preventiva e il secondo è disciplinato dagli artt. 123 e 124 dove trovano disciplina i profili legati all’esecuzione della pena negli istituti penitenziari.
Con riferimento alla prima tematica la logica sottesa alla normativa – dopo una prima fase orientata alla sospensione – è quella finalizzata alla celebrazione dei processi da remoto: l’ulteriore logica delle previsioni è sicuramente quella tesa ad anticipare la logica già da tempo orientata alla c.d. smaterializzazione del processo, come si è evidenziata con la riforma Orlando degli artt. 139 bis, 146 bis e 45 bis disp. att. c.p.p.
2. Oralità e cartolarità.
Invero, come succede spesso nelle fasi emergenziali, i precari equilibri sui quali si reggono le previsioni frutto di compromessi, si rompono e si cerca di “spostare in avanti gli equilibri” sui quali si regge la materia. E’ evidente che l’epidemia come emerge quotidianamente è lo strumento attraverso il quale si cerca di perfezionare e consolidare la filosofia di un processo che punta alla marginalizzazione della difesa e al ridimensionamento del contraddittorio effettivo a vantaggio di uno meramente formale.
In altri termini si cerca di ottenere nei fatti quella dimensione del processo che pone a fondamento le esigenze decisionali di cui è garante il solo giudice monocratico, la cui collegialità appare sempre più marginale, e il pubblico ministero per la fase investigativa di cui si cerca di consolidare i risultati.
Irrilevanti si prospettano i contributi difensivi filtrati dalla asettività, impersonalità, precarietà del mezzo tecnologico.
Il processo assume il ruolo di un rito virtuale, impersonale, freddo, un contenitore algido, con soggetti separati nella lontananza delle immagini spersonalizzate.
Questi elementi obliterano l’aspetto più importante che la informatizzazione avrebbe dovuto e dovrebbe realizzare: la sburocratizzazione degli adempimenti per l’espletamento delle attività procedurali: notificazioni, deposito degli atti, formazione dei fascicoli, o quant’altro non implichi riflessi che superano gli elementi puramente formali, escludendo quelli di merito.
Il dato trova una precisa conferma nella visione che si vuole assegnare al processo in Cassazione, perfezionando la vocazione alla sua auspicata cartolarità, che sottende molte implicazioni tese a ridurre il confronto delle opinioni, alimento che dovrebbe, invece, nutrire la funzione nomofilattica del Supremo Collegio, attraverso il confronto delle idee.
Innestato sulla freddezza che ha ormai attanagliato il fatto, anche la questio iuris si inaridisce nella cartolarità delle argomentazioni.
3. La detenzione carceraria.
Si potrebbe pensare che sia stata dedicata maggiore sensibilità al tema della restrizione nelle carceri, considerato quanto previsto dagli artt. 123 e 124, attraverso il parziale recupero di quanto previsto dalla legislazione svuota carceri, in particolare dalla l. n. 199 del 2010 che, infatti, viene in parte richiamata.
Si tratta di pura apparenza, perché il dato non risulta calibrato sull’effettiva condizione penitenziaria, relativamente al suo stato di degrado, ma esclusivamente sull’abbassamento della tensione sfociata nelle manifestazioni dei detenuti.
Lungi dall’affrontare il tema delle carcere nei suoi profili strutturali, si è preferito un provvedimento tampone che non trova le sue premesse neppure nella verifica delle condizioni sanitarie indotte dall’emergenza.
Questo elemento è stato sicuramente condizionato dalla mancanza di un intervento in materia da parte del Ministro della Salute che avrebbe dovuto – e peraltro dovrebbe e potrebbe ancora verificare, come è nella sua competenza, le condizioni sanitarie oggettive e soggettive.
Si consideri sul punto quanto è previsto in generale dall’art. 11 della l. n. 354 del 1975, nonché più specificamente dall’art. 286 bis c.p.p. relativamente al divieto della custodia in carcere per i soggetti affetti da HIV.
In altri termini, posto l’art. 32 Cost. che tutela la salute individuale e collettiva, riconosciuto come diritto fondamentale, il tema avrebbe richiesto una approfondita riconsiderazione delle condizioni di vita collettiva nella situazione di restrizione che supera la mera situazione dell’affollamento. Sarebbe stato necessario e sarebbe necessario, fra le altre, verificare le condizioni di socialità, regolare le modalità di aggregazione, indicare le malattie suscettibili di accentuare il rischio connesso a possibili contagi.
4. Le misure cautelari.
Questa mancata iniziativa oltre a prevenire le situazioni interne agli istituti penitenziari, in relazione non solo ai detenuti, ma anche con riferimento agli operatori penitenziari, alla polizia penitenziaria, al personale amministrativo, ha condizionato le scelte relative ai soggetti ristretti in carcere in esecuzione di una misura cautelare.
Conseguentemente, questo elemento è rifluito nella disciplina processuale che – come anticipato – è rimasta non solo insensibile a questa condizione personale del ristretto ma addirittura ha imposto la sospensione dei termini della custodia e ne ha aggravato la condizione.
Una attenta valutazione della condizione dell’epidemia nelle carceri, con le conseguenti implicazioni, avrebbe contribuito a riconsiderare l’intero sistema delle cautele, alla luce del mutato quadro di riferimento dei pericula libertatis e delle presunzioni relative della pericolosità.
Dall’esclusione del carcere, fatte salve le situazioni di pericolosità assoluta e di eccezionali esigenze cautelari, il criterio processuale del carcere extrema ratio, così ridimensionato ulteriormente, avrebbe – dovrebbe – comportare scelte processuali calibrate sulla situazione delle cautele e conseguentemente sulle altre misure restrittive (arresti domiciliari) e non custodiali.
5.Gli orizzonti.
Come anticipato in esordio, la filosofia sottesa alla normativa d’urgenza si muove e continua a muoversi su piani slegati e senza progettualità, consegnando alla fine dell’emergenza tutte le problematicità esistenti, ma anche profonde divisioni tra gli operatori della giustizia.
Sul fronte del processo si scontreranno quelli che vorranno consolidare il modello di processo emerso dalla “sperimentazione”, a cui si contrapporranno le opinioni di coloro i quali chiederanno che si fermi la deriva di un processo “contenitore tecnologico”, sollecitando invece, scelte nel nome dell’efficienza degli strumenti informatici.
Sul fronte del carcere, si riproporrà il confronto mai sopito sul ruolo della pena, tra funzione retributiva e dimensione rieducativa, in attesa che Corte edu e Corte Costituzionale arginino le situazioni che maggiormente stridono con la dignità e l’umanità della reclusione, aprendo qualche spiraglio alle misure alternative. L’applicazione delle misure cautelari, non intaccata da qualche decisione ispirata al favor, resterà marchiata dal suo codice genetico, legato all’anticipazione della colpevolezza.
La giustizia dall’animazione sospesa passa in terapia intensiva: altri sviluppi della legislazione d’emergenza nel processo civile (note a prima lettura alla legge di conversione del d.l. n. 18 del 2020).
di Franco De Stefano
Sommario: 1. La proroga secca. - 2. Le modifiche in sede di conversione del d.l. n. 18 (Cura Italia). - 3. Novità di ordine generale. - 4. Le modifiche alla fase uno. - 5. Le modifiche alla fase due. - 6. Specificità per i giudizi di cassazione. - 7. Epilogo.
1. La proroga secca.
In materia di Giustizia, già posta in stato di animazione sospesa, intervengono almeno due norme di notevole impatto.
Va prima di tutto segnalato che l’art. 36 del d.l. 8 aprile 2020, n. 23 (Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali), prevede, al suo comma 1, che il termine del 15 aprile 2020 previsto dall’articolo 83, commi 1 e 2, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 è prorogato all’11 maggio 2020; e si premura di soggiungere che, di conseguenza, il termine iniziale del periodo previsto dal comma 6 del predetto articolo è fissato al 12 maggio 2020.
L’articolo estende la sua applicazione, coi consueti limiti di compatibilità, ai procedimenti di cui ai commi 20 e 21 dell’articolo 83 del decreto-legge n. 18 del 2020; i quali, nel testo originario, precedente cioè la modifica di cui alla legge di conversione, sono: i procedimenti di mediazione ai sensi del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, i procedimenti di negoziazione assistita ai sensi del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, tutti i procedimenti di risoluzione stragiudiziale delle controversie regolati dalle disposizioni vigenti, i procedimenti relativi alle commissioni tributarie e alla magistratura militare.
La proroga al giorno 11 maggio non si applica ai procedimenti penali in cui i termini di cui all’articolo 304 del codice di procedura penale scadono nei sei mesi successivi all’11 maggio 2020 e quindi fino all’11 novembre 2020; e non si applica neppure nel processo amministrativo, se non per i termini per la notificazione dei ricorsi, fermo restando quanto previsto dall’articolo 54, comma 3, del relativo codice.
Al contrario, la proroga del termine di cui al comma 1, primo periodo, si applica altresì a tutte le “funzioni e attività della Corte dei conti”, come elencate nell’art. 85 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18.
Rimane quindi la distinzione in due fasi, la prima di sospensione generalizzata ed ampia con eccezioni e che impatta in modo deciso sulla funzionalità della giustizia, la seconda di regime articolato intermedio verso una ripresa che si presume – o, più verosimilmente, si auspica – complessiva o definitiva: ma si interviene solo sulla fase uno, che è aumentata fino a quasi due mesi, senza modificare – per ora – il termine finale anche della fase due (al 30 giugno, data sempre più prossima) e quindi riducendo in modo corrispondente la fase due, dell’organizzazione duttile e flessibile, anche territorialmente differenziata, che in origine era articolata su due mesi e mezzo ed ora si limita a poco meno di due, cioè un tempo inferiore a quello dell’emergenza acuta.
In definitiva, si tratta di una scelta probabilmente imposta dall’andamento dell’epidemia, ma ancora una volta inopportunamente indifferenziata, che cristallizza la situazione delle prime ore, dalla quale potrebbe forse adesso trarsi ogni utile spunto per superare il rischio di un immobilismo mortale, comprensibile ed in parte giustificabile solamente nei primi momenti di sbandamento e di priorità, nell’emergenza acuta, dell’imperiosa esigenza di prevenire l’impennata dei contagi e di organizzare la linea del Piave per la ripartenza dell’offensiva alla malattia e soprattutto della società nel suo complesso.
Altre quattro settimane di piena paralisi sono molte, moltissime; oltretutto, la comprensibile rigidità della fase uno impedisce l’adozione, fin d’ora, di strumenti agili e flessibili come quelli previsti dai commi sei e sette, esclusivo appannaggio della fase due, salva l’impervia strada della dichiarazione di urgenza ope iudicis e, beninteso, ferma la trattazione dei procedimenti definiti tali per legge o, auspicabilmente, nei casi dubbi a tale categoria ricondotti da provvedimento ricognitivo del giudice.
Lo stato di animazione sospesa (quasi un coma farmacologico) in cui era stata collocata la Giustizia col d.l. 18 si trova quindi protratto, come una terapia, dall’art. 36 del d.l. 23; ma, al tempo stesso, qualche intervento per limitare gli effetti nefasti che possono temersi dalla protrazione di questo stato di cose si tenta con le modifiche arrecate in sede di conversione del primo: come se, insomma, almeno si volesse trasferire il paziente in terapia intensiva, una volta che questo possa ancora dare segni vitali e potenzialità di ripresa o, almeno, per non rendere quest’ultima ancora più complicata o non lasciare postumi invalidanti permanenti irreversibili.
2. La legge di conversione del d.l. 18/20 (Cura Italia).
All’esito della modifica arrecata al Senato (il 9 aprile 2020), il testo finale della legge di conversione del d.l. n. 18 del 2020 è stato varato dalla Camera dei Deputati il 24 aprile.
L’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020 ne risulta trasformato in una norma ancora più complessa di almeno trentaquattro commi.
La disciplina diventa molto frastagliata proprio in ordine all’individuazione delle fasce temporali di applicazione, che vengono pure talvolta differenziate all’interno della tendenziale bipartizione nella fase uno (fino al giorno 11/05) e due (fino al 30/06, almeno allo stato).
Per quanto riguarda il civile e il processo in generale dell’art. 83 d.l. 18/2020 sono stati modificati:
- il comma 3, con l’affinamento dell’elenco dei procedimenti esclusi dalla sospensione nella fase uno;
- il comma 7, con la precisazione delle udienze civili in cui sarà possibile, nella fase due, la modalità da remoto, ma pure con l’estensione di queste alle attività di tutti gli ausiliari di tutti i giudici;
- il comma 20, quanto alla sospensione dei procedimenti di mediazione o risoluzione stragiudiziale delle controversie.
Sempre per il processo civile o in generale sono state:
- previste modalità di deposito telematico di atti nei procedimenti civili in Cassazione;
- abilitate le celebrazioni da remoto delle camere di consiglio, ma nella sola fase due e per i soli procedimenti non sospesi;
- previste modalità di svolgimento da remoto a determinate condizioni degli incontri di mediazione;
- introdotte nuove modalità di conferimento delle procure in ogni procedimento civile, con previsione di un termine finale pericolosamente incerta o mobile.
Non è questa la sede per occuparsi specificamente di modifiche ad altre disposizioni complementari, come l’art. 103 (formalmente dedicato ai procedimenti amministrativi, ma che, con disposizione assolutamente incongrua per la sedes materiae proclamata nella rubrica, potrebbe finire con l’estendersi ai procedimenti esecutivi e concorsuali fino al 15/04/2020, oltre che, secondo quanto già previsto dall’originario comma 6, alle procedure di rilascio fino al 01/09/2020) o l’art. 54-ter (sulla sospensione delle procedure esecutive sulle prime case). Basti allora un cenno al fatto che il primo prevede (al co. 1-bis) una sospensione, curiosamente limitata però al solo 15 aprile 2020, in materia di procedimenti amministrativi, per i “termini relativi ai processi esecutivi e alle procedure concorsuali, nonché ai termini di notificazione dei processi verbali, di esecuzione del pagamento in misura ridotta, di svolgimento di attività difensiva e per la presentazione di ricorsi giurisdizionali” (nonostante questi procedimenti nulla abbiano in comune con i procedimenti amministrativi, come insegna la dottrina processuale da almeno settant’anni); ma si interviene pure sui procedimenti amministrativi per il recupero di somme dovute in materia di lavoro e legislazione sociale, con una ancora più curiosa modulazione del relativo periodo di sospensione, dal 23 febbraio al 31 maggio 2020, estesa anche al relativo termine prescrizionale.
3. Novità di ordine generale.
Incide su norme generali del processo, non solo civile, la liberalizzazione dello svolgimento da remoto di tutte le attività di tutti gli ausiliari del giudice (e, attesi i richiami delle rispettive discipline, anche di quelli dei magistrati), alla condizione generale della salvaguardia del contraddittorio e dell’effettiva partecipazione delle parti: si tratta della lettera h-bis del co. 7: pertanto, è disposizione studiata e dettata per la fase due (12 maggio – 30 giugno 2020) ed anche stavolta tutto è rimesso al provvedimento del capo dell’ufficio giudiziario. Al riguardo, è auspicabile un indirizzo unitario coordinato a livello nazionale dal CSM in sede di adozione delle linee guida, ma comunque a livello distrettuale dal presidente della Corte d’appello. L’ampiezza della lettera della legge dovrebbe consentire una auspicabile corrispondente ampiezza del ricorso a tali modalità, nel rispetto del principio di libertà delle forme e dei soli due obiettivi appena visti come riconosciuti meritevoli di garanzia. Pertanto, in applicazione di principi generali del processo civile, nessuna eventuale nullità derivante dalla violazione delle relative norme, primarie, secondarie o subsecondarie, potrà essere dichiarata ove l’atto abbia comunque raggiunto il suo scopo ed il diritto di difesa della parte non sia stato in concreto pregiudicato.
Incide invece su norme generali del processo, stavolta soltanto civile, la previsione del nuovo comma 20-ter, la cui durata è ancorata ad una data futura ed incerta quale la “cessazione delle misure di distanziamento previste dalla legislazione emergenziale in materia di prevenzione dal contagio COVID-19”: in forza di tale disposizione, nei procedimenti civili la sottoscrizione della procura alle liti può essere apposta dalla parte anche su un documento analogico trasmesso al difensore, anche in copia informatica per immagine, unitamente a copia di un documento di identità in corso di validità, anche a mezzo strumenti di comunicazione elettronica. In tal caso, l’avvocato certifica l’autografia mediante la sola apposizione della propria firma digitale sulla copia informatica della procura. La procura si considera apposta in calce, ai sensi dell’articolo 83 del codice di procedura civile, se è congiunta all’atto cui si riferisce mediante gli strumenti informatici individuati con decreto del Ministero della giustizia. Si tratta di norma che, quindi, per potere concretamente operare necessita di un atto di normazione secondaria peculiare, quale appunto il decreto ministeriale; ma ogni relativa irregolarità (tra cui l’adozione con modalità in parte difformi, se non forse anche l’applicazione di simili modalità prima della formale pronuncia del Ministro), tranne il solo caso delle procure speciali previste per peculiari giudizi (come quello di legittimità), deve potersi sanare ai sensi dell’art. 182 c.p.c., configurandosi al riguardo una potestà del giudice (e, quindi, un suo autentico potere-dovere in tal senso).
Per un periodo diverso ed estraneo alla modulazione della tempistica finora esaminata, siccome individuato tra il 16 aprile ed il 31 maggio 2020, è poi la riduzione a modalità da remoto, fatta salva una diversa ed evidentemente specifica disposizione del giudice (sicché, in mancanza di positivo intervento di questi, si dovrebbe applicare la previsione di cui appresso), degli incontri tra genitori e figli in in spazio neutro, ovvero alla presenza di operatori del Servizio Socio assistenziale, disposti con provvedimento giudiziale. Unica condizione è che siano permesse le comunicazioni audio e video tra il genitore, i figli e l’operatore specializzato, secondo le modalità che saranno individuate dal responsabile del Servizio Socio assistenziale e comunicate al giudice procedente; ma con la clausola di salvaguardia che, mancando un diverso provvedimento di questi, ove non sia possibile assicurare il collegamento da remoto gli incontri sono sospesi; e, nella dinamica dei difficili rapporti tra genitori e figli, un mese e mezzo può essere un periodo intollerabilmente lungo, sicché è auspicabile una particolare attenzione da parte del giudice, che potrebbe pur sempre, informato delle difficoltà tecniche, disporre diversamente e – beninteso – nel rispetto delle esigenze sanitarie.
La peculiarità del giudizio di legittimità specificamente introdotta per rendere trattabili i procedimenti civili dinanzi alla Corte di cassazione merita un cenno a parte, su cui v. infra.
Lo svolgimento in modalità da remoto è esteso poi – dal co. 20-bis – ai procedimenti di mediazione: a condizione del consenso di tutte le parti, questa è una facoltà generale nel periodo dal 9 marzo al 30 giugno 2020, ma si prevede pure (in modo probabilmente non del tutto congruente con la limitazione della previsione al periodo emergenziale) che in tempi successivi, sempre previo quel consenso, gli incontri possano aver luogo in via telematica, ai sensi dell’art. 3, co. 4, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, mediante sistemi di videoconferenza; e si precisa che, in caso di procedura telematica, l’avvocato, che sottoscrive con firma digitale, potrà dichiarare autografa la sottoscrizione del proprio cliente collegato da remoto ed apposta in calce al verbale ed all’accordo di conciliazione. Il verbale relativo al procedimento di mediazione svoltosi in modalità telematica sarà sottoscritto dal mediatore e dagli avvocati delle parti con firma digitale ai fini dell’esecutività dell’accordo prevista dall’art. 12 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28.
Con una generalizzazione opportuna (al co. 21), infine, la disciplina dell’intero art. 83, tra cui la suddivisione in due fasi del periodo di crisi, è estesa (oltre che alla giustizia tributaria e militare) anche ai procedimenti di competenza delle giurisdizioni speciali, anche se non contemplate direttamente od esplicitamente dal decreto legge, come pure agli arbitrati rituali, con il consueto limite generale della compatibilità.
4. Le modifiche alla fase uno.
Limitata alla fase uno, di indifferenziata sospensione di termini (salve le sole eccezioni previste), è una serie di precisazioni.
La prima riguarda i procedimenti di competenza del tribunale per i minorenni in cui è urgente ed indifferibile la tutela di diritti fondamentali della persona: si tratta di dizione volutamente ampia, idonea a garantire una discrezionalità opportuna in un settore dove una generalizzazione ex ante è spesso impropria ed inopportuna; piuttosto, è arduo il contemperamento con l’ultima parte della stessa lettera a) del co. 3, che già prevedeva l’esenzione dalla sospensione dei procedimenti in cui la ritardata trattazione avrebbe potuto produrre un grave pregiudizio alle parti, visto che la valutazione del giudice è indispensabile in entrambi i casi. A non volere ritenere che proprio in materia minorile le parti godano di una tutela minore, si può concludere che le due forme di esenzione, entrambe ope iudicis e quindi abbisognevoli di un provvedimento positivo del giudice (propriamente ricognitivo nel primo caso e costitutivo nel secondo), concorrano, ma non si escludano.
La seconda riguarda la limitazione dell’esenzione dalla sospensione delle cause relative ad alimenti od obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, parentela, matrimonio od affinità ai soli casi in cui vi sia pregiudizio per la tutela di bisogni essenziali. Valgono considerazioni analoghe a quelle appena svolte per la precisazione in tema di urgenza ed indifferibilità della tutela dei diritti fondamentali della persona nei procedimenti di competenza del tribunale per i minorenni: con la conseguenza che particolare attenzione andrà dedicata dal giudice alla valutazione della ricorrenza dei presupposti della seconda oppure dell’ultima delle ipotesi del primo periodo della lett. a) del comma 3; tuttavia, non dissimilmente che per la precedente, un richiamo indifferenziato o generico all’una o all’altra (anche con formula di congiunzione e, in alternativa, di aggiunta) dovrebbe fondare a sufficienza la determinazione del giudice competente di trattare l’affare.
La terza riguarda i particolari procedimenti elettorali di cui agli artt. 22 a 24 del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, intrinsecamente urgenti per l’indifferibilità delle decisioni in materia, soprattutto per il caso in cui le competizioni elettorali cui si riferiscono siano state tenute egualmente nonostante l’emergenza sanitaria.
Ancora, il co. 12-quinquies regolamenta le modalità di deliberazione da remoto dei provvedimenti collegiali nei procedimenti civili e penali non sospesi: alla lettera, quindi, poiché di sospensione si parla esclusivamente per la cosiddetta fase uno (mentre per la fase due rimane una ampia gamma di provvedimenti rimessi all’iniziativa dei capi degli uffici, tra i quali non si fa mai menzione della sospensione), la disciplina può applicarsi in via diretta ed immediata esclusivamente a quelli ed a quegli altri, che ordinariamente non sono sospesi, nella fase due. In particolare, dal 9 marzo 2020 al 30 giugno 2020, nei procedimenti civili e penali non sospesi, le deliberazioni collegiali in camera dì consiglio possono essere assunte mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Il luogo da cui si collegano i magistrati è considerato camera di consiglio a tutti gli effetti di legge. Nei soli procedimenti penali, dopo la deliberazione, il presidente del collegio o il componente del collegio da lui delegato sottoscrive il dispositivo della sentenza o l’ordinanza e il provvedimento è depositato in cancelleria ai fini dell’inserimento nel fascicolo il prima possibile e, in ogni caso, immediatamente dopo la cessazione dell’emergenza sanitaria. Nei procedimenti civili, per i quali nulla è previsto in modo esplicito dalla legge, le modalità di deposito degli elaborati restano affidate al provvedimento del singolo capo dell’ufficio, se intervenuto ai sensi del co. 7, oppure, in mancanza, dal giudice (o, in caso di collegio, dal suo presidente) che vi provvede.
5. Le modifiche alla fase due.
Nonostante l’evidente opportunità di una generalizzazione di tali precisazioni, tale disciplina (del co. 12-quinquies) è espressamente limitata anche temporalmente, dal 9 marzo al 30 giugno 2020, benché dall’11 maggio non vi siano più procedimenti sospesi; ma può ritenersi codificazione esplicita di principi della materia, quale quello dell’equiparazione alla camera di consiglio “in presenza” del luogo o dei luoghi da cui si collegano i magistrati dell’organo collegiale, nonché quello del deposito quanto prima dell’originale in cancelleria, oppure quello della delegabilità delle relative funzioni del presidente del collegio.
Pertanto, nulla esclude l’applicazione di analoga modalità di trattazione da remoto, purché però tanto sia reso oggetto di provvedimento ad hoc del capo dell’ufficio ai sensi della lett. f) del medesimo co. 7, adottato nel rispetto delle regole procedurali del comma 6 (vale a dire previa consultazione dell’autorità sanitaria regionale, sentito il Consiglio dell’ordine degli avvocati e comunque d’intesa col Presidente della Corte d’appello o il Procuratore generale della Repubblica presso la medesima, con la sola eccezione di Corte di cassazione e Procura generale presso quest’ultima).
Con simile provvedimento il capo dell’ufficio sarà quindi ancora in facoltà di determinare le modalità di trattazione non solo delle udienze, ma pure delle adunanze (in Cassazione, anche se non partecipate) e delle relative camere di consiglio da remoto: a tale conclusione (di indifferenziato riferimento alle attività comunque espletate dal giudice nello sviluppo del procedimento come regolato davanti a lui) potendo giungersi ora anche sulla base di due nuovi argomenti testuali: in primo luogo, l’esplicita estensione – alla lett. f) – a tutte le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti e dagli ausiliari del giudice, anche se finalizzate all’assunzione di informazioni presso la pubblica amministrazione; in secondo luogo, l’inserimento della lett. h-bis (anch’essa appunto relativa alla sola fase due), con la previsione dello svolgimento dell’attività da remoto di tutti gli ausiliari del giudice, fatti salvi il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti (per cui, tra l’altro, nulla che presupponga l’esame fisico od obiettivo di cose o persone dovrebbe potersi ricondurre a tale facoltà: non certamente una visita medica sulla persona, ad esempio, o – verosimilmente – un’ispezione di luoghi).
La conclusione che si ricava è che tutte le attività funzionali alla giurisdizione civile, diverse da quelle che esigono la presenza fisica delle parti di persona, sono sostituibili, se non altro finché dura l’emergenza, con le modalità da remoto e, deve ritenersi, a condizione dell’equipollenza del contatto così istituito con quello normalmente esistente nel processo civile, di cui può comunque – e in linea di principio – garantirsi oralità, concentrazione ed immediatezza anche tra persone distanti ma adeguatamente collegate.
6. Specificità per i giudizi di cassazione.
Preliminarmente, può notarsi che, quanto alla firma dei provvedimenti civili della Corte suprema di cassazione, opportunamente il Primo Presidente della Corte di cassazione ha disposto, con suo decreto n. 40 del 18-19 marzo 2020, che, in caso di residenza del presidente o del relatore fuori Roma, possa configurarsi uno degli impedimenti per i quali l’ultima parte dell’ultimo comma dell’art. 132 cod. proc. civ. prevede la possibilità della sottoscrizione da parte del consigliere più anziano. Tale norma, conformemente alle prime valutazioni anche di altri commentatori ed in virtù di un’interpretazione estensiva, necessitata dall’eccezionalità della situazione e della probabilità della diffusione dell’impedimento dovuta alla dimensione nazionale dell’ufficio ed alla dislocazione dei suoi magistrati su tutto il territorio italiano, deve ritenersi applicabile a scalare in caso di impedimento anche del componente del collegio più anziano dopo il presidente, fino a raggiungere ed investire del potere di firma il più anziano dei componenti del collegio che non sia impedito.
Soltanto un cenno poi, per il grande impatto pratico che potrebbe avere per consentire la ripresa decisa delle attività della Cassazione civile ed anzi per costituire un’occasione di superamento di un anacronistico ritardo nell’applicazione delle innovazioni tecnologiche nell’ufficio di vertice della magistratura italiana, può essere qui fatto al co. 11-bis, per il quale, nei procedimenti civili innanzi alla Corte di Cassazione, ma – allo stato – sino al 30 giugno 2020, il deposito degli atti e dei documenti da parte degli avvocati può avvenire in modalità telematica nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.
Si precisa che condizione per l’attivazione del servizio è un provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, di constatazione dell’installazione e dell’idoneità delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici. Va di pari passo l’abilitazione dei difensori delle parti al pagamento del contributo unificato di cui all’art. 14 d.P.R. 30 maggio. 2002, n. 115 (e dell’anticipazione forfettaria di cui all’art. 30 del medesimo decreto), dovuto per il deposito telematico degli atti dì costituzione in giudizio presso la Corte di Cassazione, mediante sistemi telematici di pagamento anche tramite la piattaforma tecnologica di cui all’articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.
La sperimentazione pare avviata proprio in queste ore.
E proprio in queste ore è stato pubblicato sul sito istituzionale della Corte un protocollo di intesa tra la Corte di cassazione, il Consiglio Nazionale Forense e la Procura Generale presso la Corte per la trattazione delle adunanze camerali civili (e delle udienze ex art. 611 c.p.p.), dichiarato immediatamente efficace e valido fino al 30/06/2020 e del quale il CNF si impegna a dare ampia pubblicità, in base al quale:
1. il provvedimento di fissazione dell’adunanza o dell’udienza camerale conterrà l’invito ai difensori a trasmettere, ove nella loro disponibilità e secondo le forme di cui agli articoli seguenti del protocollo, entro sette giorni dal ricevimento della comunicazione stessa, copia informatica - in formato pdf - degli atti processuali del giudizio di cassazione, sia civili che penali, già in precedenza depositati nelle forme ordinarie previste dalla legge (per il civile: ricorso, controricorso, nota di deposito ex art. 372, comma 2, c.p.c., provvedimento impugnato); con espresso avvertimento che nel caso in cui non pervengano nel detto termine in cancelleria tali copie, la trattazione della causa, già fissata, potrà essere rinviata a nuovo ruolo ove il collegio non sia in condizione di decidere nella camera di consiglio da remoto;
2.1. il difensore provvederà a trasmettere gli atti richiesti, dei quali abbia la disponibilità, mediante invio dal proprio indirizzo di posta elettronica certificata risultante dal RE.G.IND.E., congiuntamente:
a. agli indirizzi di posta elettronica certificata delle cancellerie della Corte di cassazione e delle segreterie della Procura Generale, che saranno previamente comunicati al Consiglio Nazionale Forense ed adeguatamente pubblicizzati sui rispettivi siti internet dei soggetti che sottoscrivono il presente protocollo,
b. all’indirizzo di posta elettronica certificata dei difensori delle altre parti processuali risultante dai pubblici registri di cui all’art. 16.ter del d.l. n. 179 del 2012 e successive modificazioni;
2.2. l’invio dovrà essere fatto separatamente per ciascuno dei ricorsi per i quali si è ricevuto l’avviso di fissazione dell’udienza ed il messaggio dovrà contenere la chiara indicazione nell’oggetto del numero del ruolo generale, della sezione, civile o penale, della data dell’udienza o adunanza secondo il format che verrà previamente comunicato ed adeguatamente pubblicizzato;
2.3 l’adesione all’invito di cui al presente protocollo implica, in capo ai difensori, l’impegno a trasmettere copie informatiche di contenuto uguale agli originali o alle copie già presenti nel fascicolo cartaceo;
2.4 con analoghe modalità di cui ai punti 2.1. e 2.2. potranno essere trasmesse le memorie ai sensi degli artt. 380-bis, 380-bis 1 e 380-ter c.p.c.;
2.5 resta fermo quanto previsto dai decreti del Primo Presidente della Corte di cassazione innanzi richiamati, quanto alla trasmissione delle memorie e dei motivi aggiunti nei procedimenti civili e penali;
2.6 ciascuna delle parti processuali ha facoltà di trasmettere tutti gli atti del processo, ivi compresi quelli depositati dalle altre parti;
3. la trasmissione degli atti indicati nell’art. 1 dovrà avvenire entro e non oltre il settimo giorno successivo alla ricezione dell’avviso di fissazione dell’udienza o adunanza camerale. Nel caso in cui non pervengano nel detto termine in cancelleria le copie informatiche di tutti gli atti rilevanti, la trattazione della causa, già fissata, potrà essere rinviata a nuovo ruolo ove il collegio non sia in condizione di decidere nella camera di consiglio da remoto, per avere già acquisito le copie di atti e documenti;
4.1. la Procura Generale provvederà a trasmettere agli indirizzi di posta elettronica certificata delle cancellerie della Corte di cassazione ed agli indirizzi di posta elettronica certificata dei difensori di cui al punto 2.1, copia informatica degli atti processuali del giudizio di cassazione, sia civili che penali, già in precedenza depositati nelle forme ordinarie previste dalla legge;
4.2. con le stesse modalità potranno essere trasmesse le conclusioni scritte ai sensi degli artt. 380-bis.1 e 380-ter c.p.c., nonché le richieste e le memorie di cui all’art. 611 c.p.p.;
5. La Camera di Consiglio sarà svolta secondo le modalità indicate nei decreti del Primo Presidente nn. 44 del 23 marzo e 47 del 31 marzo 2020;
5.2. per quanto attiene il deposito delle note di cui al punto 2.5, sarà onere delle cancellerie provvedere all’inserimento nei fascicoli cartacei, ai fini della loro completezza;
6. la trasmissione della copia informatica dell’originale cartaceo non sostituisce il deposito nelle forme previste dai codici di rito, civile e penale, né determina rimessione in termini per le eventuali decadenze già maturate.
7. Epilogo.
Qualcosa, insomma, si muove. La Giustizia, colpita al cuore anch’essa da una sciagura senza precedenti e paralizzata per la fase acuta dell’emergenza, può ambire ad essere spostata dall’animazione sospesa prima alla terapia intensiva e poi in corsia, perché vuole dare il suo contributo al Paese; questi provvedimenti, nel complesso, offrono agli operatori qualche strumento per agire in questa direzione: e, impregiudicate beninteso le priorità sanitarie e la sicurezza minima di tutti i lavoratori ed i soggetti coinvolti nelle attività giurisdizionali, starà a loro, nell’ampio ventaglio di possibilità comunque offerto o ricavabile da una normativa comunque complessa, applicarli al meglio delle loro possibilità.
Perché un Paese non può sopravvivere senza cibo, ma non può restare a lungo senza Giustizia. Perché, insieme e se lo si vuole davvero, ce la si può fare.
Covid-19 e sospensione dei termini sostanziali
di Antonio Scarpa
A fronte delle conclusioni, più o meno rassicuranti, cui sono pervenuti i primi commentatori, il testo dell’art. 83, comma 2, del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge, suscita notevoli incertezze circa l’applicabilità della sospensione ai termini di prescrizione e di decadenza.
Sommario: 1. La disciplina dei termini nella normativa sull’emergenza COVID-19 – 2. I primi commenti – 3. Un tentativo di riconduzione ai principi – 4.Una breve considerazione finale.
1. La disciplina dei termini nella normativa sull’emergenza covid-19 - Com’è noto, allo scopo di contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell'attività giudiziaria, l’articolo 83, comma 2, del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni in legge, ha disposto, per il periodo dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 (termine, quest’ultimo, poi prorogato all’11 maggio 2020 dal decreto legge 8 aprile 2020, n. 23), la sospensione del “decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali”. La norma precisa che “si intendono pertanto sospesi, per la stessa durata, i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l'adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali. Ove il decorso del termine abbia inizio durante il periodo di sospensione, l'inizio stesso è differito alla fine di detto periodo. Quando il termine è computato a ritroso e ricade in tutto o in parte nel periodo di sospensione, è differita l'udienza o l'attività da cui decorre il termine in modo da consentirne il rispetto”.
Il successivo comma 6 dell’articolo 83 cit. rimette, inoltre, ai capi degli uffici giudiziari, per il periodo compreso tra il 12 maggio 2020 ed il 30 giugno 2020, l’adozione di “misure organizzative, anche relative alla trattazione degli affari giudiziari, necessarie per consentire il rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie fornite dal Ministero della salute, anche d'intesa con le Regioni, dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, dal Ministero della giustizia e delle prescrizioni adottate in materia con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, al fine di evitare assembramenti all'interno dell'ufficio giudiziario e contatti ravvicinati tra le persone”. Tali misure organizzative sono elencate nel comma 7 dell’articolo 83, e vanno dalla “limitazione dell'accesso del pubblico agli uffici giudiziari”, alla “limitazione dell'orario di apertura al pubblico degli uffici”, alla “regolamentazione dell'accesso ai servizi”, alla “adozione di linee guida vincolanti per la fissazione e la trattazione delle udienze”, alla “celebrazione a porte chiuse” delle udienze pubbliche, alla “previsione dello svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti mediante collegamenti da remoto”, alla “previsione del rinvio delle udienze a data successiva al 30 giugno 2020”, allo “svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, e la successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice”.
Il comma 8 dell’articolo 83 del decreto legge n. 18 del 2020 aggiunge, a sua volta, che “per il periodo di efficacia dei provvedimenti di cui al comma 7 che precludano la presentazione della domanda giudiziale è sospesa la decorrenza dei termini di prescrizione e decadenza dei diritti che possono essere esercitati esclusivamente mediante il compimento delle attività precluse dai provvedimenti medesimi”.
Il comma 20 dell’articolo 83 cit. ha, quindi, sospeso per lo stesso periodo “ i termini per lo svolgimento di qualunque attività nei procedimenti di mediazione ai sensi del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 ... quando i predetti procedimenti siano stati promossi entro il 9 marzo 2020 e quando costituiscono condizione di procedibilità della domanda giudiziale”.
Ancora, il comma 1-bis dell’art. 108 del decreto legge n. 18 del 2020, inserito all’atto della conversione in legge, prescrive: «1-bis. Per lo svolgimento dei servizi di notificazione a mezzo posta, di cui alla legge 20 novembre 1982, n. 890, e all’articolo 201 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, gli operatori postali procedono alla consegna delle suddette notificazioni con la procedura ordinaria di firma di cui all’articolo 7 della legge 20 novembre 1982, n. 890, oppure con il deposito in cassetta postale dell’avviso di arrivo della raccomandata o altro atto che necessita di firma per la consegna. Il ritiro avviene secondo le indicazioni previste nell’avviso di ricevimento. La compiuta giacenza presso gli uffici postali inizia a decorrere dal 30 aprile 2020. I termini sostanziali di decadenza e prescrizione di cui alle raccomandate con ricevuta di ritorno inviate nel periodo in esame sono sospesi sino alla cessazione dello stato di emergenza».
Gli articoli 34 e 42 del decreto legge n. 18/2020 hanno, dal canto loro, individuato una disciplina di proroga o sospensione dei termini decadenziali in materia di prestazioni previdenziali, assistenziali ed assicurative erogate dall'INPS e dall'INAIL.
Peraltro, con l’articolo 10, comma 2, del decreto legge 2 marzo 2020, n. 9, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 2 marzo 2020, n. 53, già a decorrere dal 3 marzo 2020 e sino al 31 marzo 2020, per i procedimenti civili pendenti presso gli uffici giudiziari dei circondari dei Tribunali cui appartenevano i comuni di cui all'allegato 1 al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° marzo 2020, erano stati sospesi “i termini per il compimento di qualsiasi atto processuale, comunicazione e notificazione” da svolgere nelle regioni di appartenenza degli indicati comuni. Il comma 4 dell’articolo 10 del decreto legge n. 9 del 2020, contemplava, sempre soltanto “per i soggetti che alla data di entrata in vigore del presente decreto sono residenti, hanno sede operativa o esercitano la propria attività lavorativa, produttiva o funzione nei comuni di cui all'allegato 1 al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° marzo 2020”, la sospensione dal 22 febbraio 2020 fino al 31 marzo 2020 dei “termini perentori, legali e convenzionali, sostanziali e processuali, comportanti prescrizioni e decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione, nonché dei termini per gli adempimenti contrattuali”. L’articolo 1 della legge di conversione del decreto legge n. 18 del 2020 ha però disposto l’abrogazione del decreto legge 2 marzo 2020, n. 9, comunque restando “validi gli atti ed i provvedimenti adottati” e facendo “salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti” sulla base del medesimo decreto legge.
Col decreto legge n. 18 del 2020 sono stati altresì abrogati gli articoli 1 e 2 del decreto legge 8 marzo 2020, n. 11, coi quali erano già stati sospesi sino al 22 marzo 2020 “i termini per il compimento di qualsiasi atto” dei “procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari, con le eccezioni indicate all'articolo 2, comma 2, lettera g”.
In definitiva, dopo la conversione in legge del decreto legge n. 18 del 2020, con riguardo espresso ai termini sostanziali di prescrizione e di decadenza, oltre ad alcune norme di settore, rimane vigente la sola esplicita previsione del comma 8 dell’articolo 83 del decreto legge n. 18 del 2020, che però riguarda il periodo compreso tra il 12 maggio e il 30 giugno 2020.
Il dubbio dell’operatore è: sono sospesi i termini di prescrizione e decadenza per il periodo dal 9 marzo 2020 all’11 maggio 2020 ?
2.I primi commenti – I dossier contenenti le schede di lettura predisposte dal sevizio studi del Senato e della Camera dei deputati ai fini dell’esame del d.l. 18/2020 (A.C. 2463) non mostrano grandi perplessità in proposito:
“In base al comma 8 (n.d.r.: dell’articolo 83), se l’adozione delle misure organizzative per il contenimento del contagio preclude la possibilità di presentare una domanda giudiziale, la decorrenza dei termini di prescrizione e decadenza dei relativi diritti è sospesa fintanto che perdurano le misure stesse. Pertanto, i termini di prescrizione e decadenza sono sospesi di diritto dal comma 2 per il periodo 9 marzo -15 aprile (9 marzo - 11 maggio, in base al decreto-legge n. 23/2020) ma potranno essere sospesi anche successivamente, fintanto che perdurano le misure organizzative di contenimento del virus, se tali misure precludono la possibilità di presentare una domanda giudiziale”.
Anche la Relazione su novità normativa dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo n. 28/2020 del 1 aprile 2020, pur lamentando che la disposizione in esame non è “affatto perspicua”, è giunta alla conclusione che sia “ferma la sospensione dei termini sostanziali di prescrizione e decadenza nella fase di sospensione ex lege di tutti i termini processuali”.
A.Panzarola, M. Farina, L'emergenza coronavirus ed il processo civile. Osservazioni a prima lettura, in http://giustiziacivile.com, hanno dedicato la loro attenzione alla sola previsione contenuta nel comma 8 dell’art. 83, parimenti definendola “non certo perspicua”, ma nella consapevolezza che essa sia destinata al cosiddetto «secondo periodo», e dunque al periodo di efficacia delle misure organizzative di cui al comma 7 che precludano la presentazione della domanda giudiziale. Gli Autori menzionati hanno osservato come, pur essendo la norma ispirata da un “lodevole intendimento”, non si comprende in che modo quelle misure possano impedire tout court la proposizione di una domanda giudiziale. Quindi si sono dedicati a determinare “i diritti (sostanziali) cui la norma si riferisce, i quali, stando al dettato normativo, sono esercitabili «esclusivamente mediante il compimento delle attività precluse dai provvedimenti» assunti dal capo dell'ufficio”.
G. Sicchiero, Decreto Cura Italia: le disposizioni in tema di giustizia civile, in https://www.quotidianogiuridico.it, ha, invece, inteso il comma 8 dell’articolo 83 cit. riferito già al primo periodo, argomentando: “data la sospensione dei processi civili e penali dal 9 marzo al 15 aprile (a parte le eccezioni espressamente indicate), il comma 8 prevede che durante tale periodo è sospesa la decorrenza dei termini di prescrizione e decadenza dei diritti che possono essere esercitati esclusivamente mediante il compimento delle attività̀ precluse dai provvedimenti medesimi”.
M. Tarantino, Aspetti critici sulla decorrenza dei termini per impugnare le delibere condominiali durante l’emergenza COVID-19, in http://www.dirittoegiustizia.it, dopo aver richiamato le norme che dettavano esplicite sospensioni dei termini comportanti prescrizioni e decadenze nei provvedimenti approvati, ad esempio, per le popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009, o dal sisma del 24 agosto 2016, ha ravvisato l’operatività della sospensione dei termini sostanziali soltanto nei limiti del comma 8 dell’art. 83, e dunque agganciata “in maniera difficilmente comprensibile” alle due condizioni ivi dettate. Nel prosieguo del commento, tuttavia, l’Autore presta adesione alle conclusioni della richiamata Relazione del Massimario n. 28/2020 del 1 aprile 2020, dando per certa la sospensione dei termini sostanziali di prescrizione e decadenza nel periodo di sospensione ex lege dei termini processuali.
3.Un tentativo di riconduzione ai principi – Il primo principio che viene a mente è quello secondo il quale tutte le norme, contenute nel Codice civile o in altre leggi, che prevedono la sospensione dei termini di prescrizione o di decadenza, integrano disposizioni di carattere eccezionale, a norma dell'art. 14 delle preleggi, con la conseguenza che non sono suscettibili di applicazione oltre i casi e i tempi espressamente e tassativamente considerati dalla legge, dovendosi assicurare certezza e stabilità ai rapporti giuridici. Come facciamo a leggere che siano sospesi i termini di prescrizione e di decadenza in una norma che dispone espressamente la sospensione del “decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali” e che, dopo averli esemplificati, ribadisce di sospendere “in genere, tutti i termini procedurali” ?
A proposito della più nota ipotesi di sospensione ex lege dei termini processuali, ovvero quella prevista dall'art. 1 della legge n. 742 del 1969 per il periodo feriale, sono state dapprima la Corte costituzionale, con le declaratorie di illegittimità in rapporto agli articoli 3 e 24 Cost. (sent. n.380 del 1992; n. 49 del 1990; n. 255 del 1987; n. 40 del 1985), e poi la giurisprudenza ordinaria, in sede interpretativa, ad ampliare la locuzione “termini processuali”, ma al fine di ricomprendere nella sospensione quei soli brevi termini di decadenza fissati per la proposizione dell'atto introduttivo del giudizio, allorché quest’ultimo costituisca, per il titolare del diritto, l'unico rimedio per fare valere tempestivamente il diritto stesso. Il fondamento delle sentenze orientate in tale direzione nasceva dalla considerazione che il carattere processuale di un termine non si rivela solo in base al suo manifestarsi e compiersi dopo l'inizio del processo, ma anche avendo riguardo alla sua funzione, al suo valore di “atto iniziale del processo”, allorché il processo si dimostri come l'unico strumento idoneo a difendere e a tutelare il diritto del singolo, visto che la situazione di chi deve ricorrere ad un legale nel mese di agosto perché rediga un atto d'appello non è diversa da chi deve necessariamente rivolgersi ad un avvocato in quel medesimo periodo dell’anno per impugnare, ad esempio, una deliberazione societaria o condominiale entro il termine previsto dall'ordinamento. Quando, dunque, l’ordinamento conosce mezzi alternativi, anche stragiudiziali, idonei ad impedire la decadenza o ad interrompere la prescrizione, non muta il carattere sostanziale del termine, esplicando l'atto introduttivo del giudizio effetti equipollenti a quelli di tali mezzi alternativi. Viceversa, è il riscontro dell'assenza di altri rimedi, ovvero del collegamento diretto e necessario tra il termine e l'atto introduttivo del giudizio, a far acquistare al primo natura (anche) processuale, dalla quale deriva l'applicabilità della sospensione. Ciò pur sempre, è bene ricordarlo, avendo riguardo alla ratio propria della norma di cui all'art. 1 cit. della legge n. 742 del 1969, che è quella di assicurare agli avvocati una pausa feriale, così che essi, tranne che per gli affari urgenti di cui agli art. 2 e 3, non debbano essere costretti ad interrompere il loro periodo di riposo (Corte cost., sent. n. 225 del 1987, n. 40 del 1985, n. 130 del 1974).
Se si conviene che la lettera dell’articolo 83, comma 2, cit. non riguarda espressamente i termini sostanziali di prescrizione e di decadenza, si potrebbe non di meno, in via interpretativa, far rientrare nella sospensione del “decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili”, ovvero di “tutti i termini procedurali”, non soltanto i termini per il compimento degli atti dei processi già pendenti, ma altresì i termini sostanziali “stabiliti … per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio”, quando si tratti di prescrizioni o decadenze la cui interruzione o il cui impedimento consegue esclusivamente alla proposizione della relativa domanda giudiziale, e non anche ad un atto stragiudiziale di costituzione in mora (si pensi, per fare qualche esempio, all’usucapione, all’azione revocatoria ordinaria, alla rescissione ed all’annullamento del contratto, alle impugnative di delibere, all’istanza del creditore contro il debitore per l’ultrattività della fideiussione in caso di scadenza dell’obbligazione principale, alle azioni possessorie, alla domanda di disconoscimento della paternità naturale, alla revocazione delle donazioni, alle impugnazioni delle rinunzie e transazioni previste dall'articolo 2113 codice civile, alla domanda proposta dal conduttore per ottenere la restituzione di somme corrisposte al locatore in violazione dei divieti e dei limiti previsti dalla legge).
Dunque, l’estensione interpretativa della sospensione dei termini processuali ex articolo 83, comma 2, ai termini sostanziali “con rilevanza processuale” dovrebbe supporre che la possibilità di agire in giudizio costituisca, per il titolare che deve munirsi di una difesa tecnica, l'unico rimedio idoneo a far valere il suo diritto.
Va tuttavia considerato come, per quelle controversie che, ai sensi dell’art. 5, decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, implicano l’esperimento del procedimento di mediazione, quale condizione di procedibilità della domanda, il comma 6 del medesimo articolo 5 prevede che “dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale” ed “impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all'articolo 11 presso la segreteria dell'organismo”. Nel singolare meccanismo di conciliazione strutturata sul processo, come allestito dal d.lgs. n. 28 del 2010, viene, quindi, prescelta, quanto meno per alcuni effetti, quali, appunto quelli interruttivi della prescrizione ed impeditivi della decadenza, una equivalenza tra domanda giudiziale e domanda di mediazione, non perché quest’ultima costituisce manifestazione di una volontà sostanziale, bensì in quanto instaura un rapporto diretto a realizzare un accordo conciliativo.
Il già richiamato comma 20 dell’articolo 83 del medesimo d.l. n. 18 del 2020, applica, del resto, la sospensione dei termini allo “svolgimento di qualunque attività nei procedimenti di mediazione ai sensi del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 …. quando i predetti procedimenti siano stati promossi entro il 9 marzo 2020 e quando costituiscono condizione di procedibilità della domanda giudiziale”. Nel testo approvato in sede di conversione, al citato comma 20 la sospensione dei termini viene estesa ai procedimenti di mediazione che “siano stati introdotti o risultino già pendenti a far data dal 9 marzo”, facendosi salvo, con apposito comma 20-bis, nel periodo dal 9 marzo al 30 giugno 2020, lo svolgimento degli incontri di mediazione in via telematica con il preventivo consenso di tutte le parti coinvolte. Il successivo comma 20-ter, sempre introdotto con la legge di conversione del d.l. n. 18/2020, consente, inoltre, fino alla cessazione delle misure di distanziamento previste dalla legislazione emergenziale in materia di prevenzione del contagio da COVID-19, la sottoscrizione della procura alle liti nei procedimenti civili apposta dalla parte anche su un documento analogico trasmesso al difensore.
E’ così tutto da verificare il primo presupposto che renderebbe plausibile l’estensione in via di interpretazione della sospensione dei termini processuali ex articolo 83, comma 2, ai termini sostanziali (o, quanto meno, ad alcuni di essi), e, cioè, l'assenza di altri rimedi rispetto al promovimento del giudizio. Per di più, siffatta estensione dovrebbe attuarsi partendo dalla ratio propria della norma in esame (che, all’evidenza, non è quella, tradizionalmente riscontrata nell'art. 1 della legge n. 742 del 1969, e cioè assicurare un periodo di ferie agli avvocati), in maniera da concludere che, nel periodo corrente dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 (11 maggio 2020) risulti comunque particolarmente difficile, a colui che intenda esercitare il proprio diritto alla tutela giurisdizionale, munirsi della necessaria difesa tecnica. Ora, né l’art. 83 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, né, nel complesso, le misure sull’emergenza epidemiologica, precludono l’esercizio del diritto di agire in giudizio con la necessaria difesa tecnica. Pur in costanza della sospensione dei termini e delle attività giudiziali per l’emergenza COVID-19, rimane ammissibile impedire la decadenza ed interrompere le prescrizioni, ad esempio, quanto meno per le cause di competenza del tribunale, mediante citazione in via telematica (provvedendo al deposito esclusivamente con le modalità previste dal comma 1 dell’articolo 16, del decreto legge n. 179/2012, convertito dalla legge n. 221 del 2012). Altrimenti, gli stessi effetti sostanziali possono conseguirsi comunicando la domanda di mediazione per le controversie in cui l’esperimento della mediazione funziona quale condizione di procedibilità.
Deve precisarsi che non si rivela affatto risolutiva del problema in esame l’aggiunta del comma 1-bis dell’art. 108, operata con la legge di conversione, ove si dispone, come visto, che «i termini sostanziali di decadenza e prescrizione di cui alle raccomandate con ricevuta di ritorno inviate nel periodo in esame sono sospesi sino alla cessazione dello stato di emergenza». La norma tiene conto delle modalità di svolgimento del servizio postale relativo agli invii raccomandati, collegate alle esigenze di tutela sanitaria, di cui al comma 1 dello stesso articolo (che prescindono dalla sottoscrizione dell'avviso di ricevimento da parte del destinatario), e così stabilisce che il termine di decadenza o di prescrizione, impedito o interrotto con la lettera raccomandata, non riprende a decorrere nuovamente dalla consegna del plico, ma rimane sospeso “sino alla cessazione dello stato d’emergenza”. Una disposizione siffatta lascia supporre, al contrario, che, fino all’inoltro della raccomandata, “i termini sostanziali di decadenza e prescrizione” stiano regolarmente decorrendo e non siano affatto aliunde sospesi sino all’11 maggio 2020. Trattasi, peraltro, di modifica apportata al decreto legge in sede di conversione, e che ha perciò efficacia soltanto dal giorno successivo a quello della pubblicazione della legge di conversione, non disponendo quest'ultima diversamente (articolo 15, comma 5, legge 23 agosto 1988, n. 400).
Ad una esplicita affermazione di applicabilità ai termini sostanziali della sospensione per ora disposta dall’articolo 83, comma 2, potrebbe altrimenti pensarsi di arrivare con una norma di “interpretazione autentica”, oppure con una norma comunque retroattiva. Alla prima soluzione farebbe resistenza l’argomento che la nuova legge rivelerebbe, in realtà, una portata innovativa; sulla seconda soluzione si dovrebbero considerare le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo sui limiti posti alla retroattività delle leggi in materia civile sulla base sia dell’art. 6 CEDU che dell’art. 1 del Protocollo addizionale CEDU.
4. Una breve considerazione finale- Vorrei concludere con una considerazione finale di carattere del tutto personale. Quanto meno per la parte che disciplina gli effetti sul decorso dei termini, l’articolo 83 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni in legge, è una norma scritta assai male.
N. Bobbio (La certezza del diritto è un mito?, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, XXVIII [1951], 150) insegnava che «la certezza del diritto (è) un elemento intrinseco del diritto, sì che il diritto o è certo o non è neppure diritto».
A mio avviso, l’affannato legislatore delle ultime settimane, quello volto a contrastare in ogni modo l'emergenza epidemiologica da COVID-19, avrebbe potuto anche meritare l’indulgente silenzio degli interpreti e degli operatori del diritto. Tante volte in questi giorni ci hanno però ricordato le parole di Albert Camus, per cui, quando sarà terminato il doveroso silenzio del momento del flagello, occorrerà riprendere l’abitudine della retorica.
[in copertina Giulia Iofrida,
Distanziamento sociale,
25 aprile 2020]
Vulnerabilità, cultura giuridica, Covid-19
di Baldassare Pastore
Sommario: 1. Le molte facce della vulnerabilità – 2. Le sfide dell’emergenza – 3. Una (possibile) tendenza inquietante.
1. Le molte facce della vulnerabilità
Siamo tutti vulnerabili. La pandemia scatenata dal Covid-19 – esempio tragicamente paradigmatico di come l’interdipendenza globale trasformi eventi catastrofici locali in fenomeni planetari – mostra in maniera evidente questa condizione che accomuna gli esseri umani.
Vulnerabilità è parola che indica la suscettibilità di subire ferite (vulnera), di subire danni causati da fenomeni naturali o da attività umane, connessa ad una serie di situazioni, da cui dipende il verificarsi di determinate stati di cose, e che si manifesta in svariate circostanze.
La vulnerabilità è, in primo luogo, legata alla nostra corporeità. Il corpo umano ci espone alla malattia, alla sofferenza, alla morte. Esso porta con sé la possibilità, sempre presente, di essere colpiti e/o di andare incontro ad avversità, che sfuggono al controllo individuale o collettivo. In questo senso, si pone come caratteristica universale, costante, dell’esistenza umana. Essa, però, può essere vissuta da ciascuno diversamente, variando la grandezza e la potenzialità della sua incidenza in rapporto alle reti di relazioni in cui si è coinvolti e alla quantità e qualità di risorse, opportunità, beni posseduti o di cui si può disporre. In proposito, non può non essere sottolineato che vi sono situazioni di disagio sociale e/o personale in cui il grado di vulnerabilità degli individui può aumentare.
Nella nozione di vulnerabilità, quindi, risultano compresenti una dimensione ontologica, esistenziale, e una dimensione situazionale, contestuale, accidentale e variabile. Emerge il volto della fragilità e della finitezza, ma anche della dipendenza. E viene in rilievo, nel contempo, il compito delle istituzioni nel sostenere policies in grado di ridurne l’esposizione, aumentando il grado generale di resilienza, che ha a che fare con le strategie solidali attraverso le quali si può mitigare, compensare, rimediare a, tale vulnerabilità (sui significati e gli usi di tale nozione si rinvia ai contributi pubblicati nel volume Vulnerabilità. Analisi multidisciplinare di un concetto, a cura di O. Giolo e B. Pastore, Carocci, Roma, 2018).
Il diritto incontra la vulnerabilità umana in vari modi. In primo luogo, perché, tra le funzioni essenziali di qualsiasi ordinamento giuridico, vi è quella di proteggere gli individui da aggressioni, violenze e offese che colpiscono la vita degli individui. Inoltre, perché, avendo il compito di risolvere i problemi di coordinazione delle azioni, il diritto serve a garantire la sicurezza e la simmetria nei rapporti tra individui, sottraendo le vicende umane all’arbitro.
Se, nello spazio delle relazioni intersoggettive, la vulnerabilità designa la condizione di chi è esposto al rischio di un danno causato dall’essere alla mercé di altri, tale concetto può essere utilizzato come “strumento euristico”, “indicatore qualitativo e quantitativo” di situazioni nelle quali rilevano la sofferenza socialmente prodotta, l’esposizione all’offesa e al danno. Siamo di fronte a quella vulnerabilità patogena, che include i casi derivanti da pregiudizi o abusi nei rapporti interpersonali, da ingiustizie, discriminazioni, oppressioni, forme di sfruttamento, marginalizzazioni, diseguaglianze, costruite attraverso dinamiche di potere differenziate e differenzianti. Si tratta di vulnerazioni che ledono la dignità delle persone, colpite in ciò che è loro dovuto: l’eguale considerazione e rispetto. Proprio qui i diritti umani trovano la loro ragione giustificativa. Essi, infatti, costituiscono una risposta (in termini di rifiuto) alle minacce alla dignità, trovando collocazione entro una struttura normativa che richiede impegni e responsabilità sociali, nonché obblighi istituzionali.
Il diritto, così, è chiamato a svolgere un ruolo centrale nel contrastare la vulnerabilità. Ma può operare esso stesso come fattore di vulnerazione, qualora – venendo meno alla sua essenziale ragion d’essere – consenta o faciliti comportamenti che producono negazioni del riconoscimento, connesse all’umiliazione, alla mancanza di rispetto, all’esclusione sociale, alle ingiustificate disparità di trattamento, alla degradazione del valore della persona. Da questo punto di vista, la nozione di vulnerabilità si pone come “campanello d’allarme”, principio critico, elemento dinamico che chiede agli ordinamenti di rilegittimarsi continuamente, interrogandosi sui propri fondamenti ed esiti normativi.
D’altra parte, lo stesso diritto dovrebbe essere inteso, di per sé, come una entità vulnerabile. Le istituzioni, infatti, sono potenzialmente instabili e soggette a sfide e trasformazioni interne ed esterne. Riconoscere tale vulnerabilità implica che si accetti la necessità di un monitoraggio e di una valutazione connessi ad un’auto-comprensione della cultura giuridica, vigile e attenta ai mutamenti in corso. Il diritto può essere considerato una pratica sociale che implica la partecipazione ad un’impresa comune. L’identità di tale pratica è custodita da organi istituzionalizzati (legislazione, giurisdizione, amministrazione), che producono decisioni; dalla dottrina, con le sue concettualizzazioni e opinioni; ma anche da tutti in cittadini, che concorrono, variamente, alla configurazione e realizzazione di tale pratica. La cultura giuridica è frutto di un’opera collettiva, nella quale confluiscono orientamenti normativi, interpretazioni di testi, argomentazioni, costruzioni concettuali, princìpi, e contribuisce a formare il diritto.
2. Le sfide dell’emergenza
Il Covid-19 costituisce una sfida epocale produttiva di effetti sulla vita delle persone, della società, delle istituzioni. Con il suo incidere nell’ambito giuridico sollecita a riflettere sulle conseguenze di uno stato di emergenza che può condurre a notevoli mutamenti e che, se non governato alla luce dei princìpi fondamentali che caratterizzano i nostri ordinamenti, può comportare profonde alterazioni (si veda l’intervista di Franco De Stefano a Corrado Caruso, Giorgio Lattanzi, Gabriella Luccioli e Massimo Luciani: https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/961-la-pandemia-aggredisce-anche-il-diritto - 2 aprile 2020). Il rischio, infatti, è che si consolidino tendenze volte a trasformare meccanismi pensati e costruiti per far fronte a situazioni contingenti in strumenti ordinari di funzionamento del sistema.
L’emergenza – come è stato sottolineato da più parti – non ha nulla a che vedere con l’eccezione. Lo stato di eccezione, nella teorizzazione schmittiana, rappresenta una rottura dell’ordinamento che è in netta contraddizione con il principio di legalità. Lo Stato di diritto, però, non ammette deroghe e ogni sua rottura equivale alla sua negazione. Lo stato di eccezione è quello che travolge (e stravolge) l’assetto costituzionale incidendo radicalmente sui diritti fondamentali, sull’articolazione dei poteri, sull’assetto delle fonti, esautorando gli organi dalle loro competenze normativamente stabilite e trasferendole ad autorità d’eccezione. L’emergenza, invece, riguarda momenti temporanei e particolari di necessità che vengono meno con la scomparsa delle circostanze fattuali che li giustificano.
Con riferimento alla pandemia da Covid-19 e alle misure prese per contenerla, limitazioni ai diritti e alle libertà in nome del diritto alla salute degli individui possono essere tollerate solo se viene rispettato il criterio della ragionevolezza, riguardante il corretto rapporto tra atti adottati e scopi perseguiti e la ricerca di soluzioni che comportino il minore stress possibile per la Costituzione (la sua minima, e solo temporanea, vulnerazione) e per tutti i beni e gli interessi che essa protegge (lo ha ben messo in luce Antonio Ruggeri nell’intervista di Roberto Giovanni Conti: https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/942-scelte-tragiche-e-covid-19 - 24 marzo 2020). Le limitazioni, inoltre, devono essere proporzionate, non arbitrarie, e configurate attraverso decisioni prese secondo modalità legalmente previste, dunque entro i vincoli formali e sostanziali posti nell’ordinamento. Ciò richiede valutazioni di adeguatezza, pertinenza, congruità. Rilevano, al riguardo, le tecniche del bilanciamento, che consentono di risolvere i conflitti tra diritti in relazione alle specifiche situazioni, mantenendo però sempre la priorità, propria dello Stato costituzionale di diritto, dell’opzione assiologica della dignità della persona. Rimane, comunque, sullo sfondo, ma pesa come un macigno, il ruolo della riserva assoluta di legge come modalità basilare di garanzia in relazione ai diritti fondamentali. Tali diritti, nella nostra democrazia costituzionale, possono essere limitati soltanto attraverso la legge del Parlamento, vincolata al rispetto dei motivi (espressamente indicati dal testo costituzionale) che legittimano l’apposizione del limite per ogni singolo diritto. Così, valgono come limiti la sanità e l’incolumità pubblica in relazione alla libertà di domicilio (art. 14 Cost.); la sanità e la sicurezza per la libertà di circolazione e soggiorno (art. 16 Cost.). Emerge, in proposito, l’esigenza di recuperare la correttezza procedurale della produzione normativa, definendo il più possibile, nel tempo e nei contenuti, le deroghe e le sospensioni (si veda G. Brunelli, Democrazia e tutela dei diritti fondamentali ai tempi del coronavirus: www.giuri.unife.it/it/coronavirus/diritto-virale - 7 aprile 2020).
Molte, invero, sono le criticità della normativa emergenziale. Su di essa, in questi mesi, sono stati prodotti contributi di grande interesse e utilità, a testimonianza dell’importanza della funzione sociale dei giuristi. E a conferma che la società, complessivamente considerata, non può fare a meno di una cultura giuridica cui pertiene un impegno di vigilanza critica.
Le riflessioni e le analisi si sono concentrate sui diversi aspetti connessi alle ricadute della pandemia da Covid-19 sui vari ambiti ordinamentali. Ci si è trovati, in primo luogo, di fronte ad una produzione giuridica che ha introdotto una massa di imposizioni comportamentali, finalizzati a prevenire il contagio, invero limitative dei diritti fondamentali. Si tratta di una produzione giuridica che incide sul tema (costitituzionalistico, ma anche teorico-generale) delle fonti del diritto e delle tecniche normative utilizzate. In gioco, però, vi sono tante altre questioni che toccano il diritto civile (si pensi agli inadempimenti contrattuali, alle rinegoziazioni dei contratti, alla responsabilità per eventi lesivi e/o letali negli ospedali), il diritto penale (in relazione, ad esempio, alla valutazione dei comportamenti commessi in stato di necessità e alle condotte del personale sanitario), il diritto dell’esecuzione penale (con riguardo alla condizione dei detenuti negli istituti penitenziari), il diritto processuale, il diritto del lavoro (in relazione alla sicurezza dei dipendenti, ai licenziamenti, alle retribuzioni), il diritto tributario, il diritto amministrativo. Per non parlare del tema della privacy, riguardante l’uso delle tecnologie informatiche per il tracciamento e la sorveglianza della popolazione infetta e per il trattamento dei dati sanitari ai fini del suo censimento.
A tutto ciò si legano notevoli difficoltà interpretative, riflesso di una stratificazione normativa alluvionale, che incide sulla condotta dei cittadini e sull’attività degli operatori giuridici.
Emerge, qui, un aspetto saliente della vita del diritto, che tocca il tema dell’interdipendenza strategica e normativa. I cittadini, infatti, accettano e usano le regole giuridiche, come standards comuni di azioni, all’interno di una rete di aspettative stabili che consenta di esercitare l’autonomia personale in una logica d’interazione. I cittadini sanno che l’esistenza delle disposizioni giuridiche dipende da come essi comprendono cosa viene richiesto da tali disposizioni. Ma ciò dipende, a sua volta, da come si aspettano che i funzionari interpretino le disposizioni. Questi ultimi, a loro volta, devono comprendere e interpretare le disposizioni secondo quello che i cittadini si aspettano che essi facciano. Siamo di fronte ad una dinamica interattiva in cui la comprensione di ogni interlocutore dipende dalle aspettative e dalla comprensione degli altri. Tali aspettative non riguardano solo ciò che gli altri di fatto faranno, ma muovono anche dalla convinzione che gli altri siano in qualche modo obbligati a comportarsi in un certo modo e ad avere un certo tipo di aspettative, sicché è possibile legittimamente pretendere che essi si adeguino. La reciprocità è data dalla condivisione del carattere normativo dei significati intersoggettivi, entro cui gli individui articolano le loro intenzioni, le loro credenze, e pongono in essere i loro comportamenti (B. Pastore – F. Viola – G. Zaccaria, Le ragioni del diritto, Il Mulino, Bologna, 2017, pp. 45, 48-50).
In risposta alla velocità di propagazione del coronavirus, e con una progressione temporale fulminea, sono stati adottati decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, decreti-legge, ordinanze ministeriali e conseguenti circolari applicative, ordinanze del Capo del Dipartimento della protezione civile, ordinanze dei Presidenti delle Regioni e dei Sindaci, ordinanze prefettizie. Gli esiti di tale profluvio normativo mostrano il modo peculiare di funzionamento delle nostre istituzioni e la crisi che affligge il sistema delle fonti (ormai invero destrutturato) (in argomento mi limito a rinviare agli scritti di M. Luciani, Il sistema delle fonti del diritto alla prova dell’emergenza, in “Rivista AIC”, 2, 2020, p, 109 ss., e A. Ruggeri, Il coronavirus, la sofferta tenuta dell’assetto istituzionale e la crisi palese, ormai endemica, del sistema delle fonti, in “Consulta online”, 1, 2020, p. 210 ss.). Le conseguenze sono state la confusione nei rapporti tra Stato e autonomie territoriali, l’incertezza delle competenze, con conflitti e sovrapposizioni che hanno determinato, non poche volte, scarsa efficienza, ma anche un senso di smarrimento nell’opinione pubblica, frastornata dal caos comunicativo e dalla diffusione di una quantità di informazioni di diversa origine e dal fondamento spesso non verificabile, con il connesso ampliamento dell’area dell’incomprensione. Ne è risultato un quadro affastellato e confuso che rende estremamente difficoltoso, per i cittadini, individuare i comportamenti leciti, distinguendoli da quelli vietati. A ciò si unisce la genericità delle prescrizioni che ricade sulla loro applicazione, potenziando la discrezionalità degli organi chiamati a darne esecuzione. Non è difficile immaginare che uno degli effetti di una tale situazione, foriera di conflitti interpretativi, sarà l’aumento dei contenziosi.
3. Una (possibile) tendenza inquietante
L’emergenza da Covid-19, per molti versi, fa “saltare” alcune coordinate generali e alcune rilevanti categorie giuridiche e fa emergere alcune condizioni di vulnerabilità che toccano l’ordinamento. Un inquietante indizio in tal senso mi pare possa essere rintracciato nella previsione del processo “da remoto”, introdotta dall’art. 83 comma 12 bis della legge n. 27 del 24 aprile 2020 di conversione del decreto-legge n. 18 del 17 marzo 2020, con integrazioni e modifiche dettate dal decreto-legge n. 28 del 30 aprile 2020.
Il collegamento “da remoto”, attuato grazie al sistema informatico, ha lo scopo di contemperare l’esigenza di assicurare il distanziamento sociale (rectius: umano) e quella di garantire lo svolgimento delle attività giudiziarie. Peraltro, molte sono le prospettive riguardanti l’impiego delle tecnologie informatiche per la gestione delle attività processuali giustificate da ragioni di efficienza (tra questi sicuramente rientrano la digitalizzazione degli atti processuali e la creazione di un fascicolo telematico dove possano convergere tutti i dati del procedimento, man mano che si dipana), così come molti sono i problemi che si aprono, superata la fase acuta dell’epidemia, con l’utilizzo dei mezzi informatici e telematici come strumenti per disegnare un ordinario nuovo regime del processo civile e penale (rinvio, sul tema, alle interviste di Franco De Stefano a Filippo Donati e Giorgio Spangher: https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/1051-la-giustizia-da-remoto-adelante-con-juicio-prima-parte - 1° maggio 2020, e a Giorgio Costantino e Massimo Orlando; https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/1058-la-giustizia-da-remoto-adelante-con-juicio-seconda-parte - 2 maggio 2020).
Il punto riguarda, in questo ambito, il possibile utilizzo futuro del processo da remoto (a distanza) per la celebrazione delle udienze penali. Notevoli sono le perplessità che una simile prospettiva solleva (si vedano gli interventi di O. Mazza, Distopia del processo a distanza, in “Archivio penale”, 1, 2020, pp. 1-10, e di E. Bandiera, Il processo penale dallo ieros kuklov agli autómatoi: www.giuri.unife.it/it/coronavirus/diritto-virale - 29 aprile 2020). Il rischio – lo si ribadisce con riferimento alla giurisdizione penale – è che meccanismi pensati per far fronte ad una emergenza contingente possano diventare strumenti ordinari di svolgimento dell’attività giudiziaria, alterando la natura stessa del processo. Certamente la modifica dettata dall’art. 3 del decreto-legge n. 28 del 30 aprile 2020, e che prevede che le disposizioni dell’art. 83 comma 12 bis «non si applicano, salvo che le parti vi acconsentano, alle udienze di discussione finale, in pubblica udienza o in camera di consiglio e a quelle nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti» corregge, in parte, il tiro. È bene però che l’attenzione rimanga desta.
La smaterializzazione fisica dei luoghi connessa al processo a distanza produce una vulnerazione dei princìpi fondamentali riguardanti il diritto di difesa e il “giusto processo”, riconosciti nella Costituzione (art. 24 e art. 111), nonché nelle fonti internazionali e sovranazionali (si considerino gli artt. 10, 11 della Dichiarazione universale dei diritti umani, l’art. 6 CEDU, l’art 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici).
Nel processo penale sono in gioco diritti e garanzie (indisponibili) che devono avere una consistenza materiale assicurata da uno spazio scenico tangibile. Il “giusto processo” è caratterizzato dal contraddittorio tra le parti, le quali, in condizioni di parità davanti ad un giudice terzo e imparziale (ossia, sotto i suoi occhi, al suo cospetto), partecipano allo svolgimento dibattimentale (pubblico) nelle modalità di un’interazione dialettico-discorsiva. Il principio del contraddittorio caratterizza strutturalmente la fairness processuale. Un suo aspetto indefettibile è costituito dal diritto di difesa, posto che, ove mancasse la possibilità di difendersi, non vi sarebbe spazio per il confronto tra parti contrapposte, che “si fanno sentire” (e vedere) ”in presenza”, potendo esporre le ragioni proprie e controbattere quelle avversarie. Tale principio, però, assume una valenza che riguarda non solo la situazione dei portatori di interessi in conflitto, ma anche l’assetto della giurisdizione, collegandosi alla necessaria presenza dell’organo giudicante “terzo”, indipendente e imparziale, che decide dopo aver ascoltato e visto le parti su ogni questione di cui è investito. L’essenza del contraddittorio, infatti, sta proprio nel confronto di argomenti su ogni tema decisorio e nella pratica comunicativa espressa dalla regola audiatur et altera pars, avendo un essenziale valore epistemico in quanto metodo per la formazione della prova. Risulta pertanto difficile pensare ad una prova formata in un contesto di distanziamento, che esclude la partecipazione fisica all’udienza di tutti gli attori. Presenza fisica e presenza virtuale non sono fungibili. Non va dimenticato, inoltre, che il contraddittorio si pone come elemento indispensabile di controllo del procedimento che conduce alla decisione.
L’unità di luogo della celebrazione del processo rappresenta un tratto imprescindibile della giurisdizione. Soltanto nell’aula giudiziaria può realizzarsi l’interazione, ritualmente mediata e proceduralmente strutturata, tra soggetti, tutti contemporaneamente presenti. Qui trova consistenza il “giusto processo” come categoria ordinante di portata generale, clausola di giustizia procedurale, espressione della cultura della legalità nell’odierno Stato di diritto.
L’emergenza da Covid-19 non può – né deve – essere una scorciatoia per cambiamenti che possono incidere, talvolta considerevolmente, sul modo di essere e di funzionare dell’ordinamento. Il diritto può essere vulnerato. La cultura giuridica, fedele ai princìpi costituzionali che positivizzano i valori basilari della convivenza civile, è chiamata a curarne le ferite e a custodirne il senso.
Le radici della nostra democrazia e quel passato che è bene rievocare anche nel tempo increscioso della pandemia
di Antonio d’Andrea
Nella non semplice gestione dell’emergenza sanitaria che adesso ci riguarda e al di là della paradossale proposta avanzata – via facebook – da qualche politico di trasformare la ricorrenza della Liberazione nel ricordo cumulativo dei caduti di tutte le guerre e dei tanti deceduti proprio a causa del Covid 19 (proposta che mi pare si prefigga, e non è la prima volta, di negare il significato storico e istituzionale sino ad ora riconosciuto al 25 aprile nel nostro Paese), può aiutare ritornare a riflettere sul significato evocativo ed attualissimo di quella data nel contesto bellico di settantacinque anni fa.
Sommario: 1. La peculiarità della vicenda storica italiana e il superamento dello Stato autoritario. - 2. I rischi (inevitabili) delle democrazie occidentali e la ricorrente tentazione di risposte autoritarie. - 3. La riscoperta dei vincoli solidaristici interni (non solo la richiesta della solidarietà europea).
1.La peculiarità della vicenda storica italiana e il superamento dello Stato autoritario.
Non credo si possa sostenere – e in ogni caso non mi sentirei di farlo – che la Storia è “attendibile” solo se riesce ad essere “oggettiva”, ossia scevra da qualsiasi pretesa valutativa tale da offrire una ricostruzione ragionata degli eventi secondo una prospettazione “di parte”. La Storia è in effetti molto più della mera cronaca, e lo storico deve essere in grado anche di fornire una interpretazione critica come pure una valutazione di contesto degli accadimenti manifestatisi nella realtà: da questo punto di vista si tratta di un mestiere complicato che sarebbe bene lasciare a mani sapienti e avvezze a maneggiare con cura un insieme di dati da incrociare e da soppesare con criteri diversi, e che possono investire sensibilità peculiari (giuridica, economica, sociologica), tutte reciprocamente interferenti. La stessa maggiore o minore attenzione che si ritenga di riservare ad alcune vicende può costituire, alla fine, una precisa opzione valutativa indirizzata, se si vuole, ideologicamente. Ma i fatti, ancorché interpretati, restano comunque fatti!
Non essendo uno storico mi è comunque consentito soffermarmi su alcuni episodi che, mi pare, testimonino il formidabile passaggio registratosi nell’ordinamento italiano da un assetto del tutto estraneo ai principi del costituzionalismo occidentale (già sviluppatosi altrove e non solo nei suoi presupposti teorici, pur con tante contraddizioni e arretramenti a partire dalla fine del XVII Secolo) a una democrazia evoluta, quale è oggi il nostro Paese, in grado cioè, almeno in astratto, di limitare l’esercizio del potere politico e garantire diritti e libertà alla persona in quanto tale.
Tutto ciò premesso, partendo dalla proclamazione effettuata dal Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia (CLNAI), il 25 aprile 1945, in ordine alla mobilitazione generale in vista della liberazione di tutti i territori ancora sotto il controllo delle truppe armate tedesche – presenti nel nostro Paese che, sotto il regime fascista, aveva ritenuto di condividere la scelta bellica promossa dal governo nazista hitleriano – , l’anniversario della Liberazione rappresenta senz’altro il consolidamento della nuova, diversa pagina della nostra storia nazionale che, come è noto, tra il 25 luglio e l’8 settembre 1943, si era instradata verso il superamento di quel regime, prima defenestrando il capo del Governo e duce del fascismo, Mussolini e poi concludendo l’armistizio con gli Stati alleati belligeranti contro la Germania. Storia nazionale che vedrà, al termine del Secondo conflitto mondiale, in poco più di due anni, l’avvento della democrazia repubblicana incentrata sulla Costituzione in vigore dal 1 gennaio 1948.
Come noto, questo giorno che si identifica con la Liberazione è equiparato dall’art.2 della l.27 maggio 1949 n.260, alla Festa Nazionale che ricade il 2 giugno (art.1 l.n.260/1949) e che, a sua volta, rievoca quanto accaduto l’anno successivo, nel 1946, allorché il popolo italiano a suffragio universale optò per la forma repubblicana dello Stato superando quella monarchica che aveva retto sino a quel momento il Regno d’Italia e contestualmente elesse l’Assemblea Costituente la quale avrebbe deliberato, il 22 dicembre 1947, con una larghissima maggioranza (solo 62 voti contrari su 515 votanti) la Costituzione del “nuovo” Stato. Una Costituzione a giusta ragione definita di “compromesso” sulla quale costruttivamente convennero, anche per la lungimiranza e l’autorevolezza delle rispettive leadership, i partiti antifascisti che avevano occupato la scena politica oltre a conquistare larghi strati dell’elettorato, i quali erano espressione di diverse e ben riconoscibili sensibilità ideologiche che ricomprendevano il variegato filone cattolico, quello della sinistra prevalentemente marxista nonché quel che restava del liberalismo pre-fascista.
Da un lato, dunque, la Liberazione del territorio italiano dalla presenza di truppe tedesche, divenute forze militari di occupazione concentrate al Nord una volta liberata Roma il 4 giugno 1944 e contrastate sul territorio da formazioni della Resistenza armata, nonché l’abbattimento della residuale presenza fascista – anche con metodi sommari e violenti – rappresentata da uno Stato fantoccio quale era la Repubblica di Salò a capo della quale i tedeschi avevano riproposto lo stesso Mussolini, liberandolo con un “blizt” dalla prigionia cui era stato confinato; dall’altro lato, il proposito di edificare un diverso Stato democratico in linea con il costituzionalismo occidentale e in particolare europeo (si pensi a tutta la fase c.d. transitoria, con la tregua istituzionale, dopo il ritiro del Re , Vittorio Emanuele III e la nomina del figlio Umberto alla Luogotenenza del Regno, tra la monarchia e i partiti riuniti nei Comitati di liberazione nazionale i quali si assunsero la responsabilità di gestire i rapporti con gli Alleati preparandosi alla nuova fase costituente già prevista con il decreto legge luogotenenziale 25 giugno 1944 n.151): quelle richiamate rappresentano vicende consequenziali di un intreccio storico avviatosi nell’ordinamento agli inizi degli Anni Venti con il tracollo del debole Stato liberale e la progressiva implementazione del regime fascista sotto le insegne della pallida monarchia sabauda e, sul piano costituzionale, dello stesso Statuto Albertino mai formalmente superato durante il ventennio. In ogni caso lo sbocco finale del rievocato intreccio, o se si vuole, il suo lieto fine mi pare inequivocabilmente rappresentato dalla svolta costituzionale impressa all’ordinamento italiano, una volta conquistata la Liberazione.
Le complicazioni del tempo presente non possono e non devono far dimenticare il doloroso travaglio che ha investito il nostro Paese prima che potesse approdare, sostanzialmente dopo aver perduto la guerra nella quale era entrato a fianco dell’alleato tedesco in seguito abbandonato, ad una sponda democratica lasciandosi così alle spalle un modello “semplificato” di organizzazione statuale che accentrava nelle mani di un capo assoluto il potere di indirizzo politico al di fuori di qualsiasi forma di dialettica istituzionale a maggior ragione dopo il superamento dell’elettività della Camera (ovviamente rappresentativa della porzione di elettorato maschile cui si attribuiva il diritto di voto) e la sua sostituzione con la Camera dei fasci e delle corporazioni. Ed è perciò superfluo rievocare la compressione dei classici diritti di libertà come pure le persecuzioni nei confronti degli oppositori e le vergognose politiche perseguite sul piano interno (si pensi alle leggi razziali) e su quello internazionale di cui si è detto.
L’antifascismo (XII disp. trans. Cost.) come pure il ripudio di qualsiasi totalitarismo (è nota la promozione sul piano costituzionale del pluralismo, a partire dal riconoscimento del ruolo essenziale dei partiti politici vincolati al rispetto, quantomeno all’esterno, del “metodo democratico”, art. 49 Cost., e dalla garantita autonomia dei diversi livelli di governo territoriale, a partire dalle Regioni configurate quali enti di natura politica in grado di utilizzare la leva della legislazione, art. 117 Cost.), costituiscono, pertanto, a partire dall’entrata in vigore della vigente Costituzione, caratteri identificativi e principi irrinunciabili – beninteso insieme ad altri riguardanti i diritti fondamentali e gli obiettivi di riequilibrio economico-sociale – dell’ordinamento giuridico italiano.
2.I rischi (inevitabili) delle democrazie occidentali e la ricorrente tentazione di risposte autoritarie.
Il tema del momentaneo “regresso” delle opportunità offerte dai sistemi democratici, incluso il nostro, si è già posto da ben prima che il pericolo per il mantenimento dei livelli di libertà e autodeterminazione provenisse dal rapido diffondersi della insidiosa pandemia che, come è noto, obbliga le autorità politiche a considerare e ad adottare misure afflittive che costituiscono una vera e propria sospensione delle nostre abitudini oramai forgiate dalla piena fruizione di un elevato tasso di libertà assicurato dalle norme costituzionali. Ogniqualvolta si registrano eventi (sia che si tratti di episodi che abbiano a che fare con azioni violente e sanguinarie ispirate da finalità sovversiva interna o da strategia terroristica internazionale, sia che si tratti di emergenze legate a catastrofi naturali o, come nel caso del coronavirus, epidemiologiche ancora da inquadrare esattamente nelle sue cause scatenanti) che per essere fronteggiati richiedono comunque il concretizzarsi del potere reattivo delle autorità statuali (quanto non della stessa Comunità internazionale), si è indotti a domandarsi entro che misura sarebbe possibile derogare, certo pro-tempore, a regole e a procedure ordinarie (dunque conformi al diritto interno e internazionale) così da preservare ovvero meglio garantire la conservazione della tenuta democratica dell’ordinamento – nel caso della pandemia appare piuttosto in gioco, almeno al momento, la salute pubblica, sembrerebbe oltretutto con un differente grado di possibile compromissione a seconda dell’età e del luogo dove si vive – minacciata pericolosamente da una imprevista evenienza che, per essere favorevolmente risolta, potrebbe richiedere “misure eccezionali”, appunto extra ordinem.
Si tratta a mio avviso di una questione mal posta.
In effetti anche nella non semplice gestione dell’emergenza sanitaria che adesso ci riguarda e al di là della paradossale proposta avanzata – via facebook – da qualche politico[1] di trasformare la ricorrenza della Liberazione nel ricordo cumulativo dei caduti di tutte le guerre e dei tanti deceduti proprio a causa del Covid 19 (proposta che mi pare si prefigga, e non è la prima volta, di negare il significato storico e istituzionale sino ad ora riconosciuto al 25 aprile nel nostro Paese), può aiutare ritornare a riflettere sul significato evocativo ed attualissimo di quella data che, nel contesto bellico di settantacinque anni fa, certamente metteva a fuoco un’impellenza da affrontare e risolvere in via di fatto per la provvisoria e clandestina autorità di governo, il CNLAI. Occorre dunque prestare attenzione alla rilevante distinzione che passa tra il potere di fatto, che non è un potere giuridico ed è sostanzialmente non comprimibile (trattasi del governare estemporaneamente gli eventi, secondo “impeti” che, come nel caso della guerra di Liberazione, potremmo definire di natura rivoluzionaria) e l’esercizio di potere giuridico che, per definizione, viene circoscritto in primo luogo dalle regole costituzionali che intervengono, una volta cessato l’impeto rivoluzionario, e si renda necessaria la stabilizzazione del quadro ordinamentale. Come in effetti è accaduto dopo la Liberazione con l’approvazione della nostra Legge Fondamentale!
La Liberazione, oltretutto, proprio quest’anno, richiama più che mai quella frontale e ardimentosa contrapposizione resistenziale nei confronti della barbarie nazifascista messa in atto dai tanti giovani e giovanissimi di allora che hanno vissuto da vicino la fondamentale svolta costituzionale per il nostro Paese (alcuni dei quali, come si è tristemente appreso, sono stati sottratti alla vita e alla diretta testimonianza di quella straordinaria stagione di lotta per la democrazia proprio dal coronavirus, i cui effetti letali, come viene ripetutamente detto, tendono ad essere riservati alle persone più anziane).
Resta dunque l’ impegno morale nei confronti di quella straordinaria generazione di continuare a ricordare che la democrazia rappresenta ancora una relazione formalizzata dalle norme costituzionali tra chi esercita legittimamente il potere e coloro i quali sono tenuti a conformarsi ai “comandi”; ciò non toglie che non sia affatto semplice assumersi la piena responsabilità di fronteggiare in modo efficace eventi eccezionali - quale quello che ci riguarda da ultimo - senza oltrepassare i confini costituzionali che delimitano l’azione di indirizzo politico e non ne consentono impropri sviamenti tanto sul piano formale quanto su quello sostanziale. Tuttavia è bene ricordare che governare una Comunità statuale significa assumersi una gravosa responsabilità, che dovrebbe sempre rievocare, in quanti sono chiamati ad esercitarla, lo sforzo intrapreso e il prezzo pagato dalle passate generazioni per consegnarci la democrazia che oggi conosciamo e che presuppone l’uso controllato del potere politico da chiunque esercitato e in qualunque situazione ci si venga a trovare.
3.La riscoperta dei vincoli solidaristici interni (non solo la richiesta della solidarietà europea).
Partendo dalla stretta attualità che implacabilmente ci ricorda come a causa della pandemia le manifestazioni pubbliche quest’anno, in occasione della Festa della Liberazione, finiscano per essere condizionate dalle note disposizioni che obbligano a “restare a casa” e che comporteranno il non poter frequentare la “piazza” da parte di chi desidererebbe farlo, si potrebbero forse più facilmente riscoprire “vincoli solidaristici” che la vigente Costituzione limpidamente contempla e, in verità, impone, collegando il riconoscimento dei diritti individuali e l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (art.2). Se, come naturale e persino giusto, si pretende concreta “solidarietà” dalle Istituzioni europee e dagli Stati dell’Unione a causa delle maggiori afflizioni subite dall’Italia per la deflagrazione del virus qui da noi più che altrove , è bene ricordare che non ci si può sottrarre agli stessi impegni solidaristici interni in virtù dei quali, ad esempio, il “peso economico” della crisi che scaturisce dalla complicata gestione dell’epidemia sarebbe naturale che gravasse su quanti possono (singoli o categorie professionali) meglio sopportarlo. Egualmente sarebbe opportuno ricordare che l’emergenza nazionale in atto, se finisce per interessare alcuni territori più di altri – a prescindere dal perché ciò è accaduto e accade e dalle specifiche responsabilità della classe politica regionale coinvolta – non dovrebbe tanto essere affrontata elevando steccati tra zone rosse chiuse in entrata e in uscita e la restante parte dello Stato, da considerare pure zona impermeabile per ragioni opposte di contenimento del contagio (il che, ovviamente, potrebbe essere, specie nel breve periodo, una scelta logica e costituzionalmente giustificata) quanto piuttosto promuovendo la concreta disponibilità dei territori meno colpiti nel sobbarcarsi, per come possibile, il peso non necessariamente economico – ad esempio assistenziale rispetto alla cura e/o alla degenza post-ospedaliera dei malati e dei convalescenti o, più genericamente, di ausilio gestionale – delle Regioni più esposte agli effetti dell’epidemia, così da contribuire ad alleviare le difficoltà sopportate da alcune popolazioni selettivamente martoriate, al contrario di altre, dalla diffusone dei contagi. Anche questa tipologia di relazioni solidaristiche tra Regioni dell’unica e indivisibile Repubblica italiana - così recita l’art.5 Cost. – dovrebbe sollecitare la Festa della Liberazione del 2020; Liberazione della quale ha beneficiato l’intero Paese, sebbene la decisiva Resistenza armata, come ricordato, sia stata opera prevalente di quanti proprio nel Settentrione – che oggi conosce la maggior parte dei deceduti per effetto del coronavirus – si sono battuti a costo della vita per la conquista delle libertà democratiche di tutto il popolo italiano, anche di quella parte che, al Centro-Sud, nell’aprile 1945, non aveva già più la necessità di “andare in montagna” e battersi contro il comune nemico da sconfiggere per rifondare democraticamente lo Stato.
[1] Il quotidiano La Repubblica del 18 aprile 2020 (“Polemica sul 25 aprile, Fratelli d’Italia: ‘Ricordiamo i caduti di tutte le guerre e del Covid, la canzone del Piave al posto di Bella ciao’ “), ha riportato una dichiarazione del sen. La Russa in questi termini:” Con una diretta Facebook insieme a Edoardo Sylos Labini e ad alcuni parlamentari abbiamo avanzato una proposta rivolta a tutti, senza distinzioni politiche e culturali: da quest’anno il 25 aprile diventi, anziché divisivo, giornata di concordia nazionale nella quale ricordare i caduti di tutte le guerre, senza esclusione alcuna. E in questa data si accomuni il ricordo di tutte le vittime del Covid 19 che speriamo cessino proprio in aprile. Sarebbe il modo migliore per ripartire in una Italia finalmente capace, dopo 75 anni da quel lontano 1945, di privilegiare ciò che ci unisce e che ci rende tutti orgogliosi di essere italiani. Nel ricordo dei caduti, chi vorrà, sabato prossimo potrà listare a lutto un tricolore e cantare la canzone del Piave che da sempre le Forze armate dedicano ai caduti di ogni guerra”.
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