di Flavia Costantini
Sommario: 1.Premessa: ordinanza del 19 settembre 2023 della Corte d’Assise di Busto Arsizio – 2. L’attuabilità del programma sulla base della nuova disciplina sulla giustizia riparativa – 3. Le valutazioni del giudice ai sensi dell’art. 129 bis c.p.p. – 4. La vittima diretta e la vittima cd. aspecifica o surrogata nella nuova disciplina della giustizia riparativa– 5. Gli effetti dello svolgimento del programma nel processo penale – 6. Conclusioni.
1. Premessa: ordinanza del 19 settembre 2023 della Corte d’Assise di Busto Arsizio
In data 12 giugno 2023, la Corte d’Assise di Busto Arsizio ha condannato Davide Fontana alla pena di anni trenta di reclusione: 1) per il reato di omicidio di cui all’art. 575 c.p., per aver cagionato la morte di Carol Maltesi, colpendole la testa con un martello e tagliandole la gola con un coltello, commettendo il fatto nei confronti di persona con la quale aveva intrattenuto una relazione affettiva (circostanza aggravante di cui all’art. 577, c. 2, c.p.) e ponendo la stessa in condizione di non potersi difendere, avendola previamente legata e imbavagliata (circostanza aggravante di cui all’art. 61, n. 2, c.p.); 2) per il reato di soppressione del cadavere (art. 411 c.p.), in quanto utilizzando un’ascia e un seghetto, la depezzava e la eviscerava, dopo di ché cercava di darle fuoco e le asportava porzioni di pelle in corrispondenza di alcuni tatuaggi, nonché del viso per impedirne il riconoscimento; 3) per il reato di occultamento di cadavere (art. 412 c.p.), avendolo suddiviso in quattro sacchi di plastica, che venivano gettati in un dirupo.
La stessa Corte, con ordinanza del 19 settembre 2023, su richiesta dell’imputato, sentiti il Pubblico Ministero e le parti civili, che chiedevano il rigetto dell’istanza, ha disposto, ai sensi degli artt. 129 bis c.p.p. e 42 e segg. D.Lvo 150/22, l’invio del caso al Centro per la Giustizia Riparativa e la mediazione penale del Comune di Milano per verificare «la fattibilità di un programma di giustizia riparativa, mandando agli operatori del centro la valutazione della fattibilità in concreto di un programma anche con la vittima cd. aspecifica, segnalando che si procede per reati non procedibili a querela».
Nell’ordinanza si dà atto che l’imputato aveva manifestato, fin dalla fase delle indagini preliminari, «la volontà di riparare alla conseguenze del proprio gesto», sostenendo di avere «un grande bisogno di farlo» e chiedendo alla Corte «di permettermi di fare qualsiasi cosa, percorsi, di seguire programmi, qualsiasi cosa sia possibile fare verso i parenti di Carol e anche verso altre associazioni»; il Pubblico Ministero aveva rilevato che, invece, lo svolgimento di un programma di giustizia riparativa non potesse essere ritenuto utile alla risoluzione delle questione derivanti dal fatto, tenuto conto della fase processuale, essendo stata emessa la sentenza di primo grado ed essendo in pendenza di appello; tutte le persone offese (in giudizio erano costituite parti civili: i genitori di Carol e l’ex compagno e padre del figlio minore, in proprio e in rappresentanza del figlio) avevano comunicato di non essere disponibili ad avere rapporti di qualunque tipo con Davide Fontana.
La Corte ha motivato la sua decisione di accoglimento della richiesta dell’imputato, considerando la seria, spontanea ed effettiva volontà del Fontana di riparare alle conseguenze del reato, del non necessario consenso per lo svolgimento del programma di tutte le parti interessate e della possibilità di svolgerlo anche con vittima cd. aspecifica, nonché dell’utilità dello svolgimento dello stesso per la risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per il quale si stava procedendo, tenuto conto che «la ratio dell’istituto è quella di ricomporre la frattura che il fatto illecito crea non solo tra l’autore e la vittima del reato, ma anche all’interno del contesto sociale di riferimento e che l’istituto di cui è stata chiesta l’applicazione ha anche, se non soprattutto, natura pubblicistica e ha lo scopo ulteriore di far maturare un clima di sicurezza sociale (cfr. relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, pag. 297), sicchè la volontà del legislatore è indubbiamente di incentivare il ricorso di detto strumento, come chiaramente emerge dall’art. 43, comma 4, d.lgs. 150/2022, secondo cui l’accesso ai programmi di giustizia riparativa è sempre favorito». La Corte ha, altresì, escluso la sussistenza sia di un pericolo concreto per l’accertamento dei fatti, stante l’avvenuto accertamento degli stessi in primo grado, sia di un pericolo concreto per gli interessati, tenuto anche conto del minore di sette anni, considerato l’art. 46 del decreto in questione, che indica la necessità di tutelare la personalità dei minori e i loro interessi, nonché considerata la circostanza che, nel caso di specie, comunque le persone offese avevano comunicato che non intendevano consentire a qualsivoglia genere di incontro con l’imputato e che dunque il programma si sarebbe svolto verosimilmente con vittima cd. aspecifica.
La Corte d’Assise di Busto Arsizio ha, dunque, inteso applicare, con riferimento al caso di specie, la nuova disciplina organica della giustizia riparativa di cui agli artt. 42 – 67 del Decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (di seguito decreto), le cui norme processuali sono entrate in vigore il 1° luglio 2023.
2. L’attuabilità del programma sulla base della nuova disciplina sulla giustizia riparativa
Innanzitutto, si deve chiarire che, sulla base della nuova norma di cui all’art. 129 bis c.p.p. introdotta nel codice di procedura penale dal decreto, il giudice può disporre l’invio dell’imputato e della vittima al “Centro di giustizia riparativa di riferimento” e detto Centro, sulla base di quanto previsto dall’art. 42, c. 1, lett. g) del decreto, è la struttura pubblica di cui al capo V, sezione II; la definizione contenuta nella norma è, infatti, la seguente: «struttura pubblica di cui al capo V, sezione II, cui competono le attività necessarie all’organizzazione, gestione, erogazione e svolgimento dei programmi di giustizia riparativa».
In particolare, la Sezione II, del Capo V, dedicata ai “Centri di Giustizia Riparativa” prevede all’articolo 63 la procedura per l’individuazione degli enti locali presso cui istituire i Centri di giustizia riparativa. Stante l’estrema varietà delle esperienze esistenti in materia, ora in capo ai comuni, ora in capo a province, ora promosse mediante leggi regionali, la scelta del legislatore è stata quella di evitare di individuare direttamente, tramite il decreto legislativo, gli enti locali preposti alla istituzione dei centri. In base ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza si è invece scelto di affidare ad un organo ad hoc, appunto la Conferenza locale per la giustizia riparativa, il compito di provvedere in tal senso, previa ricognizione delle esperienze di giustizia riparativa in atto. Lo strumento della Conferenza locale è funzionale a individuare, di volta in volta, la migliore soluzione, evitando le rigidità di un modello unico di organizzazione dei servizi che, al contrario, non soddisferebbe l’esigenza di rispettare le peculiarità territoriali [1].
La stessa norma prevede, quindi, l’istituzione di una Conferenza locale per ciascun distretto di corte d’appello con la funzione di individuare, all’interno del distretto, gli enti locali cui è affidato il compito di istituire i Centri per la giustizia riparativa e organizzare i relativi servizi. Alla conferenza partecipano un rappresentante del Ministero della giustizia, un rappresentante delle regioni o province autonome e un rappresentante delle province o città metropolitane sul territorio delle quali si estende il distretto della corte d’appello, un rappresentante per ogni comune ricompreso nel distretto che sia sede di uffici giudiziari o presso il quale siano in atto esperienze di giustizia riparativa.
L’art. 64 prevede che i Centri possano avvalersi di mediatori esperti dell’ente locale di riferimento, mediante la stipula di contratti di appalto o mediante una convenzione stipulata ai sensi dell’art. 56 dello stesso decreto. In ogni caso, il personale che svolge i programmi di giustizia riparativa deve possedere la qualifica di mediatore esperto ed essere inserito nell’elenco di cui all’art. 60, comma 2.
È prevista una disposizione specifica in ordine al trattamento dei dati personali e l’articolo 66, nel disciplinare il potere di vigilanza del Ministero della giustizia sull’intero sistema della giustizia riparativa, prevede, innanzitutto, un onere informativo, gravante sulla Conferenza locale, nei confronti del Ministero stesso, da adempiersi con cadenza periodica (annuale). L’articolo 67 disciplina poi il finanziamento dei Centri per la giustizia riparativa [2]. Detto finanziamento permette dunque di garantire la gratuità del programma di giustizia riparativa, che costituisce un principio cardine del nuovo sistema introdotto dal decreto (art. 43, c. 3).
Gli articoli 59 e 60 del decreto sono dedicati, il primo, alla sola formazione dei mediatori esperti e, il secondo, sia ai requisiti e criteri per l'esercizio dell’attività professionale che alle modalità di accreditamento dei mediatori presso il Ministero della giustizia.
La delicatezza del ruolo svolto dal mediatore esperto nell’ambito dei programmi di giustizia riparativa ha spinto il legislatore a disegnare, nella prima norma (articolo 59), una figura professionale che abbia competenze multidisciplinari e trasversali, idonee a garantire l’ascolto dei percorsi emotivi dei partecipanti e la rielaborazione di eventi traumatici, oltre che di comportamenti che, integrando il disvalore sociale tipico del reato, potrebbero essere, sono o sono stati oggetto di accertamento giurisdizionale [3].
La norma transitoria di cui all’art. 92 del decreto (modificato con il Decreto Legge 31 ottobre 2022 n. 162, convertito con modificazioni nella legge 30 dicembre 2022, n. 199 – GU 31.12.2022, n. 304) prevede, ai commi 1 e 2, che la Conferenza locale per la giustizia riparativa, nel termine di sei mesi dall’entrata in vigore del decreto, effettuati la ricognizione dei soggetti che già erogano servizi di giustizia riparativa (anche mediante protocolli d’intesa con gli uffici giudiziari) e rediga un elenco dal quale gli enti locali attingono per la prima apertura dei centri di cui all’art. 63; sempre sulla base della normativa transitoria (art. 92, comma 2 bis, introdotto con la legge di conversione al DL 162/22), le disposizioni in materia di giustizia riparativa, richiamate puntualmente nello stesso articolo (tra le quali, dunque, anche gli artt. 129 bis e 464 bis, comma 4, lett. c), c.p.p., nonché tutte le norme sugli avvisi e le norme di diritto sostanziale), si applicano nei procedimenti penali decorsi sei mesi dall’entrata in vigore del decreto.
I decreti ministeriali del 9 giugno 2023 di cui agli artt. 59, 60 e 93 (disposizione transitoria, riguardante l’inserimento nell’elenco dei mediatori) del decreto sono stati pubblicati nella GU n. 155 del 5 luglio 2023.
Con il Decreto ministeriale del 27 luglio 2023 sono stati nominati i sei esperti della Conferenza nazionale per la giustizia riparativa, con funzioni di consulenza tecnico – scientifica, di cui all’art. 61, comma 2, del decreto.
La Conferenza nazionale per la giustizia riparativa risulta essere stata convocata (per la prima volta) il 25 ottobre 2023, ai sensi dell’art. 61, comma 3, del decreto.
Questo lo stato dell’arte sulla normativa in tema di giustizia riparativa introdotta con decreto.
In sostanza, attualmente detta normativa è in vigore, ma di fatto non attuabile stante la mancata istituzione dei Centri di giustizia riparativa, ovvero dei Centri di riferimento cui il Giudice può inviare il caso, ai sensi dell’art. 129 bis c.p.p., e che sono solo quelli di cui all’art. 42 del decreto, non ancora istituiti, sulla base delle previsioni di cui agli artt. 63 – 67 del decreto (sopra illustrati proprio al fine di meglio comprendere il complesso sistema creato, dall’applicazione del quale non si può prescindere).
I Protocolli attualmente stipulati da taluni Tribunali, tra i quali il Tribunale di Milano, che prevedono la possibilità di inviare i casi a Centri di giustizia riparativa già esistenti, da una parte, oltre a non essere vincolanti, non sono conformi al dettato normativo, e, dall’altro, non permettono comunque l’applicazione completa ed esaustiva dell’intera disciplina introdotta con il decreto. In tal modo, infatti, i casi saranno trattati da centri [4] che non rispettano comunque e necessariamente il sistema introdotto dalla nuova normativa; inoltre, i mediatori che vi operano non sono sicuramente i mediatori esperti di cui al decreto, ovvero mediatori formati sulla base delle disposizioni normative e iscritti all’elenco. C’è poi da chiedersi cosa accadrà quando i Centri (verosimilmente a breve) saranno istituiti e ci saranno programmi in corso di svolgimento presso altri centri “non legittimati”.
Si tratterebbe dunque di un’applicazione ibrida della normativa, non conforme e non funzionale al sistema costruito in tal modo con le disposizioni del decreto proprio in quanto, rispetto al sistema precedente, si è creata un’intersezione tra il processo penale e la giustizia riparativa, permettendo, da una parte, la facoltà di accesso ai programmi «senza preclusioni in tema di fattispecie di reato e alla sua gravità» (art. 44 del decreto), anche in fase procedimentale, e anche su iniziativa dell’autorità giudiziaria (art. 129 bis c.p.p.), dall’altra, l’ingresso dello stesso programma e del suo esito nel processo penale, per essere sottoposto alla valutazione del giudice ed avere, conseguentemente, effetti nello stesso processo (art. 58 del d.lgs. n. 150/2022).
3. Le valutazioni del giudice ai sensi dell’art. 129 bis c.p.p.
Sulla base della disciplina in esame, i punti di innesto della giustizia riparativa nel processo penale si possono individuare: il primo, nel momento nel quale il magistrato, in seguito alla richiesta dell’imputato o della vittima o anche d’ufficio, valuta l’invio del caso al Centro, e, il secondo, al termine dello svolgimento del programma, in seguito all’invio della relazione da parte del mediatore esperto al magistrato (art. 57), per valutare l’esito del programma ed, eventualmente, applicare gli istituti di diritto sostanziale che possono influire sul processo, sia in termini di valutazione della pena (art. 62, c. 1, n. 6, c.p.), sia in termini di estinzione del reato (art. 152 c.p.) sia in termini di concessione dei benefici (art. 163 c.p.).
Quanto alla prima valutazione del Giudice, l’articolo 129 bis c.p. p. prevede che questi possa, su richiesta o anche d’ufficio, disporre l’invio dell’imputato e della vittima al Centro di Giustizia Riparativa di riferimento (art. 42 del decreto), con ordinanza, sentite le parti (compresa dunque la parte civile costituita), i difensori nominati e, se lo ritiene necessario, la vittima del reato (ciò avverrà nel caso in cui la vittima non si sia costituita parte civile e il Giudice ritenga necessario convocarla per sentirla).
Ciò che il Giudice è chiamato a valutare è, in tal caso, che lo svolgimento di un programma di giustizia riparativa possa essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede e non comporti un pericolo concreto, sia per gli interessati, che per l’accertamento dei fatti.
Le tre condizioni per l’invio (una positiva e due negative) sono espresse dalla norma in modo appositamente generico, permettendo al Giudice un’ampia valutazione discrezionale proprio per poter tenere specificatamente conto del caso concreto sottoposto al suo vaglio, lasciando così l’individuazione di criteri più specifici all’elaborazione giurisprudenziale che sicuramente si formerà sulla base dei diversi e variegati casi che si porranno all’attenzione del Giudice e dei mediatori esperti.
Nel valutare la condizione positiva, ovvero l’utilità del programma, il Giudice, partendo proprio dal fatto in sé così come verificatosi, dovrà considerare gli effetti che lo stesso ha prodotto anche nei confronti di tutte le persone coinvolte e della stessa società, tenendo presente quelli che sono gli obiettivi propri della Giustizia Riparativa di cui all’art. 43, comma 2, relativi al riconoscimento della vittima del reato, alla responsabilizzazione della persona indicata come autore dell’offesa e alla ricostruzione dei legami con la comunità. A tal fine, senza dubbio, importante è la valutazione della condotta processuale dell’imputato (considerata anche sulla base della sua presenza alle udienze e delle dichiarazione rese nel corso dell’interrogatorio o dell’esame o spontaneamente) e il parere della persona offesa, che sia costituita o no parte civile, nonché la considerazione del tempo trascorso dal fatto, in rapporto al reato e alle parti.
Nel caso in esame, quanto all’utilità del programma, la Corte, valorizzando, in particolare, anche la natura pubblicistica dell’istituto, ha ritenuto che non fosse possibile «escludere l’utilità dell’accesso al programma anche nella presente fase processuale», tenuto conto della possibilità di svolgere il programma con vittima cd. aspecifica [5]. Viene, in tal caso, utilizzato il parametro valutativo “in negativo” [6], che deve essere comunque letto unitamente alle considerazioni svolte nella parte precedente dell’ordinanza e valutato con le stesse complessivamente.
Nella specie, per la risoluzione delle questioni derivanti dal fatto, si deve dunque partire proprio dal fatto in sé che è quello descritto nel paragrafo 1, dalla lettura del quale emerge subito e con evidenza la particolare violenza utilizzata nella commissione dell’omicidio e l’accanimento poi riversato sul corpo della donna dall’aggressore; così come si dovrà verificare cosa questo fatto ha lasciato e provocato nelle persone più e meno vicine alla vittima e, in particolare, nel figlio di sette anni, nonché nell’intera comunità.
È, infatti, con questo fatto e con tutto quanto ne è derivato che Davide Fontana dovrà fare i conti nel corso del programma di giustizia riparativa, se fosse eventualmente ritenuto fattibile, confrontandosi con le persone offese, tra le quali un minore di sette anni, qualora le stesse dovessero manifestare il loro consenso davanti al mediatore esperto, altrimenti sarà lo stesso mediatore a valutare la fattibilità del programma con la vittima cd. aspecifica.
Per il minore sarà sentito, sulla base del disposto di cui all’art. 48, comma 2, l’esercente la potestà genitoriale e, nel caso in cui acconsentisse, si terrà conto, come disposto dall’art. 46, del superiore interesse dello stesso e lo svolgimento del programma dovrebbe essere assegnato ad un mediatore esperto dotato di specifiche attitudini (sul punto, si deve sempre considerare che il caso in esame è stato assegnato ad un Centro che non è quello di cui al decreto).
La seconda e la terza condizione, entrambe negative, relative alla valutazione del pericolo concreto sia per gli interessati, la prima, che per l’accertamento dei fatti, la seconda, risponde alla necessità di salvaguardare, per un verso, le parti rispetto a pericoli derivanti dalla partecipazione al programma, e, per l’altro, la stessa funzione cognitiva del procedimento penale [7].
Il problema della salvaguardia degli interessati si pone con particolare attenzione sia in questo tipo di reati, che lasciano nelle vittime ferite difficilmente rimarginabili (rendendo le stesse vittime particolarmente fragili) e destabilizzano l’intera comunità, creandovi insicurezza, sia con riferimento ai reati di violenza di genere o domestica, campo nel quale esiste, in particolare, uno squilibrio di potere sotto il profilo psicologico tra i soggetti, trattandosi di forme di violenza particolarmente intrusive e di difficile emersione a causa del carattere relazionale dell’offesa; queste presentano il rischio che il soggetto debole, per paura di subire nuove violenze, nella difficoltà di avere un confronto verbale con l’aggressore adatti i propri bisogni a quelli dell’autore del reato, con conseguente nuova mortificazione dei suoi anche sotto l’aspetto riparativo [8].
Ciò che sia il Giudice, nella valutazione del pericolo concreto (effettuata sulla base di quanto emerge dal procedimento) che il mediatore, nella valutazione della fattibilità del programma (effettuata nel corso degli incontri che ha con le parti nella fase preliminare) dovrebbero assolutamente evitare è il rischio di vittimizzazione secondaria delle persone offese.
Non esiste un definizione nel nostro ordinamento di vittimizzazione secondaria, si può tener presente che nel considerando 17 della direttiva 2012/29/UE (cd. Direttiva vittime) è definita la violenza di genere precisando che «le donne vittime della violenza di genere e i loro figli hanno spesso bisogno di un’assistenza e di protezione speciali a motivo dell’elevato rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsioni connesse a tale violenza». Secondo la stessa direttiva esistono due tipi di vittimizzazione secondaria, quella processuale e quella sostanziale: la prima si configura allorquando la vittima patisca conseguenze dannose proprio a causa del procedimento penale avviato a seguito della denuncia; la seconda invece si configura quando, dopo la denuncia, vi sia il rischio per la persona offesa di essere sottoposta alle medesime condotte violente ed abusanti subite in precedenza.
Nell’ordinanza in esame, come già precisato nel paragrafo 1, si esclude il pericolo concreto per l’accertamento dei fatti, in quanto già giudicati in primo grado, e si esclude altresì un pericolo concreto per gli interessati, pur tenuto conto della presenza del minore di anni sette e considerato che il programma di giustizia riparativa sarà verosimilmente svolto con vittima cd. aspecifica.
Quanto all’accertamento dei fatti, essendo ormai esaurito il processo di primo grado, il pericolo in concreto, relativo all’accertamento dei stessi, non potrebbe verificarsi.
Quest’ultima condizione si pone, infatti, all’attenzione del Giudice, soprattutto nella fase delle indagini o nel corso dell’istruttoria dibattimentale.
Il ruolo del Giudice è, pertanto, in questo momento dell’invio molto delicato; è importante che l’ordinanza sia ben motivata e sarebbe, quanto meno opportuno, per una migliore valutazione, mettere in condizione i magistrati, anche mediante corsi periodici di formazione, di approfondire meglio la materia della giustizia riparativa; non addentrandoci qui nella stessa, basti tenere a mente che si tratta di un forma di giustizia che esiste in realtà anche in Italia da molto tempo, utilizzata soprattutto in campo minorile, e alla quale in Europa, soprattutto nei Paesi scandinavi, si fa ampio ricorso con successo.
Ruolo diverso da quello del Giudice lo ha il mediatore esperto, di fronte al quale le parti saranno chiamate ad esprimere il consenso (artt. 48 e 54) e che valuterà la fattibilità o meno del programma (art. 54, comma 1) sceglierà la tipologia (art. 53), tenendo conto, al termine della fase preliminare, dei soggetti coinvolti e delle loro caratteristiche, della relazione tra gli stessi, della vicenda che li ha visti protagonisti.
Sarà il mediatore esperto, come già precisato, che valuterà la fattibilità del programma anche con vittima cd. aspecifica o surrogata [9] (in ordine alla quale si dirà meglio nel paragrafo successivo) e anche cercando di evitare il rischio di vittimizzazione secondaria come sopra precisato.
4. La vittima diretta e la vittima cd. aspecifica o surrogata nella nuova disciplina della giustizia riparativa
Dunque, «La nuova normativa accoglie l’idea di una giustizia riparativa senza preclusioni ex ante relative alla tipologia di reato commesso, alla fase processuale di riferimento, alle persone coinvolte» [10]. L’accesso può, infatti, avvenire in ogni stato e grado del procedimento (art. 44, c. 2) e si fonda sul consenso libero, consapevole e informato ed espresso in forma scritta sia della persona indicata come autore dell’offesa che della vittima (artt. 43, c. 1, lett. d) e 48, c. 1). Nel corso dello svolgimento degli incontri, i mediatori esperti assicurano “il trattamento rispettoso, non discriminatorio ed equiprossimo” [11] (art. 55, c. 2); l’interesse della vittima e quello della persona indicata come autore dell’offesa sono presi in equa considerazione (art. 43, c. 1, lett. b)).
Dunque, la nuova disciplina pone, per la prima volta, al centro l’interesse di entrambe le parti, «ponendo la giustizia riparativa al di fuori di una visione solo reo – centrica, orientata a risolvere questioni legate alla punibilità del colpevole e/o alla sua rieducazione.
In altre parole, le vittime vengono coinvolte nei programmi di giustizia riparativa non “per fare qualcosa per l’autore del reato” e nemmeno perché “servono alla sua rieducazione” ma per “fare qualcosa per sé stesse. Lo stesso esito riparativo, che nasce dallo scambio dialogico fra le parti, implica necessariamente di andare oltre il desiderio o la sola prospettiva del responsabile e di coinvolgere, in modo attivo la vittima (con una visione ampia capace di includere anche la comunità lesa dal reato) che può “scegliere” di essere riparata. Specularmente la normativa introduce un bilanciamento di interessi anche rispetto a una visione solo vittimo – centrica della giustizia riparativa (quale desumibile dalla lettura della Direttiva UE 29/12 contenente norme minime a protezione e tutela delle vittime), superando l’idea che i programmi di giustizia ripartiva debbano essere intesi nell’esclusivo interesse della vittima» [12].
Della vittima viene data una definizione ben precisa nell’art. 42, comma 1, lett. b) del decreto, nella quale la stessa viene indicata nella: «la persona fisica che ha subìto direttamente dal reato qualunque danno, patrimoniale o non patrimoniale, nonché il familiare della persona fisica la cui morte è stata causata dal reato e che ha subito un danno in conseguenza della morte di tale persona».
Tale definizione riproduce l’articolo 1, comma 1, lett. a), alinea i) e ii) della Direttiva 2012/29/UE, che fa riferimento a “qualunque danno patrimoniale o non patrimoniale” subito direttamente dal reato, allo scopo di ricomprendere ogni possibile effetto dannoso del reato stesso (tra cui, a titolo esemplificativo, il danno economico, fisico, mentale ed emotivo), in linea con l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità attualmente in corso, che va perfezionando e affinando le diverse tipologie di danno, rimanendo tuttavia sempre nell'ambito di tale tradizionale bipartizione. La definizione di vittima non coincide esattamente con le figure note all’ordinamento nazionale, quali la persona offesa, il danneggiato dal reato, la parte civile; pertanto, la nuova disciplina organica è stata coordinata con il resto dell’ordinamento vigente, in base ad esigenze di tassatività e precisione, poste di volta in volta, con il richiamo alla figura autonoma della “vittima del reato” oppure alla “persona offesa” in senso stretto, apportando, di conseguenza, modifiche al codice di procedura penale in tema di avvisi e informazioni [13].
Ai programmi di giustizia riparativa può chiedere di partecipare o essere invitata anche la persona offesa di un reato diverso da quello per cui si procede o per cui si avvia il programma (art. 53), ovvero la cd. vittima surrogata o aspecifica. Come è stato precisato nella Relazione illustrativa al decreto «la vittima di un reato differente non è sostituto della vittima diretta e non meno vittima di quest’ultima. Anche la vittima aspecifica, infatti, è vittima, ancorché vittima di un reato e non del reato» [14]. La possibilità di offrire la partecipazione a programmi di giustizia riparativa, sussistendone l’interesse, la volontà ed il consenso libero e informato, anche alla vittima di un reato diverso, magari della stessa specie di quello per cui in ipotesi si procede, è uno specifico valore aggiunto della giustizia riparativa rispetto alla giustizia penale ‘convenzionale’. L’Handbook delle Nazioni Unite colloca la mediazione con vittima aspecifica (o surrogata) tra i quasi-restorative programmes proprio per il fatto che non si indirizza alla vittima del reato per cui si procede [15].
In pratica, si ricorre alla vittima surrogato o aspecifica quando i programmi di giustizia riparativa affrontano i cd. reati senza vittime o reati che non comportano alcun danno o perdita diretta per un individuo (ad es. detenzione o cessione di sostanze stupefacenti), oppure quando le vittime non sanno di essere state vittime, sono assenti o non rintracciabili o sono state vittime in un altro paese; ci sono anche situazioni in cui la vittima non è un individuo, ma un'entità aziendale. I programmi di giustizia riparativa hanno così trovato modi diversi per "rendere operativo" il concetto di vittima per i propri scopi, ad esempio, utilizzando vittime surrogate, attori retribuiti, rappresentanti ufficiali di aziende o istituzioni pubbliche [16]. Anche quando le vittime, per vari motivi, non desiderano o non possono partecipare direttamente a un processo di riparazione, un programma può essere progettato per consentire a una vittima surrogata di partecipare al processo per conto delle vittime. Questo programma «…consente all’autore di reato di avviare comunque un percorso di mediazione e non di rado porta benefici per entrambe le parti» [17].
Si tratta di un programma che non sostituisce tout court la mediazione diretta e specifica, a esclusivo arbitrio dei mediatori (che, a loro discrezione, priverebbero i partecipanti dal diritto di accedere a una mediazione vis à vis), né si pone come un programma nell’esclusivo interesse dell’imputato (nella prospettiva che occorre che faccia comunque qualcosa in favore di qualcuno) [18].
Dunque, nel caso di specie, come già chiarito, ove le persone offese non prestino il consenso, il mediatore esperto dovrà valutare la fattibilità del programma anche con riguardo alla possibilità che si possa svolgere con vittima surrogata.
Altra valutazione del mediatore esperto, in termini di fattibilità del programma e di successiva scelta dello stesso, da punto di vista della tipologia, è che partecipanti al programma di giustizia riparativa possono essere anche «altri soggetti appartenenti alla comunità, quali i familiari della vittima del reato e della persona indicata come autore dell’offesa, persone di supporto segnalate dalla vittima del reato e dalla persona indicata come autore dell’offesa, enti e associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato, rappresentanti o delegato di Stato, Regioni, enti locali o di altri enti pubblici, autorità di pubblica sicurezza, servizi pubblici” e “chiunque vi abbia interesse» (art. 45, comma 1, lett. c) e d)).
Non può infatti non considerarsi l’aspetto pubblicistico dell’istituto, evidenziato dalla stessa Corte di Busto Arsizio, considerato che il reato commesso crea una frattura, una lacerazione, non solo con la vittima ma con l’intera comunità, creando all’interno della stessa insicurezza. «La giustizia riparativa produce effetti positivi, sia rispetto alla considerazione che si ha di sé sia in termini di relazione con l'altro e con la giustizia, nella vittima, in chi viola la legge, nelle famiglie coinvolte e nella comunità»[19].
5. Gli effetti dello svolgimento del programma nel processo penale
All’esito del programma, l’autorità giudiziaria acquisisce la relazione redatta dal mediatore esperto, contenente «la dettagliata attività svolta e l’esito riparativo raggiunto», di cui dovrà tener conto in ambito processuale, nei limiti di utilizzabilità stabiliti nella disciplina organica (art. 57).
È molto importante, anche in questo momento, il ruolo del Giudice, in quanto è lui a qualificare l’esito del programma e a stabilire dunque se favorevole o meno. Il mediatore esperto non scrive in calce alla relazione del programma svolto (come era in precedenza) se positivo o meno; è il Giudice a valutare lo svolgimento del programma e l’eventuale esito riparativo.
Ciò che può incidere, ai fini dell’applicazione, nell’ambito del procedimento penale, di determinati istituti, nei confronti e a favore dell’imputato, è soltanto l’esito riparativo come definito dall’articolo 42, comma 1, lett. e), del decreto e come disciplinato dall’articolo 56. L’interruzione del programma o il mancato raggiungimento di un accordo non possono dal giudice essere valutati a sfavore dell’imputato.
Le conseguenze che derivano nel processo penale sono il possibile riconoscimento dell’attenuante comune di cui all’art. 62, n. 6, c.p., la possibile remissione tacita di querela, ai sensi dell’art. 152 c.p., nonché la possibile sospensione condizionale della pena, ai sensi 163 c.p.. Sulla base poi di quanto disposto dall’art. 58 del decreto, il giudice valuta lo svolgimento del programma anche ai fini dell’art. 133 c.p. (norma non modificata dal decreto), quindi, nella determinazione della pena.
In base esecutiva, lo svolgimento del programma viene valutato ai fini dell’assegnazione al lavoro esterno, della concessione dei permessi premio e delle misure alternative alla detenzione, previste nel capo VI della L. 354/1975, nonché della liberazione condizionale (art. 15 bis L. 354/1975, disposizione introdotta dal decreto).
Nel caso di specie, ragionando in astratto, pertanto, tenuto conto che trattasi di reati procedibili d’ufficio, per i quali è stata inflitta una pena di anni trenta, ciò che ne potrebbe derivare nel processo, nel caso di svolgimento di un programma di giustizia riparativa con esito favorevole e nel caso in cui la sentenza venisse appellata (e confermata quanto alla condanna), sarà eventualmente l’applicazione della nuova circostanza attenuante comune di cui all’art. 62, n. 6, c.p. (dovendo, invero, valutare i Giudici l’applicabilità di detta circostanza, qualora il programma sarà con vittima surrogata, considerato che nella norma si legge “l’aver svolto un programma di giustizia riparativa con la vittima del reato” e la definizione di vittima del reato è quella di cui all’art. 42, c. 1, lett. b) del decreto) e la valutazione della pena tenendo conto del disposto di cui all’art. 58 del decreto.
Ove la sentenza di condanna passasse in giudicato, in fase esecutiva, potrà, eventualmente, essere valutato il programma svolto ai fini della concessione dei benefici, come sopra precisato.
6. Conclusioni
In conclusione, la nuova disciplina della giustizia riparativa è stata così introdotta nel nostro sistema, in quanto, come chiarito dalla stessa Ministra (all’epoca della redazione del testo) Marta Cartabia «Non posso non osservare che il tempo è ormai maturo per sviluppare e mettere a sistema le esperienze di giustizia riparativa, già presenti nell’ordinamento in forma sperimentale che stanno mostrando esiti fecondi per la capacità di farsi carico delle conseguenze negative prodotte dal fatto di reato, nell’intento di promuovere la rigenerazione dei legami a partire dalle lacerazioni sociali e relazionali che l’illecito ha originato. Le più autorevoli fonti europee e internazionali ormai da tempo hanno stabilito principi di riferimento comuni e indicazioni concrete per sollecitare gli ordinamenti nazionali a elaborare paradigmi di giustizia riparativa che permettano alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente, se entrambi vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale.
Non mancano nel nostro ordinamento ampie, benché non sistematiche, forme di sperimentazione di successo e non mancano neppure proposte di testi normativi che si fanno carico di delineare il corretto rapporto di complementarità fra giustizia penale tradizionale e giustizia riparativa. In considerazione dell’importanza delle esperienze già maturate nel nostro ordinamento, occorrere intraprendere una attività di riforma volta a rendere i programmi di giustizia riparativa accessibili in ogni stato e grado del procedimento penale, sin dalla fase di cognizione» [20].
Pertanto, la nuova disciplina, nell’attuazione dell’art. 1, comma 18, lett. c) della legge delega [21] e nel creare dunque il momento di sinergia tra il processo penale e la giustizia riparativa, ha cercato di trovare il giusto equilibrio tra l’evitare l’uso strumentale dello svolgimento del programma da parte dell’imputato [22], il non ostacolare la necessità di speditezza del processo penale, principio ispiratore dell’intera riforma, e non tralasciare mai il rispetto per la vittima, cercando di evitare la vittimizzazione secondaria.
Per mantenere tale equilibrio è necessario che l’intero sistema venga attuato così come delineato nella normativa: l’invio dei casi nel corso nel procedimento ai Centri, su iniziativa delle parti o d’ufficio, non determina la sospensione del processo, se non per i reati procedibili a querela, con riferimento ai quali l’esito favorevole del programma potrebbe comportare l’estinzione del reato (art. 152 c.p.); la valutazione dell’Autorità giudiziaria è molto importante sia, inizialmente, al momento dell’invio, sia al termine dello svolgimento del programma, dovendo detta Autorità qualificare se l’esito raggiunto sia favorevole o meno e quindi se applicare o meno gli istituti sostanziali con effetti nel processo; lo svolgimento del programma di giustizia riparativa è basato sul consenso delle parti e il programma potrà essere svolto anche se la vittima non presti il suo (procedendo in tal caso allo svolgimento del programma con la vittima surrogata, se ritenuto fattibile dal mediatore esperto nella sua attenta valutazione sul punto); nell’ipotesi in cui si tratti di reati procedibili d’ufficio, in ordine ai quali il procedimento non si sospende, qualora il processo venga definito prima della conclusione dello svolgimento del programma (come verosimilmente accadrebbe sempre nel caso di definizione del giudizio con rito abbreviato), l’imputato non potrà beneficiare della nuova circostanza attenuante introdotta; lo svolgimento del programma di giustizia riparativa deve essere effettuato da Centri e dai mediatori esperti di cui al decreto, con tutte le garanzie che ciò comporta, con ciò auspicando una quanto più rapida possibile istituzione degli stessi Centri [23].
[1] Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150, in Supplemento straordinario n.5 Gazzetta Ufficiale 19.10.22, pag. 563 e segg.
[2] La giustizia riparativa, così come la riforma del processo penale di cui al decreto rientra tra gli obiettivi di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
[3] Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150, in Supplemento straordinario n.5 Gazzetta Ufficiale 19.10.22, pag. 556, ove si legge anche che «La nozione di “mediatore esperto in programmi di giustizia riparativa” è riferita alla figura professionale di nuovo conio, unica deputata allo svolgimento dei programmi di giustizia riparativa in materia penale».
[4] I servizi di giustizia riparativa erogati dai centri che operano in virtù di protocolli d’intesa con Uffici Giudiziari potrebbero essere oggetto di ricognizione da parte della Conferenza locale, in virtù dell’art. 92, comma 1 del decreto, ma allo stato non sono ancora stati sottoposti a ricognizione.
[5] L’istanza di accedere a programmi di giustizia riparativa, anche con vittima aspecifica, risulta invece esclusa dal Tribunale di Trento in altra e non dissimile vicenda di omicidio, quella di Benno Neumair; per la vicenda giornalistica si veda C. Currò Dossi, Benno Neumair chiede la giustizia riparativa. La sorella Madè e la zia “Non così, non si è mai pentito", in Corriere della sera, 16 settembre 2023.
[6] «Ciò lascia senz’altro maggiori possibilità di giustificare l’utilità di un percorso riparativo, anche nelle forme di riparazione con vittima aspecifica, rispetto a quanto avverrebbe qualora si ritenesse invece di dover motivare “in positivo” l’utilità. In questa seconda ipotesi, infatti, andrebbero più specificatamente chiarite le ragioni che nel caso concreto consentono l’invio. Se dovesse consolidarsi il criterio dell’”utilità “in negativo”, anche attraverso l’enfatizzazione dei fini pubblicistici della giustizia riparativa, finirebbe verosimilmente per affermarsi un’utilità in re ipsa, aprendo canali pressoché incondizionati all’invio. E’ in realtà auspicabile addivenire a modalità ragionevolmente condivise di interpretazione”. Paola Maggio e Francesco Parisi, Invio giudiziale a percorsi di giustizia riparativa con vittima “aspecifica”, contro la volontà dei familiari della vittima diretta, in un fattispecie di omicidio aggravato: il caso Maltesi – Fontana continua a far discutere, in Foronline, 29 settembre 2023 e in Sistema penale, 19 ottobre 2023.
[7] Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150, in Supplemento straordinario n.5 Gazzetta Ufficiale 19.10.22, pag. 582.
[8] Francesco Parisi, La Restorative Justice alla ricerca di identità e legittimazione, pagg. 25 e segg., Diritto Penale Contemporaneo, 24 dicembre 2014.
[9] Sussistono per es. reati nei quali non ci sono vittime in senso stretto o le vittime sono del tutto interscambiabili, come nei fatti di terrorismo o nei crimini d’odio. Marco Boucherd e Fabio Fiorentin, Sulla giustizia riparativa, in Questione giustizia on line, 23 novembre 2021.
[10] Federica Brunelli, Programmi di giustizia riparativa, pag. 757, in La Riforma Cartabia, a cura di Giorgio Spangher.
[11] «Il concetto di “equiprossimità … può essere definito come “la capacità di avvicinarsi all’esperienza dell’uno e dell’altro”, attraverso un ascolto non giudicante che facilita il dialogo, senza che il mediatore possa o debba prendere in carico i confliggenti (bensì solo il loro conflitto) né esprimere valutazioni sulle persone o assumere decisioni per loro (neppure rispetto ai contenuti dell’accordo riparativo», Federica Brunelli, Programmi di giustizia riparativa, pag. 766, sopra cit.
[12] Federica Brunelli, Programmi di giustizia riparativa, pag. 758 e 759, sopra cit.
[13] Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150, in Supplemento straordinario n.5 Gazzetta Ufficiale 19.10.22 pagg. 364 e 365.
[14] Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150, in Supplemento straordinario n.5 Gazzetta Ufficiale 19.10.22 pag. 532.
[15] Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150, in Supplemento straordinario n.5 Gazzetta Ufficiale 19.10.22 pag. 532.
[16] V. Handbook on Restorative Justice Programmes delle Nazioni Unite (2020).
[17] G. Mannozzi e G.A. Lodigiani, La giustizia riparativa, op. cit., p. 142.
[18] M. Bouchard, Commento al Titolo IV del decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150 sulla disciplina organica della giustizia riparativa, in Quest. Giust. 7 febbraio 2023, pag. 17.
[19] Carla Galatti, Autorità Garante dell’infanzia e dell’adolescenza, Convegno del 12 ottobre 2023, Giustizia riparativa in ambito penale minorile.
[20] M. Cartabia, Linee programmatiche sulla giustizia, 18 marzo 2021, p. 15, https://i2.res.24o.it/pdf2010/....
[21] Art. 1, comma 18, lett. c) della legge delega: «prevedere la possibilità di accesso ai programmi di giustizia riparativa in ogni stato e grado del procedimento penale e durante l’esecuzione della pena, su iniziativa dell’autorità giudiziaria competente, senza preclusioni in relazione alla fattispecie di reato o alla sua gravità, sulla base del consenso libero e informato della vittima del reato e dell’autore del reato e della positiva valutazione da parte dell’autorità giudiziaria dell’utilità del programma in relazione ai criteri di accesso definiti ai sensi della lettera a)».
[22] «… l’esperienza ha dimostrato che una quota di strumentalità (ravvisabile anche in assenza di automatismi premiali) possa essere accolta all’inizio di un programma di giustizia riparativa e trasformarsi positivamente nel corso dello stesso, lasciando sempre ai mediatori di valutare l’opportunità o meno di un incontro con la vittima», Federica Brunelli, Programmi di giustizia riparativa, pag. 770 sopra cit.. La scelta opportunistica iniziale dell’imputato potrebbe infatti costituire un’occasione per lui di svolgere il programma che altrimenti non avrebbe intrapreso, con effetti positivi anche per la vittima e per la Comunità.
[23] I programmi di giustizia riparativa al di fuori del processo e della disciplina del decreto possono sempre e comunque svolgersi con i Centri attualmente esistenti.
(Immagine: E.Munch, The sick child, olio su tela, 1907 https://www.tate.org.uk/art/ar...)