L’art. 578 c.p.p. tra Sezioni unite e Corte costituzionale
di Aniello Nappi
Dopo l’intervento delle Sezioni unite del 2009 la giurisprudenza della Corte di cassazione è consolidata nel senso che «allorquando, ai sensi dell'art. 578 c.p.p., il giudice di appello - intervenuta una causa estintiva del reato - è chiamato a valutare il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili per la presenza della parte civile, il proscioglimento nel merito prevale sulla causa estintiva, pur nel caso di accertata contraddittorietà o insufficienza della prova». Sicché è indiscusso che «all'esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili, oppure ritenga infondata nel merito l'impugnazione del pubblico ministero proposta avverso una sentenza di assoluzione in primo grado ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p.».
Nel 2021 è tuttavia intervenuta in tema la Corte costituzionale, affermando che l’art. 578 c.p.p. non viola il diritto dell'imputato alla presunzione di innocenza, «perché nella situazione processuale che vede il reato estinto per prescrizione e quindi l'imputato prosciolto dall'accusa, il giudice non è affatto chiamato a formulare, sia pure "incidenter tantum", un giudizio di colpevolezza penale quale presupposto della decisione, di conferma o di riforma, sui capi della sentenza impugnata che concernono gli interessi civili», ma «nel decidere sulla domanda risarcitoria, anziché verificare se si sia integrata la fattispecie penale tipica contemplata dalla norma incriminatrice, deve accertare se sia integrata la fattispecie civilistica dell'illecito aquiliano (art. 2043 cod. civ.)».
Si è dunque prospettata la possibilità che la decisione della Corte costituzionale abbia così contraddetto la giurisprudenza di legittimità, che in presenza della parte civile esige sempre l’accertamento pieno in ordine alla responsabilità penale dell’imputato nonostante la sopravvenuta estinzione del reato per amnistia o prescrizione.
Con ordinanza dell’8 giugno 2024 la Quarta sezione penale della Corte di Cassazione ha dunque rimesso la questione alle Sezioni unite, ritenendo che il principio di diritto enunciato nel 2009 dalla sentenza Tettamanti potrebbe appunto essere ormai incompatibile con la sopravvenuta decisione della Corte costituzionale del 2021.
Risolvendo la questione loro rimessa, le Sezioni hanno però ribadito ora, con sentenza depositata il 27 settembre 2024, che «nel giudizio di appello avverso la sentenza di condanna dell'imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l'estinzione del reato per prescrizione, non può limitarsi a prendere atto della causa estintiva, adottando le conseguenti statuizioni civili fondate sui criteri enunciati dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 182 del 2021, ma è comunque tenuto, stante la presenza della parte civile, a valutare, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, la sussistenza dei presupposti per l'assoluzione nel merito».
Ha precisato la Corte che «la situazione processuale oggetto della pronuncia della Consulta riguarda il caso in cui “il giudice dell'impugnazione penale (giudice di appello o Corte di cassazione), spogliatosi della cognizione sulla responsabilità penale dell'imputato in seguito alla declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione (o per sopravvenuta amnistia), deve provvedere — in applicazione della disposizione censurata — sull'impugnazione ai soli effetti civili”»; mentre «il principio espresso da Sez. U, Tettamanti opera, invece, nel caso in cui non sia venuta meno per il giudice dell'impugnazione penale la cognizione sulla responsabilità penale dell'imputato». Sicché «l'esigenza di tutela della presunzione d'innocenza nei rapporti tra proscioglimento in rito dall'accusa penale e potere cognitivo del giudice dell'impugnazione sugli interessi civili non si pone nell'ambito applicativo del principio espresso da Sez. U, Tettamanti, concernente la possibilità per il giudice penale di privilegiare l'assoluzione nel merito dall'accusa penale sulla declaratoria di prescrizione, con parallela revoca delle statuizioni civili».
Tuttavia la Corte non ha chiarito a quali condizioni il giudice dell’impugnazione possa ritenersi “spogliato” «della cognizione sulla responsabilità penale dell'imputato in seguito alla declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione (o per sopravvenuta amnistia)». Infatti l’esercizio da parte del giudice dell'impugnazione penale della cognizione piena sulla responsabilità penale dell'imputato dovrebbe escludere che quello stesso giudice possa pervenire alla dichiarazione di estinzione del reato limitando la sua cognizione all’illecito civile.
Come ha rilevato l’ordinanza di rimessione alle Sezioni unte, non è che «dapprima debba essere condotta l’indagine secondo le direttive della Sez. U. Tettamanti e successivamente, ove esclusa la possibilità di assoluzione in primo grado ai sensi dell'art. 530, comma secondo, c.p.p.». nel merito, dovesse farsi applicazione di quelle dettate dalla Corte costituzionale».
In realtà la decisione delle Sezioni unite è corretta, perché non è un’impossibile cesura tra i due accertamenti a rendere la sentenza Tettamanti compatibile con la decisione della Corte costituzionale, ma è l’effetto devolutivo dell’impugnazione a determinare l’ambito della cognizione del giudice adito.
Infatti l’accertamento pieno ai fini dell'eventuale assoluzione nel merito, richiesto dalla giurisprudenza di legittimità «anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie», presuppone che al giudice dell’impugnazione sia devoluto appunto l’accertamento della responsabilità dell’imputato, ai sensi dell’art. 597 o dell’art. 606 c.p.p.: presuppone ad esempio che il giudice sia chiamato a pronunciarsi sull’impugnazione ai fini penali proposta dall’imputato che neghi la sua colpevolezza. Mentre può accadere che il giudice dell’impugnazione sia chiamato a pronunciarsi su questioni che non pongano in discussione la colpevolezza dell’imputato, con la conseguenza che in tal caso potrebbe trovare applicazione solo l’art. 129 comma 2 c.p.p., laddove prevede che anche «quando ricorre una causa di estinzione del reato ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula prescritta». E in questi casi il giudice, esclusa l’evidenza della non colpevolezza dell’imputato, potrà pronunciarsi sulla sola azione civile in conformità alla decisione della Corte costituzionale.
Potrà accadere ad esempio che, quando il solo P.M. abbia impugnato una sentenza di condanna anche al risarcimento dei danni in favore della parte civile (lamentando ad esempio l’erronea esclusione di un’aggravante a effetto speciale o l’irrogazione di una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato), il giudice dell’impugnazione, non sia chiamato a pronunciarsi sulla colpevolezza dell’imputato e dunque, ove sopravvenga comunque l’estinzione del reato per prescrizione o amnistia e non risulti applicabile l’art. 129 comma 2 c.p.p., dovrà pronunciarsi sull’azione civile ai sensi dell’art. 578 c.p.p.; e potrà allora ribadire la condanna agli effetti civili anche nel caso in cui la responsabilità penale sarebbe stata in realtà da escludere indipendentemente dall'estinzione del reato, perché, come chiarito da C. cost., n. 182/2021, il giudice dovrà in tal caso attenersi alle regole di giudizio e allo standard probatorio del processo civile.
Ma anche quando fosse l’imputato a impugnare la sentenza di condanna, per lamentare ad esempio solo l’eccessività della pena o il mancato riconoscimento di un’attenuante, la sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione o amnistia renderebbe possibile un proscioglimento nel merito solo in applicazione dell’art. 129 comma 2 c.p.p.; e dunque il giudice dell’impugnazione, esclusa l’evidenza di non colpevolezza dell’imputato e dichiarato estinto il reato, dovrebbe ribadire la decisione in favore della parte civile, eventualmente anche solo in applicazione delle regole di giudizio e dello standard probatorio del processo civile.
Si deve pertanto concludere che correttamente le Sezioni unite hanno escluso l’ipotizzabilità della dedotta incompatibilità tra la giurisprudenza di legittimità e la decisione della Corte costituzionale, perché, per gli effetti devolutivi delle impugnazioni, C. cost., n. 182/2021 risulterà applicabile solo quando non sia applicabile la sentenza Tettamanti.
Per leggere la sentenza: https://www.cortedicassazione....