Sommario: 1. Il comma 1-bis dell’art. 573 c.p.p. - 2. Il contrasto di giurisprudenza - 3. L’intervento delle Sezioni unite.
1. Il comma 1-bis dell’art. 573 c.p.p.
Com’è noto l’art. 538 c.p.p. prevede che solo quando pronuncia sentenza di condanna il giudice penale può decidere sulla domanda per le restituzioni e per il risarcimento del danno: quando pronuncia sentenza di assoluzione o di proscioglimento, il giudice penale di primo grado non può riconoscere la responsabilità civile neppure nei casi in cui l’esclusione della responsabilità penale non lo precluderebbe.
Questa regola è derogata per i giudizi d’impugnazione dall’art. 576 c.p.p., che legittima la parte civile a impugnare ai soli effetti della responsabilità civile la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio, e dall’art. 578 c.p.p., che impone al giudice dell’impugnazione proposta contro una sentenza di condanna di pronunciarsi sull’azione civile anche se è sopravvenuta l’estinzione del reato per prescrizione o amnistia.
In tutti gli altri casi in cui non sia più in discussione la responsabilità penale, il giudice penale non può pronunciarsi sull’azione civile.
Con l’art. 573 comma 1-bis si è tuttavia previsto ora che, quando non sia più in discussione la responsabilità penale e l’impugnazione non sia inammissibile, l’azione civile sia trasferita in sede civile, in quanto il giudice d’appello o la Corte di cassazione «rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile». Ed è questa evidentemente una norma di favore per la parte civile, perché la esime dall’onere di iniziare daccapo in sede civile un giudizio in cui può ancora far valere la sua pretesa risarcitoria non preclusa dal giudicato.
Infatti la previsione che il giudice civile «decide utilizzando le prove acquisite nel processo penale», è certamente compatibile con l’orientamento prevalente della giurisprudenza civile, ma dovrebbe comportare il riconoscimento di un obbligo di utilizzazione delle prove provenienti dal processo penale, con un superamento dell’affermazione che il giudice civile «ben può utilizzare, senza peraltro averne l'obbligo, come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale»[1]. Vero è in realtà che le prove formate nel processo penale sono considerate atipiche nel processo civile; e che «l'art. 116 c.p.c. conferisce al giudice di merito un potere ampiamente discrezionale del quale, attenendo esso alle cosiddette prove atipiche o innominate, va motivatamente giustificato l'uso, e non già, come invece in caso di mancata valutazione delle prove tipiche (e salvo sempre il principio del libero convincimento), il non uso»[2]. Tuttavia ora l’art. 573 comma 1-bis c.p.p. prevede appunto l’obbligo, non solo la facoltà, del giudice civile di valutare le prove acquisite nel processo penale. Sicché solo quando si tratti di prove non ammissibili in sede civile, come la testimonianza del danneggiato dal reato, dovrebbe applicarsi l’art. 116 c.p.c., che ne ammette la valutazione come meri argomenti di prova[3].
2. Il contrasto di giurisprudenza
Nella giurisprudenza di legittimità si è nondimeno aperto un contrasto sull’applicabilità dell’art. 573 comma 1-bis c.p.p. anche nei giudizi di impugnazione proposti contro una sentenza pronunciata prima del 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore della riforma[4].
Tuttavia, poiché non si tratta qui del regime di impugnabilità della decisione bensì del rito applicabile nel giudizio di impugnazione già in corso, deve ritenersi che la norma sia immediatamente applicabile anche nei giudizi relativi a impugnazioni proposte contro decisioni pronunciate prima della sua entrata in vigore.
Per escludere l’immediata applicabilità della riforma, si è sostenuto che «le indicazioni fornite dalla Corte costituzionale con sentenza n. 182 del 2021, secondo cui, in caso di prosecuzione del giudizio davanti al giudice civile, il giudice penale, chiamato a verificare la sussistenza del reato, deve attenersi al criterio civilistico del "più probabile che non", e non a quello penalistico dell'alto grado di probabilità logica, non legittimano la piena sovrapponibilità della fisionomia del giudizio relativo ai soli interessi civili svolto in sede penale rispetto a quello che si tiene dinanzi al giudice civile, in ragione delle peculiarità di quest'ultimo rispetto al primo, quali l'esigenza di tutela dell'affidamento maturato dall'impugnante - che può essere non solo la parte civile, ma anche il danneggiante, già imputato - in ordine alla certezza delle regole processuali e dei diritti eventualmente già maturati»[5].
Sennonché l’applicazione in sede civile del «criterio civilistico del "più probabile che non"» giova ovviamente al danneggiato, mentre l’applicazione in sede penale della regola dell'”alto grado di probabilità logica” non esime l’imputato dalla responsabilità civile eventualmente compatibile con l’esclusione della responsabilità penale.
Fonda dunque su una petizione di principio l’affermazione che, a «tutela dell'affidamento maturato dall'impugnante», occorre differire l’applicazione dell’art. 573 comma 1-bis c.p.p.
3. L’intervento delle Sezioni unite
Intervenute a risolvere il contrasto di giurisprudenza, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno enunciato il seguente principio di diritto: «l'art. 573 comma 1-bis c.p.p., introdotto dall'art. 33 del d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, si applica alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile sia intervenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022, quale data di entrata in vigore della citata disposizione»[6].
Ha ritenuto la corte che, poiché in caso di rinvio per la prosecuzione in sede civile «il giudizio è sempre quello iniziale che prosegue, senza soluzione di continuità, dalla sede penale a quella civile, il possibile epilogo decisorio oggi rappresentato, in caso di impugnazione residuata per i soli effetti civili, dall'art. 573 comma 1-bis, cit., dovrà essere contemplato dalla parte civile sin dal momento dell'atto di costituzione e a tale epilogo la stessa dovrà dunque far fronte strutturando le ragioni della domanda in necessaria sintonia con i requisiti richiesti dal rito civile», come ora prescrive l’art. 78 comma 1, lettera d) c.p.p., esigendo che, diversamente dal passato, l'esposizione delle ragioni che giustificano la domanda siano specificamente destinate «agli effetti civili». Sicché la parte civile costituitasi prima della riforma del 2022 potrebbe trovarsi ad aver formulato la propria domanda in forme incompatibili con l’imprevedibile trasferimento della decisione alla sede civile, considerato che ora l’art. 163 comma 3, n. 4, c.p.c. esige «l'esposizione in modo chiaro e specifico» delle ragioni della domanda.
Tuttavia anche questa argomentazione è palesemente fallace.
Vero è infatti che, secondo la giurisprudenza penale precedente la riforma del 2022, «per soddisfare i requisiti di cui all'art. 78, lett. d), è sufficiente il mero richiamo al capo di imputazione descrittivo del fatto, allorquando il nesso tra il reato contestato e la pretesa risarcitoria azionata risulti con immediatezza»[7]. Ma con riferimento alla causa petendi la giurisprudenza civile distingue tra "domande eterodeterminate", nelle quali è il fatto costitutivo a individuare la domanda (in quanto con esse vengono dedotti diritti, come quelli di obbligazione, che "possono esistere contemporaneamente più volte tra i medesimi soggetti con lo stesso contenuto"), e "domande autodeterminate", nelle quali è l'affermazione del rapporto giuridico a individuare la domanda (perché vengono dedotti in giudizio diritti, come quelli di proprietà, che non possono coesistere simultaneamente più volte tra gli stessi soggetti). Ed è indiscusso che con la pretesa risarcitoria si fa valere «un diritto di credito eterodeterminato, la cui individuazione avviene in base ai fatti costitutivi della "causa petendi"»[8]. Mentre è noto che, ai fini della contestazione dell’accusa nel processo penale, l’art. 417 esige appunto «l'enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto».
Sicché, essendo indiscusso nella giurisprudenza civile che «la domanda introduttiva di un giudizio di risarcimento del danno, poiché ha ad oggetto un diritto c.d. eterodeterminato, esige che l'attore indichi espressamente i fatti materiali che assume essere stati lesivi del proprio diritto»[9], è una petizione di principio affermare che non sia sufficiente ai fini dell’art. 163 c.p.c. il riferimento al capo di imputazione nel quale il fatto sia enunciato, come prescritto dall’art. 417, «in forma chiara e precisa».
Infatti si ritiene correttamente che l'impegno argomentativo necessario a giustificare l'esercizio dell'azione civile nel processo penale dipende dalla natura delle imputazioni e dal rapporto tra i fatti lamentati e la pretesa fatta valere in giudizio dalla parte civile, perché si richiede l'enunciazione delle ragioni che giustificano la proposizione della domanda, non anche delle ragioni che possano determinarne l'accoglimento. Sicché, quando questo rapporto è immediato, come nel caso in cui si lamenti un'ingiuria o un danneggiamento o una minaccia, ai fini dell'esposizione della causa petendi è sufficiente il riferimento al fatto descritto nel capo d'imputazione e all'identificazione dell'attore con la persona destinataria offesa[10]. E contrariamente a quanto si assume, l’esplicito riferimento alla finalità civile della domanda, aggiunto nel 2022 all’art. 78 comma 1, lettera d) c.p.p., ha attenuato, non aggravato, l’onere argomentativo per la parte civile che intenda costituirsi nel processo penale.
[1] Cass. civ., III, 7 maggio 2021, n. 12164, m. 661325, Cass. civ., sez. III, 25 giugno 2019, n. 16893, m. 654422.
[2] Cass., sez. II, 24 febbraio 2004, n. 3642, m. 570448.
[3] A. NAPPI, Nuova guida al codice di procedura penale, www.guidanappi.it, §79.2, Cass., sez. I, 14 settembre 2022, n. 27016, m. 665988.
[4] In senso affermativo Cass., sez. IV, 11 gennaio 2023, Fca Italy , m. 284012, Cass., sez. II, 2 febbraio 2023, Seno, m. 284216, Cass., sez. III, 11 gennaio 2023, Ambu, m. 284248, Cass., sez. II, 3 febbraio 2023, Guccio, m. 284396. In senso negativo Cass., sez. V, 20 gennaio 2023, Razzaboni, m. 284019, Cass., sez. V, 16 gennaio 2023, Cucinotta, m. 284121, Cass., sez. V, 24 gennaio 2023, Bertuzzi, m. 284329. Le due prime decisioni sono pubblicate in Sist. Pen. 2023, con nota di L.PARODI. La questione è stata rimessa alle Sezioni unite. In tema anche G. BIONDI, La riforma Cartabia e le impugnazioni: le prime questioni di diritto intertemporale sull'applicabilità dell'art. 573, comma 1-bis, c.p.p. ai giudizi in corso, in Sist. pen., 2023, G. SPANGHER, Regime transitorio delle impugnazioni per i soli interessi civili. (Impugnazioni - Interessi civili), in Giur. it., 2023, p. 675.
[5] Cass., sez. V, 16 gennaio 2023, Cucinotta, m. 284121.
[6] Cass., sez. un., 25 maggio 2023, Di Paolo.
[7] Cass., sez. II, 15 luglio 2020, Rosati, m. 279490.
[8] Cass., sez. I, 12 novembre 2013, n. 25378, m. 628474, Cass., sez. I, 15 settembre 2020, n. 19186, m. 658987.
[9] Cass., sez. I, 12 ottobre 2012, n. 17408, m. 624080, Cass., sez. I, 4 maggio 2018, n. 10577, m. 648595.
[10] A. NAPPI, Nuova guida al codice di procedura penale, www.guidanappi.it, §79.1.