Tre premesse sulla circolazione probatoria delle intercettazioni·
di Roberta Aprati
Sommario: 1. Prima premessa. Le Sezioni Unite Cavallo: un precedente autorevole ma non vincolante per le sezioni semplici. – 2. Seconda premessa. La prevedibilità della base legale e l’interpretazione del nuovo art. 270 c.p.p. alla luce della soft law: il “principio di precauzione” in “assenza” di precedenti della Corte di cassazione. – 3. Terza premessa. L’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 270 c.p.p.: uno strumento in via di ridimensionamento. - 4. Una critica all’interpretazione restrittiva dell’art. 270 c.p.p. - 5. Una proposta di interpretazione estensiva dell’art. 270.
1. Prima premessa. Le Sezioni unite Cavallo: un precedente autorevole ma non vincolante per le sezioni semplici.
L’art. 270 c.p.p. disciplina la circolazione probatoria dei risultati delle intercettazioni di comunicazioni e di conversazioni, o meglio, ne sancisce il divieto.
Si è al cospetto di una delle disposizioni del codice di più difficile interpretazione e il legislatore ha pensato bene di modificarla[1]: eppure anziché agevolarne la lettura, la novella l’ha complicata ulteriormente.
Facciamo un passo indietro.
Dalla disposizione – invero sia ieri sia oggi - si ricavano tre precetti:
- il “divieto generale” di uso delle intercettazioni nei “procedimenti diversi” da quello in cui sono state autorizzate;
- le “deroghe al divieto” e dunque l’uso eccezionale dei risultati delle registrazioni nei “procedimenti diversi” da quello in cui sono state disposte;
- infine, il “normale uso” delle intercettazioni nel “medesimo procedimento” in cui sono state legittimamente attivate.
Ma questo non basta, perché solo dall'individuazione del significato di “procedimento diverso” e, a contrario, di “medesimo procedimento” si può ricavare la portata operativa della disposizione. E la Corte di cassazione aveva provveduto – prima della riforma - a definire i due fondamentali concetti con la nota pronuncia “Cavallo”[2].
Ebbene, semplificando al massimo, per la Corte di Cassazione a Sezioni Unite le intercettazioni si usano normalmente – ossia senza che si configuri alcuna circolazione probatoria - sia per i reati indicati nel decreto di autorizzazione, sia per i reati che emergano dalle conversazioni i quali siano però connessi ai primi ai sensi dell’art. 12 c.p.p. e sempreché siano intercettabili ai sensi dell’art. 266 c.p.p. Questo era dunque il significato assegnato al concetto di “stesso procedimento”.
Si è poi precisato, a contrario, che è vietato l’uso – e dunque divieto di circolazione probatoria - per i reati ulteriori: e tali sono sia i reati non connessi rispetto a quelli autorizzati, sia i reati connessi ma non intercettabili. Praticamente l’inutilizzabilità investe qualunque informazione che risulti dalle registrazioni e che attenga a reati ulteriori – secondo l’accezione appena indicata – rispetto a quelli per cui era stato concesso il provvedimento. Questo era dunque il significato assegnato al concetto di “procedimento diverso”.
Infine, la Corte ha chiarito che se l’esito della intercettazione riguardi delitti per cui è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, è consentito l’uso nei procedimenti diversi – e dunque circolazione probatoria autorizzata - prescindendo da qualsivoglia legame con i reati oggetto del decreto di cui all’art. 267 c.p.p. e senza che rilevi la circostanza che siano o meno intercettabili.
Su tale assetto è intervenuto il legislatore.
Ma riuscire a capire oggi quale sia il significato dell’art. 270 c.p.p., così come riformulato dalla legge 28 febbraio 2020 n. 7, appare impresa assai complessa[3].
La ragione è sempre la medesima: l’utilizzo nella disposizione dell’espressione “procedimento diverso”. Sebbene il legislatore non sia intervenuto sullo specifico punto, essendo il controverso sintagma rimasto invariato rispetto all’originaria formulazione[4], l’aver modificato la sola seconda parte della disposizione (attraverso l’inserimento della frase “e dei reati di cui all’art. 266 comma 1 c.p.p.”) rimette in gioco comunque il senso del controverso concetto.
Ma non solo. Invero il novello riferimento nell’ultima parte del comma 1 dell’art. 270 c.p.p. “ai reati intercettabili” impone di ritenere che la celebre pronuncia delle Sezioni Unite Cavallo non possa più essere considerata “un principio di diritto delle Sezioni unite” ai sensi dell’art. 618, comma 1 bis, c.p.p.
Il ritocco al campo applicativo della deroga al divieto di circolazione delle intercettazioni in procedimenti diversi, fa sì che a cascata debba essere riletta sia la portata generale di tale divieto, sia l’estensione della normale possibilità di usare le registrazioni nello stesso procedimento.
Le tre regole – “utilizzabilità nel medesimo procedimento”, “inutilizzabilità nei procedimenti diversi”, “deroghe a quest’ultima inutilizzabilità” si integrano a vicenda: il confine dell’una dipende dal confine delle altre due e viceversa. Sicché le Sezioni Unite Cavallo sono oggi una “autorevole” pronuncia, a cui bisognerà sicuramente rapportarsi; ma le Sezioni semplici che volessero mutare orientamento, potrebbero farlo autonomamente, senza dover rimettere obbligatoriamente la questione di fronte alle Sezioni unite.
2. Seconda premessa. La prevedibilità della base legale e l’interpretazione del nuovo art. 270 c.p.p. alla luce della soft law: il “principio di precauzione” in “assenza” di precedenti della Corte di cassazione.
È noto: la Costituzione assegna a ogni giudice il compito di interpretare le disposizioni.
Si tratta di un potere diffuso ex art. 101, comma 2, Cost.: ciascun giudice allora potrebbe leggere il nuovo testo dell’art. 270 c.p.p. diversamente.
E oggi, ancor più di ieri, sull’art. 270 c.p.p. si potrebbe dire tutto e il contrario di tutto. L’operazione volta a ricavare dalla disposizione la nuova norma, ovverosia la regola giuridica da applicare, potrebbe portare - qui come non mai - a risultati completamente differenti, se non addirittura opposti: tutto dipende dalle premesse che di volta in volta si scelgano di porre alla base del ragionamento giuridico
Tuttavia, qualsiasi interpretazione si voglia sostenere “oggi”, “domani” sarà comunque destinata a fare i conti con quanto dirà la Corte di cassazione: la funzione “dell’esatta interpretazione” della legge è riservata nel nostro ordinamento ad essa (art. 65 Ord. giud.).
Al momento la Suprema Corte non si è ancora pronunciata sul tema; e tuttavia nel mentre i processi si stanno svolgendo: l’art. 270 c.p.p. nella sua nuova formulazione si sta applicando a tutti i procedimenti iscritti nel registro delle notizie di reato dal 1° settembre 2020[5].
Siamo quindi tutti in attesa, come sospesi.
Se la Corte di cassazione dovesse allontanarsi dall’interpretazione seguita dai giudici di merito nelle “more” del suo autorevole intervento, si rischierebbe di vanificare il lavoro che hanno fin qui svolto, perché è noto: per le sentenze della Corte di cassazione non vale il principio di irretroattività.
Detto in altre parole, ad oggi non esiste ancora un diritto giurisprudenziale sul nuovo art. 270 c.p.p., e nel sistema non vige il divieto di applicazione retroattiva dell’interpretazione che fornirà la Cassazione qualora non dovesse coincidere con quella scelta dai giudici di merito prima del momento in cui essa si pronuncerà. Sicché la Corte di cassazione sarà destinata a prevalere.
In questo caso però non siamo di fronte a un “mutamento giurisprudenziale”, ma piuttosto a un’“assenza di giurisprudenza”, situazione che da un certo punto di vista è ancora più problematica, in quanto “meno indagata”.
Da qualche anno – in riferimento alle “regole processuali” civili, amministrative e da ultimo penali - si è iniziato a discutere sulla necessità di limitare nel tempo l’applicazione dell’overruling al fine di tenere indenne la parte dalle conseguenze che implicherebbe, sul piano processuale, l’applicazione del nuovo principio di diritto[6]. Le pronunce della Corte di cassazione che diano vita a un mutamento giurisprudenziale non dovrebbero applicarsi né al caso specifico (in occasione del quale la Cassazione ha dato vita al rinnovamento interpretativo), né agli altri processi decisi dai giudici di merito sulla base dell’orientamento fino a quel momento espresso dalla Corte di cassazione, ma solo a condizione che vi sia stato un incolpevole affidamento sulla stabilità del precedente poi invece mutato[7].
Questo non vuol dire che il brocardo tempus regit actum possa significare che la “legge del tempo è quella interpretata dalla Cassazione nel momento in cui viene applicata dal giudice di merito”. Qui è esclusivamente la necessità di tutelare il non colpevole affidamento che giustifica la temporanea “disapplicazione” della nuova interpretazione nel caso considerato. Per questo motivo tale tecnica viene definita come un “prospective overruling all’italiana”[8]. Non si è arrivati a sostenere che in via generale l’overruling dovrebbe applicarsi solo per il futuro, e quindi solo ai casi decisi successivamente all’intervento innovativo della Corte di legittimità, come se si fosse in presenza di una vera e proprio modifica normativa.
In osservanza a tale impostazione - ormai consolidata nel processo civile[9] e in quello amministrativo[10] – la Corte di cassazione penale ha fatto proprio il principio, ma non è ancora arrivata a qualificare come imprevedibile un particolare mutamento giurisprudenziale: nei singoli casi concreti portati alla sua attenzione ha sempre ritenuto prevedibile l’overruling e dunque colpevole l’affidamento sul precedente poi rovesciato[11].
La questione è alla ribalta anche nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Qui l’accento viene messo sulla necessità della “prevedibilità della base legale”[12] su cui si legittimano le interferenze degli Stati sui diritti fondamentali dell’uomo tutelati dalla Convenzione. Si allarga allora la prospettiva: il problema riguarda tanto il diritto processuale quanto il diritto sostanziale[13]. E anche per la Corte europea è solo il “mutamento giurisprudenziale imprevedibile” che impedisce di conoscere il precetto e dunque di adeguarsi ad esso, e non già il “mero mutamento”[14]. Gli Stati non possono limitare in maniera “inaspettata” e “improvvisa” la sfera dei diritti dell’uomo tutelati dalla Convenzione, così che l’overruling imprevedibile non si può applicare in pregiudizio del titolare del diritto[15].
Ma - ripetiamolo - ancora non si è affrontato il tema dell’“assenza di giurisprudenza”, ovverosia delle ipotesi in cui, al cospetto di una novella legislativa, la quale fisiologicamente richiede il trascorrere di qualche anno prima che arrivi all’attenzione della suprema Corte, nei giudizi di merito si decida in base a una interpretazione poi smentita dai primi interventi della Cassazione.
Proprio in questa ottica va letta l’enorme produzione, oltre che di letteratura scientifica, di soft law, ovverosia di documenti di natura interpretativa (e dunque non normativi) che sono stati predisposti in questi tre anni: tutte le Procure della Repubblica hanno dato delle indicazioni, così come l’Ufficio del Massimario della Corte di cassazione.
C’è una corale partecipazione all’individuazione dell’esatta interpretazione dell’art. 270 c.p.p. per arrivare ad anticipare, “predire” quello che la Corte di cassazione dirà.
Ma c’è anche “molta prudenza”, circolano per lo più interpretazioni restrittive, come se – giustamente - non si volesse rischiare e si preferisse riservare alla Corte di cassazione eventuali letture più ampie della nuova disposizione.
In definitiva appare questa la ragione fondamentale per la quale nei documenti predisposti si sostiene che la novella ha solo ristretto il campo applicativo della deroga al divieto di circolazione probatoria nei procedimenti diversi, ora riferibile a reati che permettano l’arresto obbligatorio in flagranza e - nel contempo - l’attività di intercettazione.
In pratica si sta suggerendo l’applicazione del c.d. “principio di precauzione”[16].
Volendo proiettarsi ancora più lontano nel tempo, ovverosia verso quello che succederà quando si moltiplicheranno gli interventi della Corte di cassazione sul tema, si pone l’ulteriore il problema di evitare “contrasti giurisprudenziali”. Perché per la Corte edu vi è mancanza della base legale anche nel caso di conflitti sincronici della giurisprudenza delle Supreme Corti. L’incertezza interpretativa dovuta all’esistenza di conflitti giurisprudenziali gravi e perduranti equivale ad assenza della base legale allo stesso modo dell’imprevedibile mutamento giurisprudenziale[17].
Da questo punto di vista, sarebbe necessario un “immediato” intervento delle Sezioni unite per dare da subito stabilità alla nuova regola che scaturisce dall’art. 270 c.p.p. A tal fine il Primo Presidente potrebbe rimettere alle Sezioni unite la questione, in quanto di particolare importanza ex art. 610, comma 2, c.p.p. In alternativa potrebbero muoversi le sezioni semplici ex art. 618 comma 1 c.p.p. proprio al fine di prevenire possibili conflitti interpretativi.
Invero, sul tema appare necessaria una più meditata e ponderata decisione.
Il testo dell’art. 270 c.p.p. è oggettivamente oscuro e interpretabile in mille modi diversi. Di fronte a dati normativi così complessi è sempre auspicabile una riflessione corale, tutti devono essere messi nelle condizioni di esprimersi sul punto. Ma soprattutto occorre “tempo”: le prime letture spesso trascurano dati e non valutano tutte le conseguenze e implicazioni. Ed è questa una situazione fisiologica e non patologica.
Non a caso la modifica dell’art. 618 c.p.p. ha voluto proprio “procedimentalizzare” il modo attraverso cui si arrivi alla pronuncia delle Sezioni unite dotata di efficacia vincolante orizzontale[18] attraverso la valorizzazione della “partecipazione”. Quest’ultima viene realizzata attraverso una sorta di dialogo fra i giudici di merito, le sezioni semplici e le sezioni unite, oltreché le parti processuali[19]. Le Sezioni unite non si esprimono dall’alto e in solitudine, ma dal basso e coralmente, dopo che ciascuno ha proposto la sua lettura, in ossequio anche all’art. 101, comma 2, Cost.
E proprio per potenziare ancora di più la partecipazione, uno strumento da inserire nel “protocollo” da cui scaturiscono le decisioni delle sezioni unite potrebbe essere quello dell’art. 47 quater r.d. 30 gennaio 1941 n 12[20], oggi entrato nella motivazione di due sentenze della Corte di cassazione[21]: le riunioni preliminari convocate dal Presidente di sezione al fine di favorire lo scambio di informazioni sulle esperienze giurisprudenziali all’interno della sezione[22]. In tal modo, non solo si prevengono contrasti all’interno delle singole sezioni, ma soprattutto si facilita quel dialogo che è alla base della scelta della migliore interpretazione da proporre poi alle sezioni unite qualora nasca un contrasto fra le diverse sezioni.
3. Terza premessa. L’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 270 c.p.p.: uno strumento in via di ridimensionamento.
La caratteristica che maggiormente spicca nelle letture che si sono date all’art. 270 c.p.p., prima e dopo la riforma del 2020, è lo straordinario uso dell’interpretazione costituzionalmente orientata.
La ragione è ovvia: le intercettazioni toccano direttamente l’inviolabile diritto alla riservatezza delle comunicazioni. È normale che la norma debba essere cucita su misura intorno all’art. 15 Cost.
Alla luce dell’ampio dibattito che in questi anni si sta sviluppando intorno ai limiti dell’interpretazione costituzionalmente orientata[23], sorge però il dubbio della correttezza dell’impiego così disinvolto di tale strumento ermeneutico.
Ci si sta infatti interrogando su quanto il giudice comune, rispetto al giudice costituzionale, possa forzare l’interpretazione per rendere le norme conformi alla Costituzione.
E sul tema la Corte costituzionale sta facendo dei significativi – e anche inaspettati - passi indietro[24], dopo che invece aveva spinto sull’acceleratore[25], quasi costringendo i giudici comuni a fare ricorso a tale metodo interpretativo anche a costo di stravolgere il significato ricavabile letteralmente delle disposizioni. In pratica si stavano autorizzando i giudici comune a riscrivere i testi normativi[26].
Ci si è resi conto che, così facendo, il controllo di costituzionalità si sta trasformando in un controllo diffuso e non più accentrato di fronte alla Corte costituzionale[27]: “l’onere di interpretazione conforme operato dalla Consulta è il primario fattore interno della tangibile crisi che il controllo accentrato di costituzionalità attualmente attraversa”.
Questo non esclude che l’interpretazione costituzionalmente orientata rimanga un criterio interpretativo primario per ricavare dalla disposizione la norma, né fa cadere la sua configurazione come parametro di ammissibilità per sollevare le questioni di legittimità costituzionale.
Ma il giudice comune non deve - così ci sta dicendo la Corte costituzionale[28] - andare oltre un’interpretazione basata comunque sul testo delle disposizioni: non può più sostituirsi al legislatore “creando nuove norme”[29].
Se la conformità alla Costituzione dipende dalla scelta fra più soluzioni comunque compatibili con il dato letterale, si può e si deve percorrere la via dell’interpretazione conforme. Ma se l’unico modo per rendere una certa norma fedele alla Costituzione impone di allontanarsi dagli ordinari strumenti ermeneutici sì da travalicare “l’orizzonte di senso che il testo è in grado di esprimere”[30], allora si deve dare il passo alla Corte costituzionale, perché, altrimenti, il sistema si trasformerebbe in un controllo diffuso di legittimità costituzionale[31].
Ebbene, non appare del tutto infondato ritenere che rispetto all’art. 270 c.p.p. sia accaduto e stia accadendo proprio questo, e che dunque sia necessaria una sorta di ripensamento su come la disposizione possa essere nel suo complesso interpretata alla luce – ovviamente - della Costituzione.
4. Una critica all’interpretazione restrittiva dell’art. 270 c.p.p.
Da più parti si afferma che il nuovo art. 270 c.p.p. ha solo delineato diversamente la portata dell’unico caso di deroga al divieto di circolazione delle intercettazioni nei procedimenti diversi. Si è aggiunto un ulteriore requisito, con la conseguenza che si è ristretta la classe dei casi in cui è eccezionalmente consentita la circolazione probatoria. Ora essa è individuabile nei risultati delle intercettazioni riferibili ai delitti per i quali è consentito l’arresto obbligatorio in flagranza e che siano nel contempo intercettabili ai sensi dell’art. 266 comma 1 c.p.p.[32].
Se questa fosse la corretta interpretazione della nuova disposizione, assai agevolmente si potrebbe ritenere che le Sezioni Unite Cavallo non richiederebbero alcuna rivisitazione[33].
Il sistema della circolazione probatoria avrebbe così una sua logica e una sua coerenza: tanto nello stesso procedimento quanto nel diverso i risultati delle intercettazioni potrebbero essere usati con il “contagocce”.
E la differenza fra le due situazioni sarebbe blandamente individuabile dal diverso regime di ammissibilità: giudizio negativo nello stesso procedimento, giudizio positivo nel diverso (così come rafforzato dalla novella).
Nello stesso procedimento si utilizzerebbero le intercettazioni riferibili, oltre che a reati per cui sia stata concessa l’autorizzazione, anche a quelli ad essi connessi e nel contempo astrattamente intercettabili ai sensi dell’art. 266 c.p.p., e l’ammissibilità sarebbe regolata dall’art. 190 c.p.p. (quindi tutte ammissibili tranne quelle manifestamente irrilevanti e superflue).
Nel diverso procedimento si utilizzerebbero solo i risultati relativi a delitti “obbligatoriamente arrestabili” e “astrattamente intercettabili ex art. 266 comma 1 c.p.p.”, e l’ammissibilità sarebbe regolata da un vaglio più stretto di positiva rilevanza e indispensabilità (quindi ammissibili solo se pertinenti e non sovrabbondanti)[34]. Si tratta di una regola, d’altronde, già prevista in altre ipotesi nel nostro sistema (per l’integrazione probatoria in udienza preliminare, per i poteri istruttori del giudice in dibattimento, per la rinnovazione istruttoria in appello). Essa trova la sua giustificazione, qui come negli altri casi già regolati, nella circostanza che, potendo già essere state ammesse nel diverso procedimento altre prove, la valutazione sulla rilevanza e superfluità andrà effettuata utilizzando anche queste come termine di relazione del vaglio di ammissibilità e non solo la mera imputazione.
In tal modo poi si risolverebbe finalmente quella “incoerenza” della norma segnalata da più parti[35]. Nel passato si permetteva l’impiego delle registrazioni rispetto a delitti per i quali era invece previsto un divieto assoluto di intercettazione, in quanto non contemplati dall’art. 266 comma 1 c.p.p., essendo sufficiente il loro inserimento fra i delitti per i quali era prevista la possibilità dell’arresto obbligatorio (come ad esempio gli artt. 13, comma 13 ter, e 10 comma 2 quinques, T.U. Immigrazione). Tutto ciò ora non sarebbe più consentito.
Tuttavia, tale interpretazione si fonda sulla correzione del testo, ci si è distaccati del tutto dal significato letterale della disposizione[36].
In italiano “di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza e dei reati di cui all’art. 266 comma 1” può voler indicare solo due distinte categorie.
In italiano si usano altre parole per indicare una “specificazione”, non ci possono essere dubbi su questo.
Eppure si ritiene che questa debba essere la corretta interpretazione, altrimenti la norma risulterebbe contraria alla Costituzione[37].
Si sottolinea che va ribadito il principio espresso dalla Sezioni Unite Cavallo, secondo cui l’art. 15 Cost. introduce il principio di tassatività dell’attività intercettativa (meglio sarebbe invero dire la “legalità in senso stretto” del sistema delle intercettazioni)[38]: è sempre vietato intercettare le conversazioni o comunicazioni, tranne nei casi previsti dalla legge[39].
Da tale principio costituzionale deriverebbe come conseguenza – come corollario - che nemmeno il legislatore potrebbe autorizzare, pena l’illegittimità costituzionale della norma, l’utilizzazione dei risultati “casualmente intercettati” se anche questi non rientrino all’interno della categoria dei reati per cui è comunque consentita la registrazione. Vi dovrebbe cioè essere una “corrispondenza biunivoca” fra “reati intercettabili” e “uso dei risultati”, pena la illegittimità costituzionale.
In tal modo si giustifica tanto l’assetto delle Sezioni Unite Cavallo – da confermare quindi alla luce della novità normativa - tanto la nuova e più ristretta ipotesi di deroga al divieto di circolazione probatoria.
Si è dunque al cospetto di un’interpretazione costituzionalmente orientata, nella quale sia rispetto allo stesso procedimento, sia rispetto ai diversi procedimenti, si opera una manipolazione del testo legislativo, senza però passare dinnanzi alla Corte costituzionale.
5. Una proposta di interpretazione estensiva dell’art. 270.
Proviamo allora a seguire una diversa strada interpretativa.
Se si valorizzasse il dato testuale del nuovo art. 270 c.p.p., che è chiaro e univoco e non consente margini di scelta, le eccezioni al divieto di circolazione probatoria in altri procedimenti sarebbero due: tanto i delitti per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, quanto per i reati che siano intercettabili[40].
Ma allora si porrebbe il problema di rivedere del tutto le Sezioni Unite Cavallo, perché il sistema non sarebbe altrimenti coerente.
Se sono utilizzabili nei procedimenti diversi le registrazioni relative sia ai reati per cui è consentita l’intercettazione ex art. 266 comma 1 c.p.p., (a prescindere quindi da qualsivoglia legame con il reato specificatamente autorizzato), sia ai delitti in cui non è invece consentita in assoluto l’attività di captazione ma è legittimo l’arresto obbligatorio, diventa assai complicato sostenere che nel medesimo procedimento si possano impiegare solo i risultati che riguardino reati nel contempo connessi e intercettabili. Perché nello stesso procedimento, in cui vi è un libero utilizzo, vi sarebbe una preclusione assai più forte che nel procedimento diverso, dove invece c’è un divieto. E tale disomogeneità non può certo ritenersi compensata dalle due diverse regole relative al regime di ammissibilità (negativo e più allentato nello stesso procedimento, positivo è più tirato nel diverso procedimento).
Facciamo un passo indietro
Norberto Bobbio[41] ci ha spiegato che spesso una regola, nel nostro caso il divieto di uso delle intercettazioni in altri procedimenti, nasce senza deroghe. E in effetti nel 1974 trova la sua genesi l’art. 226 quater comma 8 c.p.p. Rocco, il quale vietava in assoluto di usare le intercettazioni nei procedimenti diversi da quelli in cui erano state raccolte[42].
Poi, con lo scorrere del tempo – ci spiega ancora Bobbio - la regola viene affiancata da una prima deroga. Nel nostro caso nel 1978 si riconosce la possibilità di utilizzare i risultati delle intercettazioni in altri procedimenti a condizione che si riferissero a reati per cui era previsto il mandato di cattura obbligatorio (art. 226 quater comma 6 c.p.p. Rocco)[43]. La medesima eccezione viene confermata dall’attuale codice, ma diviene ovviamente – nella prima formulazione dell’art. 270 c.p.p. – “delitti per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza”.
Dopodiché è fisiologico che le deroghe piano piano aumentino ancora. Nel nostro caso con la riforma del 2020 si è aggiunta un’ulteriore eccezione al divieto: “i reati per cui è consentita l’intercettazione”.
La conclusione di tale percorso, sempre secondo Norberto Bobbio, è l’inversione della disciplina: le deroghe diventano la regola, la regola diviene la deroga. Se allora le eccezioni al divieto di utilizzazione nei procedimenti diversi sono ora due e sono così ampie, si potrebbe provocatoriamente affermare che le intercettazioni circolano normalmente negli altri procedimenti, a meno che abbiano ad oggetto “reati non intercettabili” o “reati non arrestabili”. Insomma, si potrebbe capovolgere il senso della norma.
Di fronte ad un così esteso utilizzo negli altri procedimenti, nello stesso procedimento diviene necessaria una più altra soglia di utilizzabilità. Se già tutti i reati in astratto intercettabili circolano nei procedimenti diversi, e in alcuni casi anche i non intercettabili, nello stesso procedimento “almeno” i non intercettabili dovrebbero essere usati in maniera più larga rispetto a quelli per cui è previsto l’arresto.
Da ciò consegue che il controverso principio di diritto delle Sezioni Unite Cavallo, secondo cui nello stesso procedimento si possono usare solo i risultati delle intercettazioni che siano intercettabili ex art. 266 c.p.p. (lasciamo per ora fuori il requisito della connessione) dovrebbe essere superato[44].
La nuova norma non consentirebbe più tale conclusione, non solo si forzerebbe il dato letterale, ma si costruirebbe anche un sistema privo di logica e coerenza.
Dalla nuova disposizione, allora, va ricavato che nello stesso procedimento i risultati delle registrazioni dovrebbero essere utilizzabili, a prescindere dalla circostanza che riguardino reati astrattamente intercettabili.
Se poi si continuasse ad affermare che dal principio di stretta legalità delle intercettazioni ex art. 15 Cost. derivi il necessario corollario del divieto assoluto di usare i risultati rispetto a reati che non sono intercettabili[45], per superare l’interpretazione appena proposta sarebbe necessario sollevare una questione di legittimità costituzionale[46].
La lettera della disposizione, così come la coerenza di essa, impongono di ritenere che non possa ricavarsi dall’art. 270 c.p.p. una corrispondenza biunivoca fra reati astrattamente autorizzabili ex art. 266 c.p.p. e informazioni utilizzabili, se non a costo di scavallare il limite dell’interpretazione costituzionalmente orientata così come ridelineata oggi dalla corte costituzionale. Senza contare che ad oggi la Corte costituzionale non ha mai affermato l’esistenza di tale binomio irriducibile.
Verifichiamo ora se debba o meno essere superato anche l’altro principio di diritto delle Sezioni Unite Cavallo, quello che ha individuato nel concetto di stesso procedimento l’insieme dei reati connessi ai sensi dell’art. 12 c.p.p. a quelli per cui è stata concessa l’autorizzazione a intercettare.
In via generale, sempre per garantire coerenza alla nuova norma, se nel diverso procedimento possono circolare tutti i reati intercettabili, a prescindere da qualsivoglia legame processuale o sostanziale con i reati per i quali è consentita l’intercettazione, all’interno del medesimo procedimento i legami che uniscono i diversi reati dovrebbero essere più blandi rispetto a quelli configurati dalla Corte di Cassazione. Sicché si dovrebbe escludere tanto una conferma del principio di diritto delle Sezioni unite[47], quanto una sua rivisitazione più restrittiva[48].
Al fine di verificare la praticabilità di un siffatto percorso esegetico, occorre svolgere lo sguardo alle storiche pronunce della Corte costituzionale (quella del 1973[49], quella del 1991[50] e quella del 1994[51]), perché proprio su di esse si è fondato l’assetto giurisprudenziale della Corte di cassazione sulla disciplina della circolazione prima della riforma del 2020.
Franco Cordero avrebbe osservato che le sentenze, anche quelle della Corte costituzionale, non sono il Talmud. Occorre insomma molta attenzione nel riprendere quanto affermato nelle motivazioni delle decisioni della Corte costituzionale per giustificare successive interpretazioni costituzionalmente orientate. E lo stesso ci sta dicendo oggi la Corte costituzionale[52].
Nel 1973 la Corte costituzionale invitava a valorizzare – per rispettare l’art. 15 Cost. - il dato codicistico della motivazione, richiedendone analiticità e precisione. Inoltre, si spingeva a sostenere che nel processo potessero essere usati solo i risultati rilevanti[53].
Ma nel codice Rocco all’epoca era previsto ben poco: né parametri, né presupposti, né modalità attuative, né selezione dei materiali, né tanto meno una disciplina volta a tutelare la riservatezza delle registrazioni irrilevanti.
Si era di fronte ad un dato normativo scarno e praticamente inesistente: il comma 4 dell’art. 266, c.p.p. Rocco, introdotto nel 1955[54], richiedeva soltanto che le intercettazioni dovessero essere autorizzate da un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria. E prima di tale intervento gli artt. 266, comma 3, e 339 c.p.p. Rocco permettevano senza limiti e condizioni di sorta l’impiego dello strumento. La sentenza del ‘73 in pratica sollecitava il legislatore ad introdurre una disciplina più analitica, e nelle “more” indicava di attenersi alle due implicazioni necessarie derivanti dall’art. 15 Cost.: una motivazione seria, e l’utilizzo esclusivo del materiale processualmente utile. Tanto basta a giustificare e capire le sue parole.
Una legge organica interviene finalmente nel 1974[55] (interpolata poi nel 1978[56]): si introduce una specifica e dettagliata disciplina delle intercettazioni, che viene nel 1989 recepita nel nuovo codice.
La Corte costituzionale solo nel 1991 e nel 1994 viene chiamata ad occuparsi direttamente del problema del divieto di circolazione probatoria nei diversi procedimenti. Ed essa, per delineare il confine fra ciò che è consentito e ciò che non lo è, riprende le motivazioni della sentenza del ‘73, ricavandone tuttavia argomenti e conseguenze non necessarie.
Nel ‘91 viene fatto il primo passaggio: ci si interrogava se l’art. 270 c.p.p. ricomprendesse nel divieto anche le notizie di reato emerse dalle registrazioni.
Qui la Corte, negando tale estensione, allarga molto il discorso rispetto a quanto richiesto, quasi formulando un obiter.
Prima ribadisce quando scritto nella sentenza del 1973: per intercettare (ovverosia per registrare) ci deve essere una motivazione nella quale siano indicati bersagli e reati; inoltre si possono usare solo le informazioni rilevanti processualmente (a tutela della privacy ovviamente).
Dopodiché passa a dire - innovando rispetto al ‘73 - che l'art. 15 della Costituzione, «oltre a garantire la “segretezza” della comunicazione e, quindi, il diritto di ciascun individuo di escludere ogni altro soggetto diverso dal destinatario della conoscenza della comunicazione - tutela pure la “libertà” della comunicazione: libertà che risulterebbe pregiudicata, gravemente scoraggiata o, comunque, turbata ove la sua garanzia non comportasse il divieto di divulgazione o di utilizzazione successiva delle notizie di cui si è venuti a conoscenza a seguito di una legittima autorizzazione di intercettazioni al fine dell'accertamento in giudizio di determinati reati».
Da tale premessa si trae allora la seguente conseguenza che «l'utilizzazione come prova in altro procedimento trasformerebbe l’intervento del giudice richiesto dall'art. 15 della Costituzione in un'inammissibile “autorizzazione in bianco”, con conseguente lesione della “sfera privata” legata alla garanzia della libertà di comunicazione e al connesso diritto di riservatezza incombente su tutti coloro che ne siano venuti a conoscenza per motivi di ufficio».
Infine arriva alla conclusione: «Dalla tutela della “libertà” di comunicazione deriva dunque che, in via di principio, è vietata l’utilizzabilità dei risultati di intercettazioni validamente disposte nell'ambito di un determinato giudizio come elementi di prova in processi diversi, per il semplice fatto che, ove così non fosse, si vanificherebbe l'esigenza più volte affermata da questa Corte che l'atto giudiziale di autorizzazione delle intercettazioni debba essere puntualmente motivato nei sensi e nei modi precedentemente chiariti».
In pratica per la Corte costituzionale il divieto di uso in altri procedimenti si salda non già con la tutela della “segretezza”, ma piuttosto della “libertà” di comunicazione, intesa anche come diritto a non essere turbati dalla possibilità dell’uso processuale illimitato di quanto possa essere stato captato. Di qui la necessità di limitare tale turbamento, circoscrivendo nei diversi procedimenti l’uso dei risultati delle intercettazioni[57].
Nel 1994 la Corte costituzionale riprende i medesimi argomento, e li utilizza per affermare che un eventuale uso senza limiti dei risultati delle intercettazioni in altri procedimenti sarebbe una inammissibile autorizzazione in bianco lesiva del diritto alla libertà delle comunicazioni. E quindi conclude che deve rimanere il divieto di circolazione di cui all’art. 270 c.p.p., ferma la possibilità di prevedere delle specifiche deroghe, che spetta al legislatore individuare ragionevolmente
Poi tutto tace, fino a quando la Corte di cassazione nel 2020 si pone il problema di delineare il campo di applicazione dell’uso nello “stesso procedimento”, e non già nel diverso, come avevano fatto le sentenze della Corte costituzionale del 1991 e 9194.
E qui il medesimo argomento utilizzato della Corte costituzionale per giustificare il divieto di uso nei “procedimenti diversi” viene speso dalla Corte di cassazione per giustificare il ridotto regime di uso delle intercettazioni nell’ambito dello stesso procedimento, come se le due situazioni siano identiche.
Si ribadisce infatti che il diritto inviolabile della “libertà” delle comunicazioni, non vuol dire solo “divieto di impedirle”, ma anche diritto di non “essere turbati nelle conversazioni”. Tale turbamento deriverebbe dalla consapevolezza, in capo a ciascuno, sulle conseguenze di un’eventuale intercettazione: tutto quello che si dirà sarà processualmente utilizzabile.
Dopodiché si ritiene che sia necessario contenere tale turbamento, limitando il normale uso dei risultati delle intercettazioni solo a ciò che è oggetto del provvedimento motivato, altrimenti vi sarebbe un’inammissibile autorizzazione in bianco. Si viene così a profilare un “binomio” fra reati indicati nel provvedimento di autorizzazione e uso processuale delle informazioni[58]
Da questo deriva che il significato di “stesso procedimento” deve essere trovato nell’esistenza di un “legame sostanziale” fra il reato oggetto dell’autorizzazione e le informazioni che si raccolgono e che non attengono al reato autorizzato: si deve trattare di informazioni relative a reati connessi. In tal modo è come se il decreto di autorizzazione si riferisca anche a questi perché, a ben vedere, i reati connessi costituiscono un tutt’uno, e come se fossero dal punto di vista del diritto sostanziale un unico reato. In tal modo si circoscrive quel turbamento, contenuto essenziale della libertà delle conversazioni
Ebbene, la Corte costituzionale nel ‘91 e nel ‘94 ha detto chiaramente che il legislatore può scegliere se impedire l’uso dei risultati delle intercettazioni negli altri procedimenti in via assoluta, come aveva fatto nella prima formulazione della norma, - o in via relativa, introducendo delle ragionevoli deroghe. Ma il trasportare il medesimo principio nello stesso procedimento appare operazione non corretta dal punto di vista esegetico. Se il principio spiega le ragioni del divieto probatorio, non può nei medesimi termini spiegare l’uso probatorio. Lo stesso principio non può nel contempo giustificare due regole opposte, e la Corte costituzionale non a caso si era preoccupata di sottolineare nel 1994 come con la questione sollevata «si mirava in sostanza a ottenere una trasformazione dell'ordinamento normativo tale da permettere la piena utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni nell'ambito di procedimenti penali diversi da quello per il quale le stesse intercettazioni sono state validamente autorizzate». Come se desse per scontata una piena utilizzabilità nei medesimi procedimenti.
Inoltre, in via pregiudiziale appare quanto meno controvertibile l’obiter dictum della Corte costituzionale del ‘91, secondo cui esiste il “diritto al non turbamento”, inteso come diritto al non utilizzo di informazioni rilevanti penalmente perché ciascuno deve essere “libero” di conversare non temendo che quello che dirà potrà essere usato per reati diversi da quello per cui sono state autorizzate le intercettazioni. Obiter poi ripreso dalla Cassazione per giustificare l’interpretazione dell’espressione “stesso procedimento”.
Questo diritto non esiste per la Corte edu, per la quale è necessaria la “prevedibilità della base legale” su cui si fonda l’interferenza dell’Autorità nel diritto fondamentale di cui all’art. 8 Cedu, prevedibilità intesa come esistenza di una regola giuridica conoscibile; nonché la possibilità di un controllo successivo, volto a verificare che non ci sia stato un abuso dell’autorità. E il nostro ordinamento già soddisfa tali condizioni[59]. Ma certo non è questo un argomento dirimente, potendo ben essere alzate le soglie delle garanzie della Convenzione.
Inoltre, guardando al diritto interno, tal modo di intendere il diritto alla libertà delle conversazioni, di fatto introdurrebbe anche nello stesso procedimento una sorta di diritto al silenzio extraprocessuale[60], superiore a quello previsto per le dichiarazioni processuali dell’indagato, perché si estenderebbe anche a ciò che proviene da terzi estranei a profili personali di responsabilità e che invece sono solo depositari di informazioni che hanno ricevuto su fatti penalmente rilevanti. Senza contare che rispetto al terzo è davvero difficile immaginare un turbamento legato alla possibilità che circolino informazione che non lo riguardino personalmente.
Appare piuttosto che il divieto di circolazione probatoria nei diversi procedimenti sia espressione del principio del fair play, da intendere come scelta dello Stato di non ricorrere a metodi sleali[61]. Se ci si imbatte in una “notizia di reato inaspettata”, usando dei mezzi particolarmente insidiosi come le intercettazioni che vanno a toccare l’inviolabile diritto alla segretezza delle comunicazioni, è espressione di lealtà comportamentale utilizzare l’informazione esclusivamente come ipotesi da verificare, e non già nel contempo come ipotesi e conferma probatoria dell’ipotesi.
È però consentito, secondo ragionevolezza, individuare delle eccezioni.
Ed è ragionevole derogare a tale regola per i reati particolarmente allarmanti. E questi sono tanto quelli per i quali è previsto l’arresto obbligatorio, quanto quelli per cui è possibile ricorrere alle intercettazioni.
Ma nessun comportamento contrario al fair play è configurabile quando indagando su qualcosa si finisce, secondo l’id quod plerunque accidit, per scoprire qualcos’altro: non quindi per fatalità, ma per una normale conseguenza. Man mano che si svolgono delle indagini su una certa ipotesi criminosa è fin troppo scontato reperire prove relative ad ulteriori ipotesi criminose legale alle prime[62].
E tale evenienza si verifica allo stesso modo tanto rispetto alle informazioni relative a reati connessi, quanto rispetto a quelle relative a reati collegati ex art. 371 comma 2 lett. b) e c) c.p.p.
Da questo punto di vista non sono rinvenibili differenze significative: la “massima di esperienza” che ci dice che “indagando su un qualunque reato si trovano prove relative anche al reato commesso per occultarlo” è identica alla “massima di esperienza” che ci dice che “indagando su un qualunque reato si scovano anche prove relative al reato commesso per conseguirne il profitto”. Ma esiste anche la massima di esperienza che ci dice che “quando una persona è a conoscenza dell’avvenuto compimento di due reati, se parla di uno, conversando con terzi, evocherà anche l’altro”.
Nessuna delle ipotesi regolate nel collegamento probatorio è qualificabile come evenienza imprevedibile dal punto di vista “processuale e investigativo”.
Proviamo allora a valorizzare il c.d. diritto tabellare, inteso in senso lato come l’insieme della disciplina tanto delle tabelle giudicanti, quanto dei progetti organizzativi delle procure[63].
Come è noto nei progetti organizzativi si stabiliscono le modalità attraverso cui le singole notizie di reato vengono assegnate ai “singoli” magistrati del p.m. e sono previste delle regole generali e delle deroghe.
In quasi tutti i progetti organizzativi approvati nell’ultimo triennio[64], la regola generale prevede che le notizie di reato sono attribuite per materia al Gruppo di lavoro corrispondente, e poi con “assegnazioni automatiche” ogni singola notizia è affidata ad uno dei magistrati facente parte del gruppo (in conformità all’art. 1 comma 4 lett. b) e c), d.lg. 206 del 2006).
I procedimenti che invece esulano dalle competenze dei Gruppi sono assegnati direttamente ai singoli magistrati, sempre attraverso meccanismi automatizzati che distribuiscono i carichi di lavoro via via a tutti i pubblici ministeri dell’ufficio in misura identica (in conformità all’art. 1 comma 4 lett. c), d.lg. 206 del 2006).
Poi ci sono le deroghe a tali regole.
La prima è quella che permette “l’assegnazione personale” al procuratore capo o a singoli magistrati, in base ad esigenze predeterminate (in conformità all’art. 2 comma 1 d.lg. 206 del 2006).
La seconda viene denominata “assegnazione per precedente” (in conformità all’art. 1 comma 4 lett. b) prima frase, d.lg. 206 del 2006): tutte le notizie di reato che riguardano reati connessi (ex art. 12 c.p.p.) o comunque collegati [ex art. 371, comma 2, lett. b) e c) c.p.p.] ad una “precedente notizia di reato” già assegnata ad un determinato p.m. sono affidati a quest’ultimo. Non importa se poi ci sarà la riunione dei procedimenti o rimarranno separati, il dato significativo è la “trattazione unitaria”, ovverosia la titolarità in capo al medesimo p.m.
Si tratta di una regola di efficienza processuale, ma anche strategica.
Le “relazioni fattuali” che esistono fra i vari reati, anche nel caso in cui siano indifferenti dal punto di vista sostanziale, assumono un “rilievo processuale” fondamentale: occorre conoscere tutto il materiale probatorio, perché le prove dell’uno avvalorano o escludono la ricorrenza dell’altro e viceversa; è poi necessaria una valutazione unitaria dei passi investigativi da compiere per ciascuno di essi, perché un successo investigativo sull’uno si irradia sull’altro, così come un passo falso sull’uno a cascata si riversa sull’altro; inoltre, è opportuna una ponderazione congiunta sulle scelte relative all’esercizio dell’azione.
Potremmo allora ipotizzare che il concetto di “stesso” e “diverso” procedimento si basi sull’esistenza o meno della “trattazione unitaria”, valorizzando così il dato della titolarità in capo al medesimo p.m., che a sua volta si fonda sulla connessione o sul collegamento fra le diverse notizie di reato di cui è competente una certa Procura della Repubblica.
Siffatta ricostruzione non esclude che si possano comunque colpire eventuali abusi, e a tal fine appare necessario distinguere due diverse situazioni: una “occulta” elusione del fair play sindacabile ex art. 271 c.p.p. e una “palese” violazione del fair play sindacabile ex art. 270 c.p.p.
Un conto è il caso in cui un singolo magistrato formuli una legittima richiesta di intercettazione per un determinato reato, mirando invece ad intercettare un ulteriore fatto non ricompreso nell’art. 266 comma 1 c.p.p., o ancora privo di una qualche soglia probatoria, perché solo ipotizzato.
La situazione è agevolmente qualificabile come un abuso del diritto[65]: c’è un impego sfunzionalizzato del mezzo investigativo[66]. E ormai da tempo sono previste varie tipologie di reazioni rispetto ad analoghe evenienze[67], dunque anche qui si potrebbe ipotizzare che intervenga una sanzione processuale, basata sull’effettivo pregiudizio [68], per violazione del fair play.
A tal fine basterebbe l’inutilizzabilità dell’art. 271 c.p.p., perché - anche se non apparentemente - sono comunque assenti le condizioni (in via di fatto o in via di diritto) per richiedere l’autorizzazione.
Un analogo sindacato, proprio ai sensi dell’art. 271 c.p.p., già viene eseguito dalla Cassazione nell’ipotesi in cui, a causa della “diversa qualificazione” giuridica del “medesimo fatto” alla fine dell’inchiesta, si passi da un reato intercettabile ad uno che non lo sia. In questi casi occorre verificare se al momento in cui era stata richiesta l’autorizzazione già esistevano gli elementi per qualificare l’ipotesi criminosa nel modo in cui si è proceduto solo alla conclusione dell’indagine e, quindi, abusivamente[69].
Allo stesso modo, le intercettazioni sono inutilizzabili se sono state eseguite proprio per registrare conversazioni relative a “ulteriori fatti” non qualificabili giuridicamente in una delle ipotesi criminose indicate dall’art. 266 c.p.p., ovvero se sono state disposte perché già si ipotizzavano come esistenti ulteriori fatti, ma ancora non vi era la disponibilità di indizi. In definitiva l’art. 271 c.p.p. è idoneo a ricomprendere al suo interno anche il caso in cui il mezzo di ricerca della prova sia strumentalizzato per cercare - non importa se esclusivamente o meno - informazione su “fatti ulteriori e aggiuntivi” rispetto a quelli indicati nella richiesta e nel decreto di autorizzazione.
Qualcosa di molto simile è oggi in procinto di essere introdotto: il sindacato sulla correttezza della data di iscrizione della notizia di reato, con conseguente inutilizzabilità dei risultati investigativi compiuti fuori del temine come retrodatato a seguito del controllo[70].
Occorrerebbe dunque analizzare il complessivo quadro indiziario raccolto nel momento in cui è stato chiesto il provvedimento – ora per allora – al fine di verificare la ricorrenza di tali circostanze abusive. Si deve quindi andare oltre l’analisi delle risultanze investigative relative ai reati per cui invece è stata richiesta l’autorizzazione: non si fa un vaglio sui reati autorizzati, che probabilmente lo sono stati legittimamente, ma su quelli che non compaiono nell’ordinanza. E proprio questo permette di qualificare il sindacato come un controllo sull’abuso del diritto.
Diverso è il caso in cui ci si imbatta accidentalmente in informazioni che esulano dalle ipotesi criminose oggetto dell’autorizzazione, senza che siano state fraudolentemente ricercate.
In questa circostanza tutto ciò che riguarda reati privi di qualsivoglia “legame processuale” con il reato bersaglio deve essere trasmesso al p.m. competente (nella stessa procura o in una diversa). E qui ai sensi dell’art. 270 c.p.p. l’informazione va qualificata come notizia di reato e non può essere usata come prova. E l’eventuale “palese” violazione del precetto è colpita dall’inutilizzabilità (a meno che non ricorrano le deroghe codificate che ne autorizzano il pieno impiego probatorio).
Ebbene, se si volessero mettere insieme tutte le suggestioni proposte, dal nuovo testo dell’art. 270 c.p.p. si potrebbe ricavare che nel medesimo procedimento - ovvero nei procedimenti assegnati al medesimo magistrato del p.m. - si usano i risultati delle intercettazioni relativi ai reati autorizzati e ai reati connessi o collegati a quelli autorizzati; di contro nei procedimenti diversi - ovverosia trattati da magistrati del p.m. diversi - vi è il divieto di circolazione probatoria, a meno che i risultati delle intercettazioni attengano a delitti per cui è consentito l’arresto in flagranza di reato o a reati per cui è ammissibile l’intercettazione ex art. 266 c.p.p.
Se questo possa essere un modo per raggiungere un ragionevole bilanciamento fra la tutela della riservatezza delle comunicazioni, le esigenze di accertamento dei reati e la configurazione di un giusto ed equo processo, senza stravolgere il dato letterale della disposizione, sarà la Corte di cassazione a dirlo, ma intanto ci si è uniti alle voci di tutti coloro che sono impegnati a “predire” la futura giurisprudenza della Cassazione e a partecipare a quella “cultura del dialogo” da cui poi nascono i principi di diritto parzialmente vincolanti delle Sezioni unite.
· Il presente lavoro è destinato alla pubblicazione nei Quaderni della Scuola Superiore della Magistratura, “Intercettazioni di comunicazioni e tabulati” - Corso di formazione Cod. P22021, Scandicci - 14 -16 marzo 2022. Si ringrazia il Comitato Direttivo della Scuola Superiore della Magistratura per aver acconsentito all’anticipazione dello scritto.
[1] Con la legge 28 febbraio 2020 n. 7, l’art. 270 c.p.p. oggi prevede che «i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino rilevanti e indispensabili per l’accertamento dei delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza e dei reati di cui all’art. 266 comma 1».
[2] Sez. U, 28 novembre 2019 - 2 gennaio 2020, n. 51, Cavallo, in C.E.D. Cass. n. 277395, secondo cui «in tema di intercettazioni, il divieto di cui all'art. 270 c.p.p. di utilizzazione dei risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate – salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza – non opera con riferimento agli esiti relativi ai soli reati che risultino connessi, ex art. 12 c.p.p., a quelli in relazione ai quali l'autorizzazione era stata “ab origine” disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall'art. 266 c.p.p.». Sulla pronuncia v. F. Alvino, Bene captum, male retentum: riflessioni in merito all’art. 270 c.p.p., in materia di circolazione endoprocedimentale delle intercettazioni e a margine delle Sezioni Unite Cavallo, in magistraturaindipendente.it; Gius. Amato, Procedimenti diversi, permangono dubbi nonostante le S.U., in Guida dir., 2020, f. 13, p. 45; M.S. Chelo, Divieto di utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi: le Sezioni Unite scelgono la via garantista, in Proc. pen. e giust., 2020, f. 4; G. Illuminati, Utilizzazione delle intercettazioni in procedimenti diversi: le Sezioni unite ristabiliscono la legalità costituzionale, in Sistema pen., 2020, 30 gennaio 2020; A. Innocenti, Le Sezioni Unite limitano l'utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni per la prova di reati diversi da quelli per cui sono state ab origine disposte, in Dir. pen. e proc., 2020, f. 7, p. 993; K. Natali, Sezioni unite e “Legge Bonafed”: nuove regole per l'uso trasversale delle intercettazioni, in Cass. pen., 2020, p 187; A. Natalini, Uso obliquo dei flussi: vaglio d'ammissibilità sempre necessario, in Guid. dir., 2020, f. 6, p. 79; M. Mannucci, Prime osservazioni alla sentenza delle Cassazione Sezioni Unite Penali n. 51 del 28.11.2019, in Giur. pen. web, 26 gennaio 2020; G. Pecchioli, Intercettazioni e “diverso procedimento”: le Sezioni unite sull'annoso nodo gordiano, in Giur. it., 2020, f. 6, p. 1503; C. Santoriello, Esistono vincoli all’interpretazione delle norme processuali penali? Brevi riflessioni sollecitate da una decisione delle Sezioni unite in tema di intercettazioni, in Arch. pen., 2020, f. 17.
[3] Sulla nuova disposizione v. F. Alvino, La circolazione delle intercettazioni e la riformulazione dell’art. 270 c.p.p.: l’incerto pendolarismo fra regola ed eccezione, in Sist. pen., 2020, f. 5, 248 ss.; F. Cassiba, In difesa dell’art. 15 Cost.: illegittima la circolazione delle intercettazioni per la prova di reati diversi, in Giur. pen. web, 2020 (6); L. Cusano - E. Piro, Intercettazioni e videoregistrazioni, Giuffrè, 2020; G. De Amicis, Il regime della “circolazione” delle intercettazioni dopo la riforma, in Giustizia insieme, 22 febbraio 2020; C. Parodi - N. Quaglino, La nuova fisionomia delle intercettazioni (d.l. 30 dicembre n. 161, conv. con modif. L. 28 gennaio 2020, n. 7), Giuffrè, Milano, 2020; A. Pasta, Le lenti del formalista e i silenzi del legislatore. Sull’utilizzazione delle intercettazioni per l’accertamento di reati diversi, in Arch. pen., 2020, f. 2; E. Valentini, Il rompicapo senza fine: le arcane trasformazioni dell’art. 270 c.p.p., in Revisioni normative in tema di intercettazioni, a cura di G. Giostre, R. Orlandi, Giappichelli, Torino, 2021, p. 279 ss.; F. Vanorio, Il permanente problema dell’utilizzo delle intercettazioni per reati diversi tra l’intervento delle Sezioni unite e la riforma del 2020, in Sistema pen., 2020 (6), p. 181.
[4] Ex plurimis G. Illuminati, Utilizzazione delle intercettazioni, cit., p. 4.
[5] Sul tema del regime intertemporale della riforma delle intercettazioni v. M. Gambardella, Entrata in vigore e profili di diritto transitorio, in Revisioni normative in tema di intercettazioni, cit. 157 ss.
[6] Sul tema v. A. Proto Pisani, Un nuovo principio generale del processo, in Foro it., 2011, I, p. 117; R. Caponi, Il mutamento di giurisprudenza costante in materia di interpretazione di norme processuali come ius superveniens irretroattivo, in Foro it., 2010, V, p. 311.; S. Turatto, Overruling in materia processuale e principio del giusto processo, in Nuove leggi civili commentate, 2015, p. 1151 ss.; G. Ruffini, Mutamenti di giurisprudenza nell’interpretazione delle norme processuali e «giusto processo», in Riv. dir. proc., 2011, p. 1390 ss.
[7] Cfr. M. Condorelli, L. Pressacco, Overruling e prevedibilità della decisione, in Quest. Giust., 2018, f. 4.
[8] Cfr., sul punto, M. Condorelli, L. Pressacco, Op. cit., p.
[9] Cass. civ., Sez. unite, 11 luglio 2011, n. 15144, in Foro it., 2011, I, p. 2254, con nota di G. Costantino e di G. Mazzullo; A fianco alla disapplicazione allo stesso fine può essere utilizzato lo strumento della remissione in termini, che nel processo civile è stato spostato (con la legge 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 19) nel libro primo del codice di rito, così che ne viene estesa la sua operatività a tutte le attività processuali.
[10] Cons. Stato, sez. IV, 28 giugno 2018, n. 3977; Cons. Stato, ad. plen., 23 febbraio 2018, n. 1, in Foro it., 2018, III, c. 193, con nota di R. Pardolesi; Cons. Stato, ad. plen. 11 novembre 2015, n. 9, in Foro it., 2016, III, p. 65, con nota di E. Travi e M. Condorelli; CGA per la Regione siciliana, 29 aprile 2013, n. 421. Anche qui, accanto alla disapplicazione allo stesso fine può essere utilizzato lo strumento disciplinato, in via generale, per il processo amministrativo dall’art. 37 c.p.a., secondo cui “Il giudice può disporre, anche d’ufficio, la rimessione in termini per errore scusabile in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto […]”.
[11] Ex Plurimis, v. Cass., sez. II, 21 aprile 2021 – 15 giugno 2021, n. 23306, Saidi Hamaied, in C.E.D. Cass., n. 281458, secondo cui il principio secondo cui il mutamento non prevedibile della precedente e consolidata interpretazione di una norma processuale da parte della Corte di cassazione (cd. “overruling”) non si applica in pregiudizio della parte che abbia incolpevolmente confidato nella precedente soluzione, non può essere invocato - con conseguente rimessione in termini - con riferimento a quanto affermato dalla sentenza Sez. un. “Bottari” in tema di individuazione della data di presentazione rilevante ai fini della tempestività del ricorso cautelare, ai sensi dell'art. 325, comma 1, c.p.p., in quanto espressione del superamento del contrasto esistente in materia con l'adesione all'orientamento giurisprudenziale; Cass., sez. V, 3 marzo 2020, 22 aprile 2020, n. 12747, Rossi, ivi, n. 278864 , secondo cui il principio, affermato dalla giurisprudenza civile di legittimità, secondo cui il mutamento non prevedibile della precedente e consolidata interpretazione di una norma processuale da parte della Corte di cassazione non si applica in pregiudizio della parte che abbia incolpevolmente confidato nella precedente interpretazione (cd. “overruling”) non può essere invocato con riferimento ai principi affermati dalla sentenza Sez. un., “Bajrami” del 2019, in tema di immutabilità del giudice ex art. 525, comma 2, c.p.p., che ha semplicemente puntualizzato la corretta interpretazione della norma nell'ambito delle diverse letture, più o meno restrittive, sino ad allora praticate, sistematizzando la previsione di nullità rispetto alle iniziative delle parti e ai poteri del giudice in ordine alla prova; Cass., sez. VI, 25 febbraio 2020, 7 maggio 2020, n. 14051, Russo, ivi, n. 278843, secondo cui il principio “tempus regit actum” si applica solo alla successione nel tempo delle leggi processuali e non anche al mutamento dell'interpretazione giurisprudenziale di queste ultime, sicché qualora si succedano, in sede di legittimità, interpretazioni difformi di norme processuali, il provvedimento assunto nell'osservanza di un orientamento in seguito non più condiviso non può considerarsi legittimo. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio l'ordinanza del tribunale del riesame che aveva ritenuto l'utilizzabilità delle intercettazioni, recependo l'interpretazione successivamente non condivisa da Sez. un. Cavallo); Cass., sez. VI, n. 10659, 20 febbraio 2020, 26 marzo 2020, Najim Abdelouahad, ivi, n. 278750, secondo cui L'irretroattività del mutamento giurisprudenziale sfavorevole presuppone un imprevedibile ribaltamento dell'orientamento consolidato, che, invece, è da escludere nel caso in cui sussista un contrasto giurisprudenziale risolto dalle Sezioni unite con il recepimento di uno dei contrapposti orientamenti, anche qualora sia riconosciuto come legittimo quello più restrittivo per le facoltà e poteri processuali della parte. (Fattispecie relativa al termine di impugnazione per l'imputato assente nel giudizio abbreviato, in cui la Corte ha chiarito che il principio enunciato dalle Sez. un. “Sinita” trova applicazione anche relativamente alle impugnazioni proposte in precedenza); Cass., Sez. V, 12 dicembre 2018 – 26 marzo 2019, n. 13178, Galvanetti, ivi, 275623, secondo cui il principio, affermato dalla giurisprudenza civile di legittimità, secondo cui il mutamento non prevedibile della precedente e consolidata interpretazione di una norma processuale da parte della Corte di cassazione non si applica in pregiudizio della parte che abbia incolpevolmente confidato nella precedente interpretazione (cd. “overruling”) non può essere invocato con riferimento ai principi affermati dalla sentenza Sez. un., "Galtelli" del 2017, in tema di inammissibilità dell'appello non sorretto da motivi specifici, che ha semplicemente puntualizzato la corretta interpretazione della norma nell'ambito delle diverse letture, più o meno restrittive, sino ad allora praticate.
[12] La Corte edu richiede non solo che la misura contestata abbia qualche base nel diritto interno, ma la base legale deve avere delle qualità, esigendo che debba essere accessibile alle persone interessate e che i suoi effetti debbano essere prevedibili. Cfr. Corte edu, 7 luglio 2012, Centro Europa 7 S.r.l. e Di Stefano c. Italia, §. 140-141; Corte edu, 17 febbraio 2004, Maestri c. Italia, § 30. Sul tema v., amplius, V. Zagrebelsky, R. Chenal, L. Tomasi, Manuale dei diritti fondamentali in Europa, Il Mulino, Bologna, 2016, p. 126 ss.
[13]In tema di tutela della vita privata ex art. 8 Cedu, nella quale è ricompreso anche il diritto alla segretezza delle comunicazioni, cfr. in particolare Corte Edu, 2 settembre 2010, Uzun c. Germania, in cui è stata negata la violazione dell’art. 8 Cedu, ritenendo che la possibilità di effettuare operazioni di sorveglianza satellitare fosse uno sviluppo giurisprudenziale ragionevolmente prevedibile in base alla disciplina sulle sorveglianze sonore e visive.
In tema di legalità penale ex art. 7 Cedu, cfr. Corte Edu, 30 marzo 2004, Radio France c. Francia, § 20; Corte Edu, 9 ottobre 2008, Moise Yev c. Russia, § 241; Corte Edu, , 10 ottobre 2006, Pessino c. Francia§ 36; Corte Edu, 22 novembre 1995, S.W. c. Regno Unito, §. 34-47, e in dottrina V. Manes, Art. 7, in Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, a cura di F. Bartole - P. De Sena - V. Zagrebelsky, Cedam, Padova, 2012, p. 279 ss.; V. Zagrabelsky, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il principio di legalità nella materia penale, in La Convenzione europea dei diritti dell’uomo nell’ordinamento penale italiano, a cura di V. Manes e V. Zagrebelsky, Giuffrè, Milano, 2011, p. 69 ss.; A. Guidi, Art. 7 Cedu e interpretazione ragionevole nella giurisprudenza di Strasburgo, in Cass. pen., n. 2013, p. 4720 ss. Per l’applicazione interna di tali principi v. Cass., Sez. V, 9 luglio 2018 – 18 ottobre 2018, n. 47510, Dilaghi, in C.E.D. Cass. n. 274406, secondo cui non sussiste la violazione dell'art. 7 Cedu - così come conformemente interpretato dalla giurisprudenza della Corte edu – qualora l'interpretazione della norma incriminatrice applicata al caso concreto sia ragionevolmente prevedibile nel momento in cui la violazione è stata commessa, atteso che l'irretroattività del mutamento giurisprudenziale sfavorevole presuppone il ribaltamento imprevedibile di un quadro giurisprudenziale consolidato (c.d. “overruling”). (Fattispecie in tema di accesso abusivo ad un sistema informatico in cui la Corte ha escluso la sussistenza di un “overruling” ad opera della sentenza delle Sezioni unite “Savarese” e la conseguente violazione dell'art. 7 CEDU).
[14] Cfr. Corte edu, 18 dicembre 2008, Unedic c. Francia, §. 74; Corte edu, 24 gennaio 2012, Torri e altri c. Italia, §. 41-42.
[15] Un eventuale effetto favorevole del mutamento giurisprudenziale è tema trattato nell’ambito del diritto penale sostanziale, perché in tal caso ci si interroga se possa essere applicato il principio di retroattività del mutamento giurisprudenziale di favore. Sul punto, invero, se pur la Corte costituzionale ha escluso decisamente tale parificazione (Cort. cost. 230 del 2012), sottolineando con forza che “eius est condere eius est abragare”, una qualche apertura sul tema si intravede. Si è infatti sostenuto che nel caso in cui il mutamento giurisprudenziale riguardi l’interpretazione di una “nuova disposizioni”, e sulla novità vi sua un mutamento giurisprudenziale, che passi da un’interpretazione che vede nella novella una successione di norme sfavorevoli, ad una che valuti invece la successione come introduttiva di una norma favorevole, si possa applicare retroattivamente la nuova interpretazione, con possibilità addirittura di revocare i giudicati. Ma la ragione di tale conclusione risiede - ripetiamolo - nel fatto che la nuova interpretazione è legata alla novità normativa, non al mutamento di giurisprudenza “secco”.
[16] Nella giurisprudenza civile, per verificare la sussistenza di un affidamento meritevole di essere tutelato attraverso la disapplicazione del nuovo principio di diritto o la rimessione in termini per errore scusabile, non è stato ritenuto meritevole di tutela l’affidamento della parte se, al momento del compimento dell’attività, sussisteva un contrasto giurisprudenziale sulla portata della regola processuale, poiché in presenza di due o più indirizzi interpretativi relativi a una regola processuale la parte sarebbe tenuta a compiere l’attività processuale conformandosi all’orientamento più rigoroso, in virtù di un principio generale «di precauzione» (Cass. civ., sez. lav., 25 febbraio 2011, n. 4687; Cass. civ., sez. lav., 15 dicembre 2011, n. 27086; Cass. civ., sez. III, 5 agosto 2013, 18612). Il principio è stato poi ripreso dalla Cassazione penale (Cass., sez. VI, n. 10659, 20 febbraio 2020 - 26 marzo 2020, Najim Abdelouahad, in C.E.D. Cass., n. 278750, secondo cui l'irretroattività del mutamento giurisprudenziale sfavorevole presuppone un imprevedibile ribaltamento dell'orientamento consolidato, che, invece, è da escludere nel caso in cui sussista un contrasto giurisprudenziale risolto dalle Sezioni unite con il recepimento di uno dei contrapposti orientamenti, anche qualora sia riconosciuto come legittimo quello più restrittivo per le facoltà e per i poteri processuali della parte. (Fattispecie relativa al termine di impugnazione per l'imputato assente nel giudizio abbreviato, in cui la Corte ha chiarito che il principio enunciato dalle Sez. U. “Sinita” trova applicazione anche relativamente alle impugnazioni proposte in precedenza).
[17] In tema di legalità penale ex art. 7 Cedu emblematica è Corte Edu, 14 aprile 2005, Contrada c. Italia. In tema di equo processo ex art. 6 Cedu emblematiche sono: Corte Edu, 2 luglio 2009, Iordan Iordanov e altri c. Bulgari, § 49-50; Corte Edu, 2 novembre 2010, Stefanica e altri c. Romania, §. 36.
[18] Cfr. R. Aprati, Le Sezioni unite fra l’esatta applicazione della legge e l’uniforme interpretazione della legge, in La riforma della giustizia penale, a cura di A. Marandola e T. Bene, Milano, Giuffrè, 2017, p. 291.
[19] Così R. Aprati, Cultura del dialogo e precedenti delle Sezioni unite», in Cass. pen., 2021, p. 1250 ss.
[20] Così M. Pollera, Contrasti sincronici e rimessione del ricorso alle Sezioni unite, in Cass. pen., 2022, doc. 204.6.
[21] Cass, Sez. V, 22 novembre 2021 – 16 febbraio 2022, n. 5538 e Cass., Sez. VI, 28 ottobre 2021 - 16 febbraio 2022, n. 5536, in Cass. pen., 2022, doc.204.5 e 204.6.
[22] Sulle due pronunce v. M. Pollera, Op cit., la quale nota che «l’aspetto innovativo delle decisioni in commento, meritevole di valorizzazione, sta nell’aver individuato in un modulo organizzativo uno strumento di composizione del contrasto sincronico interno alla Sezione, al fine di garantire l’effettiva prevedibilità delle decisioni giudiziarie ancor prima di un intervento delle Sezioni unite. Si tratta di una soluzione inedita, ma che ben si inquadra nel contesto delle possibili risposte al problema delle difformità interpretative all’interno della giurisprudenza di legittimità; problema di cui il sistema è oramai chiamato a farsi carico alla luce delle sollecitazioni derivanti dalla giurisprudenza della Corte edu. In particolare, il collegio ha ritenuto di accogliere l’orientamento “emerso nel corso della riunione tenutasi ai sensi dell’art. 47-quater r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 (ordinamento giudiziario)”, indicando così la via da percorrere per la decisione del caso di specie, ma anche di quelli analoghi che verranno. La norma richiamata disciplina le attribuzioni del Presidente di Sezione ed è qui rilevante nella parte in cui attribuisce al medesimo la cura dello “scambio informazioni sulle esperienze giurisprudenziali all’interno della Sezione” indicando in tal modo di la via da percorrere per la decisione del caso di specie, ma anche di quelli analoghi che verranno. I compiti del Presidente di sezione del Tribunale elencati nell’art. 47-quater r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 sono poi ribaditi all’art. 95 della Circolare tabelle 2020-2022 adottata dal C.S.M. con delibera 23 luglio 2020, aggiornata al 7 dicembre 2021. Nella medesima delibera si segnala altresì l’art. 222, rubricato “Collaborazione del Presidente di sezione all’organizzazione dell’Ufficio”, per cui “nella proposta tabellare sono indicati gli incarichi conferiti, nell’ambito di ciascuna sezione, ai Presidenti di sezione, nonché le modalità con cui essi collaborano con il Presidente titolare all’organizzazione della Sezione, anche al fine di evitare l’insorgere di contrasti inconsapevoli tra le decisioni e di determinare criteri omogenei ed efficaci con cui individuare i processi destinati alla pubblica udienza e quelli assoggettati al rito camerale”».
[23] Su cui, per tutti, v. V. Napoleoni, L’onere di interpretazione conforme, in V. Manes, V. Napoleoni, La legge penale illegittima, Giappichelli, Torino, 2019, p. 49 ss.
[24] Emblematica in tal senso Corte cost., 16 luglio 2013, n. 232.
[25] Sul tema v. R. Romboli, Dalla “diffusione” all’”accentramento”, una significativa linea di tendenza della più recente giurisprudenza costituzionale, in Foro it., 2018, I, c. 2226 ss.
[26] Cfr. V. Napoleoni, p. 105 ss.; G. Sorrenti, La (parziale) riconversione della “questione interpretativa” in questioni di legittimità costituzionale, in Consulta online, 2016, n. 2, p. 293, ss.
[27] Napoleoni, Op. cit., p. 103 ss.; M. Luciani, Interpretazione conforme a costituzione, in Enc. dir., Annali, vol. IX, Giuffrè, Milano, p. 473, M. Bignami, Profili di ammissibilità delle questioni incidentali (rilevanza, incidentalità, interpretazione conforme), in Quest. giust., 2017, p. 13; O. Chessa, Non manifesta infondatezza versus interpretazione adeguatrice?, in forum costituzionale.it, 2009, p. 8; A. Oddi, La corte di cassazione e l’utilizzo spinto in chiave ermeneutica del principio di ragionevole durata, in Costituzionalismo, n. 3/2010, p. 1 ss.
[28] Cfr. Corte cost. 1° luglio 2013 n. 170; Corte cost. 23 giugno 2014 n. 191, Corte cost. 24 ottobre 2018 n. 207, Corte cost. 9 luglio 2008 n. 291, Corte cost. 25 gennaio 2010 n. 26, Corte cost. 2 aprile 2012 n. 78, Corte cost. 18 aprile 2012 n. 110, Corte cost.22 novembre 2017 n. 268, Corte cost. 13 gennaio 2016 n. 36.
[29] V. Napoleoni, Op. cit., p. 106.
[30] M. Ruotolo, La cassazione penale e l’interpretazione delle disposizioni sulla custodia cautelare in carcere alla luce del principio del minor sacrificio della libertà personale, in giurcost.org., 6 novembre 2012, p. 4.
[31] V. Napoleoni, Op. cit., p. 117 ss.
[32] Ex plurimis L. Filippi, Intercettazoni: habemus legem!, in Dir. pen e proc., 2020, p. 462; K. Natalini, Sezioni unite e legge Bonafede, p. 1914.
[33] Cfr. L. Filippi, Op. cit., p. 462; F. Alvino, Op. cit., p. 250.
[34] Si esprimono per una portata assai limitata dell’innovazione v. E. Valetini, Op. cit., p. 299, F. Cassiba, Op. cit., p. 4; nonché F. Alvino, Op. cit., p. 242, K. Natali, Op. cit., p. 1912, D. Pretti, Op. cit.; S. Renzetti, Op. cit., p. 1161, J. Della Torre, Op. cit., p. 97.
[35] E. Valentini, Op. cit., p. 301; ma già prima A. Camon, Le intercettazioni nel processo penale, Giuffrè, Milano, 1993, p. 288.
[36] Così anche E. Valentini, Un rompicapo senza fine, cit. 304 ss.; F. Cassiba, Op. cit., p. 4; A. Nappi, Nuova guida telematica al codice di procedura penale, Carrabba, 2020, parte II, cap. IX, 37.11.3.; J. Della Torre, La nuova disciplina del captatore: un nodo arduo da sciogliere, in Le nuove intercettazioni, a cura di M. Gialuz, in Diritto e internet, 2020, supplemento al f. 3, p. 100 e D. Pretti, la metamorfosi delle intercettazioni ultimo atto, in Sis. pen., 2 marzo 2020; F. Alvino, La circolazione delle intercettazioni, p. 244; A. Malacarne, L’art. 270 comma 1 c.p.p. crocevia fra interpretazioni giurisprudenziali e interventi normativi, in legislazionepenale.eu, 3 giugno 2020, p. 26; S. Renzetti, Sub artt. 266-271, cit. 1161; F. Vanorio, Il permanente problema, cit., p. 192.
[37] Cfr. L. Filippi, Op. cit., p. 462.
[38] Le Sezioni Unite Cavallo menzionano il principio di tassatività. Ma Il principio di tassatività imporrebbe di ritenere che è sempre consentito intercettare tranne nei casi in cui è vietato, di contro il principio di legalità in senso stretto ci dice che è sempre vietato intercettare tranne nei casi consentiti dalla legge.
[39] Cosi si erano espresse le Sezioni Unite Cavallo, cit., §. 8 della motivazione.
[40] Così anche E. Valentini, Un rompicapo senza fine, cit. 304 ss.; A. Nappi, Nuova guida telematica al codice di procedura penale, Carrabba, 2020, parte II, cap. IX, 37.11.3.; J. Della Torre, La nuova disciplina del captatore: un nodo arduo da sciogliere, in Le nuove intercettazioni, a cura di M. Gialuz, in Diritto e internet, 2020, supplemento al f. 3, p. 100 e D. Pretti, la metamorfosi delle intercettazioni ultimo atto, in Sis. pen., 2 marzo 2020; F. Alvino, La circolazione delle intercettazioni, p. 244; A. Malacarne, L’art. 270 comma 1 c.p.p. crocevia fra interpretazioni giurisprudenziali e interventi normativi, in legislazionepenale.eu, 3 giugno 2020, p. 26; S. Renzetti, Sub artt. 266-271, cit. 1161; F. Vanorio, Il permanente problema, cit., p. 192.
[41] N. Bobbio, Studi per una teoria generale del diritto, a cura di T. Greco, Giappichelli, Torino, 2012, p. 93.
[42] L’articolo è stato introdotto con la l. 8 aprile 1974 n. 98, che per la prima volta regolava in maniera analitica tutto il sistema delle intercettazioni.
[43] D.l. 21 marzo 1978 n. 59 convertito con modificazioni nella l. 18 maggio 1978, n. 191.
[44] Così anche E. Valentini, Op. cit., p. 307
[45] Affermato da Sez. Un. Cavallo, cit., §. 8. della motivazione.
[46] Cfr. le osservazioni sul punto di E. Valentini, Op. cit., p. 304 s.
[47] Così E. Valentini, Op. cit., p. 304 ss.; Gius. Amato, Op. cit., p. 45.
[48] Così F. Cassiba, Op. cit., p. 9 s., secondo il quale stesso procedimento, alla luce del sistema Costituzionale, dovrebbe voler dire solo stesso reato.
[49] Corte cost. 6 aprile 1973 n. 34.
[50] Corte cost. 11 luglio 1991 n. 366.
[51] Corte cost. 10 febbraio 1994 n. 63.
[52] Cfr. Napoleoni, Op. cit, 122 ss., che segnala come emblematica di tale mutamento di rotta Corte cost. 16 luglio 2013 n. 232, sulle presunzioni cautelari, rispetto alle precedenti Corte cost. 7 luglio 2010 n. 265, Corte cost. 9 maggio 2011 n. 164; Corte cost. 19 luglio 2011 n. 231, Corte cost. 12 dicembre 2011 n. 331. Non sembra quindi più attuale rifarsi a quanto affermato dal Corte cost. 8 luglio 2009 n. 2009 e Corte cost. 11 luglio 2007 n. 322, nelle quali si affermava che: «è necessario conformare le disposizioni normative ai principi ricavabili da precedenti decisioni della Corte stessa su temi analoghi, anche quando ciò significhi aggiungere al testo normativo, o eliminare da esso, parole o frasi»; sul punto v., ancora, V. Napoleoni, Op. cit, p. 108.
[53] Sulla pronuncia ancora insuperabili rimangono le riflessioni di V. Gravi, Insegnamenti, moniti e silenzi della Corte costituzionale in tema di intercettazioni telefoniche, in Giur. cost., 1973, p. 316 ss.
[54] Art. 266 ultimo comma, come introdotto dalla l. 18 giugno 1955, n. 517.
[55] L 8 aprile 1974, n. 98 abroga l'ultimo comma dell'articolo 226 c.p.p. Rocco e inserisce i nuovi artt. 266 bis, 266 ter, 266 quater e 266 quinquies; sostituisce l’art. 399 c.p.p. Rocco; aggiunge un secondo capoverso all’art. 423 c.p.p. Rocco, prevede che l’art 226 quinquies c.p.p. Rocco si applichi anche alle intercettazioni raccolte prima dell'entrata in vigore della legge; affida al Ministro per le poste e le telecomunicazioni, di concerto con altri Ministri, il compito di provvedere con propri decreti all'elencazione degli apparecchi idonei ad operare le intercettazioni; affida al procuratore della Repubblica la responsabilità della custodia degli strumenti di intercettazione installati presso la Procura della Repubblica.
[56] Con il già citato d.l. 21 marzo 1978 n. 59 convertito con modificazioni nella l. 18 maggio 1978, n. 191.
[57] Cfr. F. Cassiba, Op. cit., p. 8 ss. e A. Alvino, La circolazione, cit., p. 248, che inquadrano tale turbamento nell’art. 2 Cost. Inoltre, già prima della riforma v. C. Conti, Sicurezza e riservatezza, in Dir. pen. e proc., 2019, p. 1573; P. Ferrua, Due temi da distinguere nel dibattito sulle intercettazioni, in Dir. pen. proc., 1997, p. 486. Sul problema per un inquadramento sistematico v. F. Caprioli, Colloqui riservati e prova penale, Giappichelli, Torino, 1996, p. 11 ss.
[58] In tal senso F. Ruggieri, in Divieti probatori e inutilizzabilità nella disciplina delle intercettazioni telefoniche, Giuffrè, Milano, 2001, p. 102; F. Cassiba, Op. cit., p.9 ss.; L. Filippi, L’intercettazione di comunicazioni, Giuffrè, Milano, 1997, p. 182, M. Ciappi, Limiti all’utilizzabilità delle intercettazioni provenienti aluunde, in Dir. pen. e proc., 1996, p. 1244; V. Grevi, La nuova disciplina delle intercettazioni telefoniche, Giuffrè, Milano, 1982, p. 66; G. Illuminati, La disciplina processuale delle intercettazioni telefoniche, Giuffrè, Milano, 1983, p. 164 ss.
[59] In tale contesto ciò che è necessario – al fine di evitare una violazione dell’art. 8 C.E.D.U. – è soprattutto l’esistenza di una ‘base legale chiara e precisa’: secondo la Corte edu «ci vuole un’adeguata indicazione delle condizioni e delle circostanze in cui le Autorità hanno il potere di ricorrere a tali misure e la base legale deve essere particolarmente precisa, in quanto la tecnologia disponibile per l'uso è sempre più sofisticata; le persone devono essere messe in grado di prevedere, anche solo in via astratta e ipotetica e non in senso determinato, in quali circostanze i loro diritti possano essere posti ad interferenza; in pratica devono essere messi nelle condizioni di poter evitare l’interferenza» (C. edu, 2 agosto 1984, Malone c. Regno Unito; C. edu, 30 luglio 1998, Valenzuela Contreras c. Spagna; C. edu, 29 giugno 2006, Weber e Saravia c. Germania; Corte edu, 28 giugno 2007, Associazione per l'integrazione europea ei diritti dell'uomo e Ekimdzhiev c. Bulgaria; C. edu, 1° luglio 2008, Liberty c. Regno Unito; C. edu, 10 febbraio 2009, Iordachi c. Moldova; C. edu, 2 settembre 2010, Uzun c. Germania). Sul recente problema relativo alla conservazione dei dati v. Corte Giust. UE, Grande Camera, 5 aprile 2022, n. 140, su cui L. Filippi, Stop ai tabulati: la Corte di Lussemburgo ribadisce una fine annunciata, in Il penalista, 12 maggio 2022.
[60] Esplicitamente escluso dalla Corte Cost. 6 aprile 1073 n. 34.
[61] Il principio del fair play evoca la questione relativa all’utilizzabilità o meno nel processo di prove che sono frutto di “trappole”, di “inganni”, di “insidie”. Il tema è stato oggetto di una particolare attenzione solo rispetto a quella peculiarissima forma investigativa costituita dalle operazioni sotto copertura (su cui v. F. Roberti, G. Furciniti, Le indagini contro il narcotraffico e il riciclaggio dei proventi illeciti, Laurus, 2015, p. 76 ss.). In tale contesto, la Corte edu ha sancito l’inutilizzabilità delle prove raccolte dall’agente provocatore, ovverosia di chi sia stato determinante nella decisione di commettere il reato. In pratica è contraria all’equo processo, al fair play, la circostanza di determinare qualcuno a delinquere e poi usare contro di lui la testimonianza di chi lo ha convinto a delinquere: si tratta del c.d. intrapment (C. edu, 4 novembre 2010, Bannikova c. Russia; C. edu, 21 febbraio 2008, Pyrgiotakis c. Grecia; Corte edu, 5 febbraio 2008 Ramanauskas c. Lituania; C. edu, 21 marzo 2002, Calabrò c. Italia e Germania; C. edu, 9 giugno 1998, Teixeira de Castro c. Portogallo). La Cassazione si è subito adeguata a tale indirizzo interpretativo, sostenendo che «è inutilizzabile la prova acquisita dall'agente infiltrato che abbia determinato l'indagato alla commissione di un reato e non quella acquisita con l'azione di mero disvelamento di una risoluzione delittuosa già esistente, rispetto alla quale l'attività dell'infiltrato si presenti solo come occasione di estrinsecazione del reato» (Cass., sez. V, 4 febbraio 2020 – 14 aprile 2020, n. 12204, Giannone in C.E.D. Cass., n. 278730). secondo la Corte sono legittime solo le prove raccolte dall’agente infiltrato, ovverosia di colui che al più rafforza un intento criminale già esistente (sul tema v. A. Balsamo, Operazioni sotto copertura ed equo processo, in Cass. pen., 2008, p. 2642 ss.).
[62] Cfr. A. Camon, Op. cit., p. 277, il quale già osservava come ex ante sia impossibile prevedere gli esiti delle intercettazioni.
[63] Sulla disciplina di dettaglio v. C.S.M., Circolare sulla organizzazione degli Uffici di Procura (delibera del 16 novembre 2017 e succ.mod. al 18 giugno 2018); C.S.M., Modifica alla Circolare sull’Organizzazione degli Uffici di Procura deliberata in data 16 novembre 2017, così come modificata alla data del 18 giugno 2018 (delibera 16 dicembre 2020).
[64] Per tutti v. il Progetto organizzativo della Procura di Tivoli del triennio 2020-2022, virtuosamente pubblicato sul sito aperto al pubblico della Procura, in https://www.procura.tivoli.giustizia.it/documenti.aspx?id_gruppo=537.
[65] Su cui v. E.M. Catalano, L’abuso del Processo, Milano, Giuffrè, 2004, passim; P. Maggio, Processo (abuso del), in Dig. d. pen., Agg., vol. V, Utet, 2010, p. 634 ss.
[66] Cfr. Cass., Sez. Un., 29 settembre 2012 – 9 gennaio 2021, n. 155, Rossi, in Cass. pen. 2012, p. 2410.
[67] Per una panoramica delle quali v. R. Aprati, Nullità ed effettivo pregiudizio, Cedam, Milano, 2019, p. 247 ss.
[68] Sul tema v. R. Aprati, Nullità ed effettivo pregiudizio, Cedam, Milano, 2019, passim.
[69] Cass., Sez.VI, 19 gennaio 2021 – 7 ottobre 2021, n. 36420, Mazzone, in C.E.D. Cass., 281989, secondo cui in tema di intercettazioni telefoniche, la verifica dei presupposti di legittimità va effettuata con riguardo alla qualificazione del reato per il quale, in concreto, si dispone di indizi idonei al momento dell'autorizzazione, sicché, ove "ab origine" il reato astrattamente configurabile non era tra quelli contemplati dall'art. 266 c.p.p., le intercettazioni sono inutilizzabili pur se formalmente disposte per un titolo di reato che le consentiva. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto inutilizzabili le intercettazioni inizialmente disposte in relazione al reato di corruzione e poi utilizzate con riguardo al reato di abuso d'ufficio, sul presupposto che quest'ultima era l'unica fattispecie concretamente configurabile sulla base degli elementi disponibili fin dal momento in cui l'autorizzazione era stata disposta).
[70] L. n. 134 del 2021, art. 1, n. 9, lett. p), q), r), s), secondi i quali il Governo è delegato a: p) precisare i presupposti per l'iscrizione nel registro di cui all'articolo 335 c.p.p. della notizia di reato e del nome della persona cui lo stesso è attribuito, in modo da soddisfare le esigenze di garanzia, certezza e uniformità delle iscrizioni; q) prevedere che il giudice, su richiesta motivata dell'interessato, accerti la tempestività dell'iscrizione nel registro di cui all'ar. 335 del codice di procedura penale della notizia di reato e del nome della persona alla quale lo stesso è attribuito e la retrodati nel caso di ingiustificato e inequivocabile ritardo; prevedere un termine a pena di inammissibilità per la proposizione della richiesta, a decorrere dalla data in cui l'interessato ha facoltà di prendere visione degli atti che imporrebbero l'anticipazione dell'iscrizione della notizia a suo carico; prevedere che, a pena di inammissibilità dell'istanza, l'interessato che chiede la retrodatazione dell'iscrizione della notizia di reato abbia l'onere di indicare le ragioni che sorreggono la richiesta; r) prevedere che il giudice per le indagini preliminari, anche d'ufficio, quando ritiene che il reato è da attribuire a persona individuata, ne ordini l'iscrizione nel registro di cui all'articolo 335 c.p.p., se il pubblico ministero ancora non vi ha provveduto; s) prevedere che la mera iscrizione del nome della persona nel registro di cui all'articolo 335 c.p.p. non determini effetti pregiudizievoli sul piano civile e amministrativo. Per una panoramica sul dibattito relativo al sindacato sulla data di iscrizione della notizia di reato nel registro v. R. Aprati, La notizia di reato nella dinamica del procedimento penale, Jovene, Napoli, 2010, p. 133 ss. e 185 ss.