Insufficienti garanzie per chi non aderisce alle exit-strategies di Giorgio Spangher
La relazione della Commissione istituita dal Ministro, ha due punti nevralgici: le proposte sulla prescrizione e la riforma delle impugnazioni e dell’appello in particolare.
Sul primo profilo la Commissione propone due soluzioni alternative, delle quali la seconda appare preferibile, perché la prima rimetterebbe il tema nelle mani del p.m. che potrebbe decidere i tempi dell’esercizio dell’azione penale, con conseguente blocco della prescrizione, non temperato dalla possibile tempistica dei tempi delle fasi successive, rimesse alle scelte degli organi giudicanti in ordine al loro rispetto ed alle relative conseguenze di estinzione del processo.
Della seconda, al di là di qualche errore per il mancato coordinamento con la disciplina riformata delle impugnazioni, si segnala il superamento – si spera definitivo – della ritenuta incostituzionalità della differenza tra condannati e prosciolti.
Il punto centrale del dissenso sulla proposta della Commissione riguarda la disciplina dell’appello, al di là delle questioni sui numeri dei gravami dei p.m., delle differenze nei vari distretti, dei tempi della loro celebrazione, dei loro esiti rispetto alle decisioni di prima istanza.
Se si vuole fare un discorso di sistema, e non potrebbe essere diversamente, si deve evitare la truffa delle etichette.
Si afferma, infatti, che il modello accusatorio esclude, ovvero ridimensiona il giudizio di secondo grado e quindi l’appello dell’imputato.
Ora, pur nella considerazione che ogni modello processuale fa storia a sé – anche quella risalente, nella cultura giuridica che le è propria – è corretto affermare che i singoli elementi di un percorso procedimentale vanno visti nella loro interezza e nella loro progressione.
Ora, guardando nel suo insieme il nostro processo, solo con non poche forzature può dirsi che si tratta di un modello accusatorio, anche senza volersi rifare al modello anglosassone o a quello americano, in particolare, in ordine al quale basterebbe a differenziarlo la presenza della giuria, la decisione con il verdetto immotivato, il ruolo del giudice garante della regolarità del giudizio e non artefice della decisione, e così via.
Certamente, si può ridurre il ricorso al controllo da parte di un altro giudice, ma bisognerebbe che il giudizio di primo grado e la fase delle indagini prima siano connotate da specifiche garanzie. Basterebbe considerare come l’attuale processo, sia ben lontano da quello introdotto nel 1988 e significativamente alteratosi negli anni, al punto che a fronte di alcune profonde riforme, alcuni membri della Commissione Ministeriale chiamata al monitoraggio dei primi passi del nuovo codice, si dimisero.
Igiene processuale e operatività della regola dei frutti dell’albero avvelenato, effettività del contraddittorio nell’esame delle prove dichiarative attraverso l’esame incrociato condotto dalle parti, regole di esclusione delle prove, soprattutto se disposte per il venir meno degli originari presupposti, mancanza di poteri probatori officiosi, limitatissimo recupero del precedente investigativo, solo per esemplificare, costituirebbero allora sì di ritenere l’accusatorietà del modello e di contenere il ricorso al controllo attraverso i gravami. Ma il nostro è un modello significativamente diverso, come a tutti è noto, che solo reiterando i controlli ritiene di consegnare alle parti ed alla società una sentenza più aderente ai fatti.
Il limite della proposta della Commissione è proprio questo: quello di aver compresso i controlli senza aver rimesso in equilibrio il sistema.
Sotto questo profilo, il discorso non riguarda solo l’imputato ma anche le altre parti e con riferimento al p.m. (al di là dei dati statistici, pochi appelli: si conserva la legittimazione ovvero si può eliminare), bisogna far riferimento al suo statuto ed al suo ruolo in parte ridisegnato dalla proposta di riforma.
La criticità della riforma sotto questo profilo è ulteriormente accentuata anche da una più ampia riflessione sulla filosofia complessiva del modello che emerge dall’intersecarsi del rinnovato sistema sanzionatorio sostanziale e processuale nonchè dei suoi sviluppi nella dinamica dei comportamenti delle parti.
Il superamento dell’attuale sistema carcerocentrico (non accompagnato da correlati provvedimenti in materia cautelare), integrato da meccanismi sanzionatori alternativi, premiali o comunque “favorevoli”, con una forte “spinta” alla loro volontaria adesione (accentuata anche da due nuove regole di giudizio dell’archiviazione e del rinvio a dibattimento), è connesso con una disciplina della prescrizione, che ne rende problematica l’applicazione, ma soprattutto, per chi voglia difendersi nel processo da un percorso che resta quello attuale, con la compressione del giudizio da gravame (disincentivato, oltre che sotto il profilo normativo, da ulteriori sconti di pena, nel caso dell’opposizione al decreto penale, dell’appello della sentenza di condanna dell’abbreviato (non è chiaro se si tratta solo di quello condizionato) e assorbito dall’accordo nel patteggiamento.
Sarebbe necessario consegnare a chi non vuole aderire alle nuove ipotesi di definizione, un processo che assicuri effettivamente – come anticipato – le garanzie di un giusto processo accusatorio, con possibilità di ricondurre nella filosofia di un processo giusto anche l’attività di controllo, che in questo caso potrà essere rimodulata.