Il metodo elettorale del sorteggio. Appunti sul ruolo storico del sorteggio nella selezione dei titolari di poteri pubblici*.
di Salvo Spagano
Sommario: 1. Il sorteggio nel potere - 2. Il sorteggio ad Atene - 3. Scrutinio e Tratta: due esempi tra Medioevo e Rinascimento - 4. In luogo di una conclusione
1. Il sorteggio nel potere
Il primo esempio noto di sorteggio quale strumento impiegato all’interno di meccanismi funzionali alle procedure di organizzazione del potere pubblico risale, come ben noto, all’antica Atene. Tuttavia non abbiamo evidenze, che non siano ambigue, del tempo e delle circostanze in cui il fenomeno prese avvio ([1]). Di certo, nelle parole di Lyttkens, il sorteggio “ebbe profonde e permanenti conseguenze per la società atenese, e ciò per effetto della mutata visione del mondo che ne derivò ai cittadini” ([2]). Secondo tale impostazione, ciascun cittadino deve poter essere considerato astrattamente idoneo a svolgere funzioni che l’autorità pubblica riservi per sé. A fronte di questa declinazione, dal tratto inclusivo ed egalitario, l’utilizzo del caso nella individuazione della persona fisica cui deputare lo svolgimento di poteri d’autorità è in grado di conseguire fini diversi, forse non ancora adeguatamente evidenziati ([3]). In particolare, ciò che intendono mostrare queste brevi note, il caso ha storicamente provato d’essere idoneo al contrasto all’insorgere e al consolidarsi di poteri individuali e di legami interindividuali che, ove duraturi, potrebbero mettere a repentaglio il conseguimento di quei fini per i quali il potere a quegli individui era stato tributato. Così inteso, l’utilizzo del caso nella selezione del decisore, e quale che sia l’ampiezza della discrezionalità che gli si tributi, è uno strumento tutt’affatto neutrale, e ciò con buona pace di un dibattito corrente poco avvertito, che lo riduce ad una panacea livellatrice e ri-vendicativa di torti, veri o presunti, patiti per mano di qualsivoglia autorità.
2. Il sorteggio ad Atene
L’esempio più antico a noi pervenuto con certezza di utilizzo del sorteggio in funzione di contrasto alla concentrazione di potere consiste nella complessa riforma posta in essere da Clistene, che fu continuatore dell’opera di Solone. Nella testimonianza di Aristotele ([4]), egli ridisegnò i confini interni del territorio ateniese suddividendolo in trenta porzioni dette Trittie. Dieci di queste appartenevano al territorio costiero, dieci a quello della città in senso stretto, e dieci al territorio intermedio. All’interno di ciascuna Trittia, i legami familiari assicuravano un elevato grado compattezza. Appartenendo poi alla stessa regione, i tre gruppi di Trittie (costiero, cittadino ed intermedio) erano anche altamente omogenei tra loro. La prevedibile conseguenza era che ciascuno di questi tre gruppi si consolidasse, a difesa dei propri interessi, facendo fronte comune in contrapposizione agli altri due. Ci si trovava quindi nella situazione astrattamente descritta nel precedente paragrafo, secondo cui il consolidamento di legami interindividuali può determinare una contrapposizione che si risolve nella difficoltà concreta di produrre un vantaggio comune per un numero sufficientemente ampio di destinatari. L’idea di Clistene fu allora quella di riaggregare le Trittie in dieci unità amministrative maggiori, dette Tribù. Ciascuna Tribù era composta da tre Trittie, selezionate però in modo che una provenisse dalla regione costiera, una da quella cittadina e una da quella intermedia, affidando al sorteggio la concreta individuazione delle tre Trittie che componessero ciascuna tribù. Ne risultava una composizione disomogenea della popolazione interna a ciascuna tribù.
Tra il 508 e il 507 a.C., inoltre, Clistene aveva riformato la Boule, organo titolare dell’iniziativa legislativa e delle relazioni di Atene con le potenze straniere. Ebbene, i cinquecento buleuti venivano a loro volta scelti a sorte. A supporto del fatto che anche in tal caso il sorteggio fosse finalizzato a scongiurare la concentrazione di potere, è possibile addurre una prova indiretta. Vigeva infatti, a fianco del sorteggio, anche la rotazione delle cariche ([5]): nessuna di esse poteva essere detenuta più di una volta dallo stesso individuo. Lo scopo della rotazione era certamente, come accadeva nel caso del sorteggio, quello di consentire a ciascun cittadino di potere accedere a tutte le diverse cariche di governo. Ma, come quello, scoraggiava anche il fossilizzarsi di relazioni di potere: chi occupava una qualunque carica non avrebbe potuto credibilmente impegnarsi con terzi per atti da assumere in futuro, giacché mai più avrebbe potuto detenere quella carica. Il suo potere individuale ne veniva conseguente assai compresso. L’unica eccezione ammessa era quella relativa alla partecipazione alla Boule, in considerazione del numero limitato di cittadini “eleggibili”: se si fosse tenuto conto anche della rotazione si sarebbe infatti corso il rischio di non poter coprire stabilmente tutti i seggi.
Sorteggio e rotazione insieme, dunque, consentivano a tutti i cittadini accesso alle funzioni pubbliche. Al contempo, specie nel loro uso congiunto, assicuravano però anche un più indiretto beneficio, rappresentando essi ostacolo al costituirsi e al rafforzarsi di un troppo penetrante potere individuale, e all’instaurarsi di fazioni che avrebbero consumato, nella lotta per il potere, gran parte della forza che andava invece impiegata nel servizio alla collettività.
3. Scrutinio e Tratta: due esempi tra Medioevo e Rinascimento
Il sorteggio ebbe un momento di discreta diffusione in Italia a partire dall’età comunale. I principali esempi del fenomeno furono il Brevia e lo Scrutinio e tratta. Il primo appare diffuso nel Nord del Paese tra il dodicesimo e il tredicesimo secolo e, nelle forme che furono proprie di Venezia, se ne conserva traccia fino addirittura all’inizio del diciannovesimo secolo. Lo Scrutinio e tratta ebbe invece origine a Firenze agli inizi del quattordicesimo secolo e sopravvisse fino alla metà del quindicesimo.
È possibile mostrare come il sorteggio presente nello Scrutinio fosse consapevolmente stato introdotto allo scopo di superare le contrapposizioni tra fazioni politiche già costituite. Alla morte del duca di Lucca, che nel 1328 aveva restituito ai fiorentini il diritto di scegliersi il proprio governo, si pose il problema di quali strumenti adottare per l’esercizio di tale ritrovata autonomia. Nella discussione che ne seguì emerse con chiarezza l’obiettivo da perseguire:
"Dappoich’è Fiorentini ebbono novelle della morte del duca, ebbono più consigli e ragionamenti e avvisi, come dovessono riformare la città di reggimento e signoria per modo comune, acciocché si levassono le sette tra’ cittadini" ([6])
Pochi mesi dopo, Firenze adottò lo Scrutinio e tratta. Il meccanismo era essenzialmente composto dalla compresenza di un momento elettorale e di uno casuale: gli aventi diritto sceglievano per voto un certo numero di individui che ritenevano idonei a ricoprire una data carica e poi, tra i nomi così individuati, si procedeva per sorteggio all’estrazione di chi concretamente avrebbe ricoperto l’ufficio. Se, per volontà del caso, una famiglia si fosse trovata avvantaggiata perché così deciso dalla sorte, aveva sì occasionalmente il potere di prevalere su altre, ma correva il rischio che la situazione le si rivoltasse conto in un futuro non lontano. Anche questi occasionali vantaggi consigliavano dunque prudenza e obbligavano al dialogo con le altre fazioni politiche, giacché la misura del proprio relativo potere non era il frutto di battaglie o cospirazioni ben condotte, ma squisitamente dono della dea bendata. È interessante notare come tale schema impedisse che i parenti di chi fosse stato sorteggiato per reggere un ufficio potessero essere sorteggiati per reggere in futuro il medesimo. Appare così confermato, nello Scrutinio e tratta, lo stesso schema esposto a proposito di Atene antica: si ricorre al caso laddove si ritenga che la permanenza protratta sine die in un ufficio pubblico, o il contrapporsi tra fazioni che si contendano il potere, conducano ad un detrimento dell’interesse pubblico non altrimenti compensato. A nulla rileva, in tal caso, che l’origine del fazionalismo della Grecia antica fosse prevalente territoriale, mentre fosse a carattere più familistico quello fiorentino.
Lo strumento del Brevia fu introdotto a Parma nel 1233, esplicitamente rivolto ad evitare contentiones:
Capitulum ad evitandum quod aliquis qui non sit de consilio generali debeat stare ad sortes recipiendas, et ad evitandum contentiones super hoc ([7])
In maniera speculare allo Scrutinio, il Brevia prevedeva dapprima un sorteggio generale fra gli aventi diritto a ricoprire la carica. Solo successivamente, tra i sorteggiati venivano eletti coloro i quali avrebbero poi ricoperto le cariche in questione. Si noti come il metodo del sorteggio, in entrambi i casi, non risultava affatto alternativo a quello elettorale. Al contrario, le procedure mescolavano il momento elettorale con quello casuale in modo da pervenire a decisioni sostanzialmente intenzionali, in cui il sorteggio interveniva come temperamento affinché l’intenzionalità non travalicasse il confine oltre il quale troppo si sminuisse l’interesse della collettività.
4. In luogo di una conclusione
Si è provato a mostrare come l’utilizzo storico del sorteggio nella selezione dei titolari di cariche pubbliche sia stato funzionale all’allargamento a tutti i cittadini di tale possibilità, come anche a impedire il formarsi di rendite di potere. Dal punto di vista della teoria economica delle istituzioni, questo secondo fine si risolve nella introduzione di elevati costi di transazione nel contratto politico tra governanti, e tra governanti e governati. Rendere impervio l’accordo tra il singolo e (una parte de) i suoi elettori da una parte, e quello tra i decisori dall’altro, riduce la rendita di pochi soggetti accrescendo, a parità di condizioni, il beneficio che alla collettività può derivare dall’azione pubblica.
A fronte di tali benefici teorici, una populistica e recente vulgata suggerisce di soppiantare il metodo elettivo con uno che in qualche modo affidi al caso la selezione dei titolari di uffici destinatari di pubblici poteri, in una generale tensione verso l’appiattimento delle differenze e delle competenze. Poco conta che si tratti di parlamentari, ministri o componenti del Consiglio Superiore della Magistratura, o che la scelta vada fatta nella popolazione generale ovvero entro un set di competenti. Si tratta, ad avviso di chi scrive, di uno dei numerosi sintomi dell’attuale anelito alla disintermediazione che trova ispirazione, complice la (illusoria) diffusione di conoscenze a mezzo tecnologico, in una generalizzata sfiducia, ed ignoranza, delle funzioni pubbliche. Mentre è indiscusso ed indiscutibile il diritto a dubitare dei propri governanti e dei meccanismi che li selezionano, è illegittima l’operazione di piegare alle proprie opinioni le evidenze storiche. L’utilizzo del caso non pare mai aver soppiantato il momento teleologico, l’intenzionalità della scelta, ma semmai esservi stato solamente giustapposto, e per motivi specifici che nulla hanno a che vedere con finalità rivendicazionistiche. Si è trattato, come ho provato ad appuntare in queste note, di due motivi fondamentali. Il primo è consistito nella asserita opportunità di impedire al medesimo individuo, o a suoi familiari o sodali, di permanere troppo a lungo in una posizione di potere, tanto almeno da potervi trarre con regolarità e facilità rendite che non gli pertengono. Il secondo, più ricorrente, è stato quello di contrastare l’irrigidimento dei decisori in fazioni contrapposte, cosa che si è ritenuta neutralizzasse, o almeno inibisse, il perseguimento dell’interesse della generalità.
Laddove si rinvengano necessità di tal fatta nel discorso pubblico contemporaneo, la storia offre allora precedenti, esempi e strumenti che possono anche trovare un qualche spazio di inveramento, ferma la siderale distanza tra le strutture sociali, giuridiche, economiche e tecnologiche di allora e di oggi. Laddove tali specifiche urgenze non si ravvisino, invece, o se fini diversi volessero essere perseguiti, va allora ribadita l’illegittimità storica del richiamo a forme democratiche del passato che mai furono come talora si pretende.
* estratto da Migliorare il csm nella cornice costituzionale a cura di Beatrice Bernabei e Paola Filippi
([1]) Sulle origini non politiche del sorteggio si veda Dowlen (2017), pagg. 31 ss.
([2]) […] had profound long-term consequences for Athenian society by changing the citizens’ view of the world (Lyttkens 2013, pag. 93), mia traduzione.
([3]) Per una rassegna storica dei vari impieghi del caso nella selezione dei decisori pubblici si veda Delannoi and Dowlen (2016).
([4]) Aristotele (1986), pag. 164.
([5]) Engelsted (1989), pag. 24, mette in guardia sul rischio di sovrapporre, e dunque confondere, i due strumenti.
([6]) Villani (1845), III, p.103.
([7]) Statuta Communis Parmae (1855), II, p. 39. A tal proposito Wolfson (1899), p. 12, mostra come il sorteggio fosse inteso anche a ridurre corruzione e violenza.