Sommario: 1. Perché questa domanda? - 2. La normativa in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro. - 3. Il tavolo di lavoro del 2019 sull’edilizia giudiziaria. - 4. L’individuazione del datore di lavoro. - 5. Gli uffici giudiziari sono articolazioni decentrate o uffici periferici del Ministero della Giustizia?
1. Perché questa domanda?
L’interrogativo su chi debba essere individuato come datore di lavoro negli uffici giudiziari può apparire inutile o superfluo: abbiamo avuto ben due decreti ministeriali, in tempi diversi che danno una risposta univoca: “sono datori di lavoro:…..g) per gli uffici giudiziari, i rispettivi capi, e , in particolare, per gli uffici del giudice di pace, il giudice di pace coordinatore, per i commissariati agli usi civici, i commissari, e per la direzione nazionale antimafia, il procuratore nazionale antimafia”. Dizione contenuta nel D.M 18 novembre 1996 e parimenti ripetuta nel D.M. 12 febbraio 2002.
I dubbi nascono sia sotto il profilo normativo, sia sotto il profilo sostanziale relativo ai poteri decisionali e di spesa di cui deve disporre il soggetto individuato come datore di lavoro.
A livello normativo va tenuto conto che entrambi i decreti ministeriali sono antecedenti alla normativa che ha cambiato, ed in alcuni casi rivoluzionato, sia la tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro (D. lgs. 9 aprile 2008 n.81), sia i ruoli di direzione dell’ufficio giudiziario (D.lgs. 25 luglio 2006 n.240), sia ancora le competenze di Ministero e uffici giudiziari (Commi 526 e seguenti della L. 23 dicembre 2014 n.190).
In particolare questa individuazione nasceva in applicazione di una normativa (il D. lgs.19 settembre 1994 n.626 relativo a salute e sicurezza dei luoghi di lavoro) superata ed assorbita dal D. lgs. n.81/2008 che imponeva all’art.30 l’individuazione da parte del vertice dell’Amministrazione pubblica dei soggetti identificati come datori di lavoro. Ciò risulta evidente anche dal titolo del Decreto Ministeriale del 12 febbraio 2002 “Individuazione del datore di lavoro e vigilanza in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro.” Norma chiaramente abrogata grazie all’entrata in vigore del D. lgs. n.81/2008.
La stessa poca giurisprudenza esistente aumenta le perplessità ed i dubbi. È recente il decreto di archiviazione 7 luglio 2023 nei confronti del Presidente del Tribunale di Milano da parte del G.I.P. presso il Tribunale di Brescia che, per l’incendio sviluppatosi tra il 27 ed il 28 marzo 2020 al settimo piano del palazzo di giustizia di Milano, ha ritenuto che l’attività svolta dai vertici degli uffici milanesi nei confronti del Ministero della Giustizia di segnalazione e richiesta di interventi fosse stata puntualmente effettuata e fosse sufficiente per escludere una sua responsabilità.
Significative sono alcune frasi. “Per quanto riguarda i doveri, in materia di sicurezza, gravanti sui vertici degli Uffici Giudiziari, a prescindere dalla questione relativa all’attribuibilità della qualifica del “datore di lavoro” – apparentemente risolta in senso positivo dall’art. 1 co. 1 lett.G del decreto del Ministero della Giustizia del 12 febbraio 2002 – può certamente ritenersi che costoro siano soggetti alle disposizioni di cui all’art. 18 co III d.lgs. 81/2008, secondo cui obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione, necessari per assicurare la sicurezza dei locali e degli edifici (che restano a carico dell’amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura e manutenzione), si intendono assolti, da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all’amministrazione competente o al soggetto che ne ha l’obbligo giuridico.”
2. La normativa in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro.
Conviene allora verificare a livello normativo chi viene individuato come datore di lavoro. All’art.2 lettera b) del D. Leg. n. 81/2008, che si occupa delle definizioni, viene testualmente scritto:
b) «datore di lavoro»: il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa. Nelle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall’organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l’attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In caso di omessa individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l’organo di vertice medesimo;
Una prima considerazione formale riguarda l’assenza di un’espressa indicazione successiva al Decreto legislativo n.81/2008 dei soggetti individuabili come datori di lavoro negli uffici giudiziari, anche se al riguardo si potrebbe forse far riferimento ai precedenti Decreti Ministeriali già emessi in materia o ancora al Decreto 18 novembre 2014 n.201 (Regolamento recante norme per l’applicazione, nell’ambito dell’amministrazione della giustizia, delle disposizioni in materia di sicurezza e salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro) che pur senza alcuna espressa individuazione, fa riferimento al Decreto ministeriale 12 febbraio 2002.
Ma l’elemento sostanziale è determinante, ovvero che nessuno dei dirigenti degli uffici giudiziari ha alcuna autonomia decisionale e di spesa sui terreni relativi all’edilizia giudiziaria e ai luoghi di lavoro.
A ben vedere l’unico cenno al riguardo si ha all’art.3 del D. Leg.25 luglio 2006 n.240 che prevede che l’amministrazione centrale assegni al dirigente amministrativo preposto all’ufficio giudiziario le risorse finanziarie e strumentali per l’espletamento del suo mandato. Risorse che paiono riguardare la gestione ordinaria e non i ben più incisivi interventi necessari in tema di edilizia giudiziaria, per i quali vi è un canale del tutto diverso che deve passare attraverso la Conferenza Permanente. E va anche aggiunto, risorse che oggi vengono stanziate, in misura contenuta, in favore dell’ufficio giudiziario e non al dirigente.
In realtà il punto di discrimine che ha fatto esplodere il problema relativo all’individuazione del datore di lavoro è stato il trasferimento dai Comuni al Ministero della Giustizia di tutte le funzioni in materia di gestione delle risorse materiali, dei beni e servizi per l’amministrazione degli uffici giudiziari, dei loro acquisti, anche in relazione ai beni immobili adibiti ad uffici giudiziari e alle dotazioni serventi (commi 527 e seguenti della L. 23 dicembre 2014 n.190). Difatti tutte queste attività venivano svolte in precedenza sulla base di accordi e direttive da parte degli uffici giudiziari con il Comune di riferimento, ma con grande autonomia da parte dell’ente locale e con strutture tecniche dedicate. Il passaggio, per giunta in modo improvviso e senza preparazione alcuna, di queste complesse attività e delle conseguenti responsabilità al Ministero nella sua struttura centrale, ha semplicemente voluto dire, in assenza di strutture decentrate del Ministero - Dipartimento Organizzazione Giudiziaria, di riversarle sugli uffici giudiziari e sui relativi dirigenti.
Dirigenti, magistrati e (nei limitati uffici in cui sono presenti) amministrativi, che non solo non avevano alcuna struttura tecnica su cui appoggiarsi, ma che per ogni intervento di minima rilevanza erano comunque costretti a rivolgersi al Ministero non avendo alcuna autonomia di spesa (salvo che per la piccola manutenzione).
La precarietà della situazione risulta implicita nel DPCM 15 giugno 2015 n.84 che all’art. 16 prevede che entro 180 giorni venga stabilita l’entrata in funzione degli uffici dirigenziali generali di cui al D. Lgs. n.240/2006 (ovvero l’originario decentramento amministrativo, ora ristretto a tre direzioni) e che nel frattempo “le funzioni attribuite alle direzioni generali possono essere delegate anche in parte agli uffici giudiziari distrettuali”. Uffici dirigenziali generali che comunque non vedevano mai la luce.
Situazione, quella della delega implicita agli uffici giudiziari distrettuali, che quindi da provvisoria e momentanea diventava cronica, perdurando per anni, anche dopo che questa disposizione veniva abrogata nel 2020.
Si pensava altresì di tamponare il nuovo quadro che si era determinato con la creazione della Conferenza permanente in ogni circondario composta dai capi degli uffici giudiziari, dai dirigenti amministrativi e dal Presidente del locale consiglio dell'ordine degli avvocati, - organo comunque chiamato non a decidere, ma ad individuare i fabbisogni necessari per il funzionamento, a segnalare le esigenze e a richiedere gli interventi necessari.
Le Conferenze permanenti potevano quindi essere solo uno strumento consultivo, di propulsione e di raccolta e trasmissione delle esigenze, non certo decisionale[1].
La cronicità della situazione che comportava un forte aumento di responsabilità verso operatori e utenti, senza avere né capacità di spesa, né autonomia decisionale in questo settore, faceva sempre più esplodere il problema con richieste di intervento da parte dei dirigenti degli uffici sia al Ministero che al C.S.M.
3. Il tavolo di lavoro del 2019 sull’edilizia giudiziaria.
D’altro canto anche il Ministero della Giustizia non si trovava ad affrontare una situazione facile. Con l’art.5 comma 3 lett. b) del DPCM 15 giugno 2015 n.84 venivano attribuite alla Direzione generale delle risorse materiali e delle tecnologia, incardinata nel Dipartimento Organizzazione Giudiziaria, le competenze connesse alle spese di funzionamento degli uffici giudiziari secondo le previsioni normative vigenti tempo per tempo, nonché quelle relative alla predisposizione e attuazione dei programmi per l’acquisto, la costruzione, la permuta, la vendita, la ristrutturazione dei beni immobili, in tal modo concentrando presso una sola struttura la gestione delle risorse materiali, dei beni e dei servizi dell’amministrazione giudiziaria, in precedenza esercitata da diversi uffici dell’amministrazione centrale unificando quanto prima era suddiviso. Tale Regolamento prevedeva anche la competenza delle Direzioni Generali decentrate, poi mai costituite. In tal modo tutte le competenze in materia di spese obbligatorie relative agli uffici giudiziari, in precedenza attribuite ai Comuni, venivano riversate direttamente sulla Direzione generale delle risorse materiali e delle tecnologie del Ministero della Giustizia che pacificamente non aveva né uomini, né strutture per reggerle.
Alcuni dati fanno capire le dimensioni epocali dell’impatto che il passaggio di competenze comportava e l’impossibilità da parte del Ministero di farvi fronte: 971 immobili da gestire, 6000 contratti nei quali subentrava il Ministero, una media di 244 milioni di euro nel triennio per quanto concerne le spese di funzionamento.[2]
La situazione era ulteriormente complicata dal fatto che il trasferimento delle spese di funzionamento degli uffici giudiziari al Ministero della Giustizia determinava il passaggio della gestione di tali immobili nell’ambito della complessa disciplina generale del Sistema Accentrato delle Manutenzioni previsto dall’art. 12 del D.L. n. 98/2001 che assegna all’Agenzia del Demanio la competenza in ordine alle decisioni di spesa riguardanti gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria sugli immobili demaniali e comunali, nonchè in quelli in locazione passiva, destinati ad uffici giudiziari. L’Agenzia del demanio veniva così ad assumere, sulla base dell’attività di validazione ed assegnazione delle priorità tecniche da parte dei competenti Provveditorati per le Opere pubbliche e dei limiti di fondi disponibili, le decisioni di spesa per la manutenzione ordinaria e straordinaria, sia pure con la possibilità di specifiche deroghe codificate.[3]
Situazione complicata sia per la ripartizione di competenze, sia per la difficoltà di rapportarsi con l’Agenzia del Demanio ed i Provveditorati per le Opere pubbliche, istituzioni anch’esse oberate e carenti di personale e spesso problematiche anche solo per arrivare ad un contatto, con tempi tutt’altro che certi per la stessa gestione della programmazione e affidamento dei lavori.
Tale situazione indubbiamente critica portava il Ministero della Giustizia – Dipartimento Organizzazione giudiziaria a costituire con provvedimento del 24 aprile 2019 il Tavolo tecnico in materia di spese di funzionamento e di edilizia giudiziaria al quale partecipavano gli organi apicali di diverse Corti di Appello e Procure generali unitamente ad alcuni dirigenti amministrativi e rappresentanti dell’Avvocatura. Il Tavolo, a differenza di quanto spesso accade, si dimostrava di rara rapidità ed efficienza e pur con poche riunioni (cinque) giungeva a produrre proposte e decisioni, poi riassunte nella Relazione conclusiva del Tavolo tecnico in materia di spese di funzionamento e di edilizia giudiziaria dell’8 ottobre 2019 a firma del Capo Dipartimento. Da un lato venivano indicati gli interventi di breve periodo con il reclutamento di nuovo personale tecnico, di cui veniva stabilita una dotazione organica di 200 unità (63 funzionari tecnici e 137 assistenti tecnici), ripartiti a livello territoriale ed inquadrati presso gli uffici distrettuali, di cui partivano le procedure per l’assunzione, realizzata in tempi estremamente celeri. Dall’altro venivano proposti interventi a regime con la creazione di strutture periferiche di livello dirigenziale non generale funzionalmente dipendenti dalla Direzione generale delle risorse materiali e delle tecnologie e dotata di sufficienti unità dei profili tecnici, amministrativi e contabili cui veniva affidata la gestione di tutte le attività di edilizia giudiziaria e connesse, comprendendo tutte le materie trasmesse dai Comuni al Ministero. In tal modo rimane in capo agli uffici giudiziari unicamente la gestione della spesa relativa alle spese ordinarie e di mero funzionamento dell’Ufficio.[4]
Il Tavolo tecnico si concludeva, nel tempo record di sei mesi, individuando altresì una serie di nodi ulteriori da sciogliere da affrontare successivamente. Tavolo che anche a causa del Covid e del passaggio di legislatura veniva ripreso con tempi ed efficacia molto più blanda solo nel 2022.
Una delle questioni pacificamente irrisolte era proprio quella relativa a chi dovesse essere individuato come datore di lavoro.
In ogni caso le direzioni territoriali non generali venivano istituite con il Decreto Ministeriale 14 aprile 2022 che individuava la loro localizzazione in sette uffici periferici, siti in Torino, Venezia, Roma, Napoli, Palermo, Firenze, Milano, con competenza interregionale. Gli organici delle stesse (complessivamente 333 unità) venivano determinati con Decreti Ministeriali del 31 maggio 2023. Allo stato risulta in atto la procedura di reclutamento, ma le direzioni non risultano ancora costituite.
La creazione di queste direzioni avrà comunque un impatto sull’individuazione del datore di lavoro proprio per le competenze in materia di edilizia e lato sensu sicurezza che ricadranno su di loro.
4. L’individuazione del datore di lavoro.
Al di là della determinazione formale operata dal Ministero occorre quindi rifarsi ai requisiti che il D.Lgs. n.81/2008, ma anche i precedenti decreti in materia, individuavano per verificare chi fosse il datore di lavoro: colui che è responsabile dell’organizzazione dell’ufficio in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa.
Ed è indubbio che i poteri decisionali e di spesa in materia di edilizia giudiziaria e di gestione degli uffici giudiziari spettino e ricadano sul Ministero della Giustizia e sulle sue articolazioni, ovvero oggi solo la Direzione generale delle risorse materiali e delle tecnologie e domani anche le direzioni decentrate, ovviamente nei limiti delle competenze e risorse che loro verranno attribuite. Direzioni decentrate che superano anche le inevitabili perplessità derivanti dalla evidente lontananza del Ministero dei vari luoghi ed ambienti di lavoro in cui si articolano gli uffici giudiziari. [5]
I magistrati dirigenti degli uffici ed i dirigenti amministrativi hanno ovviamente un ruolo assimilabile a quello di dirigente[6] o preposto[7], con i relativi obblighi che comunque sono ben delineati dall’art. 18 comma 3.
“Gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare, ai sensi del presente decreto legislativo, la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni o a pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, restano a carico dell'amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura e manutenzione. In tale caso gli obblighi previsti dal presente decreto legislativo, relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all'amministrazione competente o al soggetto che ne ha l'obbligo giuridico.”
Il principio generale è che al potere di gestione e di spesa corrispondono simmetriche responsabilità: è l’effettiva ripartizione dei poteri all’interno della struttura a conformare la posizione del garante – datore di lavoro. Per cui il magistrato dirigente ed il dirigente amministrativo di un ufficio giudiziario avranno obblighi e responsabilità solo per quel limitato campo, anche relativo a sicurezza e igiene del lavoro, su cui hanno potere di intervento diretto (ad esempio l’ergonomia delle postazioni, gli estintori e le vie di uscita), mentre per il resto hanno un obbligo di segnalazione e di richiesta di intervento. L’ipotesi da qualcuno avanzata di far ricadere tutti gli obblighi sul dirigente amministrativo, dando una valenza molto ampia al citato art. 3 D. Lgs. n.240/2006, pare francamente insostenibile a fronte di plurimi argomenti. Da un lato le competenze che gli vengono date dalla legge sono limitate e ben definite e non significano una reale autonomia di spesa, dall’altro in concreto le risorse oggi vengono attribuite all’ufficio e non al dirigente amministrativo. Occorre sempre ricordare che l’art. 1 comma 1 del D. Lgs.n.240/2006 attribuisce “al magistrato capo dell’ufficio la titolarità e la rappresentanza dell’ufficio, nei rapporti con enti istituzionali e con i rappresentanti degli altri uffici giudiziari, nonché la competenza ad adottare i provvedimenti necessari per l’organizzazione dell’attività giudiziaria e, comunque, concernenti la gestione del personale di magistratura ed il suo stato giuridico”. E ciò ha portato sinora ad investire il magistrato capo dell’ufficio di quanto concerne le spese di funzionamento, quanto meno nella determina e nella firma.
Così pure non convince l’idea di scindere le responsabilità tra magistrato dirigente e dirigente amministrativo, l’uno per quanto riguarda i magistrati e l’altro per ciò che concerne il personale amministrativo. Chi pensa ad un’ipotesi di tal fatta non si rende conto come la normalità è che i magistrati ed il personale amministrativo operino negli stessi ambienti di lavoro e che la finalità del D. Lgs. n.240/2006, ben espressa nell’art. 4, è proprio quella di creare una direzione integrata che punti sull’unicità dei programmi e delle finalità e che pertanto non consente scissioni.
Ne consegue che il datore di lavoro è il Ministero, ma che vi sono obblighi concorrenti che riguardano anche chi opera sul territorio e che, come tale, è in grado di rendersi conto di manchevolezze e fonti di rischio e di conseguentemente di segnalarle e chiedere i necessari interventi.
5. Gli uffici giudiziari sono articolazioni decentrate o uffici periferici del Ministero della Giustizia?
Va infine sfatata o, almeno, posta in dubbio l’idea diffusa che gli uffici giudiziari siano articolazioni decentrate o uffici periferici del Ministero della Giustizia. La stessa scelta del decentramento operata (pur senza essere poi seriamente coltivata) nel D. Lgs. n.240/2008 evidenzia come lo stesso Ministero non ritenesse di avere fino a quel momento articolazioni decentrate. Emblematici sono i titoli del Capo II “Articolazioni decentrate del Ministero della Giustizia” e dell’art 6 “Uffici periferici dell’organizzazione giudiziaria”. La stessa dizione di uffici periferici dell’organizzazione giudiziaria viene usata nel Decreto ministeriale 14 aprile 2022 quando si parla delle nuove direzioni territoriali. E laddove il Ministero ha voluto coinvolgere gli uffici giudiziari lo ha detto espressamente. Nell’art. 6 comma 1 del DPR 18 agosto 2015 n.133 si chiarisce che le Conferenze permanenti operano “nell’ambito degli indirizzi e secondo le linee di pianificazione strategica stabiliti dal Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi del Ministero”. E nello stesso articolo 6 al comma 3 si prevede che “possono essere delegate ai capi degli uffici giudiziari le competenze relative alla formazione dei contratti necessari all’attuazione dei compiti di cui all’art. 4 comma 1.[8]Nella materia della sicurezza le medesime competenze possono essere delegate al procuratore generale.” Come del resto si faceva nel già citato art.16 comma 4 del DPCM 15 giugno 2015 n.84 laddove si prevedeva che nell’attesa della costituzione delle Direzioni generali decentrate “le funzioni attribuite alle direzioni generali possono essere delegate anche in parte agli uffici giudiziari distrettuali”. Norma poi abrogata.
Del resto se uno legge con attenzione da un lato il complesso disposto normativo che oggi si può definire come Ordinamento Giudiziario o, dall’altra parte, il Regolamento del Ministero della Giustizia non troverà alcuna interazione, trattandosi da una parte degli uffici destinati ad amministrare la giustizia e dall’altra l’istituzione centrale cui sono demandati, senza alcun rapporto gerarchico, ma semmai servente, “l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia” come recita l’art.110 della Costituzione. Una delega potrà essere sempre possibile trattandosi di organi con competenze (anche) amministrative, e dovendosi mantenere un costante rapporto di leale collaborazione, ma dovrà essere di volta in volta accettata, creando un quadro di obblighi a carico del delegato.
La questione in realtà è estremamente delicata perché deve coniugare profili di efficienza dell’intero sistema con le garanzie di indipendenza da assicurare agli uffici giudiziari. Uffici dipendenti dal Ministero, anche solo funzionalmente, rischiano comunque di essere condizionati. D’altro canto le esigenze di organizzazione e di efficienza impongono un’ottica nazionale. Al riguardo l’idea di direzione decentrate, come sorta di centro servizi degli uffici sulla base di un livello minimo di prestazioni assicurate, può essere un passo in avanti.
Una prospettiva forse nuova ed inusuale, ma che merita quanto meno una riflessione.
[1] “La Conferenza permanente, tenuto conto del decreto di cui all'articolo 1, commi 528 e 529, della legge, individua e propone i fabbisogni necessari ad assicurare il funzionamento degli uffici giudiziari e indica le specifiche esigenze concernenti la gestione, anche logistica e con riferimento alla ripartizione ed assegnazione degli spazi interni tra uffici, la manutenzione dei beni immobili e delle pertinenti strutture, nonché quelle concernenti i servizi, compresi il riscaldamento, la climatizzazione, le utenze, la pulizia e la disinfestazione, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, il giardinaggio, il facchinaggio, i traslochi, la vigilanza e la custodia, compresi gli aspetti tecnici e amministrativi della sicurezza degli edifici. Restano ferme le competenze dei titolari dei poteri di spesa.”
[2] I dati sono ripresi dalla Relazione conclusiva del Tavolo tecnico in materia di spese di funzionamento e di edilizia giudiziaria dell’8 ottobre 2019.
[3] Le deroghe che si sostanziano nel fatto che gli interventi sono effettuati con fondi del Ministero della Giustizia riguardano i seguenti casi: 1. Nuove costruzioni e ampliamenti, 2. Piccola manutenzione, 3. Somma urgenza, 4. Interventi per l’adeguamento alla sicurezza sul lavoro. 5.Valutazioni di vulnerabilità sismica. 6.Ipotesi minori.
[4] Un’altra delle determinazioni uscite dal Tavolo tecnico è stato l’inserimento stabile da prevedersi a livello normativo della presenza dell’Avvocatura nelle Conferenze permanenti, poi recepito nella legge di bilancio 2020.
[5] Comunque sia pure in materia aziendale la Cassazione ha ritenuto di qualificare come datore di lavoro il soggetto che esercita i poteri decisionali e di spesa “con riferimento a tutta l’operatività aziendale” “l’unicità del concetto di datore di lavoro” porterebbe ad “escludere che la relativa figura possa essere sotto-articolata a seconda delle funzioni svolte o dei settori produttivi”.(Cassazione sezione III 15 febbraio 2022 n.9028)
[6] La definizione che dà del dirigente l’art 2 lettera d) del D. Lgs n.81/2008 è la seguente: "dirigente": persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l'attività lavorativa e vigilando su di essa.
[7] La definizione che dà del preposto l’art 2. Lettera e) del D. Lgs n.81/2008 è la seguente: "preposto": persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa esercitando un funzionale potere di iniziativa.
[8] “La Conferenza permanente, tenuto conto del decreto di cui all'articolo 1, commi 528 e 529, della legge, individua e propone i fabbisogni necessari ad assicurare il funzionamento degli uffici giudiziari e indica le specifiche esigenze concernenti la gestione, anche logistica e con riferimento alla ripartizione ed assegnazione degli spazi interni tra uffici, la manutenzione dei beni immobili e delle pertinenti strutture, nonché quelle concernenti i servizi, compresi il riscaldamento, la climatizzazione, le utenze, la pulizia e la disinfestazione, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, il giardinaggio, il facchinaggio, i traslochi, la vigilanza e la custodia, compresi gli aspetti tecnici e amministrativi della sicurezza degli edifici. Restano ferme le competenze dei titolari dei poteri di spesa.