In tema di travisamento della prova si veda anche Note minime sulla questione del travisamento della prova nel ricorso per cassazione di Marco Dell’Utri e Errare è umano, travisare diabolico. Ovvero, di un problema (di nuovo) attuale della cassazione civile di Luigi Cavallaro.
La riforma del n. 5) dell’art. 360 c.p.c. realizzata a sorpresa nell’estate 2012 (art. 54 D.L. n. 83/2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n.134/2012), se da un lato non ha calmierato l’accesso alla S.C. quanto ai vizi della motivazione (alternativamente dedotti quali motivi di nullità o di omesso esame), dall’altro lato ha provocato una sorta di big bang: ciò che prima era sedimentato nell’àmbito di applicazione del vecchio n. 5) è stato improvvisamente proiettato verso altri numeri dell’art. 360 c.p.c., determinando la necessità di nuove sistemazioni. La stessa S.C., pur continuando a ribadire (lo fa anche la SS.UU. n. 5792/2024) l’attendibilità della prima razionalizzazione operata dalle sentenze gemelle n. 8053 e 8054/2014, ha conosciuto non pochi sbandamenti, specie nel costruire l’attuale n. 5) come un vizio di motivazione (il residuo della triplice che non c’è più) o come un motivo del tutto nuovo [sul punto abbiamo tentato di ragionare in Note brevi sul n. 5) dell’art. 360 c.p.c. in questa Rivista del 10 febbraio 2021 e poi in Legittimità, interpretazione, merito. Saggi sulla Cassazione civile, Napoli, 2023, 155 ss., concludendo che la Corte avrebbe difficilmente rinunziato al controllo di logicità, comunque costruito, mentre la riforma del n. 5) la stava impegnando in decisioni da segnaletica e da identificazione del veicolo, com’è proprio della nostra concezione formalistica].
La SS.UU. n. 5792/2024 si è assunta il compito di sanare, a proposito del travisamento della prova, il contrasto creatosi all’interno della Corte a seguito delle ordinanze n. 11111/2023 della III sez. e n. 8895/2023 della sez. lav.; secondo la prima, il travisamento della prova dovrebbe configurare un motivo di nullità della sentenza deducibile col n. 4) dell’art. 360 c.p.c. in termini di violazione dell’art. 115 c.p.c.; per la seconda, la censura fondata sulla violazione dell’art. 115 c.p.c. non sarebbe ammissibile, stante il rischio di trasformare il giudizio di legittimità in una terza istanza conclamando con ciò stesso il fallimento della riforma del 2012.
Le SS.UU. si impegnano in un lungo ragionamento, non privo di artifici dialettici paradossali; credo però che per apprezzare il fondo della decisione occorra preliminarmente chiarire quale sia l’àmbito di applicazione del nuovo n. 5), attorno cui tutto continua a ruotare. Lo individuiamo dapprima con le chiare parole della ord. 11111/2023: siamo dinanzi a «un vizio nuovo, che, per il percorso che la norma ha compiuto nel tempo, non è quel che resta del vizio di motivazione previsto dalla riforma del ‘50 (a meno che non si voglia ritenerlo comunque un caso di manifesta illogicità del ragionamento decisorio), anche se nel codice del ‘42 il vizio di omesso esame era stato introdotto proprio per limitare il difetto di motivazione all’ipotesi specifica contemplata nel n. 5 … È, quello dell’omesso esame, un vizio diverso, che permette anche una verifica extratestuale rispetto alla sentenza (mentre il vizio di motivazione deve comunque risultare dalla pronuncia), un omesso esame che, soprattutto per chi valorizza l’uso della preposizione “circa” (in luogo del “di” che si aveva nel codice del ‘42), può riguardare anche la rappresentazione del fatto nel processo quale si ha nel ragionamento probatorio». La stessa sentenza n. 5792 parla, con altrettanta chiarezza, di «un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. Si tratta di un vizio normalmente extratestuale (giacché è possibile ma non certo probabile che il giudice di merito riferisca di un fatto storico controverso e decisivo, ma poi ometta di esaminarlo ai fini della decisione)».
In una formula, efficace e forse imprecisa come tutte le sintetizzazioni, si può dire che il vizio non interessa più la motivazione, bensì la costruzione della fattispecie. I vizi della motivazione, come hanno insegnato le sentenze gemelle, conducono ora verso altri numeri dell’art. 360 c.p.c.: generalmente il n. 4), ma non si esclude il n. 3) (v. ancora Note brevi sul n. 5), cit.). Ciò è confermato dalla stessa sentenza n. 5792, secondo cui «la riformulazione del n. 5 ha poi determinato il rifluire nel n. 4 dell’articolo 360 c.p.c., per il tramite delle norme che impongono al giudice l’obbligo di motivazione, del vizio motivazionale nella quadruplice (o forse meglio duplice, giacché le prime due ipotesi attengono all’esistenza della motivazione, le altre due alla sua tenuta logica) nota declinazione che le Sezioni Unite ne hanno dato: la “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico” e la “motivazione apparente”; il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e la “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”. In questo caso … il vizio è testuale, come lo era in precedenza il vizio motivazionale regolato dal previgente n. 5 dell’articolo 360 c.p.c.».
Al lettore può apparire pedante il continuo riferimento ai numeri di cui si compone l’art. 360 c.p.c.; e, del resto, la stessa giurisprudenza della S.C., sol che lo voglia, è disposta a evadere dalla gabbia delle numerazioni [un esempio recente è dato dalla SS.UU. n. 5633/2022, che, per affermare un principio di diritto che le stava a cuore, ha accolto un ricorso proposto ex n. 5) ribattezzandolo ex n. 3): ci permettiamo di rinviare a Le Sezioni Unite nel labirinto del titolo esecutivo, in Nel labirinto del diritto, n. 2/2022, 4 ss.]; ma sta di fatto che noi – il discorso sarebbe diverso in Francia come in Germania, ove le numerazioni non esistono – siamo abituati a osservare il giudizio di legittimità attraverso queste particolari lenti che, tra l’altro, diversificano in modo sensibile i poteri della Corte, che variano dall’affermazione del principio di diritto al meno formalistico vincolo a «quanto statuito» (art. 384, comma 2, c.p.c.), come appunto avveniva nel caso del n. 5) quando la norma era dedicata al controllo della motivazione.
Torniamo alla sentenza n. 5792/2024. La lunga motivazione (paragrafi 10 – 10.14) è tutta incentrata nel resistere alle suggestioni dell’ord. 11111/2023, assai ragionevolmente e puntigliosamente motivata (ma, secondo la sentenza, ispirata da cupa dottrina “millenarista”). Vengono utilizzati a contrasto argomenti storici, letterali, sistematici, grotteschi e di ragion pratica: se infatti il senso della riforma del 2012, che evidentemente alla Cassazione è piaciuta, è stato quello di (tentare di) calmierare l’accesso alla Corte (la sentenza parla di «assedio dei ricorsi alla Corte di cassazione», e quindi di sindrome della torre, ma poi è costretta a riconoscere il «larghissimo impiego, nella pratica, del motivo formulato in relazione all’articolo 132, n. 4, c.p.c.» e così il sostanziale fallimento della riforma), occorre evitare sul nascere il pericolo di uno smottamento del giudizio di legittimità verso un terzo grado di merito. In un sistema, sottolinea la Corte, in cui «il controllo dell’attività del giudice di merito, nel momento percettivo del dato probatorio nella sua oggettività, è affidato alla revocazione».
Però.
La sentenza non finisce col paragrafo 10.14. E il paragrafo 10.15 fa da contraltare a tutto quanto largamente argomentato nelle pagine anteriori. Dopo aver escluso la denunziabilità per violazione dell’art. 115 c.p.c. del travisamento, la Corte prende in esame (par. 10.5) proprio il caso che dovrebbe interessare non il giurista, ma «l’oculista o lo psichiatria». Il caso è quello del giudice di merito che, all’esito di un surreale dibattito tra le parti (ciò che mette automaticamente fuori gioco il rimedio della revocazione per errore di fatto), suppone un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa o l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita. Il vizio sarebbe quello revocatorio, ma c’è in più l’elemento del fatto controverso e valutato, cioè della decisione, che vale a escludere la svista propria e tipica della revocazione.
Tanto è complesso e articolato (in qualche passaggio sinanche sovrabbondante, specie ora che è di moda il canone della sinteticità) il ragionamento spiegato a resistenza della ord. 11111/2023 (il travisamento della prova, in sé, non è mai stato un vizio ammesso), così è sintetico il contro-passaggio “millenarista”: «ritengono le Sezioni Unite che in una simile ipotesi nulla osti alla formulazione del motivo di cui, a seconda dei casi, ai nn. 4 e 5, dell’articolo 360 c.p.c., sussistendone di volta in volta i necessari presupposti, che qui è superfluo ricapitolare … Sicché, l’affermazione secondo cui, se l’errore è frutto di un’omessa percezione del fatto, essa è censurabile ex articolo 360, n. 5, c.p.c., se si riferisca a fatti sostanziali, ovvero ex articolo 360, n. 4, c.p.c., ove si tratti di omesso esame di fatti processuali (v. in tali termini le già richiamate Cass., 26 maggio 2021, n. 14610; Cass. 21 luglio 2010, n. 17110), va estesa al caso in cui il giudice di merito abbia supposto un non-fatto, un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, con la finale precisazione che un simile errore, che si è detto essere commissivo, è pur sempre omissivo dall’angolo visuale del risultato che determina nel giudizio».
Con questo, a me pare che la polverizzazione del controllo olim garantito dal n. 5) vecchio testo abbia raggiunto la sua massima espansione. L’impressione è che il controllo non sia stato seriamente limitato: è stato reso soltanto più difficile e tortuoso, anche per segnaletica e identificazione del veicolo, e soprattutto parecchio più incerto, con la conseguenza che ciò che certamente risulta ampliato è il potere discrezionale della Corte di dichiarare inammissibili i ricorsi per ragioni formalistiche e non prevedibili.
Cosa emerge, in sintesi, dalla sentenza sul travisamento?
Il controllo della motivazione è ora assicurato dal n. 4) [ma secondo talune decisioni anche dal n. 3)], con esclusione della sola insufficienza (si tratta, secondo la sentenza, di un «concetto lasco e sfuggente», al quale non è difficile rinunziare per affermare il ruolo istituzionale della Corte senza soverchie incertezze). Il n. 4), inoltre, potrà essere richiamato in caso di travisamento della prova che si traduca in omesso esame di fatti processuali. Ma la formula utilizzata è quella stessa fatta propria dall’attuale n. 5) al fine di escludere il riferimento alla motivazione e di costruire un motivo nuovo, che non rappresenta un brandello (o un rudere) del vecchio controllo bensì si presenta come un “vizio nuovo” (abbiamo detto incidente sulla fattispecie).
Inoltre, l’attuale n. 5) potrà essere richiamato per l’omesso esame (anche) di fatti sostanziali, ma, almeno a me, non è del tutto chiaro dove sia il tassello aggiunto all’edificio del controllo sulla fattispecie, così come inteso dalla stessa giurisprudenza della Corte (e testualmente richiamato in sentenza), già possibile in base al testo attuale del n. 5). Non rischia, il nuovo riferimento, di far rientrare nella già ibrida problematica di questo disgraziato numero un tema che si era inteso espungere appunto perché incidente sul controllo della motivazione?
Se è vero, come riconosce la stessa sentenza, che «la tensione tra la giurisprudenza largamente dominante, che esclude la denunciabilità per cassazione del c.d. travisamento della prova, e l’opinione dissenziente manifestata nell’ordinanza n. 11111, ha un fondamento che riflette un diverso modo di intendere il giudizio di cassazione e l’ambito del sindacato di legittimità», è altrettanto vero che l’ord. 11111 proponeva una estensione del controllo ex n. 4) dell’art. 360 c.p.c. per violazione dell’art. 115 c.p.c., e che la sentenza 5792 ha ammesso non soltanto quell’estensione, ma anche l’aggiunta del riferimento al n. 5) per l’omesso esame di fatti sostanziali che dichiaratamente dipende da travisamento della prova. Quello ex n. 4) è un controllo di legittimità, quello ex n. 5) è un ibrido all’interno del quale la stessa Suprema Corte è in grado di far rientrare tutto ciò che vuole.
Possiamo allora chiederci: come è stato composto il contrasto?
Forse la risposta va data col Poeta: ai posteri l’ardua sentenza. Di norma, il travisamento della prova non è ammesso quale motivo di nullità o di omesso esame, perché il vizio appartiene al dominio della revocazione per errore di fatto. Ci sono però casi “imponderabili e surreali”, che la stessa Corte volta per volta scrutinerà, in cui quelle censure saranno ammesse, sebbene poi risulti difficile classificarle quali motivi di nullità o di omesso esame (per quanto sia importante, nel nostro sistema, far riferimento ai numeri). Si tratterà di casi molto simili all’errore revocatorio, con l’aggiunta di un’attività valutativa del giudice che consolida una “inemendabile forma di patente illegittimità della decisione”. Ma forse qui non si tratta più di illegittimità bensì di giustizia, sebbene la Corte abbia un certo pudore nel riconoscere che – almeno in casi estremi – essa si occupa (anche) della giustizia sostanziale dei giudicati.
La giustizia sostanziale delle tante decisioni che dai piani bassi (talvolta dal retrobottega) giungono alla Corte è un grido di dolore al quale il Vertice non può restare indifferente, sebbene le Sezioni Unite siano perfettamente consapevoli «che il mondo (quello racchiuso negli articoli 360 e seguenti c.p.c.) non si è dissolto in cenere, che la notizia della morte del giudizio di cassazione si è rivelata fortemente esagerata, ed il controllo motivazionale, come si diceva, è stato soltanto circoscritto entro limiti non giugulatori, com’è testimoniato del resto dal larghissimo impiego, nella pratica, del motivo formulato in relazione all’articolo 132, n. 4, c.p.c.».
Il mondo non s’è dissolto e la Cassazione neppure, sebbene vada riconosciuto che la Corte più risulta oberata, più sembra disposta a svolgere ruoli in apparente conflitto: è giudice di legittimità ma anche giudice del merito, è interprete del diritto ma anche legislatore palese e/o interpretativo, è controllore della rispondenza a diritto ma anche supervisore della giustizia delle decisioni, è giudice del diritto ma anche del fatto: e nel caso dell’art. 380-bis c.p.c. è addirittura, misticamente, uno e quintuplo.
Forse il cammino impervio e incerto, aperto da quel che resta della improvvisata e inaspettata riforma dell’estate 2012, non è ancora del tutto concluso.
Immagine: Labirinto unicursale sul pavimento della Basilica di San Vitale, Ravenna, VI secolo (rimaneggiato forse nel XV o XVI secolo).