1. Le Sezioni Unite hanno definito le questioni di diritto sottese alla vicenda dei criptofonini. Sorta in sordina, la problematica dell’uso processuale ha progressivamente interessato tutto il mondo della giustizia non solo italiana, ma anche quella di altri paesi europei nonché le giurisdizioni sovranazionali (attivate da alcuni Paesi stranieri).
In Italia, i contenuti delle comunicazioni intercorse tra tantissimi soggetti, implicati in rilevanti traffici illeciti, sono stati posti a fondamento di misure cautelari, la cui verifica è approdata rapidamente (art. 309 e 311 c.p.p.) in Cassazione prospettando moltissimi interrogativi sulla loro utilizzabilità quale gravità indiziaria.
L’origine della vicenda è molto nota, come pure i suoi sviluppi investigativi – legati a significative attività e tecniche di indagine (non tutte ancora conosciute) che hanno portato alla decriptazione del contenuto delle comunicazioni ed alla loro trasmissione nei vari processi dove operavano i soggetti coinvolti.
Per una esauriente ricostruzione sul punto di questi elementi si può fare riferimento alla Memoria della procura generale della Cassazione (Giordano).
Tre, sintetizzando, erano i nodi da affrontare, che peraltro sottointendevano rilevanti sottoquestioni, prima fattuali e poi giuridiche.
Come si era espletata l’attività, in Francia; quale era la natura degli atti trasmessi o richiesti; chi era legittimato a richiederli alle autorità francesi o per il tramite di meccanismi transnazionali; quali poteri di controllo sulle modalità di svolgimento dell’attività investigativa potevano essere svolti e chi doveva valutarli nel porli a fondamento della decisione a tutela dei diritti riconosciuti ai suoi destinatari.
Su questi profili sono state interessate le Sezioni Unite che hanno depositato il 29.2.2024 risposte ai quesiti prospettati.
Erano stati prospettati i seguenti quesiti:
a) se il trasferimento all’Autorità giudiziaria italiana, in esecuzione di ordine europeo di indagine, del contenuto di comunicazioni effettuate attraverso criptofonini e già acquisite e decrittate dall’Autorità giudiziaria estera in un proprio procedimento penale, costituisca acquisizione di documenti e di dati informatici ai sensi dell’art. 234 bis c.p.p. o di documenti ex art. 234 c.p.p. ovvero sia riconducibile ad altra disciplina relativa all’acquisizione di prove;
b) se il trasferimento di cui sopra debba essere oggetto di verifica giurisdizionale preventiva della sua legittimità, nello Stato di emissione dell’ordine europeo di indagine;
c) se l’utilizzabilità degli esiti investigativi di cui al precedente punto a) sia soggetta a vaglio giurisdizionale nello Stato di emissione dell’ordine europeo di indagine.
Da un’altra sezione, si era chiesto di chiarire se:
a) se l’acquisizione, mediante ordine europeo d’indagine, dei risultati di intercettazioni disposte da un’autorità giudiziaria straniera, in un proprio procedimento, su una piattaforma informatica criptata e su criptofonini integri l’ipotesi disciplinata, nell’ordinamento nazionale, dall’art. 270 c.p.p.;
b) se, ai fini dell’emissione dell’ordine europeo di indagine finalizzato al suddetto trasferimento, occorra la preventiva autorizzazione del giudice;
c) se l’utilizzabilità degli esiti investigativi di cui al precedente punto a) sia soggetta a vaglio giurisdizionale nello Stato di emissione dell’ordine europeo di indagine.
Oltre al contenuto delle questioni di diritto prospettate, un aspetto interessante della questione risiede alla dinamica che ha condotto due sezioni, in tempi diversi a sollecitare le Sezioni Unite, oggetto di pura contrapposizione ad alta densità, ancorché sottotraccia. Il dato è, del resto, noto, ancorché fosse non in tutti i suoi risvolti. La questione sottende sia la questione di merito, sia questioni legate alle dinamiche interne al Supremo Collegio, considerato il suo elevato ruolo. Sul punto sarebbe necessario ritornare con ulteriori riflessioni.
Come emerge dai quesiti questi si differenziavano per la natura da attribuire agli atti trasmessi dalla Francia, prospettandosi per un verso l’operatività, sostenuta da un lato in modo piuttosto diffuso dall’art. 234 bis c.p.p. e da un altro, minoritario, alla base appunto del contrasto, che faceva riferimento all’art. 270 c.p.p.
Entrambi si interrogavano, invece, con possibili ricadute diversificate tuttavia, legate a questo aspetto pregiudiziale, sulla legittimazione alla richiesta tramite oie degli atti francesi, e sui poteri di controllo del giudice sulla loro utilizzabilità.
Con la decisione sui quesiti si delinea il seguente quadro: integrando le pronunce dei quesiti, si afferma che gli atti provenienti dall’estero – (escluso il riferimento all’art. 234 bis c.p.p.) – possono essere valutati come prova ai sensi dell’art. 78 disp. c.p.p., degli artt. 238 e 270 c.p.p. e così le preclusioni di cui all’art. 6 della direttiva 2014/41/UE (ove si prevede che l’attività sia necessaria e proporzionata, tenendo conto della persona sottoposta alle indagini), in quanto sono considerati singolarmente nella loro natura.
Per entrambi i quesiti si afferma che l’oie può essere richiesto dal p.m.; per entrambi i quesiti, che il giudice è legittimato a controllare il rispetto dei diritti fondamentali, del diritto di difesa e del giusto processo.
Considerato che i due ricorsi che hanno dato origine all’intervento delle Sezioni Unite sono stati rigettati, deve ritenersi, pur in assenza della motivazione, che le disposizioni di garanzia per la loro utilizzabilità sono state riconosciute.
Invero, oltre al riferimento al p.m., per ogni attività dell’oie, le perplessità riguardano, considerate le modalità con le quali si è svolta l’attività in Francia, da un lato, il rispetto dell’art. 6 d. lgs. 2014/41/UE e dall’altro quello del rispetto del diritto di difesa e del giusto processo nel riconoscimento della loro utilizzabilità.
2. Proprio perché la “partita”, stante la blindatura delle misure cautelari deve ritenersi chiusa, anche sotto il profilo degli esiti dei giudizi di merito, e pur nella consapevolezza delle non secondarie implicazioni che ciò avrebbe potuto e poteva determinare, non deve ritenersi improprio anche in pendenza del deposito della motivazione, chiedersi se non era possibile prospettare alla luce di quanto è dato sapere sulle modalità di svolgimento dell’attività di indagine e di acquisizione attraverso la decriptazione delle comunicazioni dei titolari dei criptofonini, se un’altra conclusione in punto di rispetto delle garanzie non risultava prospettabile.
Sotto questo profilo, innanzitutto, non può negarsi che l’attività di indagine in Francia abbia riguardato tutta l’attività di comunicazione delle conversazioni, in modo del tutto indistinto, salvo poi, diffondere ai paesi interessati la posizione, in sfregio al principio di proporzionalità.
In secondo luogo, bisognerebbe interrogarsi, alla luce del rispetto dei diritti fondamentali, se siano date e assicurate alla difesa le adeguate informazioni (si parla di società olandese che ha usato degli algoritmi) sull’attività e sulle modalità delle decriptazioni (si parla di uso di troyan e di altro).
Aspettiamo ancora una volta l’Europa. “Non è finita finché non è finita” (dal Caso Thomas Crawford).