La nuova disciplina dell’acquisizione dei tabulati
di Federica Resta*
L’art. 1 del d.l. 132 del 2021 introduce una rilevante riforma della disciplina dell’acquisizione – a fini “di giustizia” – dei tabulati telefonici e telematici. La nuova disciplina si conforma ai principi sanciti dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza del 2 marzo scorso, in linea con un indirizzo giurisprudenziale consolidatosi a partire dal 2014. In sede di conversione del decreto-legge si potrà, peraltro, riflettere su ulteriori profili meritevoli di intervento normativo.
Sommario: 1. L’esigenza di riforma dopo la sentenza del 2 marzo - 2. Il contenuto del decreto-legge - 3. Aspetti ulteriori.
1. L’esigenza di riforma dopo la sentenza del 2 marzo
L’art. 1 del d.l. 132 del 2021 reca un’innovazione importante della disciplina dell’acquisizione – ai fini dell’utilizzo in procedimenti penali – dei tabulati telefonici e telematici.
Come si evince dal preambolo, i presupposti di straordinaria necessità e urgenza ex art. 77 Cost, sottesi al decreto-legge, sono ravvisati nell’esigenza di adeguare la normativa in materia ai principi sanciti dalla sentenza CGUE del 2 marzo scorso, C-746/18. In linea con un filone giurisprudenziale consolidato a partire dalla sentenza Digital Rights dell’8 aprile 2014 (cause riunite C-293/12 e C-594/12),la Corte ha infatti affermato – con l’efficacia generale riconosciutale da Cass., II, sent. n. 28523 del 2021, dal Tribunale di Roma sezione Gip-Gup, decr. 25 aprile 2021 e dal Tribunale di Rieti con l’ordinanza 4 maggio.2021 - che l’acquisibilità processuale dei dati di traffico va da un lato limitata ai soli procedimenti per gravi reati o per gravi minacce per la sicurezza pubblica e, dall’altro, va subordinata all’autorizzazione di un’autorità terza rispetto all’autorità pubblica richiedente.
Il valore conferito dalla disciplina italiana (art. 132 d.lgs. 196 del 2003) alla gravità dei reati (quale requisito idoneo a regolare la distanza cronologica dell’acquisizione e non la sua ammissibilità) non pareva, dunque, del tutto in linea con le affermazioni (non nuove, ma certo più nette) della Corte. E a fortiori, appariva distonica con il contenuto della sentenza la competenza del pubblico ministero all’acquisizione dei tabulati, in assenza del vaglio del giudice.
Tale previsione, infatti – ritenuta sinora legittima dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità - contrastava con la necessità, sottolineata dalla Corte, di un vaglio sulla richiesta di acquisizione da parte di un’autorità terza. L’accento posto dalla Corte nella sentenza del 2 marzo scorso è, infatti, non sulla sola imparzialità o sull’indipendenza ma, in senso proprio, sulla terzietà dell’autorità cui sia demandato il vaglio acquisitivo. Tale rilievo era già stato avanzato dalla Corte con la sentenza Digital Rights e con la Tele2 Sverige (cause riunite C 203/15 e C 698/15) del 21 dicembre 2016, sebbene con riferimento alla nozione lata di “giudice” che la nostra giurisprudenza ha inteso, in parte dequotandolo, come “autorità giudiziaria”. Per questo, è difficile ravvisare nella sentenza del 2 marzo i presupposti per un prospective overruling, dal momento che essa si limita a chiarire, senza però innovare, principi affermati da una giurisprudenza consolidata, che sin dal 2014 aveva affermato come spettasse “al giudice o a un’autorità amministrativa indipendente” l’autorizzazione all’accesso ai dati. La sentenza del 2 marzo si limita a chiarire inequivocabilmente il significato da attribuire alla nozione di “giudice” a questi fini perché sollecitata sullo specifico punto dall’ordinanza di rimessione, ma già la sentenza Digital Rights vi alludeva (§ 62).
Ciò indusse infatti il sen. Casson a presentare, il giorno dopo la sentenza, un’interrogazione al Governo sulle ricadute della pronuncia, in cui si chiedeva “se intendesse proporre o comunque sostenere una rivisitazione della disciplina vigente in tema di data retention, (...) che eventualmente subordinasse anche (magari con la sola eccezione dei "delitti distrettuali" o comunque di criminalità organizzata per i quali può ammettersi la sola richiesta del pubblico ministero) la conservazione dei dati all'autorizzazione del gip, ferma restando, ovviamente, nei casi d'urgenza, la possibilità per il pubblico ministero di disporre la conservazione con proprio decreto, soggetto a convalida solo in fase successiva, sul modello dell'art. 267, c.2, cpp”.
Analogo principio sarebbe stato poi espresso dalla CGUE nel caso Tele2 Sverige (cause riunite C 203/15 e C 698/15) del 21 dicembre 2016, con cui la Corte di giustizia ha dichiarato incompatibile con la direttiva 2002/58 (riespansa a seguito dell’invalidazione della 2006/24 ad opera della sentenza Digital Rights) ogni previsione interna che, per fini di contrasto dei reati, tra l’altro, legittimasse l’accesso delle autorità nazionali competenti ai dati in assenza di un previo vaglio “del giduice o comunque di un’entità amministrativa indipendente” (punto 2 del dispositivo; § 120), chiarendo che: è essenziale che l’accesso delle autorità nazionali competenti ai dati conservati sia subordinato, in linea di principio, salvo casi di urgenza debitamente giustificati, ad un controllo preventivo effettuato o da un giudice o da un’entità amministrativa indipendente e che la decisione di tale giudice o di tale entità intervenga a seguito di una richiesta motivata delle autorità suddette presentata, in particolare, nell’ambito di procedure di prevenzione, di accertamento o di esercizio dell’azione penale. Qui, l’alterità tra il “giudice” e l’autorità richiedente chiarisce bene come per “giudice” vada preferibilmente intesa l’autorità terza chiamata a valutare le richieste della parte pubblica .
Benché, dunque, l’esigenza di giurisdizionalizzazione del procedimento acquisitivo dei tabulati fosse già chiara dal 2014, la sentenza del 2 marzo ha sgombrato il campo da ogni possibile dubbio, superando l’indirizzo della giurisprudenza interna volto a ritenere il pubblico ministero autorità legittimamente deputata al vaglio acquisitivo dei tabulati in ragione della sua indipendenza, con “sopravvenuto contrasto tra l’art. 132, c.3, d.lgs. 196 del 2003 e la normativa dell’Unione europea, così interpretata dal giudice europeo, nella parte in cui attribuisce la competenza ad emettere il decreto motivato di acquisizione al pubblico ministero anziché al giudice”.
I principi affermati dalla Corte hanno determinato, in questi pochi mesi, già esiti contrastanti. In un caso, ad esempio, è stata sollevata questione pregiudiziale interpretativa della disciplina europea (Trib. Rieti, ord. 4.5.2021) non ritenendosi esperibile la disapplicazione della normativa interna, disposta invece da altro giudice che ha direttamente autorizzato l’acquisizione dei tabulati, ritenuta indispensabile ai fini probatori e ravvisando la concreta gravità dei reati per cui si procedeva in quanto, a fortiori, riconducibili a quelli che legittimano le intercettazioni ex artt. 266 e 266-bis c.p.p. (Trib. Roma, sez. Gip-Gup, decr.25.4.2021). La Corte di Cassazione (sez. II, sent. 28523/21) ha invece sottolineato l’esigenza di un intervento legislativo che sciolga i nodi non risolti dalla CGUE, la cui sentenza «sembra incapace di produrre effetti applicativi immediati e diretti a causa dell'indeterminatezza delle espressioni ivi utilizzate al fine di legittimare l'ingerenza dell'autorità pubblica nella vita privata dei cittadini».
Condividendo l’esigenza di un intervento legislativo, la segnalazione del Garante per la protezione dei dati personali del 22 luglio invitava il legislatore a “differenziare condizioni, limiti e termini di conservazione dei dati di traffico telefonico e telematico in ragione della particolare gravità del reato per cui si proceda, comunque entro periodi massimi compatibili con il su richiamato principio di proporzionalità”, subordinandone l’acquisizione “all'autorizzazione del giudice, ferma restando, nei casi d'urgenza, la possibilità per il pubblico ministero di provvedervi con proprio decreto, soggetto a convalida solo in fase successiva, sul modello dell'articolo 267, comma 2, c.p.p”. Analoghe indicazioni erano state espresse anche dall’o.d.g. 9/2670-A/10 a prima firma Costa, accolto dal Governo, nella seduta del primo aprile dell’Assemblea della Camera in sede di esame del disegno di legge europea 2019-2020.
2. Il contenuto del decreto-legge
In linea con tali indicazioni, il decreto-legge dispone, all’articolo 1, la piena giurisdizionalizzazione della procedura di acquisizione e la selezione dell’ambito oggettivo di applicazione della procedura stessa, esperibile solo nell’ambito dei procedimenti per reati connotati da una determinata gravità, in presenza di sufficienti indizi e della rilevanza dell’acquisizione ai fini della prosecuzione delle indagini.
Le differenze riscontrabili con la disciplina delle intercettazioni, che pure si mutua nelle coordinate essenziali (attinenti alla sufficienza e non alla gravità indiziaria; alla categoria dei delitti per i quali si ammettono le operazioni; alla rilevanza, anziché l’assoluta indispensabilità investigativa dei dati stessi; ai termini per la convalida nei casi d’urgenza) possono ritenersi del tutto condivisibili, in ragione della minore invasività del mezzo rispetto a quello intercettivo.
In particolare, ai fini della definizione della gravità dei reati per i quali si ammette l’acquisizione dei tabulati, pare ragionevole la previsione della comminatoria edittale massima di tre anni (considerata ad esempio ai fini della emissione del mandato d’arresto europeo dalla decisione quadro 2202/548/GAI), combinata con i parametri, da apprezzare in concreto, della sufficienza indiziaria e della rilevanza investigativa del dato da acquisire e con la previsione ad hoc dei reati di minaccia e molestie telefoniche..
Anche la disciplina della procedura d’urgenza salvaguarda, pur nella peculiarità che ne caratterizza l’oggetto, l’esigenza della giurisdizionalizzazione piena della procedura acquisitiva e della sua limitazione ai soli reati connotati da sufficiente gravità.
Il decreto-legge replica inoltre la previsione (prima presente al comma 3 dell’art. 132) dell’applicabilità della disciplina di cui all’articolo 2-undecies, comma 3, periodi da terzo a quinto del Codice, nei casi di esercizio dei diritti di cui agli articoli da 12 a 22 del Regolamento; esercizio in questi particolari casi demandato al Garante per la protezione dei dati personali in vece dell’interessato in presenza di esigenze (anche) pubblicistiche prevalenti.
3. Aspetti ulteriori
Gli aspetti ulteriori meritevoli di riflessione, anche ai fini dell’esame parlamentare del d.d.l. di conversione, riguardano, in primo luogo, l’adeguamento della disciplina della durata della conservazione dei tabulati alle indicazioni fornite dalla Corte di giustizia e, in particolare, al principio di proporzionalità enunciato in via generale dall’art. 52, p.1, CDFUE per le limitazioni dei diritti fondamentali.
Va, infatti, considerato che la direttiva CE 2006/24 (la quale prevedeva un termine massimo di conservazione di ventiquattro mesi) è stata invalidata dalla Corte per violazione, in particolare, del canone di proporzionalità (riferibile dunque anche alla durata della conservazione), secondo cui “le deroghe e le restrizioni alla tutela dei dati personali” devono intervenire “entro i limiti dello stretto necessario (sentenze del 16 dicembre 2008, Satakunnan Markkinapörssi e Satamedia, C‑73/07, EU:C:2008:727, punto 56; del 9 novembre 2010, Volker und Markus Schecke e Eifert, C‑92/09 e C‑93/09, EU:C:2010:662, punto 77; Digital Rights, punto 52, nonché del 6 ottobre 2015, Schrems, C‑362/14, EU:C:2015:650, punto 92)”.
Il termine di conservazione dei tabulati di settantadue mesi, previsto dalla disciplina vigente, andrebbe dunque ripensato alla luce di tale criterio, richiamato anche dalla più recente sentenza CGUE Privacy International del 6 ottobre 2020, C‑623/17.
Si potrebbe, inoltre, valutare l’opportunità di una giurisdizionalizzazione piena del procedimento acquisitivo dei tabulati anche a fini di prevenzione (art. 226 disp.att. c.p.p.;. 4 d.l. 144/2005, convertito con mod. dalla l. 155/2005 e s.m.i.) per il quale, forse, la competenza del Procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma o dei procuratori distrettuali potrebbe non ritenersi del tutto in linea con la pronuncia della CGUE. E questo, anche considerando che con la citata sentenza CGUE Privacy International è stato chiarito che la disciplina privacy si applica anche alla data retention effettuata a fini di sicurezza nazionale.
Ma, soprattutto, sarebbe opportuno introdurre una disciplina transitoria che individui le modalità più corrette per condizionare l’utilizzabilità processuale dei tabulati, benché già acquisiti prima della data di entrata in vigore della novella, alla ricorrenza dei presupposti delineati dal decreto-legge, con il vaglio del giudice in sede di convalida.
Se è, infatti, necessario – come riconoscono anche buona parte delle sentenze sinora pronunciatesi – che i principi sanciti dalla Corte (e, dunque, l’attuazione propostane con il decreto-legge) trovino applicazione anche ai procedimenti in corso, spetterebbe al legislatore stabilire, senza rimetterne la soluzione ad oscillanti scelte pretorie, i riflessi della nuova disciplina sul momento valutativo della prova già acquisita secondo la previgente normativa, viziata da incompatibilità pur sopravvenuta con la giurisprudenza europea.
*dirigente del Garante per la protezione dei dati personali.
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