Sommario [1]: 1. L’impatto sistematico - 2. La triade valoriale sulla quale si fonda questa decisione - 3. Riflessioni conclusive.
1. L’impatto sistematico
La Corte costituzionale con la decisione n. 33 del 2025 interviene ancora una volta[2] sulla disciplina delle adozioni per dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 29-bis della legge 4 maggio 1983, n. 184, nella parte in cui, facendo rinvio all’art. 6, non include le persone singole residenti in Italia tra coloro che possono presentare dichiarazione di disponibilità ad adottare un minore straniero residente all’estero e chiedere al tribunale per i minorenni del distretto in cui hanno la residenza che lo stesso dichiari la loro idoneità all’adozione. La questione di costituzionalità dell’art. 29-bis l. adoz. era stata sollevata dal Tribunale dei minorenni di Firenze con ordinanza del 20 maggio 2024[3].
La lettura della decisione che, come dirò nelle pagine seguenti, si caratterizza per una coerenza sistematica e per una composizione mirabile dei vari interessi in gioco, suscita nell’interprete sensazioni duplici. Da un lato è innegabile il plauso verso un’apertura dell’adozione alle persone singole da tempo attesa. Le aperture previste nella normativa europea[4] e internazionale[5] non avevano finora trovato riscontro nella legge italiana sull’adozione, sebbene auspicate da tempo da parte della dottrina[6] e dalla stessa giurisprudenza costituzionale[7]. Dall’altro, tuttavia, aumenta il senso di smarrimento dell’interprete e insorgono vari e tanti dubbi, tra i quali, quello della futura estensione degli effetti anche con riferimento all’adozione nazionale e alle coppie di fatto[8]. Emerge così con forza la necessità, ormai non più procrastinabile, di una revisione generale del sistema delle adozioni, da tempo auspicata e incentivata dalle recenti pronunce della Corte costituzionale[9] che hanno innovato e al contempo accorciato le distanze tra adozione piena e adozione in casi particolari. In questa sede non è possibile affrontare questo grande tema. Mi concentrerò su un altro quesito che la lettura di questa decisione solleva. Quali sono gli scenari futuri e quale impatto produrrà questa apertura nel quadro generale dei modelli di genitorialità diversi dalla genitorialità di sangue? Occorre a mio parere rispondere al quesito se l’apertura dell’adozione alle persone singole sia foriera di ulteriori aperture anche con riferimento ad altri modelli di genitorialità, quale per esempio, quella derivante da PMA, ovvero sia da ritenersi circoscritta al modello adottivo, quale modello di genitorialità connotato dal principio di solidarietà verso un minore abbandonato o comunque vulnerabile (mi riferisco in quest’ultimo caso alle ipotesi previste dall’art. 44 l. adoz. del modello dell’adozione in casi particolari). In parole povere occorre decidere se assegnare a questa importante decisione una portata circoscritta al settore delle adozioni oppure una portata sistematica più ampia volta a ricomprendere i nuovi e tanti modelli di genitorialità, correlati ai nuovi e tanti modelli familiari[10]. La tentazione di estenderne l’impatto è evidente dato che, sia nel modello genitoriale adottivo che in quello derivante da PMA, è interessato il principio di autodeterminazione, enucleato nel diritto alla vita privata dell’art. 8 della Cedu, e in quanto in entrambi i casi si tratta di stabilire quali sono i requisiti di accesso alla genitorialità. Deve dirsi che la commistione tra i due modelli di genitorialità è stato reso agevole da un percorso giurisprudenziale che, in mancanza di una disciplina ad hoc per la genitorialità di intenzione, ha fatto ricorso all’adozione, sia pure nel tipo dell’adozione in casi particolari, portando ad una inevitabile commistione tra le ragioni dell’uno e dell’altro modello[11]. È innegabile che se si fosse tentati da quest’ultima prospettiva forse verrebbe in gioco non solo il diritto alla vita privata, ma anche il diritto alla vita familiare, sia pure nella sua variante genitoriale[12], in quanto si avrebbe il riconoscimento di un ulteriore modello familiare, quello monoparentale. Occorrerebbe in tal caso chiedersi se la nozione di genitorialità sia mutata e non richieda più come in passato la presenza di due genitori di sesso diverso, ma unicamente la presenza di un focolare domestico e familiare, qualunque sia la sua composizione, che possa assicurare al bambino cura, protezione e affetto.
La necessità di rispondere a questo quesito si pone con urgenza anche considerando che a breve la Corte costituzionale sarà chiamata a pronunciarsi proprio sulla legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge n. 40 del 2004 nella parte in cui esclude l’accesso alla PMA alla donna single[13].
Al tentativo di rispondere a questo quesito sono dedicate le pagine che seguono. Prima di tentare, ritengo preliminare dar conto delle rationes fondanti di questa questa bella e rivoluzionaria decisione che ha il merito, oltre che di aver superato il varco dei requisiti soggettivi contenuto nell’art. 6 l. adoz., di contribuire all’avanzamento del diritto della famiglia e delle persone. Saranno proprio le ragioni della decisione che mi supporteranno nel tentativo di rispondere al quesito che ho posto.
2. La triade valoriale sulla quale si fonda questa decisione
Volendo sintetizzare le ragioni che hanno portato la Corte costituzionale a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 29-bis l. adoz., come è indicato anche nel titolo di questa nota, si tratta di una triade valoriale composta da tre principi che tutti sono posti a fondamento della decisione e che dialogano tra loro: a) il principio di autodeterminazione; b) il principio di solidarietà e c) il principio del best interest of the child.
Come già accennato, si tratta di principi che non sono monadi isolate, ma dialogano l’uno con l’altro.
a) Il principio di autodeterminazione, espressione del diritto alla vita privata ai sensi dell’art. 8 Cedu, viene evocato dalla Corte quale libertà correlata ai principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3 e 31 Cost. ed esso è il fondamento della scelta di diventare genitori, che non deve essere arbitraria e non si traduce mai in diritto alla genitorialità, diritto che la stessa Corte non ha mai riconosciuto esistente[14]. Il principio di autodeterminazione sottende diversi interessi tra i quali l’interesse del minore e, in questo caso, il principio di solidarietà. Si afferma infatti in motivazione che “se dunque la scelta di diventare genitori rientra nell’ampia nozione di autodeterminazione, quest’ultima, tuttavia, può sottendere diversi interessi”. Significativo appare a chi scrive altro passaggio in cui si sottolinea che “i presupposti costitutivi di un vincolo genitoriale non solo, infatti, coinvolgono una pluralità di interessi, ma devono essere anche orientati alla realizzazione del potenziale figlio, cui è inscindibilmente collegato il vincolo genitoriale”.
Appare allora evidente che nella ricostruzione della Corte il principio di autodeterminazione non è fine a se stesso, ma deve dialogare con altri principi, che valgono a legittimarlo e a sostenerlo. Questa sottolineatura della Corte appare a chi scrive determinante in quanto nel dibattito sulle nuove genitorialità pone uno spartiacque necessario tra le aspirazioni degli adulti e i reali interessi dei minori.
b) Altro principio che si collega all’autodeterminazione è il principio di solidarietà. Si afferma in motivazione che “il diritto alla vita privata, inteso come libertà di autodeterminazione, che si declina nel contesto in esame, quale interesse a poter realizzare la propria aspirazione alla genitorialità, rendendosi disponibile all’adozione di un minore straniero…. si coniuga con una finalità di solidarietà sociale, in quanto rivolge le aspirazioni alla genitorialità a bambini o ragazzi che già esistono e necessitano di protezione”. In queste parole della Corte riecheggiano le parole della dottrina[15] che già in passato, proprio sollecitando l’apertura dell’adozione alle persone singole aveva significativamente evidenziato che “tenendo ferma la chiusura nei confronti della persona singola l’Italia si è messa in una posizione isolata rispetto a tutti gli altri ordinamenti. Si tratta di una posizione che va superata”, sottolineando che “in contrario non vale addurre l’interesse del minore alla bigenitorialità” in quanto se “è certamente più rispondente all’interesse del minore essere educato da due genitori, vivere con una persona che lo mantenga lo educhi e lo curi come un figlio è per il minore abbandonato una scelta esistenziale incomparabilmente più favorevole rispetto a quella del ricovero presso una struttura di assistenza”. La stessa dottrina non era rimasta inerte ma si era adoperata per lavorare ad un progetto di legge che includeva tra gli adottanti le persone singole, gli uniti civilmente, le coppie di fatto[16].
Molto importante è il collegamento operato dalla Corte tra autodeterminazione e solidarietà, elemento questo che rappresenta il nucleo fondante della genitorialità adottiva. Solo per questo modello di genitorialità l’aspirazione degli adulti non è autoreferanziale ma solidale, in quanto diretta a soddisfare il diritto del minore a crescere in una famiglia[17] e a non restare abbandonato. Riemerge così la vera finalità dell’istituto dell’adozione[18], che è quella di dare una famiglia a chi è stato abbandonato. È proprio questa finalità solidaristica che consente di porre una marcata linea di distinzione con altre genitorialità, come quella derivante da PMA.
c) Il collegamento tra autodeterminazione e solidarietà conduce al terzo principio, ai primi due intimamente connesso: il principio del best interest of the child, o principio del migliore interesse del minore. La Corte si pone il problema di quale sia il migliore interesse del minore abbandonato e la risposta non può che essere quella di non restare abbandonato. L’apertura verso la persona singola è una soluzione che trova piena legittimazione nell’esigenza di cura e di protezione del minore senza una famiglia. In particolare la Corte rileva come la restrizione della platea dei minori abbandonati incida concretamente sull’esigenza della loro protezione e tutela. Significativo un passaggio della Corte in cui si evidenzia che “la possibilità di incidere sull’effettività della tutela dei bambini abbandonati è un rischio riconducibile anche alla restrizione della platea dei potenziali adottanti”. Questa preoccupazione, insieme a quella già evidenziata di tutela di “bambini che già esistono e che necessitano di protezione” pone in luce la diversa declinazione che assume l’interesse del minore nella genitorialità adottiva rispetto a quella derivante da PMA, come peraltro la Corte costituzionale aveva da tempo evidenziato[19]. Nella genitorialità adottiva, sia nell’adozione piena che in quella in casi particolari, si tratta di valutare il migliore interesse di un bambino già esistente. Nella genitorialità derivante da PMA, si tratta di valutare il migliore interesse di un bambino non ancora esistente, di cui si programma la procreazione. La distinzione non è di poco conto in quanto solo nel primo caso e quindi nel modello di genitorialità adottiva, emerge il profilo solidaristico di una genitorialità finalizzata a supplire la famiglia mancante. È quindi evidente che l’adozione si pone quale strumento direttamente collegato all’interesse del minore ad una famiglia e, come è stato efficacemente affermato nell’ordinanza di rimessione alla Corte, “il minore è il vero centro di gravità dell’istituto dell’adozione”[20]. Nella genitorialità derivante da PMA, non essendo ancora esistente il minore, il suo interesse appare di difficile individuazione e spesso risulta confuso con gli interessi degli adulti.
3. Riflessioni conclusive
Fatta questa breve sintesi sulla triade valoriale che è posta a fondamento di questa decisione, tento di provare a rispondere al quesito che ho posto all’inizio di questo contributo. Alla luce delle considerazioni in parte svolte, credo che la portata innovativa di questa decisione vada limitata all’istituto dell’adozione e non sia estensibile ad altri modelli di genitorialità, quale per esempio quella derivante da PMA. Ciò perché la triade valoriale composta da autodeterminazione, solidarietà e interesse del minore a non restare abbandonato non è riproducibile per altri modelli di genitorialità, che si fondano su ragioni diverse, quale la PMA che presuppone uno stato di infertilità patologica.
È proprio la funzione solidaristica che dà legittimazione ad un modello di famiglia monoparentale che sarebbe allo stato difficilmente replicabile per altri modelli di genitorialità.
Ciò non vuol dire che il legislatore non possa in futuro ritenere che anche le persone singole possano accedere alla PMA, come avviene in altri Paesi del contesto europeo, ma questo è un altro capitolo della storia ancora da scrivere, che si fonderebbe su altre e diverse ragioni ed implicherebbe in ogni caso una riforma della l. n. 40 e dei suoi presupposti.
Il merito di questa decisione risiede proprio nel far emergere con rigore sistematico le criticità dell’attuale legge sulle adozioni e nell’evidenziare la necessità ormai non più procrastinabile di un intervento del legislatore che possa dare coerenza e armonia a questo importante modello di genitorialità che coniuga desiderio di genitorialità e dono di un focolare familiare ai bambini che sfortunamente ne sono privi.
[1] Dedico questo mio scritto al ricordo indelebile del mio adorato Papà, giurista illuminato e lungimirante, che da tempo aveva rilevato la necessità di aprire l’adozione alle persone singole, in nome del principio di solidarietà e del diritto del minore a non restare abbandonato.
[2] Nell’arco degli ultimi anni, questa è la terza decisione significativa che incide sulla disciplina delle adozioni: la n. 79 del 2022 e la n. 183 del 2023.
[3] T. Minorenni Firenze, 20 maggio 2024 che ha sollevato la questione di costituzionalità con riferimento agli articoli 2 e 117 della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Cedu.
[4] V. l’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 1967 che, dando ingresso all’adozione quale strumento di tutela dei minori, aveva espressamente previsto l’adozione da parte dei single. V. al riguardo le osservazioni di C.M. BIANCA, Note per una revisione dell’istituto dell’adozione, pubblicato in Realtà sociale ed effettività della norma, Torino, 2023, 259 e ss.
[5] V. art. 2 della Convenzione dell’Aja sull’adozione internazionale.
[6] V. C.M. BIANCA, Note per una revisione dell’istituto dell’adozione, pubblicato in Realtà sociale ed effettività della norma, cit., 259 e ss.
[7] C. Cost. n. 183 del 1994.
[8] V. al riguardo C. 19 dicembre 2023, n. 35437, decisione che ha affermato che l’adozione estera può essere riconosciuta in Italia anche se i soggetti adottanti non sono sposati. Interessante la motivazione: «Ove ricorrano le condizioni per il riconoscimento della sentenza di adozione straniera, ex art. 41, comma 1, l. 184/1983, la mancanza di vincolo coniugale tra gli adottandi non si traduce in una manifesta contrarietà all'ordine pubblico, ostativa al suddetto riconoscimento automatico degli effetti della sentenza straniera nel nostro ordinamento, anche a prescindere e dall'accertamento in concreto della piena rispondenza del provvedimento giudiziale straniero all'interesse della minore»
[9] V. le decisioni citate alla nota 2 del testo.
[10] V. M. ACIERNO, L’autodeterminazione non egoista secondo la Corte costituzionale, in Questione giustizia 25 marzo 2025.
[11] Al riguardo è interessante rilevare che nell’ordinanza del Tribunale di Firenze (del 9 settembre 2024, cit.) che ha sollevato il problema di legittimità costituzionale dell’art. 5 della l. n. 40 del 2004 si sia fatto un rinvio proprio all’adozione in casi particolari: “L'art. 5 richiamato prevede un'irragionevole disparità di trattamento, senza che possa tale disparità essere giustificata da alcun interesse costituzionalmente rilevante, tra categorie di soggetti, a seconda che si tratti di coppia o di single, sebbene nel nostro ordinamento venga ammessa e tutelata la famiglia monogenitoriale (vedi adozione di persone singole in casi particolari) e a seconda delle risorse economiche”.
[12] Nell’ordinanza del Tribunale dei minorenni che ha sollevato il giudizio di legittimità costituzionale viene preliminarmente escluso che la questione riguardi il diritto alla vita familiare che “in base alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo presupporrebbe l’esistenza di una famiglia o quanto meno la potenziale relazione tra, ade esempio, un figlio nato fuori dal matrimonio e il padre naturale o … il rapporto che deriva da un’adozione legale e genuina sottolineando come l’art. 8 non garantisce ex se né il diritto di fondare una famiglia né il diritto di adottare”.
[13] La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dal T. Firenze, 9 settembre 2024: “È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, l. 16 febbraio 2004 n. 40, nella parte in cui esclude la donna single dall'accesso alle tecniche di p.m.a. (anche eterologa maschile), poiché tale disposizione contrasta sia con gli artt. 2,3,13,32 e 117 della Costituzione che con gli artt. 8 e 14 della CEDU, configurando un'irragionevole disparità di trattamento nonché una violazione della libertà di autodeterminazione nelle scelte procreative, del rispetto della vita privata e familiare e del diritto all'integrità fisica e psichica”
[14] V. Corte cost. n. 33 del 2021, n. 230 del 2020 e n. 221 del 2019
[15] Così testualmente nei passaggi indicati in corsivo, C.M. BIANCA,
[16] V. C.M. BIANCA, Proposta di Riforma sull’adozione (condivisa con gli allievi), in C.M. BIANCA, Realtà sociale ed effettività della norma, cit., 353; ivi, 358 v. anche C.M. BIANCA, Ipotesi di revisione della disciplina dell’adozione. Questa proposta che prevedeva l’apertura alla persona singola che avesse compiuto 25 anni, alle coppie di fatto registrate da almeno tre anni e alle coppie unite civilmente da almeno tre anni. Questa proposta è stata accolta con piccolissime modifiche nel progetto di legge n. 630 presentato il 15 maggio 2018 dai deputati Rosato e altri. Si riporta qui la proposta di modifica dell’art. 6 l. adoz: “ART. 6. – 1. L’adozione è consentita alle coppie coniugate da almeno tre anni, alle coppie unite civilmente da almeno tre anni e alle coppie di conviventi di fatto che abbiano iniziato la convivenza da almeno tre anni. L’adozione è consentita anche alle persone singole di oltre trenta anni di età quando abbiano avuto un minore in affidamento familiare per almeno tre anni”.
[17] Sia consentito al riguardo il rinvio ad un mio scritto dedicato al diritto del minore alla famiglia, in cui operavo la distinzione tra il diritto preliminare alla propria famiglia di origine e al diritto succedaneo ad avere comunque una famiglia, in caso di abbandono dalla famiglia di origine, M. BIANCA, Il diritto alla famiglia, in Autorità Garante per l’Infanzia e l’adolescenza, La Convenzione delle Nazioni unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Conquiste e prospettive a 30 anni dall’adozione, Roma, 241 e ss.
[18] Così testualmente C.M. BIANCA, Abbandono del minore e diritto di crescere in famiglia: spunti in tema di adozione speciale, in Studi Sassaresi, VII, Serie III. 1979-80. Napoli, 191 e ss, con il titolo originario La situazione di abbandono: in particolare, adozione e funzione di solidarietà e poi pubblicato in C.M. BIANCA, Realtà sociale ed effettività della norma. Scritti giuridici, Vol. I. t. 1, 605: “La situazione di abbandono costituisce il punto nodale dell’istituto dell’adozione speciale. Ciò si spiega in quanto la situazione di abbandono identifica la funzione dell’istituto, che è una funzione di solidarietà volta ad offrire al minore una nuova famiglia e ad assicurargli quell’assistenza che la famiglia di origine non ha potuto o non voluto dargli”.
[19] C. cost. n. 221 del 2019, così testualmente in motivazione: “Vi è, infatti, una differenza essenziale tra l’adozione e la PMA. L’adozione presuppone l’esistenza in vita dell’adottando: essa non serve per dare un figlio a una coppia, ma precipuamente per dare una famiglia al minore che ne è privo”.
[20] V. in motivazione la citata ordinanza del T. Minorenni di Firenze, 20 maggio 2024.
Immagine: Sofonisba Anguissola, Partita a scacchi, olio su tela, 1555, Museo Nazionale, Poznán.
Qui la decisione commentata.