Riportiamo l’intervento del professore Roberto Romboli a introduzione delle sedute di stage presso il Consiglio Superiore della Magistratura da parte dei magistrati ordinari in tirocinio nominati con D.M. 23.11.2022. Lo stage si è svolto dal 15 al 19 maggio scorso. Nell’attuale composizione del CSM il professor Romboli è direttore dell’Ufficio studi e documentazione nonché componente della Sesta commissione.
1. È con grande piacere che saluto tutte e tutti i partecipanti a questo primo seminario, organizzato dal Consiglio superiore della magistratura e dalla Scuola superiore della magistratura per i Mot nominati con dm 23 novembre 2022, ai quali do il benvenuto nella sede del Consiglio.
Gli interventi che seguiranno avranno un oggetto assai ampio e riguarderanno in particolare struttura, funzioni e attività internazionale del Csm, mobilità e valutazioni di professionalità, le tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti, i programmi di gestione e di organizzazione degli uffici requirenti, le incompatibilità e gli incarichi extragiudiziari ed infine la responsabilità disciplinare.
Il mio intervento si limiterà quindi ad una introduzione sul significato ed il ruolo attribuito all’organo che vi ospita, con qualche valutazione conclusiva sull’attualità.
Nella classica distinzione tra le costituzioni-bilancio e le costituzioni-programma, la nostra appartiene senza dubbio alle seconde nel senso che intende segnare una chiara rottura con il passato e specificamente che il ventennio appena concluso, attraverso l’affermazione di principi e valori nuovi, per molti aspetti opposti a quelli che avevano caratterizzato il regime precedente e con la precisa intenzione di segnare una discontinuità con lo stesso.
Per questo appaiono del tutto prive di significato, sotto l’aspetto storico ed interpretativo, le recenti polemiche circa la presenza o meno nel testo della Costituzione della parola “antifascismo”.
La volontà di evitare il possibile ripetersi della precedente esperienza consigliò ai nostri costituenti di porre nella Costituzione tutta una serie di istituti di garanzia, nuovi rispetto all’ordinamento passato.
Innanzi tutto, a seguito del risultato del referendum istituzionale del 1946 a favore della repubblica, la figura del Presidente della repubblica, situata al di fuori dei tre tradizionali poteri dello Stato a tutela di un ordinato equilibrio tra gli stessi, nonché la Corte costituzionale, quale giudice della conformità delle leggi e degli atti con forza di legge alla Costituzione e quindi quale garanzia della rigidità della stessa ed ancora il Consiglio superiore della magistratura, istituito per garantire i valori di autonomia, indipendenza ed imparzialità dei magistrati.
Se è vero che un organo con lo stesso nome era già stato previsto con la legge Orlando del 1907 è altresì vero che si trattava di un soggetto con composizione e funzioni assolutamente diverse e quindi il Consiglio previsto dalla Costituzione repubblicana può senza dubbio essere considerato un organo “nuovo” nel senso anzidetto.
Essendo chiara ed evidente la ragione della previsione del Presidente della repubblica, nonché della Corte costituzionale, potremmo chiederci quale sia la ragione della istituzione del Csm.
Questa deve essere collegata al diverso modo di concepire il ruolo della magistratura, non più soggetta all’indirizzo ed alla vigilanza del potere politico, ma appunto quale soggetto di garanzia per i diritti dei cittadini e per il rispetto della legge anche da parte della politica e dei soggetti esercenti il potere (una delle conseguenze del passaggio dallo stato di diritto allo stato costituzionale).
Da ciò ne discende logicamente una diversa collocazione della magistratura nel sistema istituzionale, sia sotto l’aspetto strutturale che sotto quello funzionale, rispetto a quella realizzatasi nel periodo precedente e formalizzata nell’ordinamento giudiziario del 1941, non a caso ritenuto contrario ai “nuovi” principi costituzionali dalla VII disposizione transitoria che chiede al legislatore ordinario di approvare una “nuova legge sull’ordinamento giudiziario in conformità con la Costituzione”.
Riguardo all’aspetto strutturale il riferimento riguarda il necessario superamento della struttura gerarchica della magistratura e quindi della distinzione tra “capi degli uffici” e “magistrati in sottordine”, espresso chiaramente dall’art. 107, 4° comma, Cost. (“i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni”) a favore della definizione, utilizzata dalla Corte costituzionale a proposito dei conflitti tra poteri dello Stato, di una magistratura come “potere diffuso”. Ogni magistrato, nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali, può ritenersi espressivo del potere giudiziario e quindi legittimato ad essere parte attiva o passiva di un conflitto tra poteri.
Sotto l’aspetto funzionale una vera rivoluzione, per la posizione istituzionale e l’attività interpretativa del giudice, è rappresentata dalla realizzazione di un sistema di giustizia costituzionale, che assegna al giudice un ruolo di fondamentale importanza, dal momento che, specie nei primi anni di funzionamento, l’accesso alla Corte costituzionale si riduce al giudizio in via incidentale.
Il funzionamento e l’efficacia del controllo di costituzionalità delle leggi passa quindi inevitabilmente dalla sensibilità dei giudici ai nuovi valori costituzionali.
Viene di conseguenza integrato il fondamentale principio di soggezione del giudice alla legge, nel senso che lo stesso vale solamente a condizione che la legge sia rispettosa dei principi costituzionali, in quanto, in caso contrario, il giudice è legittimato a non applicare la legge ed a chiedere l’intervento chiarificatore della Corte costituzionale.
La previsione di una fonte superiore, organizzata soprattutto per principi anziché per regole, determina un inevitabile ampliamento dei poteri interpretativi del giudice e di conseguenza della possibilità di incidere sulla decisione.
Per questo la necessità di garantire la sua autonomia e indipendenza soprattutto ed in particolare dal potere politico e dagli indirizzi della maggioranza governativa di turno (la c.d. indipendenza esterna), nonché da indebite influenze che possano derivare dalla stessa magistratura (la c.d. indipendenza interna).
2. Il carattere di costituzione-programma comporta di necessità che alla entrata in vigore della stessa deve seguire una fase di attuazione, in quanto al momento grandissima parte delle previsioni costituzionali, come istituti o come principi, non esistono o debbono essere realizzati.
La fase storica che segue il 1948 è stata definita, come noto, del “congelamento costituzionale” ad indicare una certa ritrosia della maggioranza “centrista” a dare attuazione ad alcune previsioni della Carta costituzionale (attraverso quello che Piero Calamandrei chiamerà l’“ostruzionismo di maggioranza”).
Ciò ha riguardato anche il Consiglio superiore della magistratura, attuato come sapete dopo dieci anni. La legge del 1958 ebbe dunque il merito di dare attuazione alle previsioni costituzionali, anche se lo fece in una maniera che potremmo definire assai prudente o timida per l’autonomia e indipendenza della magistratura.
Impossibile entrare nei particolari del testo originario della legge, ma credo che valga molto bene a dare un’idea di quanto appena detto la previsione contenuta nell’art. 11 della stessa, il quale subordinava alla richiesta del ministro della giustizia qualsiasi deliberazione del Csm nelle materie ad esso assegnate.
Questa norma è stata, dopo cinque anni dall’entrata in vigore della legge, dichiarata incostituzionale in quanto ritenuta concretizzare una “lesione della autonomia del medesimo [Csm], in contrasto perciò con i precetti della Costituzione” (sent. n. 168 del 1963).
L’importanza che il Costituente ha inteso riconoscere al Consiglio superiore della magistratura pare del resto testimoniata dal fatto che dei dieci articoli del titolo IV, sezione I, della Costituzione, ben cinque di essi fanno riferimento a tale organo (artt. 104, 105, 106, 107, 110).
Se ci chiediamo quale sia stato il ruolo che il Csm ha svolto dal 1958 ad oggi per la realizzazione dei valori di autonomia e indipendenza della magistratura, credo che nessuno potrebbe disconoscere l’importanza e l’apporto decisivo derivante dall’azione del Consiglio per la realizzazione di quella che è stata ritenuta la magistratura più autonoma ed indipendente d’Europa e per il raggiungimento di certi risultati per la tutela dei diritti ed il rispetto delle regole da parte di soggetti politici, attraverso indagini un tempo assolutamente inimmaginabili.
Il Consiglio è caratterizzato, come noto, da una composizione mista, due terzi magistrati eletti da magistrati ed un terzo di “laici” eletti dal parlamento in seduta comune.
La composizione “togata” e i criteri da seguire per la elezione hanno determinato un inevitabile collegamento con l’associazionismo all’interno della magistratura e la conseguente – del tutto legittima – creazione delle c.d. correnti, espressione del pluralismo culturale ed anche del diverso modo di intendere da parte dei magistrati il ruolo della giurisdizione (ricordo a voi, giovani magistrati, l’importanza del Congresso di Gardone del 1965 e delle tesi approvate al termine del medesimo).
Conseguente il succedersi di diverse leggi elettorali fino a quella attualmente vigente, tutte espressione di una determinata volontà politica.
In estrema sintesi la legge 195/1958 si fondava su un sistema di tipo maggioritario puro a collegio uninominale ed a turno unico e poteva ritenersi espressiva di una visione riduttiva del Csm e di una concezione piramidale della magistratura; la legge 1198/1967 prevedeva invece una doppia consultazione, la prima delle quali con la funzione simile alle primarie, alla quale seguiva poi una votazione con sistema maggioritario secco in collegi uninominali; il paradossale risultato delle elezioni del 1972 nelle quali una sola corrente ottenne tutti i seggi disponibili, determinò l’approvazione di una nuova legge (la 695/1975) la quale determinò un cambiamento radicale attraverso la introduzione di un sistema proporzionale a liste concorrenti che portava alla luce il ruolo esercitato dalla Anm e dalle correnti; la successiva legge 74/1990 si pose nella logica di limitare il peso delle correnti attraverso alcune modifiche alla legge del 1975; il mancato raggiungimento della suddetta finalità condusse alla approvazione della legge 44/2002, votata in un clima di forte contrapposizione fra la magistratura ed il governo Berlusconi, la quale pure non riuscì ad ottenere lo scopo che si era prefisso. Si giunge così alla legge attualmente in vigore, certamente a tutti nota.
3. Molti e diversi tra loro i problemi emersi in questi anni di funzionamento del Csm, tali quindi da non potersi ricordare neppure per sintesi, potendo solo fare qualche esempio, del resto credo abbastanza noto.
Così il tema della natura (assoluta o relativa) della riserva di legge in materia di ordinamento giudiziario e della sua compatibilità con la c.d. funzione paranormativa ed integrativa del Csm.
Di sicura rilevanza, stante la finalità sopra richiamata del Consiglio, le relazioni tra quest’ultimo ed il ministro della giustizia, che ha visto contrapporsi una lettura riduttiva ed un’altra estensiva delle funzioni che la Costituzione assegna al primo (“assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, promozioni, provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati”) (art. 105). Al ministro della giustizia è invece riconosciuta la competenza in materia di “organizzazione e funzionamento dei servizi relativi alla giustizia” (art. 110).
A fronte della sicura spettanza ai due summenzionati soggetti delle competenze specificamente indicate, il problema maggiormente discusso è stato quello di individuare la competenza dell’uno o dell’altro nelle materie rientranti in quella che è stata definita la “zona grigia”, cioè collocabili fuori da quelle esplicitamente indicate, procedendo ad attribuire quella che potremmo chiamare la “competenza residuale”.
Per questo, accanto ad una lettura estensiva e finalistica dell’art. 105 (secondo cui spetta al Csm qualsiasi iniziativa e attività tendente a garantire l’autonomia e indipendenza della magistratura), è stata presentata anche una interpretazione riduttiva, che si è espressa attraverso il riconoscimento al Consiglio delle sole funzioni ad esso espressamente assegnate, da ritenersi quindi tassative.
La Corte costituzionale, in varie occasioni, ha escluso una lettura riduttiva delle competenze dell’uno o dell’altro (specie del ministro della giustizia), sostenendo che dalle disposizioni costituzionali non deriva una netta separazione di compiti e che se l’autonomia del Csm esclude ogni intervento del potere esecutivo nelle deliberazioni concernenti lo status dei magistrati, non esclude che fra i due organi, nel rispetto delle competenze a ciascuno attribuite, possa sussistere un rapporto di collaborazione.
La Corte ha fatto applicazione di questo principio nei due casi, assai conosciuti, del conflitto di attribuzione tra il ministro della giustizia ed il Csm in ordine al “concerto” per la nomina degli uffici direttivi.
Il Giudice costituzionale, nel definire il controverso significato del termine “concerto”, ha infatti escluso le due tesi estreme – che si tratti cioè di parere necessario, ma non vincolante o di un necessario accordo tra le parti – ed ha ritenuto che il “concerto” implichi non tanto un vincolo di risultato, bensì di metodo che i due soggetti costituzionali in questione debbono seguire per giungere legittimamente al conferimento di uffici direttivi. In maniera estremamente specifica e concreta la Corte ha sostenuto che il confronto deve risultare “serio, approfondito, esauriente e costruttivo”, deve articolarsi “nello schema proposta-risposta, replica-controreplica” e le parti “non possono dar luogo ad atteggiamenti dilatori, pretestuosi, ambigui, incongrui o insufficientemente motivati” (sentt. n. 379/1992 e n. 380/2003).
4. Stante il ruolo assolutamente centrale svolto in questi anni dal Csm, non può stupire che qualsiasi riforma relativa alla magistratura, sia stata essa prospettata a livello di revisione costituzionale oppure di legislazione ordinaria, abbia sempre in qualche misura coinvolto il Consiglio superiore.
Anche in questo caso supera certamente i limiti di questa introduzione il ripercorrere, seppure in maniera sommaria, le molte ipotesi di riforma, più o meno recenti.
Gli ultimi interventi normativi sono, almeno in parte, caratterizzati dalla volontà di superare la “degenerazione correntizia” all’interno del Csm, resasi evidente (per quanto certo già prima non sconosciuta) dal tristemente noto “caso Palamara”.
Le vicende ad esso connesse hanno portato all’attenzione generale un comportamento certamente deprecabile dei rapporti tra le correnti, con spartizione dei posti a vantaggio ora dell’una ora dell’altra e con implicazioni anche di personaggi politicamente attivi.
Certamente il caso Palamara ha prodotto un effetto molto grave per la credibilità della magistratura la quale, a differenza degli organi rappresentativi, fonda la propria legittimazione proprio sulla fiducia dei cittadini nella giustizia.
Mentre questi ultimi trovano la legittimazione del loro operato nel rapporto di rappresentanza che viene a determinarsi a seguito del voto dei cittadini e sono quindi politicamente responsabili nei loro confronti, il magistrato non è eletto e non trova quindi la propria legittimazione nella volontà popolare e non deve pertanto attenersi alla stessa, essendo al contrario subordinato solamente alla legge.
La legge, anche se non condivisa, si rispetta in quanto votata dalla maggioranza dei nostri rappresentanti, al contrario una sentenza, anche se non condivisa, la si rispetta a condizione che provenga da un soggetto autonomo, indipendente, imparziale e professionalmente preparato.
Per questo tutto ciò che va ad incidere sulla fiducia e credibilità dell’attività giurisdizionale determina un danno enorme alla giustizia, alla legittimazione dell’azione del giudice ed alla accettazione delle sue decisioni.
Il caso Palamara nella sua indubbia rilevanza deve portare a riflettere – e non sembra che sempre ciò accada – sul tema più generale dei rapporti tra l’attività ed il ruolo del Csm ed il mondo della politica, e sugli effetti derivanti di una possibile, eccessiva, “politicizzazione” del primo.
La presenza dei membri “laici” ha inteso, come noto, evitare la separatezza ed autoreferenzialità che avrebbe potuto caratterizzare un organo composto da soli magistrati, mentre il sistema elettorale dei membri “togati” ha comportato comunque una organizzazione per dare una rappresentatività – che non si pone in contrasto con la funzione di garanzia – al pluralismo presente nella magistratura.
L’aspetto più pericoloso ritengo sia rappresentato dalla vicinanza dei membri “togati” alla politica, se non addirittura alla maggioranza politica di turno. Questo infatti realizzerebbe una sorta di corto circuito per un organo la cui principale finalità è quella di garantire la indipendenza “esterna” della magistratura, vale a dire principalmente dall’indirizzo politico e dal governo in particolare.
Esperienze vicine come quella spagnola, la cui Costituzione – approvata nel 1978 – si è ispirata chiaramente alla nostra nel prevedere il Consejo general del poder judicial, mostrano come la politicizzazione dell’organo di c.d. autogoverno della magistratura determina un effetto disastroso sul ruolo del medesimo, non a caso collocato in Spagna dall’opinione pubblica e pure dagli specialisti ed addetti ai lavori tra le istituzioni di minor prestigio e considerazione fra quelle previste dalla Costituzione.