di Claudio Castelli
Sommario: 1. Introduzione - 2. L'attuale quadro normativo - 3. Gli elementi insostenibili dell’ultradecennalità - 4. I fattori positivi - 5. I limiti e riverberi negativi dell’attuale ultradecennalitá e qualche proposta.
1. Introduzione
Periodicamente viene rimessa in discussione, senza peraltro approdare a soluzioni alternative salvo l’abolizione tout court, l’ultradecennalità nella permanenza nelle funzioni. Ora l’occasione sembra fornita dalla (saggia, ma peraltro sinora teorica) intenzione ministeriale di sospendere la vigenza dell’ultradecennalità sino al 2026 per facilitare il raggiungimento degli obiettivi del PNRR. Pausa che appare opportuna anche per consentire una adeguata riflessione (e concrete proposte) sull’istituto, ma che segnala come l’ultradecennalità odierna crei ostacoli all’efficienza organizzativa del sistema.
2. L’attuale quadro normativo
È l’art.19 del D. Leg. 5 aprile 2006 n.160 che prevede una permanenza massima nella stessa posizione tabellare o nel medesimo gruppo di lavoro nell’ambito delle stesse funzioni per un periodo stabilito dal Consiglio superiore della magistratura entro il massimo di 10 anni. In caso il magistrato abbia presentato domanda di trasferimento ad altra funzione, anche all’interno del proprio ufficio, almeno sei mesi prima della scadenza del periodo massimo di permanenza, può rimanere nella stessa posizione sino alla decisione del CSM e comunque non oltre sei mesi dalla scadenza del termine.
Mentre il Regolamento in materia di permanenza dell’incarico in data 13 marzo 2008 e le Circolari consiliari sulla formazione delle tabelle (artt. 146 -152 della Circolare vigente) a loro volta disciplinano l’applicazione della normativa e prevedono il percorso per l’assegnazione del magistrato ultradecennale attraverso la partecipazione ad un concorso interno, un’assegnazione provvisoria in caso di esito negativo e successivamente la partecipazione ad un nuovo concorso e l’assegnazione di ufficio, in caso di nuovo esito negativo.
L’art. 156 co. 1 della Circolare sulle tabelle poi dispone che nell’ipotesi di permanenza nelle precedenti funzioni per un periodo eccedente i nove anni e sei mesi, il magistrato non può essere nuovamente destinato al posto di origine prima di cinque anni.
3. Gli elementi insostenibili dell’ultradecennalità
Vi sono almeno due elementi che fanno ritenere l’attuale normativa insostenibile e iniqua. Da un lato la sua applicazione solo alle funzioni che rientrano nei progetti tabellari e organizzativi di Tribunali e Procure, escludendo le funzioni specializzate. Nessuna ultradecennalità quindi per magistrati del lavoro e di sorveglianza, con una evidente disparità di trattamento e irrazionalità. Se vi sono ragioni a monte dell’ultradecennalità finalizzate ad evitare possibili incrostazioni di potere e stimolare un costante rinnovamento, queste esistono anche per funzioni molto specializzate. Nè la differenza con funzioni altamente specialistiche (quali le materie della famiglia, fallimentare, societaria) è tale da suggerire una così elevata differenza di trattamento.
Il secondo punto molto negativo è la mobilità drogata che l’ultradecennalità inevitabilmente provoca. Ultradecennalità vuol dire che il 10 % dell’ufficio é costretto a cambiare funzioni ogni anno. Se a questo si sommano i trasferimenti ordinari (quindi tra uffici diversi) ed i pensionamenti giungiamo al 15 - 20 % annuo, una quota che nessuna amministrazione può sopportare. Perché il trasferimento significa ruoli lasciati ad altri, perdita di know how, rallentamento dei tempi. I pochi studi svoltisi sul tema evidenziano come il passaggio di testimone da un giudice all’altro come titolare di un processo porti ad un aumento dei tempi del 50%.
L’ultradecennalità si scontra ulteriormente con le esigenze del nostro sistema giudiziario di una sempre più accentuata specializzazione. Costringere magistrati che hanno affinato competenze e celerità nella trattazione di una materia a trasferirsi non solo è un’evidente perdita di know how, ma rallenta inevitabilmente i tempi dato che ogni nuovo arrivato ha bisogno di tempo per capire il nuovo settore, ufficio e ruolo e inevitabilmente nei primi tempi sarà più lento. Certo si potrebbero adottare percorsi che potrebbero attenuare di molto queste difficoltà, quali percorsi professionali agevolati per chi ha svolto ruoli specializzati e specialistici, sia all’interno dell’ufficio, che per i trasferimenti. Ciò porterebbe ad individuare grandi branche di materie (procedure concorsuali, famiglia e minori, lavoro, commerciale ed economia, ambiente) in cui l’esperienza professionale svolta dia una precedenza nei concorsi interni ed esterni per posti che si occupano di queste materie, esteso ad uffici sia giudicanti che requirenti. Ed inoltre un serio percorso di riconversione (non limitato a una settimana episodica) con periodi di affiancamento e accompagnamento.
4. I fattori positivi
L’ultradecennalità non è un’idea balzana o punitiva, ma anche il portato di esperienze negative. Le prime applicazioni, allora prive di una copertura legislativa, si sono avute nel 1996 quando il CSM delineó questo limite per due categorie di magistrati, le sezioni fallimentari e i pretori mandamentali. Le ragioni erano diverse: la particolare delicatezza e rischio ambientale (riscontrato da diverse esperienze negative) per chi gestiva procedure spesso del valore di miliardi dell’epoca con rapporti con curatori e parti, la sovraesposizione territoriale e il ruolo apicale che assumeva il pretore mandamentale. Per essere chiari vi erano all’epoca pretori mandamentali che esercitavano le loro funzioni nello stesso Comune da oltre 30 anni, diventando veri e propri ras locali, con rapporti e un ruolo del tutto anomalo per chi dovrebbe amministrare giustizia. L’estensione a tutti é stata un’iniziativa legislativa che in parte riprendeva queste esigenze di rotazione e di estensione delle opportunità ed in parte disegnava una magistratura in cui le specializzazioni erano solo le tre tradizionali (minori, sorveglianza e lavoro). Va anche detto che molti magistrati guardavano con favore ad una normativa che evitava un’occupazione stabile dei posti più ambiti da parte dei magistrati più anziani.
Ed in effetti vi sono altri due fattori che vanno valorizzati a favore della temporaneità delle funzioni. Da un lato la rotazione obbligata che impone in uffici ambiti e prestigiosi. Se non ci fosse questa disciplina, sarebbe facile prevedere che in posizioni normalmente molto richieste come le DDA per le Procure e il Tribunale delle imprese avremmo una presenza degli stessi magistrati per decenni, evitando quel moderato turn over che è benefico per l’ufficio. Dall’altro lo stimolo che dà ai singoli per cambiare posizione professionale dopo un congruo periodo di tempo e agli stessi uffici inserendo negli stessi nuove idee ed esperienze. La permanenza nella stessa funzione e nello stesso ambiente inevitabilmente fa affievolire motivazioni e capacità di cambiare modalità di lavoro, quando un cambio può essere benefico per il singolo e per la sezione e ufficio. É poi sbagliato vedere il mutamento obbligato di funzioni come punitivo per il singolo. La tesi secondo cui incrostazioni di potere ed affievolimento delle motivazioni dovrebbero essere accertate caso per caso a livello ispettivo o di valutazione di professionalità e non con soglie determinate dalla legge, non solo é molto più insidiosa e punitiva, ma manifestamente impraticabile per l’impossibilità di sperimentare serie verifiche su scala diffusa.
5. I limiti e riverberi negativi dell’attuale ultradecennalitá e qualche proposta
Non ci troviamo quindi a fronte di una normativa irrazionale, folle e punitiva, dovendosi svolgere considerazioni molto più articolate, ma gli attuali assetti del l’ultradecennalità non sono reggibili e andrebbero rapidamente modificati.
In primis, perché limitare a dieci anni la permanenza? Non a caso nel testo originario della proposta di legge il periodo di permanenza era contenuto nel range tra i 5 ed i 15 anni, demandando al Consiglio la determinazione del periodo massimo di permanenza per ogni funzione. La modifica poi approvata, che indicava il periodo massimo di permanenza tra i 5 ed i 10 anni, induceva il Consiglio ad adottare l’ultradecennalità per tutte le funzioni. Al riguardo va precisato che non vi è alcuno studio sulla permanenza massima ideale in un ufficio giudiziario, meglio ancora se mirata a singole funzioni. In realtà il termine decennale deriva dal fatto che abbiamo un sistema di misurazione decimale, oltre alla constatazione che prevedere tre o quattro mutamenti di funzione nella propria vita professionale poteva apparire congruo.
In realtà l’attuale normativa e la sua rigidità porta a deprivare lo stesso ufficio contemporaneamente di più magistrati mettendolo in ginocchio, dato che l’intervento è mirato sul singolo e non sull’ufficio e sulla sua funzionalità. Si potrebbe quindi partire dall’ufficio e non dal singolo magistrato, evitando un numero di trasferimenti superiore al 10% della sezione (o superiore ad uno all’anno qualora la sezione o dipartimento abbia meno di dieci componenti), preso come parametro di un tasso moderato e benefico di turn over, limitando i trasferimenti a seguito di ultradecennalità solo nell’ambito di questa quota (ovviamente comprensiva di altri tramutamenti e pensionamenti).
Un equilibrio che cerchi di contemperare i fattori positivi della temporaneità con le esigenze di specializzazione e di stabilità si può quindi probabilmente raggiungere con tre interventi correttivi:
riportare il limite massimo a 15 anni;
escluderne l’applicazione se la sezione o ufficio abbia già avuto un turn over complessivo annuo pari o superiore al 10 % (o ad uno in caso di sezioni o dipartimenti composti da meno di dieci magistrati);
creare percorsi professionali agevolati per funzioni specialistiche.
I primi due interventi richiedono una modifica legislativa, mentre la creazione di percorsi professionali e di un periodo di riconversione e di affiancamento potrebbe già oggi essere pensato e realizzato con una collaborazione tra C.S.M. e Scuola Superiore della Magistratura. Così pure una semplice modifica della Circolare sulle tabelle potrebbe ridurre al periodo ordinario (due anni) il tempo necessario per poter tornare alle funzioni precedentemente svolte. I cinque anni oggi previsti non hanno difatti giustificazione alcuna e suonano come inutilmente punitivi.
Per concludere l’unica speranza è che finalmente si esca dalle mere lamentazioni per giungere ad un nuovo assetto.
(Immagine: Giorgio De Chirico, L'enigma dell'ora, olio su tela, 1911, Collezione Mattioli, Milano)