LE TABELLE DEGLI UFFICI GIUDIZIARI – Quarta parte -Le tabelle della Corte di Cassazione e il benessere organizzativo
di Gianfranco Gilardi
Sommario: 1. Le tabelle della Corte di Cassazione. – 2. Le disposizioni sul “benessere organizzativo”.
1. Le tabelle della Corte di Cassazione
Come si è ricordato (supra, par. 3) a partire dalla circolare n. 6308/1987 le regole tabellari sono state gradualmente estese – non senza resistenze da parte dei “vertici” dell’Ufficio - anche alla Corte di cassazione, fatti salvi gli adattamenti imposti dalle peculiarità delle funzioni svolte dal giudice di legittimità.
Alla formazione delle tabelle della Corte di cassazione è dedicato l’intero Titolo III (artt. 220 -255) della circolare vigente, che contiene tra l’altro analitiche indicazioni in ordine all’Ufficio del Massimario e del ruolo, ai suoi compiti istituzionali ed alla relativa organizzazione[1].
Le direttive dettate per la Corte di cassazione sono conseguenti anche alle modifiche processuali introdotte dal decreto-legge n. 168/2016 sull’”efficientamento della giustizia”, convertito dalla legge n. 197/2016 e contengono alcune tra le principali novità della nuova circolare con la quale il CSM ha inteso delineare, nei limiti delle proprie competenze istituzionali, alcuni percorsi organizzativi idonei a far fronte al grave stato di crisi della Suprema Corte.
In particolare:
* negli artt. 221-222 si specifica che, ai fini della designazione dei presidenti titolari delle sezioni, dovrà tenersi conto della capacità organizzativa dei candidati valutata sulla base della pregressa attività e dei risultati ottenuti nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, della capacità professionale, desunta anche dalla qualità dei provvedimenti redatti e della dimostrata disponibilità alle esigenze dell’ufficio[2], e che nella proposta vanno indicati gli incarichi conferiti, nell'ambito di ciascuna sezione, ai Presidenti di sezione, nonché le modalità con cui essi collaborano con il Presidente titolare all’organizzazione della Sezione, anche al fine di evitare l’insorgere di contrasti inconsapevoli tra le decisioni e di determinare criteri omogenei ed efficaci con cui individuare i processi destinati alla pubblica udienza e quelli assoggettati al rito camerale.
* negli artt. 223 - 226 vengono regolate la ripartizione delle materie tra le diverse sezioni[3], quella degli affari relativi ad una stessa materia che sia attribuita a più sezioni, l’assegnazione alle c.d. “sezioni filtro”[4] e la proposta di organizzazione relativa al periodo feriale;
* negli artt. 229 - 232 sono contenute le disposizioni relative ai calendari di udienza, alla costituzione dei collegi ed all’assegnazione degli affari, tutte ispirate all’esigenza di rispetto di criteri oggettivi, predeterminati e verificabili[5] ed a quella dell’equilibrata assegnazione dei magistrati sia alla pubblica udienza sia alla camera di consiglio[6]. I procedimenti penali concernenti reati di criminalità organizzata debbono essere distribuiti tra le diverse sezioni e, nell’ambito della stessa sezione, tra i diversi collegi, secondo criteri predeterminati che garantiscano una periodica rotazione sia delle sezioni, sia dei presidenti e componenti dei singoli collegi della sezione.
* negli artt. 233-237 sono indicate le regole tabellari relative alla composizione delle sezioni unite civili e penali; ai criteri di assegnazione ad esse ed al numero massimo di permanenza di ciascun componente[7]; alla formazione dei collegi ed all’assegnazione degli affari; ai coordinatori delle sezioni unite;
* negli artt. 238-255 è analiticamente disciplinata la materia concernente l’Ufficio del Massimario e del ruolo, con l’indicazione dei relativi compiti istituzionali[8]; della composizione[9]; degli incarichi apicali e di collaborazione interna; dei criteri di assegnazione degli affari, che debbono in ogni caso assicurare la turnazione nello svolgimento dei compiti dell'ufficio; dei magistrati con compiti di assistente di studio[10]; dei criteri di valutazione per la loro scelta o per la destinazione d’ufficio; l’applicazione alle sezioni per lo svolgimento delle funzioni giurisdizionali di legittimità[11] e le disposizioni inerenti alla procedura relativa.
Le funzioni consultive tabellari svolte per i distretti di Corte d’appello dai Consigli giudiziari, sono devolute - per quanto concerne la Corte di cassazione - al Consiglio direttivo (le cui prime elezioni si tennero nella primavera del 2008), anteriormente alla cui istituzione sulla proposta organizzativa dell’Ufficio veniva acquisito il parere di un “Gruppo consultivo” istituito con decreto del Primo Presidente a seguito dell’assemblea generale della Corte del 23 aprile 1999.
Rispetto al “gruppo consultivo”, il nuovo organo si è posto, in qualche modo, in relazione di continuità; ma nello stesso tempo ne ha segnato anche la discontinuità in quanto alla legittimazione ufficiosa e quasi incerta del primo, si è contrapposta la legittimazione piena derivante dall’esplicito riconoscimento legislativo, con una immediata collocazione del consiglio direttivo nel solco dell’esperienza dei consigli giudiziari, cui il legislatore li ha accomunati anche nell’iter di riforma dell’ord. giud. che portò a modificarne composizione e competenze ed a limitarne, con la legge 111/2007, l’originaria configurazione di organo decentrato della giurisdizione.
Il Consiglio direttivo (che è nato tra l’altro nel segno dell’importante novità costituita dalla presenza al suo interno di “componenti” laici per l’esercizio di alcune competenze - ed anzi, per quanto riguarda il presidente del Consiglio nazionale forense, per tutte le competenze - e si è dotato di un proprio Regolamento, in attuazione dell’art. 3, 1° co. del d.lgs. 25/2006, come modificato dalla legge 111/2007) deve essere pertanto collocato a pieno titolo nel novero degli organi cui sono affidati compiti amministrativi strumentali all’esercizio della giurisdizione, la cui caratteristica essenziale non è solo quella del “bilanciamento” o del “controllo”, quanto insieme di concorrere, anche mediante l’esercizio di tali funzioni, alla realizzazione del governo autonomo responsabile, efficace, effettivo e trasparente.
I pareri per le valutazioni di professionalità dei magistrati ai sensi dell'articolo 11 del d.lg. 160/2006 e successive modificazioni e, soprattutto, quelli relativi alla tabella della Corte di cassazione[12], ai criteri per l'assegnazione degli affari ed alla sostituzione dei giudici assenti o impediti[13], costituiscono lo snodo attraverso il quale si è radicata la funzione del consiglio direttivo non solo come organo di garanzia rispetto al principio del giudice naturale, ma anche come interlocutore qualificato dal punto di vista della razionalità organizzativa dell’Ufficio, della funzionalità del servizio e del rilievo delle cause di eventuali carenze e disfunzioni; di talché il Consiglio direttivo si è posto quale fattore dinamico dei processi di autoorganizzazione e quale tramite per utilizzare al meglio le pur scarse risorse esistenti. La coesistenza, nell’attuale assetto normativo, di un duplicità di funzioni della Cassazione riconducibili, da un lato, alla garanzia di corretta applicazione del diritto all’interno nel singolo processo e, dall’altro, a quella di corretta applicazione del diritto obiettivo, costituisce la premessa per scelte conseguenziali sul piano organizzativo, indirizzando verso un’opera di selezione dei ricorsi e delle forme decisorie non limitata alla individuazione dei casi di inammissibilità e di manifesta fondatezza o infondatezza ma, più in generale, all’individuazione dei casi che (per quanto simili distinzioni presentino sempre margini di opinabilità) non si caratterizzano per profili di particolare novità e di quelli che, viceversa, richiedono maggiori approfondimenti e comportano scelte più impegnative sul piano interpretativo o perché relative ad aspetti mai prima esaminati, o per la necessità di prevenire o superare contrasti[14]: con effetti positivi, tra l’altro, quanto alla riduzione della forbice relativa alla durata media dei processi; alla realizzazione di “economie di scala” connesse al risparmio di inutili duplicazioni di lavoro e di incombenti; alla possibilità di svolgere in modo più efficace (con la decisione anticipata di ricorsi di carattere seriale, in relazione ai quali una sollecita risposta della Corte potrebbe agire da argine al loro moltiplicarsi) una funzione di orientamento destinata ad esplicarsi anche verso il futuro anziché limitarsi – come oggi continua troppo spesso ad accadere – ad una “nomofilachia rivolta solo al passato”.
L’obiettivo di coniugare maggiore celerità nella decisione e qualità della risposta, contrastando la tendenza a ricercarla unicamente sul piano dei numeri e dei tempi, o a spostarla direttamente sul terreno improprio dei “carichi massimi esigibili” (che pure esprime un problema reale, dovendosi riconoscere con onestà e chiarezza che esiste un limite fisiologico alla capacità della Corte di esaminare seriamente le questioni che le vengono sottoposte) deve essere affidato, in primo luogo, ad una più idoneo impiego delle risorse. In relazione a ciò, sottolineando come l’istituzione della “Struttura” per lo spoglio centralizzato dei ricorsi e la definizione di quelli indirizzati verso la procedura camerale per manifesta inammissibilità infondatezza o fondatezza, costituisse un’importante innovazione che aveva contribuito alla definizione di una significativa percentuale di ricorsi, all’elaborazione di proficui metodi di lavoro collegiale ed all’elaborazione di forme di motivazione semplici ed essenziali, nella prima edizione di quest’opera formulavamo l’auspicio che la “struttura” si trasformasse in un’articolazione organizzativa, opportunamente dotata sul piano dell’informatizzazione ed adeguatamente potenziata quanto a personale di supporto, idonea a procedere ad una "schedatura“ dei ricorsi sin dal momento del loro deposito, ad identificare le questioni seriali o comunque già risolte, ad individuare questioni (o filoni di questioni) per favorire la formazione di collegi secondo criteri di concentrazione ed incanalare i ricorsi - senza necessità di successive classificazioni - verso il relativo percorso decisorio.
Com’è noto (e per concludere su questo argomento), con l’art. 47 comma 1 lett. b) della legge n. 69/2009 il primo comma dell’art. 376 c.p.c. (“i ricorsi sono assegnati alle sezioni unite o alle sezioni semplici dal primo presidente”) è stato sostituito con la previsione secondo cui “il primo presidente, tranne quando ricorrano le condizioni previste dall’articolo 374, assegna i ricorsi ad apposita sezione [15], la quale verifica la sussistenza dei presupposti per la pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 375, primo comma, numeri 1) e 5)”. Se poi, “ad un sommario esame del ricorso, la suddetta sezione non ravvisa tali presupposti, il presidente, omessa ogni formalità, rimette gli atti alla sezione semplice” [16]. E’ peraltro da rilevare che, in base alle proposte per la riforma della giustizia richiamate alla nota 103, i riti camerali, attualmente disciplinati dagli articoli 380-bis (“Procedimento per la decisione in camera di consiglio sull’inammissibilità o sulla manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso”) e 380-bis.1 cpc (“Procedimento per la decisione in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice”), verrebbero unificati, con conseguente soppressione (non si sa quanto opportunamente) della sezione di cui all’articolo 376 cpc e concentrazione della relativa competenza dinanzi alle sezioni semplici.
2. Le disposizioni sul “benessere organizzativo”
Nel Titolo IV, artt. 256 -270 della circolare, vengono dettate le disposizioni relative al “benessere organizzativo” alla “tutela della genitorialità” ed alla tutela della salute, dando una sistemazione più organica a materie che prima erano disciplinate in modo sparso ed incompleto all’interno delle circolari relative all’organizzazione degli uffici[17].
Premesso che l'organizzazione dell'ufficio deve garantire “il benessere fisico, psicologico e sociale dei magistrati”; che a protezione del nucleo familiare le misure organizzative debbono tener conto “dello stato di gravidanza, maternità, paternità e malattia dei magistrati”; che esse debbono tutelare i magistrati genitori di prole con handicap o che comunque assistano un familiare con handicap nonché tutelare i magistrati che abbiano documentati motivi di salute tali da poter impedire lo svolgimento di alcune specifiche attività di ufficio, nella circolare è previsto che il dirigente dell'ufficio:
* debba attivarsi, oltre che per raggiungere obiettivi di efficacia e di produttività, anche per mantenere il benessere fisico e psicologico dei magistrati, attraverso la costruzione di ambienti e relazioni di lavoro che contribuiscano al miglioramento della qualità della loro vita professionale;
* valorizzi le competenze e gli apporti dei magistrati all'organizzazione, coinvolgendoli nelle scelte organizzative dell'ufficio incidenti sulla loro attività lavorativa e mettendo a disposizione le informazioni pertinenti il loro lavoro;
* si adoperi per mantenere un clima relazionale sereno, valorizzando le competenze e gli apporti dei magistrati all'organizzazione, coinvolgendoli nelle scelte organizzative dell'ufficio incidenti sulla loro attività lavorativa e nei progetti di innovazione, risolvendo la presenza di situazioni conflittuali con l’ausilio dei presidenti di sezione ed assicurando l'equa distribuzione dei carichi di lavoro;
* nell’organizzazione dell’ufficio tenga conto delle esigenze connesse a situazioni di gravidanza e maternità e, più in generale, della compatibilità del lavoro con le necessità personali, familiari ed i doveri di assistenza gravanti sui magistrati, con particolare riferimento alle condizioni di coloro che provvedano alla cura di figli minori, anche non in via esclusiva o prevalente e fino a sei anni di età degli stessi. Tali condizioni soggettive non devono costituire occasione di pregiudizio nel concreto atteggiarsi delle modalità di svolgimento della vita professionale.
Le diverse modalità organizzative (da adottare previo asciolto dei magistrati interessati) non potranno comportare una riduzione del lavoro, ed eventuali esoneri saranno compensati da attività maggiormente compatibili con la condizione del magistrato.
In assenza del consenso degli interessati, non può essere disposto il mutamento delle funzioni tabellari, né della sede di esercizio delle funzioni per i magistrati in maternità o che provvedano alla cura di figli minori, in via esclusiva o prevalente e fino a sei anni di età degli stessi.
I magistrati con prole di età inferiore a sei anni debbono essere esentati da ogni attività o incombenza ulteriore rispetto all’ordinaria attività giudiziaria, salva la disponibilità da essi manifestata.
Analoghe misure sono assunte anche a favore dei magistrati che abbiano documentati motivi di salute tali da impedire loro lo svolgimento di alcune attività di ufficio, nonché a favore dei magistrati genitori di prole con situazione di handicap accertata ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104.
Le previsioni per la tutela della genitorialità dei figli minori fino a sei anni possono essere derogate se il dirigente, con provvedimento che dia conto di esigenze non altrimenti garantite, rilevi motivatamente l’insostenibilità della misura organizzativa prevista per la piena tutela della genitorialità. In tali casi resta comunque salva la piena applicabilità delle menzionate previsioni a tutela della genitorialità di figli sino a tre anni.
Nell’organizzazione degli uffici si deve tener conto, altresì, delle esigenze del magistrato connesse alla assistenza dei prossimi congiunti affetti da gravi patologie, quando non vi siano altri familiari che possano provvedervi.
Nell'individuare le specifiche modalità con cui dare concreta attuazione alle disposizioni poste a tutela della genitorialità, i dirigenti si ispirano a criteri di flessibilità organizzativa; e negli artt.266 e 267 della circolare sono indicate esemplificativamente le modalità con cui dare concreta attuazione alla tutela della genitorialità nel settore civile ed in quello penale.
Nel periodo di congedo di maternità, paternità o parentale di cui agli articoli 16, 17, 28 e 32 del d.lgs. n. 151/2001, al magistrato non possono essere assegnati affari, anche di immediata e urgente trattazione, salvo che si provveda alla sua sostituzione[18].
Il periodo di astensione obbligatoria per congedo parentale e quello per congedo di paternità o parentale di durata superiore a tre mesi determinano la sospensione dei termini di permanenza massima nell'ufficio di appartenenza.
Qualora il settore di servizio in cui opera il magistrato non consenta una organizzazione compatibile con le esigenze di famiglia questi, a sua domanda, può essere assegnato, in via temporanea ed eventualmente anche in soprannumero rispetto alla pianta organica della sezione, ad altro settore nell'ambito del medesimo ufficio, mantenendo il diritto a rientrare nel settore di provenienza.
Le disposizioni relative alla tutela della genitorialità si applicano anche a favore dei magistrati che abbiano documentati motivi di salute tali da impedire loro lo svolgimento di alcune attività di ufficio, nonché a favore dei magistrati genitori di prole con handicap o che comunque assistano un familiare con handicap, accertato ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104.
In caso di gravi patologie del magistrato o dei suoi figli, e di conseguente riconoscimento di eventuali esoneri, l’assegnazione di attività compensative potrà essere differita, entro il termine massimo di sei mesi, al fine di renderla effettivamente compatibile con le condizioni di salute del magistrato o con la sua situazione familiare rilevante nei termini di cui sopra.
[1] Dal 1941 il numero di magistrati addetti all’Ufficio del Massimario e del Ruolo è progressivamente aumentato. Con il d.l. n. 69 del 2013 convertito in legge n. 98 del 2013, l’Ufficio è stato interessato da un incisivo incremento di organico (da 37 a 67 unità) perché in esso è stata inserita la nuova figura degli “assistenti di studio” che, inquadrati presso l’Ufficio del Massimario, svolgono funzioni di assistenza presso le sezioni della Corte, collaborando alla formazione dei ruoli d’udienza, alla redazione di progetti di provvedimenti su singoli ricorsi e di relazioni sugli orientamenti della giurisprudenza, nonché all’attività di “spoglio” e formazione dei ruoli di udienza. Ancora più recentemente, il d.l. n. 168 del 2016, convertito in legge n. 197 del 2016, oltre a prevedere rilevanti modifiche del rito civile in cassazione ed a rivedere i tirocini formativi presso la Corte e la Procura generale, ha aggiunto all’art. 15, r.d. n. 12 del 1941 altri due commi, riguardanti l’applicazione dei magistrati del Massimario ai collegi per lo svolgimento delle funzioni giurisdizionali di legittimità.
Con l’art. 6 del disegno di legge “Bonafede” l’organico dell’Ufficio del Massimario verrebbe notevolmente ridimensionato, dal momento che a fronte dell’ampliamento del numero della pianta organica della Suprema Corte, non è più necessario attingere dal bacino dell’Ufficio del Massimario per comporre i collegi giudicanti.
[2] A parità di valutazione, prevale l’aspirante più anziano nell’ufficio quale Presidente di Sezione.
[3] Specificando tra l’altro la sezione incaricata della trattazione dei ricorsi di cui all’articolo 5 ter, comma 5, della legge n. 89/2001 (“Legge Pinto”).
[4] Si tratta della sezione prevista dall’articolo 376, comma 1, c.p.c. (sesta sezione civile) e di quella incaricata della trattazione dei ricorsi di cui all’articolo 610, comma 1, c.p.p. (settima sezione penale).
[5] A detti criteri è possibile esclusivamente per motivate esigenze di servizio, tra le quali può eccezionalmente ricorrere quella derivante dalla necessità di risolvere particolari questioni di diritto, che induca a tenere conto della specifica esperienza professionale di determinati magistrati, la quale deve essere espressamente indicata. Peraltro i criteri di assegnazione degli affari prevedono meccanismi di attribuzione a un unico collegio dei ricorsi relativi ai provvedimenti emessi nel medesimo processo.
[6] All’interno di ciascuna sezione possono essere individuate aree omogenee di competenza specifica, per le quali ciascun relatore può fornire indicazione di preferenza da utilizzare nel periodo di vigenza della tabella. Nel caso in cui siano individuate aree omogenee di competenza, debbono essere altresì previsti congrui limiti temporali alla permanenza dello stesso consigliere nella medesima area omogenea. Va escluso che la medesima materia possa essere trattata, in via esclusiva, da un unico consigliere
[7] La permanenza non può superare gli otto anni, anche non continuativi.
[8] L’attività dell’Ufficio del Massimario e del ruolo si articola, esemplificativamente, nelle seguenti forme: a) massimazione delle decisioni civili e penali; b) segnalazione dei contrasti; relazioni preliminari per le sezioni unite; c) attività attinenti al ruolo; d) relazioni informative sullo stato della dottrina e della giurisprudenza per specifici temi; e) attività di assistenza di studio alle sezioni della Corte di cassazione; f) applicazione alle sezioni della Corte per lo svolgimento di funzioni giurisdizionali di legittimità.
La massimazione, la segnalazione dei contrasti e le relazioni per le Sezioni Unite, l’attività di assistenza di studio alle sezioni civili della Corte di cassazione sino alla scadenza del termine quinquennale di cui al comma secondo dell’articolo 74 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito in legge 9 agosto 2013 n. 98 e l’applicazione alle sezioni della Corte per lo svolgimento di funzioni giurisdizionali costituiscono attività prioritaria dei magistrati addetti al Massimario.
Ogni altra attività cui possono essere addetti i magistrati dell’ufficio del Massimario è comunque diretta a favorire la funzione nomofilattica della Corte di cassazione attraverso lo studio e l’analisi della giurisprudenza di legittimità (art. 238 della circolare).
[9] La tabella organica del Massimario comprende, oltre ai componenti previsti per legge, un Direttore, due Vicedirettori, uno per il settore penale e uno per il settore civile, e due Coordinatori, egualmente destinati uno al settore penale e uno al settore civile.
L’incarico di Direttore e di Vice Direttore ha durata pari a tre anni, tendenzialmente coincidenti con la durata della tabella, ed è rinnovabile per una sola volta per ulteriori tre anni. Nel caso in cui lo stesso magistrato è nominato Vicedirettore e poi Direttore, la durata complessiva dei relativi incarichi non può essere superiore a sei anni, fermo restando che la nomina a Direttore ha durata di tre anni, anche se ciò comporta una durata complessiva superiore a quella dell’indicato termine.
L’incarico di coordinatore ha la durata di un anno, rinnovabile alla scadenza per due volte sino a un massimo di tre anni.
Dal 1941 il numero di magistrati addetti all’Ufficio del Massimario e del Ruolo è progressivamente aumentato e da ultimo, con il d.l. n. 69 del 2013 convertito in legge n. 98 del 2013, è stato portato a 67 unità, essendovi stata inseriti magistrati che, inquadrati presso l’Ufficio del Massimario, svolgono le menzionate funzioni di assistenza presso le sezioni della Corte e possono essere applicati ai collegi per lo svolgimento delle funzioni giurisdizionali. Con il ddl “Bonafede” di riforma dell’ordinamento giudiziario (cfr., infra, il par. 13), a fronte dell’ampliamento del numero della pianta organica della Suprema Corte, si propone di ridurre a 37 il numero dei magistrati facenti parte della pianta organica dell’Ufficio in questione.
[10] In caso di applicazione alle sezioni della Corte per lo svolgimento delle funzioni giurisdizionali di legittimità, il magistrato con compiti di assistente di studio, accanto alle funzioni dell’Ufficio del Massimario di cui all’articolo 238, comma 2, lettere da a) ad e) della circolare, può svolgere l’attività di spoglio funzionale alla formazione dei ruoli di udienza.
L’incarico di magistrato con compiti di assistente di studio ha di regola durata annuale, salva motivata esigenza di deroga prospettata dai Presidenti di sezione e disposta dal Primo Presidente sentito il Direttore del Massimario.
Il magistrato, il cui incarico di assistente di studio è scaduto, è destinato a svolgere le ulteriori funzioni dell’Ufficio del Massimario, tenendo conto delle attitudini e delle competenze acquisite.
[11] L’assegnazione alle sezioni della Corte per lo svolgimento delle funzioni giurisdizionali di legittimità ha durata annuale. In ogni caso, non può essere superiore a tre anni.
Il magistrato, cessata l’assegnazione alle sezioni, è destinato a svolgere le ulteriori funzioni dell’Ufficio del Massimario.
[12] Di cui all'articolo 7-bis, 3° co. r.d. 12/1941 e successive modificazioni.
[13] Di cui all'articolo 7-ter, 1° e 2° co. R.d. 1271941 e succ. mod.
[14] In base alle proposte per la riforma della giustizia civile elaborate dalla Commissione ministeriale nominata dalla Ministra Marta Cartabia in forma di emendamenti al ddl ddl 1662/S/XVIII (“Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie”: d’ora in avanti, ddl “Bonafede) presentato al Senato il 9 gennaio 2020, verrebbe introdotta per il giudice di merito - quando deve decidere una questione di diritto su cui ha preventivamente provocato il contraddittorio tra le parti - la possibilità di sottoporre direttamente la questione alla Corte di cassazione per la risoluzione del quesito, sempre che la questione sia esclusivamente di diritto, nuova, non ancora affrontata dalla Corte di cassazione e di particolare importanza; presenti gravi difficoltà interpretative; sia suscettibile di porsi in numerose controversie. Ricevuta l’ordinanza di rimessione (da cui consegue la sospensione del giudizio di merito), il primo presidente, entro i novanta giorni successivi, potrebbe dichiarare inammissibile la richiesta qualora risultassero insussistenti i relativi presupposti, mentre nel caso in cui non provvedesse dichiarare la inammissibilità, assegnerebbe la questione alle sezioni unite o alla sezione semplice tabellarmente competente. La Corte di cassazione, in esito ad un procedimento da svolgersi mediante pubblica udienza, deciderebbe enunciando il principio di diritto con un provvedimento vincolante (solo) nel procedimento nel cui ambito è stata rimessa la questione e destinato a conserverà tale effetto, in caso di estinzione del processo, anche nel nuovo giudizio eventualmente instaurato con la riproposizione della domanda.
Si tratterebbe di una innovazione indubbiamente significativa, teoricamente sucettibile di coinvolgere anche il giudice di merito nell’opera di costruzione della nomofilachia, entrando a far parte dell’insieme degli strumenti - tra cui quello relativo al principio di diritto nell’interesse della legge di cui all’art. 363 cpc.- che in vario modo convergono in questa direzione. Ma essa si presta, nel contempo, ad alcune critiche già manifestate in dottrina, a partire da quella che l’innovazione - anziché contribuire al recupero di efficienza e funzionalità del processo - potrebbe avere effetti deresponsabilizzanti per il giudice remittente e produrre il rischio di ingolfare ulteriormente la Corte, che deve assolvere non solo alla funzione di nomofilachia ma anche a quella attinente alla tutela dello ius litigatoris e che è già gravata da carichi enormi a ridurre i quali sono mirate nel complessivo disegno riformatore anche le coeve proposte di riforma relative alla giustizia tributaria.
[15] Si tratta, nell’organizzazione attuale della Corte, della Sesta sezione.
[16] Quest’ultima parte è stata inserita con l’art. 1-bis, comma 1, lett. b), del d.l. n. 168/2016 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 197/2016. In precedenza l’art. 376 recitava: “Se la sezione non definisce il giudizio, gli atti sono rimessi al primo presidente, che procede all'assegnazione alle sezioni semplici".
[17] Le norme di principio dirette a garantire il benessere fisico, psicologico e sociale dei magistrati sono state introdotte per la prima volta con la circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari per il triennio 2017/2019, approvata dal Csm il 25 gennaio 2017
[18] L’ingiustificata violazione del divieto di assegnazione di affari nei periodi di cui agli articoli 16, 17 e 28 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 è valutato ai fini della conferma del dirigente o del conferimento di ulteriori incarichi.