Errare è umano, travisare diabolico. Ovvero, di un problema (di nuovo) attuale della cassazione civile*
di Luigi Cavallaro
1. Desidero innanzi tutto ringraziare le colleghe e i colleghi della Formazione decentrata della Corte per aver pensato di dedicare un’occasione di studio a questo tema e ancor più per avermi invitato a prendere la parola nell’ambito di un consesso così autorevole: me ne sento davvero onorato.
Troppo onore, però, mi si fa quando si individua in una sentenza di cui sono stato estensore (menzionata perfino nella brochure di presentazione di questo incontro)[1] la capostipite di un orientamento dissonante rispetto alla tradizione della giurisprudenza di legittimità in materia di denunciabilità del travisamento della prova.
In effetti, leggendo la relazione sullo stato della giurisprudenza che il Massimario ha pubblicato sul nostro tema nello scorso mese di settembre[2], l’impressione che si ritrae è proprio questa: c’è un orientamento consolidato che, distinguendo fra travisamento del fatto e travisamento della prova, ritiene denunciabile per revocazione il primo e ricorribile per cassazione il secondo; improvvisamente, quasi un fulmine a ciel sereno, appare una sentenza della Sezione Lavoro della Corte che invece afferma tutt’altro, che il travisamento del fatto e il travisamento della prova non sono cose differenti, ma sono la stessa identica cosa, che dopo la novella dell’art. 360 n. 5 c.p.c. non è praticamente più censurabile per cassazione, nemmeno per violazione dell’art. 115 c.p.c., potendo se del caso dar luogo a revocazione; e c’è infine un riesame critico di questa voce dal sen fuggita, che – muovendo dal presupposto che essa condurrebbe al paradosso di confermare una sentenza di merito chiaramente illegittima – torna opportunamente a distinguere (come l’orientamento tradizionale) tra fatto e prova e, facendo leva sull’art. 115 c.p.c., giunge nuovamente a ritenere censurabile per cassazione la sentenza di merito che abbia ricostruito i fatti avvalendosi di informazioni probatorie che sia assolutamente impossibile ricondurre alle fonti o ai mezzi di prova a cui il giudice ha viceversa inteso riferirle.
Quest’impressione di cui vi dicevo, di un’improvvisa (e improvvida) deviazione dal corso delle cose, si accentua se – come siamo soliti fare nelle nostre ricerche – andiamo a verificare che seguito hanno avuto certe massime nelle massime successive: la massima elaborata sulla sentenza di cui sono stato estensore non indica alcun precedente conforme, ma solo successive difformi, mentre la massima elaborata sulla sentenza che avrebbe riportato la questione nel suo alveo naturale[3], oltre ad avere numerose precedenti dello stesso tenore, annovera già ben due successive conformi[4]. E difforme, naturalmente, nessuna.
Se le cose stessero così, questo nostro incontro di studio vedrebbe insomma “uno contro tutti”, come in alcune famose serate del “Maurizio Costanzo Show”: salvo che chi vi parla non è né Carmelo Bene né Aldo Busi (e nemmeno Pietro Taricone o Fabrizio Corona) e dunque non varrebbe la pena di perdere tempo ad ascoltarmi.
Ma le cose – giusto perché parliamo di travisamento – non è detto che stiano proprio così come sembrano. Ed è per ciò che, piuttosto che raccontarvi cosa c’è scritto nella sentenza di cui sono stato estensore, vorrei approfittare del breve spazio che mi è stato concesso per offrirvi un’altra versione dei fatti: se volete, un’altra storia, che riguarda ciò che ha preceduto e ciò che, sia pure silenziosamente, ha seguito la sentenza di cui sono stato estensore.
2. La storia della denunciabilità per cassazione del travisamento è in effetti una storia antica: le prime sentenze che ne ammettono la possibilità sono infatti della Cassazione di Torino, sul finire dell’Ottocento. A darle la stura, come ricorda Calamandrei, fu il tentativo di censurare in sede di legittimità l’erronea interpretazione dei negozi giuridici “compiuta dal giudice di merito coll’attribuire a una dichiarazione di volontà un significato palesemente contrario a quello resultante dalle parole di cui la dichiarazione stessa è composta”[5]: anche allora, infatti, si diceva che, se un errore del genere non rivestiva gli estremi della revocazione, la possibilità di un’impugnazione per cassazione doveva ritenersi circoscritta alla violazione delle norme sull’interpretazione dei contratti oppure ad un errore sulla qualificazione giuridica del negozio, e anche allora, per sfuggire alla tagliola dell’inammissibilità del ricorso (ricordiamoci che la deducibilità del “vizio di motivazione” come censura rivolta giudizio di fatto era ancora piuttosto controversa), si era inventato un artificio per trasformare quel vizio, che atteneva chiaramente alla corretta ricostruzione del fatto, in un vizio di violazione di legge: siccome il contratto ha forza di legge tra le parti, si diceva, il travisamento della volontà delle parti equivale a travisamento della volontà della legge.
Che si trattasse di un paralogismo fu rilevato già da Mattirolo, nel suo Trattato[6]; e talmente isolata rimase la Cassazione torinese che, scrivendo nemmeno quindici anni dopo l’unificazione della Corte di cassazione, Guido Calogero poteva tranquillamente affermare che il travisamento (inteso come un’interpretazione “la cui erroneità è così manifesta, da presumere che essa possa essere rilevata anche da un organo giurisdizionale normalmente non deputato all’esame del fatto”)[7] non costituiva in alcun modo violazione di legge, né sostanziale né processuale, ma poteva semmai rientrare nel “controllo della logicità” della motivazione, cioè in quel vizio che di lì a poco, con l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura civile, sarebbe stato definito nel n. 5 dell’art. 360 c.p.c. E a sostegno di questa conclusione citava una decisione della Corte del 1934, dove leggiamo testualmente: “Questo S.C. ha tante volte riconosciuto che l’interpretazione degli atti della causa è compito insindacabile del giudice di merito, e che per tanto il travisamento del loro contenuto non può costituire motivo di ricorso per cassazione”[8].
Insomma, già a metà degli anni ’30 dello scorso secolo, la Cassazione era ben attestata sull’impossibilità di denunciare in sede di legittimità il “travisamento”, se non nei ristretti limiti del vizio di motivazione. E a sanzionare di correttezza questo orientamento, trent’anni dopo, fu nientemeno che Satta, nonostante la sua ben nota propensione ad allargare l’orbita del giudizio di legittimità fino a ricomprendervi il vizio plateale del giudizio di fatto: “il travisamento – scrisse nel Commentario – poggiava su un presupposto arbitrario, e cioè che esistano cose chiare, o che esista un fatto distinto dal giudizio di fatto, cioè fuori dalla sola interpretazione giuridicamente rilevante, quella del giudice”, e proprio per ciò doveva ormai considerarsi “un ricordo storico”[9]; l’unica possibilità di denunciarlo rimaneva quella scolpita nell’ennesima massima resa dalla Cassazione sull’argomento, citata adesivamente nel Commentario, secondo cui “il travisamento dei fatti può costituire motivo di ricorso per cassazione soltanto se si risolva in mancanza di motivazione su un punto decisivo della controversia, e cioè su un elemento della fattispecie che, se esaminato, avrebbe potuto determinare una diversa soluzione della causa”[10].
E siamo così agli anni ’60. Una banale ricerca su Italgiure, utilizzando come parole chiave “travisamento” e “cassazione”, evidenzia come la nostra Corte resti assolutamente ferma, per tutti i successivi cinquant’anni, nel negare che il travisamento sia denunciabile per cassazione se non nei limiti dell’art. 360 n. 5, non senza precisare, peraltro, che non c’è differenza alcuna fra travisamento del fatto e travisamento delle prove[11]; persino l’avere il giudice ritenuto come pacifico un fatto che invece si pretende essere stato contestato non può dar luogo a ricorso per cassazione, precisano le Sezioni Unite[12], perché se l’apprezzamento del giudice di merito è frutto di un travisamento di fatti soccorre comunque il rimedio della revocazione. E qui si capisce che, nell’opinione della Corte, delle due l’una: o il travisamento è frutto di una svista (di un “errore di percezione”, diremmo noi) e allora c’è solo la revocazione, o è frutto di un giudizio, sia pure viziato dalla distorsione della realtà processuale, e allora c’è solo lo strumento dell’art. 360 n. 5 c.p.c. Tertium non datur: nemmeno per violazione dell’art. 115 c.p.c., perché – precisa la Corte – il principio secondo cui il giudice deve decidere iuxta alligata et probata non può certo dirsi violato quando le prove siano state valutate in un modo piuttosto che in un altro[13].
3. Questa è dunque la situazione fino all’alba del nuovo millennio[14] e anzi fino a pochi, pochissimi anni fa: talmente consolidata che il Massimario nemmeno si preoccupa più di confezionare le massime delle sentenze conformi al trend, ma si limita a dichiarare la loro conformità a questo o quell’altro precedente (personalmente, ho censito almeno duecentocinquanta conformi tra il 1962 e il 2012). E così stando le cose, capirete bene che la modesta sentenza di cui sono stato estensore non può certo meritare quell’attributo di assoluta novità di cui l’ha insignita la Relazione del Massimario di cui vi ho detto prima[15]: perché non faceva altro che ripetere quello che da oltre un secolo la Cassazione ha sempre detto sulla possibilità di denunciare in sede di legittimità il “travisamento”, sia esso del fatto o della prova o di tutt’e due insieme!
Come nasce, allora, l’equivoco? Sospetto che la risposta vada cercata nella draconiana modifica che, nel 2012, subisce il n. 5 dell’art. 360 c.p.c. La vicenda è nota: nel tentativo di arginare la marea di ricorsi per cassazione che si propongono in realtà di richiedere un riesame del fatto, il legislatore torna alla più restrittiva nozione del vizio che era stata formulata nella prima versione del codice di procedura del 1942, per di più introducendo, all’art. 348-ter c.p.c., la previsione secondo cui il vizio del n. 5 non è più deducibile in caso di doppia conforme di merito.
Per la possibilità di veicolare in sede di legittimità un qualche “travisamento”, sembra a quel punto suonare la campana a morto, specialmente quando le Sezioni Unite, con le notissime sentenze gemelle del 2014, chiudono ogni varco alla possibilità di denunciare per cassazione la semplice “insufficienza” della motivazione[16], che era poi il paravento dietro il quale, ad onta delle radicali affermazioni di principio, molte sentenze della Corte attingevano in realtà al fatto a piene mani: se la possibilità di censurare il giudizio di fatto deve reputarsi limitata al solo caso in cui il giudice di merito abbia omesso di esaminare un fatto decisivo, è evidente che il travisamento, che non è mai un “omesso esame” ma tutt’al più un “cattivo esame”, non può più essere denunciato per cassazione, ma può essere, se del caso, soltanto motivo di revocazione della sentenza di merito.
Ed ecco, allora, la reazione. Si comincia col riprendere un innocuo obiter di una sentenza del 2006, circa la possibilità di distinguere fra travisamento del fatto e travisamento della prova[17], e di bel nuovo, nonostante decine e decine di sentenze anteriori avessero detto il contrario, si torna a sostenere che quest’ultimo implicherebbe non già una “valutazione”, ma la “constatazione” che quella informazione probatoria utilizzata dalla sentenza è contraddetta da uno specifico atto processuale, e sarebbe dunque denunciabile per cassazione[18]. Poi si riesuma nuovamente l’art. 115 c.p.c. e, nonostante anche qui numerose sentenze anteriori di segno contrario, se ne “inventa” (ma lo diciamo senza offesa: à la Grossi, per capirci)[19] una interpretazione tale per cui esso consentirebbe di denunciare per cassazione l’errore di percezione compiuto dal giudice quando abbia avuto ad oggetto un fatto controverso[20]. E finalmente si chiude il cerchio, affermando che il divieto di ricorrere per cassazione ex art. 360 n. 5 in caso di doppia conforme non varrebbe quando si denunci un vizio di travisamento della prova[21].
Sono tentativi che ricevono grande attenzione dall’Ufficio del Massimario: che per di più, nel massimarli, dimentica completamente di segnalare all’ignaro utente le decine (anzi, centinaia) di precedenti di tenore assolutamente contrario. Un redivivo Hobsbawm certo sorriderebbe di fronte ad un caso così eclatante di “invenzione della tradizione”[22], ma di fatto è proprio ciò che accade: un secolo di giurisprudenza della Cassazione sul travisamento viene silenziosamente rimosso e si forma repentinamente una nuova tradizione, rispetto alla quale, ovviamente, chi si prova a ricordare ciò che la Corte ha affermato per decenni è semplicemente “difforme”.
Il problema è che ogni tradizione inventata deve soffrire, almeno fintanto che non si consolida, la concorrenza di quella più antica che intende soppiantare. Dopo la massimazione della sentenza di cui sono stato estensore, assistiamo perciò al dipanarsi di un contrasto latente tra il vecchio e il nuovo (e lascio a voi di stabilire quale sia l’uno e quale l’altro): da una parte, facendo leva sulla recente rivisitazione dell’istituto del travisamento, si continua a sostenere la possibilità di denunciarlo per cassazione sub specie di violazione dell’art. 115 c.p.c.[23]; dall’altra parte, si obietta che, a seguito della modifica dell’art. 360 n. 5 c.p.c. e del conseguente venir meno della possibilità di censurare l’insufficienza della motivazione, ogni possibilità di denunciare per cassazione un travisamento del fatto o della prova deve reputarsi venuta meno[24]. E sebbene del perdurare di questo contrasto nulla si legga nella Relazione del Massimario di cui più volte vi ho fatto cenno, la sua esistenza effettiva non è sfuggita alle colleghe e ai colleghi più attenti e almeno due ordinanze interlocutorie (una della Sezione Tributaria e una della Terza Civile)[25] lo hanno denunciato apertamente per giustificare la rimessione della causa alla pubblica udienza[26].
Questo, al momento, è lo stato dell’arte. Non mi resta, a questo punto, che dispormi insieme a voi all’ascolto degli illustri relatori e scusarmi per il tempo che vi ho sottratto: sono consapevole che, in coerenza con la tesi che ho sostenuto nella sentenza di cui sono stato estensore, la denuncia di questo travisamento dei fatti di cui vi ho raccontato non può che essere dichiarata inammissibile.
*Testo dell’intervento tenuto all’incontro di studi “Errare humanum… travisare diabolicum. La questione del travisamento nel ricorso per cassazione”, organizzato dalla Struttura di Formazione decentrata della Corte di cassazione (Roma, 14 marzo 2023).
[1] Cass. 3 novembre 2020, n. 24395.
[2] Corte di cassazione, Ufficio del Massimario e del Ruolo, Relazione n. 93 del 28 settembre 2022.
[3] Si tratta di Cass. 26 aprile 2022, n. 12971, con cui si chiude la Relazione del Massimario cit. alla nota prec.
[4] Cass. 3 maggio 2022, n. 13918, nonché Cass. 21 dicembre 2022, n. 37382.
[5] Calamandrei, La Cassazione civile, Torino, Fratelli Bocca, 1920, II, p. 369.
[6] Mattirolo, Trattato di diritto giudiziario italiano, Torino, Fratelli Bocca, 1902-1909, IV, § 1053.
[7] Calogero, La logica del giudice e il suo controllo in Cassazione, Padova, Cedam, 1937 (rist. 1964), p. 259.
[8] Ibid., p. 217 (si tratta di Cass. 25 maggio 1934, n. 1781).
[9] Satta, Commentario al codice di procedura civile, Milano, Vallardi, 1959-1962, II, 2, p. 202.
[10] Ibid. Si tratta di Cass. 6 febbraio 1962, n. 222 (erroneamente indicata con l’anno 1961, ma riportata nei suoi esatti estremi a p. 210).
[11] Così già Cass. 16 maggio 1968, n. 1536, e prima ancora, a proposito del travisamento del contenuto di un documento, Cass. 17 giugno 1964, n. 1767.
[12] Cass., S.U., 30 maggio 1966, n. 1412.
[13] Cass. 5 luglio 1971, n. 2093.
[14] Lo stato dell’arte viene così riassunto da Cass. 3 febbraio 2000, n. 1195, e da Cass. 1° agosto 2001, n. 10475: il ricorso per cassazione fondato sull’affermazione che il giudice del merito abbia erroneamente presupposto fatti inesistenti o comunque contrastanti con le risultanze testimoniali oppure abbia erroneamente ritenuto non contestata una circostanza di causa, è inammissibile, configurando ipotesi di travisamento dei fatti, contro cui è esperibile solo il rimedio della revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c.; e la denuncia di travisamento di fatto, quando attiene non alla motivazione della sentenza impugnata, ma ad un fatto che sarebbe stato affermato in contrasto con la prova acquisita, costituisce motivo non di ricorso per cassazione ma di revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., importando essa un accertamento di merito non consentito al giudice di legittimità. Ribadisce infatti una sentenza di pochi anni dopo che il vizio di motivazione denunziabile ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., postula che il giudice di merito abbia formulato un apprezzamento, nel senso che, dopo aver percepito un fatto di causa negli esatti termini materiali in cui è stato prospettato dalla parte, abbia omesso di valutarlo o lo abbia valutato in modo insufficiente o illogico; se invece l’omessa valutazione dipende da una falsa percezione della realtà, nel senso che il giudice, per una svista, ritiene inesistente un fatto o un documento, la cui esistenza risulti incontestabilmente accertata dagli stessi atti di causa, è configurabile un errore di fatto deducibile esclusivamente con l’impugnazione per revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c. (Cass. 27 luglio 2005, n. 15672). In termini pressoché analoghi si era espressa, poco più di cinquant’anni prima, Cass. 24 giugno 1954, n. 2178, sulla cui motivazione (“nitida” e “da leggere con cura”) aveva richiamato l’attenzione Andrioli, Commento al codice di procedura civile, Napoli, Jovene, 1956, II, p. 630.
[15] Cfr. supra, nota 3.
[16] Cfr. Cass., S.U., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054.
[17] Cass. 24 maggio 2006, n. 12362, la cui parte motiva, sul punto, vale la pena di riportare per intero: “sembra che, piuttosto che un travisamento delle prove, i ricorrenti vogliano sottolineare un travisamento del fatto, del quale, peraltro, non forniscono alcun elemento. In tal caso, comunque, la denuncia di travisamento del fatto sarebbe incompatibile con il giudizio di legittimità perché implica la valutazione di un complesso di circostanze del caso concreto che comportano il rischio di una rivalutazione del fatto. In ogni caso tale denuncia costituirebbe motivo, non di ricorso per Cassazione, ma di revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c. […]. L’ipotesi apertamente formulata dai ricorrenti di travisamento delle prove, poi, è supportata da argomenti che riguardano la diversa ipotesi di mancata valutazione di elementi decisivi della controversia. In tale contesto deve, infatti, rilevarsi che il travisamento della prova implica non una valutazione, ma una constatazione od accertamento che quella specifica informazione probatoria utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale. Ciò che, nel caso di specie, non solo non è stato provato, ma non risulta neppure allegato”. Come si vede, non soltanto la sentenza esclude che si verta in specie in ipotesi di “travisamento delle prove”, ma nemmeno sostiene apertamente che codesto travisamento sarebbe denunciabile per cassazione.
[18] Cass. 25 maggio 2015, n. 10749, che tuttavia decide su un ricorso avverso una sentenza di merito del 2007, dunque nel vigore della formulazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. anteriore alla modifica apportata dall’art. 54, d.l. 22 giugno 2012, n. 83 (conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134).
[19] Cfr. Grossi, L’invenzione del diritto, Roma-Bari, Laterza, 2017.
[20] Cass. 12 aprile 2017, n. 9356.
[21] Cass. 5 novembre 2018, n. 28174.
[22] Si allude ovviamente a Hobsbawm, Come si inventa una tradizione, in Hobsbawm e Granger (a cura di), L’invenzione della tradizione, Torino, Einaudi, 1987, p. 3 ss. (ed. orig.: The Invention of Tradition, Cambridge, Cambridge University Press, 1983).
[23] Alle sentenze già citate supra, note 4 e 5, adde, tra le più recenti, Cass. 7 luglio 2022, n. 21565, e Cass. 15 luglio 2022, n. 22352.
[24] Si vedano, tra le numerose, Cass. 15 novembre 2021, n. 34210, Cass. 17 maggio 2022, n. 15777, Cass. 29 dicembre 2022, n. 38014, e Cass. 6 febbraio 2023, n. 3581.
[25] Cfr. Cass. 17 maggio 2022, n. 15753, e Cass. 24 giugno 2022, n. 26207.
[26] Vale la pena aggiungere che, in occasione della udienza pubblica tenuta a seguito della rimessione disposta da Cass. n. 26207 del 2022, cit. alla nota prec., il Pubblico ministero aveva chiesto la rimessione della questione alle Sezioni Unite, ma la richiesta è stata disattesa dal Collegio decidente, che ha poi deciso la causa con sentenza n. 37382 del 2022, cit. supra, nota 5.