Quale dirigente? Le domande di un presidente a tre giudici
Intervista di Paolo Sordi a Enrico Contieri, Paolo Mariotti e Raffaella Marzocca
L’identikit d’un buon direttivo, l’importanza delle sue competenze, la soluzione dell’annosa questione della conferma quadriennale. Paolo Sordi, presidente del tribunale di Frosinone, ha posto questi e altri temi a Enrico Contieri, giudice a Torre Annunziata, Paolo Mariotti, gip a Spoleto, e Raffaella Marzocca, consigliere d’appello a Venezia, entrati tutti in magistratura nell’ultimo decennio.
Premesso che frequenza e modalità delle relazioni tra il dirigente dell’Ufficio e i magistrati che vi sono addetti sono necessariamente condizionate anche dalle diverse dimensioni dei singoli Uffici giudiziari, quali principali caratteristiche dovrebbe presentare secondo voi, in generale, il rapporto tra dirigente e magistrati dell’Ufficio?
Contieri A mio giudizio, il rapporto tra il dirigente e i magistrati dell’ufficio deve essere pienamente paritario, fondato cioè sull’idea che il dirigente è tale perché svolge funzioni non “superiori”, ma di organizzazione dell’ufficio e di coordinamento dell’attività dei magistrati che vi lavorano.
Il corretto assolvimento di tali compiti, che è funzionale a garantire alla collettività il migliore servizio possibile nelle – spesso per nulla ottimali – condizioni date, implica ovviamente un certo margine di discrezionalità decisionale; questa, tuttavia, non deve mai tramutarsi in un puro decisionismo verticistico, ma va intesa come assunzione, da parte del dirigente, della responsabilità di una scelta maturata all’esito di un confronto dialettico in condizioni di piena parità tra tutti i colleghi che, se certamente non può sfociare nell’assemblearismo, deve implicare un costante confronto e una piena apertura ad accogliere le proposte e le soluzioni provenienti da questi ultimi.
Purtroppo, questo modo di intendere i rapporti all’interno degli uffici giudiziari, pur se limpidamente scolpito nell’art. 107 Cost., appare sempre più insidiato anche nei tribunali, e non solo nelle procure, da una visione verticistica e gerarchica dei rapporti tra dirigente e magistrati dell’ufficio e da un’ottica efficientistica, burocratizzante e para-aziendalistica del servizio giustizia, entrambe particolarmente favorite dalle riforme degli ultimi anni e ancor più da quella imminente.
Il rischio sempre più concreto è il ritorno ad un assetto precostituzionale dei rapporti negli uffici giudiziari, all’idea di una magistratura “bassa”, che svolge funzioni giurisdizionali con approccio impiegatizio, e una “alta”, formata da una élite dirigenziale sempre più autoreferenziale, che intende il rapporto con i colleghi in termini di sovraordinazione gerarchica.
E questo tradisce lo spirito e la lettera della Costituzione repubblicana, mina la credibilità della magistratura nel suo complesso, insidia alle radici l’indipendenza interna e, in definitiva, non assicura adeguata ed incisiva tutela ai diritti delle persone, soprattutto di quelle meno tutelate, che è la funzione essenziale alla quale i magistrati sono chiamati e che, sola, li legittima in un sistema democratico.
Mariotti Alla necessità (possibilmente sostenuta da viva curiosità) che il dirigente conosca la distribuzione dei carichi di lavoro e le criticità che caratterizzano ciascuna sezione o ufficio, dovrebbe fare da contraltare la disponibilità del magistrato ad impostare il dialogo in modo chiaro, sottolineando i problemi del proprio ruolo evitando tuttavia di porvi particolare enfasi quando ciò non risulti giustificato.
Il dirigente è chiamato a fare scelte, a volte difficili; tali scelte inevitabilmente scontenteranno alcuni magistrati dell’ufficio e il solo modo per instaurare e mantenere un rapporto caratterizzato da reciproca stima è quello di agire nel solo, rigoroso, percepibile e superiore interesse dell’ufficio, scevro da condizionamenti dovuti a preferenze personali o legati a “logiche di gruppo”, fonti di malcontento e di relazioni umane ostili.
Collegandomi a quest’ultimo aspetto, mi sembra corretto evidenziare l’importanza della serenità nel rapporto tra i magistrati e in particolare con il dirigente dell’ufficio; trovarsi nella posizione di gestire continui conflitti con il dirigente dell’ufficio influisce negativamente sulla produttività e sull’organizzazione dell’ufficio, oltreché sulla salubrità dell’ambiente lavorativo. Credo che, nelle situazioni critiche, sia un preciso dovere di tutti, a livello umano, la ricerca di un sano compromesso.
Marzocca Ritengo in primo luogo che il dirigente debba farsi percepire da tutti i colleghi come primus inter pares. La sua autorevolezza per me è legata alla capacità di ascolto, di coinvolgimento dei magistrati dell’ufficio nelle questioni inerenti l’organizzazione ed il funzionamento del tribunale, nella disponibilità ad accettare suggerimenti e anche opinioni diverse dalle sue, salvo poi dover prendere una decisione equilibrata e sostenibile idonea a raggiungere l’obiettivo prefissato.
Il dirigente non deve ritenersi depositario di verità assolute ma capace di accogliere con umiltà i suggerimenti di tutti, fermo restando che dovrà poi assumere motivatamente la propria decisione, anche se ad alcuni non gradita, purché frutto di attenta ponderazione delle posizioni dei magistrati dell’ufficio in bilanciamento con le esigenze perseguite. Non vorrei mai sentire “si fa così perché lo ho deciso io” ma “si fa così perché è il modo che consente di raggiungere l’obiettivo contemperando le contrapposte necessità e con il minor sacrificio”.
Rispetto a quali aspetti organizzativi ritenete che debba essere principalmente assicurato il coinvolgimento dei magistrati addetti all’Ufficio e pensate che le forme di coinvolgimento attualmente previste siano adeguate?
Contieri Ovviamente, la necessità di un pieno coinvolgimento dei magistrati nelle decisioni inerenti alle problematiche dell’ufficio, sempre proficua, diventa cruciale negli aspetti organizzativi direttamente incidenti sull’attività giurisdizionale. Mi viene in mente, come esempio, anche perché di estrema attualità, l’organizzazione dell’Ufficio per il processo. Si tratta, come tutti sanno, di una struttura inedita e profondamente innovativa sia sotto il profilo ordinamentale, sia dal punto di vista funzionale; i compiti di queste nuove figure ibride, a cavallo tra l’attività amministrativa e quella giudiziaria, sono vari e molteplici, sì da poter essere adattati alle concrete esigenze dei singoli uffici e addirittura delle singole sezioni.
Si tratta, perciò, di una grossa sfida, che, per non risolversi in un fallimento, presuppone un’organizzazione razionale ed efficace dei compiti dei funzionari e delle concrete modalità di svolgimento del loro lavoro; e, soprattutto nella parte in cui questo si affiancherà a quello dei magistrati, il pieno e attivo coinvolgimento di questi ultimi nell’individuazione delle specifiche attività da affidare ai funzionari e nella designazione delle concrete modalità di svolgimento dei loro compiti diventa essenziale, perché, come sempre, soltanto scelte corali e condivise, e non calate acriticamente dall’alto, possono rivelarsi efficaci.
Mariotti Le forme di coinvolgimento previste attualmente possono essere considerate adeguate al raggiungimento dello scopo.
Non esistono regole capaci di imporre un clima di reciproco ascolto e collaborazione; è l’interpretazione delle regole che fa la differenza.
Così, se il dirigente attribuisce un valore meramente formale al momento in cui ci si riunisce per discutere le proposte di modifica tabellare, limitandosi a comunicare decisioni già prese, lo spazio per i contributi organizzativi dei singoli magistrati inevitabilmente assume valore prossimo all’irrilevanza.
Per scongiurare questa prospettiva, e al fine di valorizzare il contributo di ciascuno, sarebbe forse ipotizzabile prevedere che il dirigente, all’atto della convocazione della riunione, comunichi in modo sintetico ma sufficientemente dettagliato la soluzione organizzativa che intende proporre al fine di consentire al singolo magistrato di organizzare preventivamente le proprie idee e discutere con i colleghi per individuare soluzioni alternative, in ipotesi maggiormente vantaggiose per l’ufficio.
Marzocca Sicuramente deve essere assicurato un coinvolgimento per la formazione delle tabelle triennali, per le questioni inerenti le modalità di assegnazione dei procedimenti, per discutere delle migliori prassi nella gestione delle udienze, ad esempio in relazione a tempi e modi di verbalizzazioni particolarmente corpose o alla richiesta di produzioni documentali in udienza; ancora dovrebbe assicurarsi un coinvolgimento per gestire le situazioni di emergenza, come è stata la gestione dei procedimenti durante il periodo della pandemia, per discutere su orientamenti giurisprudenziali in materie in cui vi sia stata un’evoluzione normativa, giurisprudenziale o dottrinaria, per discutere di applicazioni o supplenze interne al fine di ottenere copertura transitoria di posti vacanti, per distribuire le nuove risorse, come gli UPP o l’ingresso di nuovi colleghi o personale amministrativo negli uffici.
Le forme di coinvolgimento attualmente previste mi sembrano adeguate, se effettivamente applicate e se utilizzate in modo continuativo e favorendo e stimolando la più ampia partecipazione.
A vostro avviso, un elevato grado di competenza del dirigente dell’Ufficio nell’ambito dell’attività giurisdizionale è funzionale ad un efficace svolgimento delle funzioni direttive?
Contieri Più che funzionale, direi che è essenziale. Presupposto essenziale per essere un buon dirigente è, oltre ad un elevato grado di competenza in materia ordinamentale, anche la piena consapevolezza dell’attività propriamente giurisdizionale, del tipo di decisioni e provvedimenti che vengono quotidianamente adottati nelle singole materie in cui la stessa si articola; la questione è, non a caso, collegata a quella di cui abbiamo appena parlato: soltanto un dirigente che conosce ancora il “mestiere” e continua a sentirsi innanzitutto un “magistrato” può assolvere correttamente al proprio ruolo.
A questo, ovviamente, deve affiancarsi una costante presenza in ufficio, poiché anche la conoscenza delle dinamiche quotidiane che si sviluppano al suo interno, delle concrete modalità di funzionamento e delle criticità del servizio è essenziale per poter assicurare il buon funzionamento del servizio.
E di questo, a mio avviso, dovrebbero tenere conto sia il legislatore, in chiave di riforma degli indicatori per il conferimento delle funzioni direttive e semi-direttive, sia, a legislazione data, il sistema del governo autonomo al momento della scelta tra più aspiranti.
Mariotti L’aver raggiunto un elevato livello di competenza nell’ambito dell’attività giurisdizionale si suppone favorisca un approccio consapevole da parte del dirigente.
Tuttavia, non si deve dimenticare che per organizzare un ufficio giudiziario è necessario possedere abilità e conoscenze non coincidenti con quelle che servono al magistrato per esercitare la funzione giurisdizionale.
Sarebbe illusorio pensare che ad un brillante curriculum del magistrato corrisponda un saggio esercizio della funzione organizzativa, trattandosi di attività sostanzialmente diversa.
A tal proposito, ricordo di essere stato ospite, per due settimane, in alcuni tribunali olandesi nell’ambito di un programma di scambio organizzato dall’EJTN; il modello di amministrazione e gestione di taluni servizi è molto diverso ed è felicemente caratterizzato da ibridazione.
La funzione direttiva è esercitata collegialmente da magistrati e manager pubblici; i rapporti con la stampa sono curati da giornalisti e magistrati; questi ultimi, nel periodo in cui lavorano nell’ufficio stampa, non svolgono attività giurisdizionale.
La fiducia dei cittadini olandesi nella magistratura è molto elevata.
Quel sistema giudiziario, tuttavia, presenta minori criticità organizzative: le risorse sono adeguate al raggiungimento degli obiettivi, la struttura del provvedimento giurisdizionale è semplificata, il processo meno formalizzato; quindi, un manager pubblico può approcciarsi al sistema giudiziario con poche barriere alla comprensione (così come il cittadino).
Nel nostro sistema, caratterizzato da notevole complessità, ritengo sia difficile pensare ad un “modello di amministrazione” che si discosti da quello attuale.
Marzocca L’elevato grado di competenza nell’ambito giurisdizionale è sicuramente un presupposto fondamentale per conoscere la realtà che si deve gestire e per organizzarla nel modo più efficiente ed efficace. Aver maturato una profonda conoscenza dell’esercizio della funzione giurisdizionale consente di comprendere le problematiche che si trovano ad affrontare i colleghi dell’ufficio, sia dal punto di vista delle materie trattate e del carico di lavoro, sia sotto il profilo relazionale nei rapporti tra colleghi e con il foro.
È evidente che quello della competenza in ambito giurisdizionale non può essere il parametro esclusivo, perché serve anche una capacità di gestire i rapporti interpersonali e di mediazione, un’attitudine a cogliere ed a valorizzare le potenzialità di ciascuno, un’apertura mentale per promuovere modalità di collaborazione anche con altri soggetti istituzionali, ad esempio università ed ordine degli avvocati, anche nell’ottica di sviluppo di buone prassi.
Di particolare importanza nel declinare l’esercizio della funzione direttiva è la capacità di comprendere e supportare i colleghi che versino in situazione di difficoltà, per costruire rapporti improntati sulla fiducia e sulla condivisione, con la consapevolezza che a fianco di ogni potere c’è una grande responsabilità.
Nel procedimento di conferma dei dirigenti degli uffici, dovrebbe essere raccolto anche il contributo dei magistrati addetti all’Ufficio? Se sì, con quali modalità?
Contieri Credo che il procedimento di conferma, così come attualmente regolato, sia profondamente insoddisfacente, non diversamente – d’altronde – dal sistema delle valutazioni di professionalità. Esso si fonda su elementi di conoscenza parziali e di natura essenzialmente formale ed è incentrato più sulla valutazione astratta di titoli e “numeri”, che sulla verifica delle concrete modalità con cui le funzioni sono state assolte; questo fa sì che il procedimento per lo più si risolva (così come, appunto, quello della valutazione di professionalità) in un passaggio sostanzialmente burocratico, dall’esito pressoché scontato, salvi casi eccezionali. E la prova inconfutabile di ciò è il fatto che rarissimi sono i casi di mancata conferma di un dirigente.
Un simile procedimento è dunque inadeguato a fungere da reale strumento di verifica dell’attività svolta, ed anzi rischia di essere addirittura controproducente, nella misura in cui diviene strumento di legittimazione di dirigenti inadeguati.
Credo, perciò, che raccogliere la valutazione dei magistrati dell’ufficio nella verifica dell’operato del semidirettivo e del direttivo, possa rappresentare uno strumento di acquisizione di nuovi e preziosi elementi di conoscenza che non potrebbe essere altrimenti acquisiti e che invece potrebbero rivelarsi fondamentali non soltanto nel procedimento di conferma, ma anche, ad esempio, in quello di nomina di aspiranti direttivi che abbiano in precedenza svolto funzioni semidirettive.
A tal fine, potrebbe pensarsi a dei questionari che, in modo anonimo, consentano ai magistrati dell’ufficio di esprimere il proprio parere in merito alla gestione dell’ufficio da parte del dirigente e ai diversi elementi di valutazione su cui si fonda il procedimento di conferma. Ovviamente, il parere non dovrà consistere nell’espressione di un semplice voto, ma in un’argomentata motivazione critica fondata su concreti elementi di fatto, che assicurino l’obiettività del giudizio.
Mariotti Non è assolutamente un quesito facile.
Istintivamente risponderei caldeggiando la valorizzazione del parere dei singoli magistrati per la conferma del dirigente.
Riflettendo in maniera più calma, osserverei che i provvedimenti organizzativi del presidente del tribunale sono oggetto di parere del Consiglio giudiziario e di approvazione del CSM, e che i magistrati possono partecipare a tale procedimento presentando osservazioni; l’esito di queste procedure costituisce una preziosa e adeguata base valutativa.
Inoltre, un eccessivo allargamento delle fonti di valutazione comporta rischi non irrilevanti; il furore valutativo, alla base di paventati interventi legislativi, in cui i magistrati sono allo stesso tempo tutti valutati e valutatori secondo una logica di iper-controllo, determinerebbe una verosimile distorsione dei comportamenti con finalità di preventiva difesa.
A tal proposito è giusto osservare che il sistema di valutazione condiziona le scelte del valutato; così, l’esigenza di ottenere il gradimento per la conferma potrebbe influenzare il modo di agire dei dirigenti.
Il punto è che al dirigente dell’ufficio dovrebbe essere garantita la forza e la tranquillità di prendere decisioni coraggiose, esponendosi al possibile malcontento di taluni colleghi; se tale opzione dovesse diventare eccessivamente gravosa, si rischierebbe l’adozione di decisioni incapaci di incidere concretamente sull’ufficio ovvero, in misura maggiore rispetto a quanto già avviene, lo scarico di oneri o responsabilità su chi mostra meno attitudini reattive.
Dunque, l’eventuale partecipazione dei magistrati al procedimento di conferma dovrebbe essere modulata con grande attenzione.
Le innegabili problematiche, sottese alla elaborazione di tale proposta, probabilmente derivano dal mancato pieno funzionamento degli strumenti di controllo e di valutazione già esistenti.
Forse è questo l’aspetto su cui su indirizzare una seria e approfondita riflessione».
Marzocca Credo che per la conferma dei dirigenti dovrebbe essere sicuramente acquisito il contributo dei magistrati addetti all’ufficio, perché così come un buon dirigente può ottenere buoni risultati, un cattivo dirigente può “distruggere” un ufficio, creare dissapori, lasciare spazio ad eccessivi personalismi, non essere un punto di riferimento o addirittura essere un ostacolo al buon funzionamento dell’ufficio o di una sezione.
Per la modalità potrebbero utilizzarsi delle schede da compilare online, come quelle di valutazione dei relatori dei corsi della SSM, in forma anonima ed i cui risultati pervenissero direttamente alle segreterie dei consigli giudiziari e della commissione competente del CSM. Gli aspetti da valutare potrebbero essere la capacità di coinvolgimento, di ascolto, di risoluzione dei problemi rappresentati e di organizzazione del lavoro in modo razionale e sostenibile.
In caso di segnalazioni negative con numeri percentuali significativi potrebbe essere disposta adeguata istruttoria da parte dei Consigli giudiziari. Io fino ad ora ho sempre avuto dirigenti capaci, sia direttivi che semidirettivi, ma non può darsi per scontato che ciò accada in tutti gli uffici».