La nuova liberazione anticipata. Dubbi e criticità.
Brevi note sulle ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale emessa dal magistrato di Sorveglianza di Napoli (ord. in data 7.3.2025) e dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto (ord. in data 25.3.2025).
Sommario: 1. Le modifiche introdotte dal legislatore in materia di accesso al beneficio – 2. I dubbi di costituzionalità. Profili di irragionevolezza e ostacoli al finalismo rieducativo della pena - 3. Il raggiungimento degli obiettivi e l’impatto sugli Uffici. Qualche considerazione.
1. Le modifiche introdotte dal legislatore in materia di accesso al beneficio
A meno di un anno dal decreto “Carcere sicuro” (DL n.92 del 5.7.2024 conv. in L. 8.8.2024 n. 112) che ha profondamente trasformato l’istituto della liberazione anticipata disciplinato dall’ordinamento penitenziario, la magistratura di sorveglianza si è rivolta alla Corte Costituzionale dubitando della conformità della nuova disciplina ai principi di finalità rieducativa della pena e di ragionevolezza sanciti dagli artt. 3 e 27 comma II della Costituzione.
Lo scopo perseguito dal legislatore, esplicitato nella Relazione di accompagnamento al decreto-legge, è quello di garantire una applicazione più efficace della liberazione anticipata, sia in favore del detenuto, sia in favore della magistratura di sorveglianza, attraverso una semplificazione della procedura che sgravi il lavoro degli uffici di sorveglianza e, al contempo dia maggiore certezza ai detenuti circa il maturare, nel corso dell’esecuzione della pena del beneficio, sia infine per evitare i rischio che il riconoscimento avvenga a troppa distanza dall’insorgere dei suoi presupposti con effetti negativi sull’accesso ad altri benefici penitenziari e sulla individuazione del termine finale della pena e, in tale ottica, si è proceduto alla modifica dell’art. 69 bis OP, che disciplina il procedimento attraverso cui si addiviene alla valutazione in ordine al riconoscimento del beneficio e all’aggiunta del comma 10 bis all’art. 656 c.p.p. che disciplina l’esecuzione delle pene detentive.
La regola generale dell’accesso alla liberazione anticipata su istanza di parte è stata sostituita dalla previsione di un intervento officioso del magistrato di sorveglianza in due momenti distinti dell’esecuzione penale. Il primo costituito dalla presentazione di istanze di misure alternative o di altri benefici, rispetto ai quali, nel computo della pena espiata o da espiare necessaria per l’accesso agli stessi, sia rilevante la liberazione anticipata. Il secondo costituito dall’approssimarsi del fine pena. In relazione a questa seconda ipotesi il comma 10 bis dell’art. 656 c.p.p. prevede che nell’ordine di esecuzione venga indicato, accanto alla cadenza pena effettiva, il fine pena “virtuale” ovvero quello risultante dal preventivo computo delle detrazioni che la persona condannata potrà ottenere durante l’esecuzione a titolo di liberazione anticipata. Il magistrato dovrà intervenire nel termine di 90 giorni antecedente al fine pena virtuale per evitare che il riconoscimento del beneficio avvenga successivamente alla scadenza della pena. La norma prevede inoltre che l’ordine di esecuzione contenga l’avviso al condannato che le detrazioni di pena indicate non saranno riconosciute se lo stesso non avrà dato prova di effettiva partecipazione all’opera di rieducazione.
Il maccanismo doppia indicazione della pena\avviso al condannato costituisce, nell’intenzione del legislatore, un accorgimento idoneo a stabilizzare i semestri di interesse e a promuovere l’adesione all’opera rieducativa.
È stato, dunque, ribaltato l’originario meccanismo secondo cui il Pubblico Ministero aggiornava l’entità della pena da espiare in corrispondenza all’emissione di provvedimenti di liberazione anticipata, in favore di un sistema che, partendo dall’indicazione della massima riduzione di pena possibile in astratto può variare nel tempo solo in termini negativi per il condannato.
Carattere meramente residuale assume, invece, l’avvio del procedimento su istanza di parte al di fuori dei momenti sopraindicati. L’istanza di parte deve essere sostenuta da uno interesse specifico, diverso da quello generico a conoscere l’andamento semestrale del proprio percorso rieducativo. Infatti, nell’ottica che anima la riforma, tale interesse deve essere sempre correlato ad ottenere un vantaggio in termini di accesso a benefici o di anticipazione della scadenza pena. Di fatto, l’unico interesse diverso da quello sotteso alle valutazioni officiose concretamente ipotizzabile, è, come indicato nella Relazione di accompagnamento al decreto legge, quello ad ottenere il c.d. scioglimento del cumulo (ovvero lo scorporo della quota pena relativa a reati che rendono più complesso l’acceso a benefici o che addirittura lo precludono).
2. I dubbi di costituzionalità. Profili di irragionevolezza e ostacoli al finalismo rieducativo della pena
La nuova normativa è oggi al vaglio della Corte Costituzionale.
Le ordinanze di rimessione dei magistrati Sorveglianza di Napoli e di Spoleto focalizzano i loro rilevi sulla parte della norma che limita l’accesso al beneficio su istanza di parte. È questa, infatti, la disposizione che maggiormente impatta sull’impianto dell’istituto, modificandone profondamente i connotati, in quanto priva le persone condannate, soprattutto quelle detenute in carcere, di uno strumento di verifica del proprio percorso e di un incentivo alla prosecuzione all’opera rieducativa
La liberazione anticipata è stata fino il beneficio cui tutte le persone in esecuzione di pena (non soltanto i detenuti in carcere) hanno avuto liberamente accesso, senza distinzione tra reati oggetto della condanna o tra differenti regimi penitenziari ed è stato anche, spesso, il primo beneficio sperimentabile dopo un periodo di esecuzione relativamente breve.
L’esperienza ci dice che la richiesta di ottenere “i giorni” - espressione di frequente utilizzata dalle persone condannate per riferirsi alla liberazione anticipata - è la prima che viene rivolta al magistrato di sorveglianza nel corso dei colloqui e che l’aspettativa della riduzione della pena che ne segue, è, per il condannato un momento importante di riconoscimento del proprio impegno anche nelle prime fasi della carcerazione ed un tassello su cui costruire la speranza di potere, in futuro, accedere ad altri più ampi benefici. L’istanza è, inoltre, il primo passo che il condannato compie verso un confronto con le istituzioni, in un’ottica di accettazione della condanna e di volontà di intraprendere un percorso rieducativo. Non è un caso, infatti, che alcuni condannati per reati correlati alla partecipazione ad associazioni criminali di stampo mafioso, manifestino la mancata accettazione delle regole dello Stato di diritto ed il rifiuto di confronto con la magistratura proprio attraverso la scelta, a volte rivendicata, di non presentare mai istanze di liberazione anticipata.
La periodicità delle istanze, correlate alla maturazione di uno o più semestri di pena, costituisce, quindi, un fattore che caratterizza il percorso rieducativo ed accompagna la persona condannata nel corso della espiazione della pena.
È significativo che la liberazione anticipata sia stata, fin dalla sua introduzione, correlata ad una valutazione frazionata dei semestri di espiazione della pena. Come ricordano entrambi i giudici rimettenti tale impostazione aveva ricevuto l’avallo della Corte Costituzionale che, con la sentenza 276\1990 aveva evidenziato come la valutazione semestralizzata nella concessione della liberazione anticipata non fosse mero parametro di calcolo per effettuare le riduzioni della pena bensì “il punto di forza dello strumento rieducativo che si ricollega alle esperienze ed agli insegnamenti della terapia criminologica ... una sollecitazione che impegna le energie volitive del condannato alla prospettiva di un premio da cogliere in un breve lasso di tempo, purché in quel tempo egli riesca dare adesione all’azione rieducativa”. Osservava la Corte che “ se si dovesse riservare ad un giudizio lontano finale globale l'effettiva valutazione della partecipazione semestrale del condannato all'azione rieducativa da una parte ogni incentivo psicologico resterebbe frustrato a causa dell'incertezza che il futuro riserverebbe agli sforzi adesivi degli interessati e dall'altra resterebbero maggiormente penalizzati coloro fin dall'inizio avevano messo a disposizione tutta la loro buona volontà e ciò causa della possibilità che una cattiva prova finale per qualsiasi motivo verificatasi abbia vanificare anni di sforzi compiuti semestre per semestre e viceversa una furbesca condotta di adesioni nell'ultima fase abbia giustamente appropriare per l'intera durata della pena colui che per anni si era mostrato refrattario ogni partecipazione”.
In linea con tale impostazione le argomentazioni delle ordinanze in esame partono dal presupposto che la liberazione anticipata svolge funzioni trattamentali e di reinserimento sociale, entrambe fortemente compromesse da una obbligatoria posticipazione della valutazione della partecipazione all’opera rieducativa e degli effetti positivi che ne derivano, in prossimità della scadenza della pena.
Il magistrato di sorveglianza di Napoli osserva, infatti, che lo scrutinio periodico che accompagna il percorso del condannato consente una verifica cadenzata dell’andamento dello stesso, funzionale ad ottenere riscontri positivi e, dunque, incentivi psicologici alla partecipazione all’opera rieducativa; in caso di riscontri negativi induce a prendere atto di criticità, offrendogli la possibilità di attivarsi verso un cambiamento positivo che lo stesso possa verificare nel semestre successivo.
La riforma, in contrasto con tali principi, crea uno scarto tra condotta adesiva all’opera rieducativa e beneficio da riconoscere, incidendo così sulla progressione trattamentale e trasforma la funzione della liberazione in quella di mero computo algebrico della durata della pena e di passaggio servente rispetto all’accesso alle misure alternative e ai benefici.
Sulla stessa linea il magistrato di sorveglianza di Spoleto sottolinea che, per effetto della riforma, la persona condannata resta, anche a lungo, senza certezza che il fine pena “virtuale” sia effettivamente quello reale, non potendo accedere a verifiche periodiche, rimanendo sospeso in una situazione di incertezza che crea frustrazione e “perdendo quella relazione dialogica che gli consentiva l’interlocuzione periodica con il magistrato di sorveglianza in grado di fargli percepire immediatamente il premio di una condotta partecipativa rispetto alle regole del trattamento, sia l’eventuale gravità, al contrario, di comportamenti involutivi, intervenuti, mediante il rigetto dell’istanza”.
Da ciò deriva una vanificazione degli effetti psicologici che rafforzano i propositi rieducativi correlati alla periodicità delle valutazioni che, fino ad ora, hanno costituito “veri e propri mattoni fondativi di un più ampio edificio rieducativo” e, di conseguenza un rischio di maggiore difficoltà nell’accesso ai benefici.
Aggiunge il magistrato rimettente che siffatte criticità sono amplificate nell’attuale contesto, caratterizzato da gravi carenze di mezzi e di risorse che producono un surplus di afflittività correlato al sovraffollamento che incide negativamente sia sulle condizioni di vita dei detenuti sia sulla loro possibilità di accesso a percorsi risocializzanti.
Sotto altro profilo rileva che il disallineamento tra i momenti di intervento del magistrato e l’ambito temporale di valutazione - che, anche dopo la modifica, resta semestrale - è foriero di un’intrinseca irragionevolezza della norma. È infatti irrazionale che, a fronte di un metro di giudizio semestrale, non permanga un diritto della persona condannata a conoscere se tale porzione di pena sia stata eseguita nel rispetto di canoni di partecipazione all’opera rieducativa. Per chi, in particolare, ha fruito fino all’entrata in vigore della riforma, di valutazioni semestrali la modifica si traduce in un’ingiustificata regressione trattamentale. La persona vedrebbe infatti disconosciuto il percorso rieducativo compiuto, con violazione del principio di uguaglianza e di finalismo rieducativo, restando confinato in una situazione di attesa nell’incertezza dell’effettiva concessione che può durare anche per anni.
Osserva ancora che l’attuale impianto normativo priva il magistrato di sorveglianza di importanti elementi di conoscenza in occasione di istanze di benefici avanzate in un momento in cui sono già maturate le condizioni di ammissibilità in relazione al quantum di pena espiata o da espiare.
Entrambi i giudici rimettenti evidenziano, poi, sia pure con diverse sfumature, che il meccanismo individuato dal legislatore non risulta funzionale alla finalità di semplificazione sottesa all’intervento normativo. L’istruttoria necessaria ai fini della decisione risulterà certamente più complessa di quella attuale ed è concreto il rischio che vi siano difficoltà ad acquisire, a distanza di tempo, elementi concreti che possano consentire una valutazione per ogni singolo semestre con evidente pregiudizio per la celerità della risposta giudiziaria.
3. Il raggiungimento degli obiettivi e l’impatto sugli Uffici. Qualche considerazione
I profili di incostituzionalità rilevati nelle ordinanze sopra analizzate esprimono la preoccupazione ed il generale disorientamento che ha suscitato la riforma tra i magistrati di sorveglianza.
La sensazione è, ancora una volta, quella di una forte lontananza tra l’intervento del Legislatore e i reali problemi dell’esecuzione penale, settore i cui meccanismi di funzionamento sono conosciuti da un gruppo ristretto di addetti ai lavori e che resta un mondo a parte rispetto al resto della giurisdizione.
Non si comprende come l’irrigidimento del meccanismo di accesso al beneficio possa portare vantaggi in termini di adesione al trattamento rieducativo e di semplificazione del lavoro dei magistrati.
Si dubita, in primo luogo che l’aspirazione ad un premio in termini di riduzione pena previamente quantificata nell’ordine di esecuzione possa costituire un effettivo incentivo concreto alla partecipazione all’opera rieducativa. L’avviso contenuto nell’ordine di carcerazione introdotto dal comma 10 bis dell’art. 656 c.p.p. nulla aggiunge al patrimonio conoscitivo dei condannati, che sono perfettamente consapevoli del loro diritto alla riduzione di pena semestrale in caso di condotta adesiva al trattamento, ma per come formulato, risulta, piuttosto, un severo monito finalizzato ad evitare un allungamento del fine pena che potrebbe invece sortire un effetto negativo sul piano psicologico inducendo i condannati ad un’adesione soltanto formale trattamento rieducativo, privandolo della sua funzione di superamento delle criticità che hanno condotto alla commissione del reato.
Si osserva inoltre che, anche prima dell’intervento normativo, era frequente l’attivazione officiosa del magistrato ai fini del riconoscimento della liberazione anticipata in momenti procedimentali sensibili quali le istanze di accesso a misure alternative. In questi casi, a prescindere da istanze di liberazione anticipata, il magistrato verificava l’esistenza di semestri da valutare non soltanto nei casi in cui l’istanza appariva inammissibile sotto il profilo del quantum di pena espiato o da espiare ma anche, ove le condizioni di ammissibilità non fossero in discussione, al diverso fine di effettuare una valutazione che tenesse conto del fine pena effettivo. E ciò in quanto, come correttamente osserva il magistrato di sorveglianza di Spoleto, la misura della pena residua effettiva e non soltanto virtuale, costituisce un profilo che incide in maniera significativa sul giudizio di merito, in particolare è parametro di valutazione dell’idoneità risocializzante di un programma di misura alternativo e dei tempi di osservazione intramuraria aggiuntiva programmabili prima di un eventuale accesso a benefici. Secondo l’attuale cornice normativa, invece, ove ai fini dell’accesso a benefici l’istante non necessiti di riduzioni di pena, il magistrato, pur essendo tenuto a valutare la condotta e la positiva partecipazione all’opera rieducativa per la decisione, non potrà in caso positivo, anche riconoscere al condannato una riduzione effettiva di pena a titolo di liberazione anticipata, decisione questa che viene immotivatamente rimandata ad uno step successivo con conseguente duplicazione di giudizio.
Sotto altro aspetto la concentrazione in pochi momenti delle valutazioni della condotta, senza possibilità di interventi di parte porta con sé, pur in assenza di uno specifico intervento del legislatore in tal senso, il rischio concreto di un progressivo scivolamento verso un canone valutativo diverso da quello frazionato per semestre che governa l’istituto, ovvero verso quella valutazione globale già stigmatizzata dalla Corte Costituzionale del 1990. È assai probabile, infatti, che ove la valutazione cumulativa, a valle, di tutto o parte del periodo di esecuzione diventi la regola, sarà sempre maggiore la tendenza ad una valutazione globale delle criticità che può incontrare un condannato nel suo percorso con un’incidenza negativa di tale valutazione anche in relazione a semestri immuni da rilievi. Senza contare la perdita di quel costante strumento regolativo della condotta costituito dalle valutazioni periodiche che aiuta i condannati ad acquisire consapevolezza e responsabilità.
Molti dubbi sorgono poi sull’effettiva idoneità della nuova normativa a risolvere le criticità organizzative degli uffici di Sorveglianza.
La costruzione di un intervento officioso sostitutivo da parte del magistrato di sorveglianza, tenuto ad attivarsi entro 90 giorni dalla scadenza del fine pena virtuale sembra non considerare il dato obiettivo che gli uffici di sorveglianza non sono dotati di mezzi e sistemi per conoscere in tempo reale quale sia questo termine.
L’ufficio del Pubblico Ministero, in funzione di organo dell’esecuzione, ha finora governato il tempo di esecuzione delle pene, emettendo ordini di scarcerazione sempre aggiornati a seguito di provvedimenti di liberazione anticipata o di altre vicende esecutive. La riforma, di fatto, trasferisce tale onere di controllo alla magistratura di sorveglianza, gravandola di un compito che, da un lato, non le compete sotto il profilo sistematico dall’altro non è comunque in grado di assolvere con i mezzi a diposizione.
Il Legislatore sembra aver dimenticato che la competenza della magistratura di sorveglianza si radica in relazione a singoli procedimenti e che i condannati che nel corso dell’esecuzione della pena non hanno mai presentato istanze di alcun tipo sono sconosciuti al sistema informatico SIUS degli Uffici, con conseguente impossibilità di effettuare un monitoraggio complessivo di tutte le esecuzioni in atto.
Ma anche per i soggetti inseriti nel SIUS, sistema obsoleto ed inadeguato, non è praticabile un monitoraggio adeguato in assenza di alert che consentano di segnalare il momento a partire dal quale il magistrato deve attivarsi in via officiosa.
Per colmare tali lacune alcuni Uffici, soprattutto di piccole dimensioni, hanno individuato soluzioni “artigianali”, quali accordi con i direttori degli istituti penitenziari per l’invio di elenchi di detenuti con pene prossime alla scadenza, ma resta comunque totalmente irrisolto il problema dei condannati sottoposti a misure alternative o agli arresti domiciliari esecutivi per i quali non è chiaro con quali modalità verrà comunicato agli Uffici competenti l’approssimarsi del fine pena virtuale.
A ciò si aggiunge che il meccanismo disegnato dalla riforma volto a garantire, attraverso l’indicazione del fine pena virtuale, la stabilizzazione, fin dall’inizio, dei semestri di interesse ai fini dell’applicazione della riduzione di pena, sottende un’immodificabilità nel tempo del titolo esecutivo del tutto teorica, quando è, invece, naturale un’evoluzione dello stesso, in caso, ad esempio di sopravvenienza di nuovi titoli che contengono periodi di presofferto, con conseguente emissione di provvedimenti di cumulo che ridisegnano completamente la composizione dei semestri.
Di tutti questi aspetti la normativa sembra non tenere conto e, per un’eterogenesi dei fini, anziché semplificare complica il lavoro degli Uffici di Sorveglianza, ponendo a carico dei magistrati nuove responsabilità. Mentre con il vecchio regime, grazie alle istanze di parte, era più agevole, anche in assenza di mezzi, avere un certo controllo della scadenza delle pene e offrire risposte tempestive nella valutazione dei procedimenti di liberazione anticipata cd “liberatori”.
In definitiva un’analisi complessiva dell’incidenza della riforma sulla realtà esistente induce a constatare che gli apprezzabili intenti del legislatore - semplificazione, certezza del fine pena, contenimento del rischio di ritardi nella scarcerazione o negli accessi alle misure alternative - si sono tradotti in una normativa che ha profondamente inciso sulla natura di un beneficio cardine del sistema penitenziario, depotenziando la sua efficacia risocializzante, senza alcun reale beneficio per i diritti dei condannati e per il funzionamento degli Uffici di sorveglianza.