Sommario: 1. Premessa – 2. Esperienze in Italia prima della cd. riforma Cartabia – 3. Prime applicazioni della nuova disciplina – 4. Necessità di criteri interpretativi condivisi – 5. Attuabilità della giustizia riparativa e prassi del tribunale di Roma.
1. Premessa
Quando parliamo di giustizia riparativa parliamo di una pratica lunga, faticosa, volta a prevenire conflitti, costruire relazione e riparare fratture in un processo di dialogo che coinvolge le parti interessate facendo del crimine “un’occasione positiva di rafforzamento dei legami sociali”[1].
La giustizia riparativa ha una dimensione relazionale e un approccio inclusivo e affonda le sue radici nella comunità, terreno privilegiato che consente di non inaridire i legami e permette di costruirne di nuovi.
La comunità si identifica nella vittima. Mettere al centro la persona offesa e la sua dignità è un modo nuovo di guardare al processo, non limitato al profilo risarcitorio.
L’applicazione della giustizia riparativa in ambito penale consente quindi di inserire questo istituto tra le risorse a disposizione per incidere sulla recidiva[2] e di affrontare i limiti e le contraddizioni del sistema carcere dove, larga parte della popolazione detenuta “rappresenta una marginalità sociale che avrebbe dovuto trovare altre risposte” perché “altre forme di supporto e riduzione dei conflitti e delle difficoltà che abitano la collettività hanno fallito”[3].
Come si ricava dalle premesse della Raccomandazione CM/Rec(2018)8 del Consiglio d’Europa agli Stati membri sulla giustizia riparativa in materia penale, la finalità è quella di “incoraggiare il senso di responsabilità degli autori dell’illecito e offrire loro l’opportunità di riconoscere i propri torti così da favorire il loro ravvedimento e consentire la riparazione e la comprensione reciproca e incoraggiare la rinuncia a delinquere” [4].
Principi chiave della giustizia riparativa sono: “volontarietà; dialogo deliberativo e rispettoso; eguale attenzione ai bisogni e agli interessi delle persone coinvolte; correttezza procedurale; dimensione collettiva e consensuale degli accordi; accento su riparazione, reintegrazione e raggiungimento di una comprensione reciproca; e assenza il dominio” (punto 14 della Raccomandazione).
“La giustizia riparativa è volontaria” e “Le parti devono poter revocare il loro consenso in ogni momento del percorso” (punto 16 della Raccomandazione)
Centrale è l’ascolto e precondizione la possibilità di narrare la propria esperienza in un contesto extraprocessuale che consenta di fruire di un tempo non contingentato o inappropriato.
La mediazione penale, il percorso di giustizia riparativa più utilizzato, è molto diversa dalla mediazione civile: non implica reciproche concessioni; è insuscettibile di essere imposta; cerca di favorire il “riconoscimento” dell’altro, della sua umanità, della sua dignità, non necessariamente richiesto nell’ambito civilistico.
Presupposto è il riconoscimento del fatto e quindi il riconoscimento dell’altro. A questo proposito la Direttiva 2012/29/UE adottata dal Parlamento Europeo e dal Consiglio recante “norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato” condiziona l’accesso ai servizi di giustizia riparativa al “riconoscimento dei fatti essenziali da parte dell’autore del reato”, ma aggiunge che ove si tratti di “persona indagata o imputata” sia fatta “salva la presunzione d’innocenza”. La formula è prudente e la partecipazione ad un programma di giustizia riparativa non deve essere utilizzata come prova dell’ammissione della colpevolezza nel prosieguo del procedimento penale.
La giustizia riparativa è stata definita “un affare faticoso, costoso e per nulla rapido; non deflaziona in modo sensibile i carichi giudiziari (o almeno, non lo fa se non in una prospettiva a lungo raggio, in chiave di abbattimento dei tassi di recidiva), e tuttavia non c’è dubbio che – affiancata alla giustizia con la spada – questa giustizia “relazionale” e dialogica assicuri un miglioramento netto della performance complessiva … L’importante è creare i servizi e formare gli operatori, curare gli aspetti organizzativi anche negli uffici giudiziari (es. la trasmissione ai Centri dei recapiti delle persone offese), armonizzare i tempi rispetto a quelli della giustizia ordinaria”[5].
Vorrei ricordare anche quello che della giustizia riparativa hanno scritto[6] Luigi Ciotti (Non parliamo, beninteso, di un cammino facile, perché la giustizia riparativa è, prima di un sistema giuridico, un prodotto culturale, capace di promuovere percorsi di riconciliazione senza dimenticare le esigenze della giustizia “retributiva” (incentrata sul rapporto tra il reato e la pena) e della giustizia “riabilitativa” (più attenta al “recupero” del detenuto)… Percorsi delicati, quasi mai lineari, connessi alle parti più intime dell’essere umano e dunque da gestire con attenzione ed equilibrio, perché il ricostruire le relazioni umane e il tessuto sociale non può andare a discapito dell’equità, della certezza e della funzione riabilitativa della pena) e Gian Maria Flick (È una tendenza che va al di là del dovere di giustizia e di solidarietà di ricordare la vittima; di rispettarla e considerarla; di ascoltarla e aiutarla essendole vicini; di consentirle una rappresentanza adeguata. Non bastano le leggi di riforma. Occorrono prima di tutto società e cultura; occorre quella legalità sostanziale di cui oggi si tratta anche quando si parla di prevenzione della corruzione; occorre che finalmente recepiamo la cultura della reputazione e la cultura della vergogna. Vale per la corruzione, per l’evasione fiscale; ma vale anche e soprattutto per il carcere).
2. Esperienze in Italia prima della cd. riforma Cartabia
I percorsi di Giustizia Riparativa sono considerati e largamente utilizzati fin dagli anni ’90 del secolo scorso in molti Paesi in cui si è passati dalla reclusione quale sola o principale forma di risposta al crimine, a più complesse modalità di inclusione gestite dai Servizi di Probation.
In Italia già nel 1997 il Cardinale Carlo Maria Martini[7] riteneva “più produttiva, anche in termini di prevenzione generale, una politica criminale che investa sulle capacità dell’uomo di tornare a scegliere il bene che non una politica criminale fondata sul solo fattore della forza e della deterrenza” e scriveva “ho sentito più volte esprimere da detenuti colpevoli di gravi crimini e avviati a un cammino di conversione sincera il loro desiderio di non scontare una pena qualunque rispetto ad una collettività generica, pagando in maniera astratta il loro debito verso una società di cui conoscono dal di dentro le malefatte e le ingiustizie, ma piuttosto di riparare il male fatto o rispetto alle persone offese o rispetto a gruppi da loro lesi almeno con azioni positive di servizio gratuito in favore di ideali simili a quelli da loro violati. Mi pare di cogliere in questi desideri ciò che corrisponde a quella personalizzazione dell’atto riparatorio che affiora nelle pagine bibliche e che potrebbe servire come uno degli elementi per un ripensamento di un sistema penale atto a restituire l’equilibrio dei rapporti rotti dalla delinquenza, corrispondendo così sia all’intento di restaurare l’ordine violato sia contemporaneamente a quello di farlo in maniera personalizzata e ricca di motivazioni umanizzanti”. E riteneva “più produttiva, anche in termini di prevenzione generale, una politica criminale che investa sulle capacità dell’uomo di tornare a scegliere il bene che non una politica criminale fondata sul solo fattore della forza e della deterrenza”.
Al funerale di Vittorio Bachelet il figlio Giovanni riconobbe con chiarezza l’impegno dello Stato[8] e invece di chiedere maggiore fermezza e pene più severe espresse parole di perdono (“Senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri”).
Dopo aver ascoltato quelle parole, tre anni dopo, diciotto brigatisti scrissero ad Adolfo Bachelet, fratello gesuita di Vittorio: “sappiamo che esiste la possibilità di invitarla qui nel nostro carcere. Di tutto cuore, desideriamo che lei venga, e vogliamo ascoltare le sue parole [...]. Ricordiamo bene le parole di suo nipote, durante i funerali del padre. Oggi quelle parole tornano a noi, e ci riportano là, a quella cerimonia, dove la vita ha trionfato della morte, e dove noi siamo stati davvero sconfitti, nel modo più fermo ed irrevocabile”.
Adolfo Bachelet prese a girare per le carceri e Anna Laura Braghetti, che lo incontrò tante volte, nel suo libro[9] scrive “Da lui ho avuto una grande energia per ricominciare, e un aiuto decisivo nel capire come e da dove potevo riprendere a vivere nel mondo e con gli altri. Ho capito di avere mancato, innanzitutto, verso la mia umanità, e di aver travolto per questo quella degli altri”.
Negli scorsi decenni fatti il cui accertamento giudiziario è stato lungo e tortuoso, sono stati affrontati anche ponendo di fronte vittime e responsabili della lotta armata e un esperimento seguito per sette anni portò ad oltre cento incontri tra cui quello di Agnese Moro con i terroristi Adriana Faranda e Franco Bonisoli[10].
Si è parlato molto dei percorsi che hanno avvicinato terroristi protagonisti di fatti atroci del nostro passato e le loro vittime. Se ne è parlato soprattutto per la dimensione pubblica che hanno assunto questi incontri, criticata molto spesso anche da talune delle vittime[11].
Queste esperienze di giustizia riparativa hanno però alimentato il dibattito sull’importanza della riparazione del conflitto e forme nuove e parallele di giustizia.
La Commissione Verità e Riconciliazione[12] creata da Nelson Mandela in Sudafrica per promuovere l’unità nazionale e la riconciliazione, indicò forme di giustizia che possiamo definire riparativa, incoraggiando un percorso di “verità” e di “riparazione” quale condizione per la concessione dell’amnistia (avanzata dal National Party, artefice del regime dell’apartheid), cercando un punto di equilibrio con l'esigenza che i colpevoli di gravi violazioni dei diritti umani fossero puniti (fatta valere dall'African National Congress, oggetto di persecuzioni).
La giustizia riparativa può promuovere istanze di pacificazione sociale anche in conflitti e dimensioni locali più ristretti.
A Hull, cittadina britannica molto degradata, la diffusione di pratiche di giustizia riparativa per la riparazione delle dinamiche conflittuali in una scuola, attraverso la formazione dei docenti, portò ad una sostanziale riduzione di sospensioni e espulsioni e delle assenze dal lavoro e fu poi estesa alle altre scuole, alle amministrazioni comunali e ad altri luoghi di lavoro. Anche nella grande città inglese di Leeds, le pratiche riparative sono state introdotte nei servizi per l'infanzia lavorando insieme alle famiglie e al personale e da lì estese in tutta la città attraverso la formazione.
Il modello delle due città anglosassoni è stato seguito a Tempio Pausania quando nel 2013 a seguito della dismissione del vecchio carcere ne fu costruito uno nuovo di massima sicurezza destinato a ospitare condannati per reati di mafia provenienti da Sicilia, Calabria e Puglia. Occorreva ricomporre il conflitto che vedeva da un lato il timore di infiltrazioni mafiose da parte della popolazione e dall’altro la sofferenza per la lontananza dalla famiglia da parte dei detenuti (la citta non voleva i detenuti, i detenuti avrebbero preferito stare nelle loro città)[13]. Così, nel 2014 é iniziata la collaborazione tra il carcere, l’Università di Sassari[14], la Magistratura di sorveglianza e l’Amministrazione comunale. La cittadinanza è stata coinvolta in un percorso di incontri e conferenze con l’obiettivo di individuare soluzioni ed è stato realizzato un modello di comunità riparativa.
L’assenza di regolamentazione non ha in sostanza impedito in Italia numerosi esperimenti di giustizia riparativa, alcuni divenuti nel tempo stabili servizi locali di mediazione penale e di giustizia riparativa.
All’interno del carcere di Padova il primo caso ebbe origine da una lettera spedita in carcere da Alberto, un cittadino la cui abitazione era stata più volte visitata dai ladri: “Egregio signor ladro…”. Ne iniziò un carteggio con i detenuti della redazione di Ristretti Orizzonti, giornale della Casa di Reclusione di Padova. Queste esperienze portate avanti dall’Associazione Granello di Senape fin dal 2004 sono confluite nella istituzione del “Centro per la Mediazione sociale e dei conflitti” del Comune di Padova.
Il Centro Italiano per la Promozione della Mediazione (CIPM) fin dal 2012 ha lavorato sulla conflittualità familiare e sui programmi di recupero per gli autori di reati violenti in ambito familiare.
Anche il Centro per la Giustizia Riparativa e la Mediazione Penale del Comune di Milano è una realtà importante, come lo Sportello di Giustizia Riparativa del Comune di Monza (gestiti dai mediatori della Cooperativa DIKE di Milano) e l’Associazione In Opera che opera negli istituti penitenziari di Milano.
Il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria già nel 2005 istituì la Commissione di studio "Mediazione penale e giustizia riparativa" che concluse i suoi lavori adottando le “Linee di indirizzo sull’applicazione nell’ambito dell’esecuzione penale di condannati adulti di modelli di giustizia ripartiva conformi alle Raccomandazioni delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa”. Il 21.1.2009, in seno alla Direzione generale dell’Esecuzione Penale Esterna, fu quindi istituito l’Osservatorio nazionale permanente per il coordinamento e il monitoraggio delle esperienze in ambito riparativo.
In ambito minorile la giustizia riparativa è sperimentata da tempo. Il DPCM 84/2015 unificò i due mondi, per facilitare, anche nel campo della giustizia riparativa, l’integrazione dei due contesti operativi “che si fondano entrambi sull’azione coordinata di enti e associazioni sul territorio quale presupposto per il rientro dell’autore di reato nella legalità nel contesto di appartenenza”.
Si diede quindi vita al Dipartimento della giustizia minorile e di comunità presso il quale la soppressa Direzione Generale dell’esecuzione penale esterna del Dap divenne Direzione Generale per l’esecuzione penale esterna e di messa alla prova.
Il 17.5.2019 il Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità emanò le Linee di indirizzo per la giustizia riparativa definite “un primo sforzo per definire le peculiarità e ordinare aggiornare e integrare le migliori esperienze maturate in materia nel settore degli adulti e in quello minorile”[15].
Nel mese di maggio del 2015 presso il Ministero della giustizia fu nominato il Comitato di esperti per lo svolgimento della consultazione pubblica sulla esecuzione della pena denominata "Stati Generali sulla esecuzione penale". I lavori furono avviati sulla base della documentazione messa a disposizione dell’Ufficio Studi del Dap e vi presero parte operatori penitenziari, magistrati, avvocati, professori, esperti, rappresentanti della cultura e dell'associazionismo civile riuniti in diciotto Tavoli tematici di lavoro con lo scopo di definire un nuovo modello di esecuzione penale.
All’esito dei lavori, il 18 aprile 2016, il Tavolo n. 13 sulla Giustizia riparativa, mediazione e tutela delle vittime di reato, formulò una proposta per una “più intensa compenetrazione tra modalità rieducativo-trattamentale e giustizia riparativa” volta ad introdurre la praticabilità di percorsi di giustizia riparativa per tutti i detenuti, indipendentemente dal titolo di reato e dalla misura della pena da scontare.
Il documento finale prodotto dagli Stati Generali avrebbe dovuto condurre all’elaborazione di decreti di riforma dell’Ordinamento penitenziario ma la richiesta di introdurre strumenti normativi rimase inevasa e irrisolto rimase, oltre al problema delle condizioni di accesso ai servizi di giustizia riparativa, quello della formazione dei mediatori, dell’istituzione di un albo dei mediatori e dei requisiti indispensabili per il loro accreditamento.
La riforma Cartabia[16] ha fatto tesoro di tutto questo e, anche per adempiere all’obbligo di attuazione delle Direttiva del Parlamento europeo 2012/29/UE che imponeva agli Stati membri, entro il termine ampiamente scaduto del 16 novembre 2015, di creare le condizioni perché le vittime possano giovarsi di servizi di giustizia riparativa, ha introdotto quella che è stata denominata una Disciplina organica della giustizia riparativa in cui sono richiamati definizioni e principi disponendo il suo innesto nel processo penale e disciplinandone gli effetti sulla pena.
Della disciplina organica della giustizia riparativa e del suo innesto nel processo si è già scritto[17], prendendo spunto dalla ordinanza della Corte di Assise di Busto Arsizio del 19.9.2023.
3. Prime applicazioni della nuova disciplina
La Corte di Assise di Busto Arsizio, dopo la sentenza di condanna di primo grado e in pendenza dei termini per presentare l’appello, ha disposto l’invio dell’imputato condannato al Centro per la Giustizia Riparativa del Comune di Milano con l’opposizione del pubblico ministero e delle parti civili, le quali, tutte, avevano manifestato l’assoluta indisponibilità ad incontrare l’imputato.
Il provvedimento è stato analizzato sia sotto il profilo del ruolo della vittima aspecifica (“Un freddo provvedimento giudiziale che si limiti a prendere atto dell’indisponibilità dei familiari a partecipare a un percorso riparativo e contempli de plano, come equivalente funzionale, la rapida sostituzione delle vittime dirette con quelle aspecifiche brucia i tempi del dialogo, e probabilmente la disponibilità futura dei familiari della vittima a riporre fiducia nel sistema di giustizia”), sia sotto quello del potere valutativo dell’autorità giudiziaria che, in assenza di una motivazione sull’effettiva utilità del programma nel caso concreto, potrebbe “determinare iniziative giudiziarie prevaricatrici delle strategie difensive dell’imputato oppure poco attente alle ragioni della vittima diretta” [18].
In un altro caso recente la Corte di Assise di Appello di Bolzano non ha disposto l’invio dell’imputato che uccise i genitori occultandone i cadaveri, evidenziando la gravità dei fatti contestati, il “breve” lasso di tempo intercorso (meno di tre anni) dall’omicidio, i rapporti “fortemente dolorosi ed emotivamente contrastanti” con le persone offese, e il fatto che l’istanza era stata avanzata solo quattro giorni prima dell’inizio del processo d’appello. Anche in questo caso la sorella e le zie dell’imputato avevano fatto sapere di non sentirsi pronte ad un incontro.
In materia di sostanze stupefacenti la Corte di Appello di Milano[19] non ha disposto l’invio richiesto dall’imputato con il parere favorevole del procuratore generale in assenza di una vittima, anche aspecifica, con cui intrattenere il dialogo.
Al riguardo il Centro per la Giustizia Riparativa e la Mediazione Penale del Comune di Milano ha già sperimentato un programma fra un gruppo di persone condannate per detenzione e spaccio di stupefacenti e un gruppo di familiari di persone tossicodipendenti e anche lo Sportello di Giustizia Riparativa del Comune di Monza ha sperimentato il dialogo tra un gruppo di persone condannate anche per spaccio di sostanze stupefacenti e un gruppo di abitanti di un quartiere della città ove questa tipologia di reati è frequente.
Proprio nei reati di spaccio di stupefacenti il programma può quindi efficacemente svolgersi con il coinvolgimento la comunità (nella forma della community group conferencing).
Nel commentare l’ordinanza della Corte di Appello di Milano[20] si è ricordato anche l’esperienza di “un’insegnante di scuola superiore che volle portare nel dialogo mediativo un’esperienza di vittimizzazione subita, vale a dire l’irruzione delle forze dell’ordine in classe, la perquisizione e il sequestro di sostanze stupefacenti in possesso di alcuni suoi studenti e il successivo suo ingresso in commissariato per rendere dichiarazioni sull’accaduto. Pur non trattandosi dello studente della professoressa ma di un autore di reato di una vicenda analoga, e viceversa, pur non trattandosi di una persona della comunità di appartenenza del condannato, ma di una professoressa di un altro territorio, l’incontro ha rappresentato un’opportunità per entrambi. Per l’autore del reato la possibilità di una diversa consapevolezza circa l’assunzione di responsabilità connessa alla scelta di trafficare e spacciare, per l’insegnante la possibilità di un riconoscimento degli effetti negativi che discendono dalla diffusione delle attività di traffico e spaccio nel territorio. A partire da questo incontro e dal dialogo fra i partecipanti è stato possibile progettare delle azioni di riparazione condivise, nello specifico “un esito riparativo con accordo simbolico” (ex art. 56 del decreto). Un valore aggiunto che la giustizia penale non avrebbe potuto offrire né all’uno né all’altra”.
Numerosi sono attualmente i provvedimenti in cui il giudice non dispone l’invio richiesto ritenendo di non poter applicare l’art. 129-bis c.p.p. in assenza di individuazione dei Centri di giustizia riparativa previsti all’art. 42 del decreto.
4. Necessità di criteri interpretativi condivisi
L’innesto di pratiche di giustizia riparativa nel processo, anche nella fase di cognizione, ha posto le basi per un mutamento culturale, ma l’ingresso di questi istituti deve avvenire con cautela, tenendo in considerazione la pluralità degli interessi delle parti, valutando la fase processuale, il percorso già fatto dall’imputato, il rischio di esporre le vittime ad una amplificazione del trauma ed evitando soprattutto qualsiasi automatismo specie in fasi precoci di processo per reati gravi.
Le prime applicazioni, oltre a porre con forza l’esigenza di un controllo e una verifica sulla qualità dei programmi e sulla professionalità del mediatore, mettono in luce la necessità di criteri interpretativi condivisi.
Al riguardo presso la Corte di Appello di Milano il 1° agosto 2023 è stato sottoscritto uno Schema operativo per la giustizia riparativa ed è interessante ripercorrerne il contenuto sotto alcuni profili.
Si stabilisce che l’accesso ai programmi sia consentito per qualsiasi tipo di reato a prescindere dall’individuazione in concreto di una vittima ovvero dall’assenso del consenso della vittima individuata.
Che le parti siano sentite, in udienza o con contraddittorio cartolare, sui presupposti del rinvio (utilità del programma riparativo alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato e assenza di pericolo concreto per gli interessati e per l’accertamento dei fatti) e che l’accertamento in ordine al consenso dell’autore e della vittima sia demandato in via esclusiva al Centro (in caso di diniego della vittima se ne farà menzione nell’ordinanza di invio, perché gli operatori del Centro ne siano informati e ne tengano conto).
Che il giudice possa indicare al Centro per la giustizia riparativa un arco temporale, di norma ricompreso tra i 3 e i 6 mesi ritenuto congruo per l’elaborazione e lo svolgimento del programma.
Che la graduazione delle riduzioni di pena in caso di esito riparativo può variare in funzione della valutazione da parte dell’autorità giudiziaria della ragionevolezza e della proporzionalità dell’esito riparativo raggiunto.
Che in caso di proscioglimento l’imputato possa presentarsi autonomamente presso il Centro di Giustizia Riparativa, producendo la sentenza, senza alcuna richiesta preventiva all’autorità giudiziaria.
Che nella fase dell’esecuzione, in cui l’esito riparativo può essere valutato ai fini dell’affidamento in prova al servizio sociale, l’invio sia disposto con provvedimento informale del magistrato di sorveglianza e non del direttore dell’istituto. Che in questa fase l’accesso sia “ampio e indiscriminato” ma “con valutazione dei presupposti solo in capo al magistrato di sorveglianza.
Lo Schema individua il giudice competente nel passaggio da una fase all’altra del processo e dà atto che le linee guida sono state elaborate grazie alla collaborazione del Centro per la Giustizia riparativa del Comune di Milano al quale possono essere inviati i casi in attesa dell’attuazione della ricognizione dei centri esistenti ad opera della Conferenza Locale (art. 92 D. Lgs. 150/22).
La redazione tempestiva dello Schema testimonia un proficuo metodo di discussione e condivisione tra Avvocatura e Uffici giudiziari di linee guida in questa materia.
5. Attuabilità della giustizia riparativa e prassi del Tribunale di Roma
Allo stato la giurisprudenza della Corte di Cassazione[21] nell’affermare che le nuove previsioni contenute negli artt. 129-bis e 419, comma 3-bis, c.p.p. “non contemplano alcuna ipotesi di nullità nel caso di mancata applicazione“ e che in particolare, l’art. 129-bis c.p.p. “nel prevedere la possibilità che il giudice disponga d’ufficio l’invio delle parti ad un centro per la mediazione, si limita a disciplinare un potere – essenzialmente discrezionale – riconosciuto al giudice, senza introdurre espressamente un obbligo di attivarsi“, ha analizzato il contenuto della valutazione del giudice affermando che “l’opzione circa la sollecitazione del procedimento riparativo è dettata da una serie di valutazioni che attengono alla tipologia del reato, ai rapporti tra l’autore e la persona offesa, all’idoneità del percorso ripartivo a risolvere le questioni che hanno determinato la commissione del fatto”, e che l’avviso “ha solo una finalità informativa e, peraltro, si inserisce in una fase in cui l’imputato beneficia dell’assistenza difensiva, con la conseguenza che dispone già del necessario presidio tecnico finalizzato alla migliore valutazione delle molteplici alternative processuali previste dal codice, ivi compresa quella di richiedere l’accesso al programma di giustizia riparativa“.
La Corte di Cassazione, chiarendo che l’invio del giudice integra una mera modalità aggiuntiva, sembra quindi aver riaffermato il principio dell’accesso incondizionato agli strumenti della giustizia riparativa, previsto dalla legge delega (l. n. 134/2021).
Al di là della valutazione del giudice ex art. 129-bis c.p.p. l’imputato può quindi prendere parte autonomamente ad un programma di giustizia riparativa e può farlo, evidentemente, anche su suggerimento di terzi o del suo difensore, in qualunque fase del processo.
Lo stesso giudice, come anche in passato, può quindi suggerire all’imputato di rivolgersi ad uno dei centri per la giustizia riparativa esistenti ed operanti in molte Regioni e può altresì valutare l’eventuale percorso effettuato dall’imputato in precedenza nel determinare l’entità della pena ai sensi dell’art. 133 c.p., sempre che l’affidabilità del centro glielo consenta.
In sostanza l’approccio indicato dalla giustizia riparativa dovrebbe permeare in generale il mondo dei rapporti interpersonali e, al di là del suo innesto nel processo e degli effetti sulla pena, dovrebbe connotare l’area penale rientrando a pieno titolo nel modello della giustizia di comunità che ricomprende ogni istituto che preveda la presa in carico dell’autore di reato e della vittima e l’organizzazione dei relativi servizi.
In particolare la Raccomandazione del Consiglio d’Europa Rec(2018)8 sulla giustizia riparativa recita:
punto 60. I principi e gli approcci riparativi possono anche essere applicati nell’ambito del sistema della giustizia penale, ma al di fuori della procedura penale.
punto 61. I principi e gli approcci riparativi possono essere utilizzati proattivamente dalle autorità giudiziarie ….OMISSIS…. nel prendere decisioni gestionali e nel consultare il personale, nonché in altre aree della gestione del personale e dei processi decisionali organizzativi. Ciò può aiutare a costruire una cultura riparativa all’interno di tali organizzazioni.
punto 62. Ferma restando la necessità che i percorsi di giustizia riparativa siano erogati in autonomia dal procedimento penale, le agenzie di giustizia riparativa, le autorità giudiziarie, le agenzie della giustizia penale e altri servizi pubblici competenti dovrebbero collaborare a livello locale al fine di promuovere e coordinare l’utilizzo e lo sviluppo della giustizia riparativa nei loro territori.
Nel Tribunale di Roma si è cercato di attuare questi principi.
In sinergia con le altre istituzioni operanti sul territorio, sono stati valorizzati gli strumenti a disposizione del giudice che prevedono percorsi di responsabilizzazione nell’ambito della comunità.
Dopo un iniziale Accordo di collaborazione del 4.3.2020, seguito dall’Accordo di Rete del 4.5.2022, è stato sottoscritto (tra aprile e giugno 2023) un Protocollo operativo per la Map e le pene sostitutive e più recentemente, il 29 novembre 2023, un Protocollo con il quale è stato concordato un modello di intervento per il sostegno e la cura dei soggetti accusati di violenza nelle relazioni affettive[22].
In tema di giustizia riparativa, già ben prima dell’entrata in vigore della cd. riforma Cartabia, sono stati previsti interventi in favore delle vittime di reato e percorsi di giustizia riparativa, valorizzando le azioni già intraprese dalla Regione Lazio per la ricognizione e la mappatura dei servizi finalizzate alla costruzione di un modello operativo condiviso per una omogeneità di intervento su tutto il territorio regionale.
Da ultimo, all’interno dell’Osservatorio permanente per la Giustizia di comunità istituito presso la Presidenza, è stata avviata la discussione in ordine al contenuto di una bozza di Protocollo operativo per la giustizia riparativa fondato sui principi contenuti nella Raccomandazione del Consiglio d’Europa Rec(2018)8.
[1] Cfr. Francesco Palazzo “Crisi del carcere e culture di riforma”. Diritto Penale Contemporaneo n. 4/2017
[2] Joan Durnescu- Università di Bucarest-, Prague, September 2015
[3] Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale; Relazione al Parlamento 2023
[4] Cfr. anche le precedenti Raccomandazioni del Consiglio d’Europa R(1985)11, R(1987)21, R(1999)19 che incoraggiano le esperienze di mediazione tra il reo e vittima con particolare attenzione agli interessi delle vittime e la R(2010)1 che fa riferimento a prassi di giustizia riparativa. L’elaborazione delle Raccomandazioni del Consiglio d’Europa è curata da esperti nazionali e da esperti scelti dal Consiglio d’Europa all’interno degli organismi ove il testo prende vita (Comitato Europeo dei Problemi Criminali – CDPC – e Consiglio della Cooperazione penologica – PC-CP-). I principi enunciati sono perlopiù frutto dell’apporto italiano, e io stessa ho toccato con mano l’autorevolezza di cui gode l’Italia grazie al lavoro fatto in anni lontani da colleghi quali Luigi Daga e Giovanni Tamburino.
Cfr. altresì le Risoluzioni dell’Economic and Social Council (ECOSOC) delle Nazioni Unite n. 1998/23, n. 1999/26 e n. 15/2002; la Dichiarazione di Vienna, adottata a conclusione dei lavori del Decimo Congresso Internazionale delle Nazioni Unite sulla Prevenzione del Crimine e sul Trattamento dei Rei, svoltosi a Vienna dal 10 al 17 aprile 2000; il Manuale delle Nazioni Unite sui Programmi di Giustizia Riparativa del 2020; le pubblicazioni dell’European Forum for Restorative Justice (EFRJ).
[5] Pasquale Bronzo “Devianza minorile e giustizia riparativa” in Cassazione penale – 1(2022), pp. 334-345 e in “Il disagio giovanile oggi: Report del Consiglio Nazionale dei Giovani”, Sapienza Università Editrice, luglio 2022
[6] Prefazione e postfazione al libro “La giustizia capovolta” di Francesco Occhetta, Casa editrice Paoline
[7] Cardinale Carlo Maria Martini, Relazione fatta pervenire al Convegno “Colpa e Pena? La teologia di fronte alla questione criminale”, Milano, 17-18 aprile 1997
[8] “Preghiamo per i nostri governanti: per il nostro presidente Sandro Pertini, per Francesco Cossiga. Preghiamo per tutti i giudici, per tutti i poliziotti, i carabinieri, gli agenti di custodia, per quanti oggi nelle diverse responsabilità, nella società, nel Parlamento, nelle strade continuano in prima fila la battaglia per la democrazia con coraggio e amore”.
[9] Anna Laura Braghetti e Paola Tavella, “Il prigioniero”, Universale economica Feltrinelli, giugno 2008
[10] “Il libro dell’incontro – Vittime e responsabili della lotta armata a confronto”, a cura di Guido Bertagna, Adolfo Ceretti e Claudia Mazzucato il Saggiatore, Milano 2015
[11] Cfr. intervento di Luca Tarantelli alla presentazione, il 19 gennaio 2017 presso la sala Zuccari del Senato de “Il libro dell’incontro”.
[12] Truth and Reconciliation Commission istituita con la legge denominata Promotion of National Unity and Reconciliation Act entrata in vigore il 15 dicembre 1995, che ha operato tra il gennaio 1996 e l’ottobre 1998.
[13] La direttrice del carcere di allora, Carla Ciaravella, scriveva: “La popolazione locale aveva mostrato fin da subito molta diffidenza nei confronti della nuova costruzione e si era molto incupita quando aveva saputo della destinazione d’uso stabilita dall’amministrazione penitenziaria. L’idea di avere i mafiosi alle porte di casa impensieriva e turbava la monotona ma serena e tranquilla vita degli abitanti di Tempio. Una casa di reclusione per detenuti definitivi con lunga pena deve incentrare necessariamente i propri obiettivi sui percorsi trattamentali e riabilitativi. I detenuti tutti giunti da fuori regione, non erano affatto contenti di essere stati trasferiti in Sardegna, soprattutto per le distanze geografiche che li separavano dai propri famigliari. Tutti loro sapevano bene che dall’arrivo in Sardegna in poi, i rapporti con le proprie mogli, figli, genitori si sarebbero diradati. Sapevano anche che, in ragione delle situazioni di ostatività, per via della natura dei reati commessi, avrebbero avuto poche e limitate possibilità di accedere ai benefici premiali ed alle misure alternative”
[14] “Studio e analisi delle pratiche riparative per la creazione di un modello di città riparativa”, parte di un progetto regionale più ampio dal titolo “Sistema Informativo e governance delle politiche di intervento e contrasto del crimine” - Legge regionale 7 agosto 2007 n. 7 Regione Autonoma della Sardegna
[15] Cfr. nota n. 7348 in data 20.5.2019 diffusa dal Capo del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità
[16] Decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 e decreto legge 31 ottobre 2022, n. 162.
[17] Cfr. Flavia Costantini: “L’omicidio di Carol Maltesi e l’attuale disciplina della giustizia riparativa” in Giustizia Insieme, 17 novembre 2023.
[18] Cfr. Paola Maggio e Francesco Parisi: “Giustizia riparativa con vittima surrogata o aspecifica: il caso Maltesi-Fontana continua a far discutere”, in Sistema Penale, scheda del 19 ottobre 2023.
[19] Corte di Appello penale di Milano Sez. V, 12 luglio 2023
[20] Cfr. Federica Brunelli: “La giustizia riparativa nei reati senza vittime”, in Giurisprudenza penale Web, 7-8 2023
[21] Cass. Sez. IV n. 32360 del 9.5.2023; Sez. VI n. 25367 del 13.6.2023.
[22] Il materiale è reperibile sul sito del Tribunale di Roma all’indirizzo: https://www.fallcoweb.it/prenotazioni/roma/map/index.
L'immagine è di Erik Ruin via https://rethinkingschools.org/...