Intervento tenuto al convegno “La Riforma della Giustizia - La separazione delle carriere”, patrocinato da Giuffrè Editore, a Naso (ME) il 17 maggio 2024.
Partecipo con grande piacere a questo convegno su una riforma costituzionale di tale importanza. Proprio qui, a Naso, paese abbarbicato sui Nebrodi, che pure ha dato i natali ad Antonino Giuffré: da qui si è avviata la straordinaria avventura dell'editore Giuffré, sui cui libri e manuali, tutti noi, siamo cresciuti. Mi piace ricordarlo, in questa temperie storica, anche per il metodo di cui l'editore Giuffré si è reso portatore nel corso dei decenni: un metodo di approfondimento delle questioni giuridiche e di sistema serio, rigoroso, tecnico-scientifico; di alto profilo culturale, insomma.
Questo metodo è oggi ampiamente recessivo. Oggi, anche le questioni più importanti, quale quella di cui stiamo discutendo, che è volta a modificare per sempre il patto su cui si fonda la nostra società democratica, vengono spogliate della loro dignità tecnico-scientifica, strappate dal loro naturale alveo del dibattito socio-culturale, strappate persino al fisiologico dibattito parlamentare, e affrontate con strumenti ben più semplificati: slogan, tweet, annunci, e talvolta persino l'ironico dileggio di chi la pensa diversamente.
Fuor di metafora, la classe politica attuale, ed in particolare quella della maggioranza governativa, mi sembra non più disposta a confrontarsi, né tantomeno ad argomentare. L'argomentazione guarda all'altro, oggi non si guarda neppure a se stessi.
Se questo è il segno dei tempi, ne prendo atto. Ma lasciatemi dubitare che sia questa la cifra distintiva dell'eredità culturale di Antonino Giuffré, il quale ha voluto nel logo della casa editrice il proverbiale motto latino "Multa paucis". Dire molto in poco, dire molte cose in poche parole: utilizzare le parole giuste, quelle che scendono in profondità. Oggi, invece, non si dice nulla nel fiume sgrammaticato di parole dette a sproposito. Sono di questo tenore le argomentazioni di chi vorrebbe cambiare la Costituzione.
Ne faccio una questione di metodo, non di principio. Ricordo una frase misconosciuta di Giorgio Marinucci, non a caso contenuta proprio in un volume edito da Giuffré: <<Nessuno è innocente davanti alla politica>>.
<<Nessuno è innocente davanti alla politica>>.
Ma come noi tutti non siamo innocenti davanti alla politica, la politica non può dirsi innocente davanti alla Costituzione, scritta quando il sangue di vincitori e vinti della tremenda stagione fascista non era ancora rappreso. La politica non è mai innocente quando esercita il potere di riformare la Costituzione. Se questo è l’intento della politica, il minimo che possa fare è mettersi in ascolto, sforzarsi di comprendere le ragioni di chi la pensa diversamente, di chi può dare un apporto tecnico al dibattito: adoperarsi per trovare un punto di sintesi e la massima condivisione possibile.
E non mi sento di assicurare che sia questo l'intento del Ministro della Giustizia. Lo scorso fine settimana ero a Palermo, al congresso della magistratura associata. Il Ministro della Giustizia è comparso non nella giornata di apertura, come tutte le altre autorità, ma il sabato, per soli 31 minuti (cronometrati) e ha tenuto un discorso a braccio che spaziava dalla droga Fentanyl alla Dichiarazione di Bordeaux. Un discorso - un fiume di parole - del tutto privo di contenuti, terminato il quale, è andato via, senza ascoltare una sola parola pronunciata da altri fuorché lui. Eppure in quella sala congressi era riunita tutta la magistratura: la destinataria di una riforma epocale, mai compiuta prima - e bisognerebbe chiedersi il perché. È questa la politica che, pur intendendo esercitare il potere di riformare la Costituzione, si mette in ascolto?
Nessuno è innocente davanti alla politica, ma la politica non è innocente davanti alla Costituzione, perché dietro alla Costituzione c’è il Presidente della Repubblica, che è la nostra Guida; ci sono i poteri dello Stato, c’è la collettività tutta.
Lasciate allora che utilizzi - retoricamente - lo stesso metodo utilizzato dal Ministro della Giustizia. Consentitemi di svuotare il mio intervento di ogni contenuto. Per quel cittadino che voglia essere interessato a sapere come la penso sulla separazione delle carriere, rinvio alla mozione finale del congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati che è stata approvata domenica scorsa e che spiega molto bene la nostra - e mia personale - contrarietà a questa riforma. Reperibile on-line, oppure qui al tavolo: ho portato qualche copia cartacea della mozione.
Non dirò una sola parola sulla riforma costituzionale della separazione delle carriere. Non è mancanza di rispetto nei confronti dell’auditorio o degli illustri relatori, è invece un tentativo - disperato, me ne rendo conto - di far comprendere all’auditorio e agli illustri relatori come la politica, attraverso le sue massime rappresentanze istituzionali, non abbia alcuna intenzione di ascoltare, di soffermarsi, di ponderare. Come la politica, in questa fase storica, voglia essere divisiva, non inclusiva.
La separazione delle carriere non la spiego a nessuno; e a nessuno spiegherò le ragioni della mia convinta contrarietà a questa riforma. Pare che sia questo il segno dei tempi.
Forse la politica crede di essere non solo innocente davanti alla Costituzione, ma di esserne padrona, al punto da poterla riformare unilateralmente, a piacimento; completamente dimenticando la fatica del dialogo e del compromesso vissuta nell’Assemblea Costituente, che ha dato frutti preziosi. <<I Costituenti hanno redatto la nostra Carta per i giovani, per le generazioni allora future. Anche per questo si basa su un impianto di valori e di principi, tradotti in norme capaci di applicarsi a quanto interverrà nel corso del tempo>>. L’ha detto il Capo dello Stato qualche giorno fa. Quella Costituzione è stata scritta in modo tale che quando mia figlia Beatrice - che ha due mesi ed è lì con la sua mamma ad ascoltarci - sarà grande, ed io non ci sarò più, potrà ancora leggerla e riconoscersi in essa. E vorrei che Beatrice possa dire che quella stessa Carta è stata resa viva, mantenuta e preservata con l’impegno del suo bisnonno, di suo nonno e del suo papà.
Non vorrei dunque spendere neppure una parola sulla riforma costituzionale della separazione delle carriere, che riscriverebbe un pezzo fondamentale della Costituzione con spirito divisivo, non inclusivo.
Piuttosto, lasciate che concluda il mio intervento con due brevi storie.
Prima storia - Tempo fa entrava nella mia stanza un avvocato dicendomi che il suo cliente era disperato: la sentenza con cui era stata dichiarata la rettifica di sesso dal Tribunale, così faticosamente ottenuta dopo un percorso esistenziale ed anche chirurgico molto lungo, non era ancora stata trascritta nei registri dello stato civile del comune. Quella sentenza doveva ancora essere vistata dal pubblico ministero, e quindi da me. Quella sentenza era ferma perché nel mio ufficio, come in molti altri uffici italiani, la piattaforma ministeriale del pubblico ministero di lavorazione dei provvedimenti del giudice civile (c.d. “Consolle Civile”) non era funzionante. Quell’uomo permaneva nel limbo burocratico di una sessualità negata, a causa di un inaccettabile e quasi permanente disservizio del sistema giustizia.
Seconda storia - Tempo fa veniva iscritta una notizia di reato a carico di una mamma, a seguito di una denuncia sporta dal papà di una bimba. All’esito dell’istruttoria da me condotta, il reato contestato si è rivelato insussistente. Nel frattempo, nel parallelo procedimento civile per separazione e affidamento della prole, i giudici - considerata la grave accusa pendente - limitavano provvisoriamente la genitorialità della mamma. Per molte notti non ho chiuso occhio, perché sapevo che con la mia richiesta di archiviazione, e la conseguente archiviazione disposta dal giudice, quella mamma avrebbe riacquistato ciò che le era più caro: la piena genitorialità. E invece quella richiesta di archiviazione è stata a lungo ferma nel mio pc, perché le continue disfunzioni della piattaforma ministeriale di lavorazione delle archiviazioni (c.d. “APP”) non mi consentivano di depositare correttamente la mia richiesta.
Ora, chiediamo a quell’uomo che ha visto negati i suoi diritti, e a quella mamma cui la genitorialità è stata compressa, perché il magistrato non era stato messo nelle condizioni di poter operare, se oggi i cittadini chiedono a gran voce la riforma costituzionale della separazione delle carriere, oppure se pretendono che gli sforzi della politica convergano verso il reale efficientamento della macchina della giustizia.
"Multa paucis", ma anche "Intelligenti pauca".