Diritti fondamentali della persona di minore età e best interests of the child*
di Elisabetta Lamarque
L’autrice mette alla prova della giurisprudenza più recente le due principali conclusioni a cui era giunta in uno scritto di qualche anno fa circa la portata del principio dei best interests of the child come principio di rango costituzionale: a) il principio non impone che l’interesse della persona di minore età debba sempre automaticamente prevalere su tutto e su tutti; b) il principio diffida delle previsioni legislative rigide.
The author tests the most recent case law on the two main conclusions she reached in a booklet written a few years ago regarding the scope of the best interests of the child principle as a constitutional principle: a) the principle does not impose that the interest of the child must always automatically prevail over everything and everyone; b) the principle does not tolerate rigid legislative provisions.
Sommario: 1. Premessa. 2. Nessuna superiorità gerarchica, nessuna automatica prevalenza, nessuna tirannia del principio. 3. Le origini. 4. La giurisprudenza di Strasburgo. 5. Chiarezza concettuale e precisione lessicale nella più recente giurisprudenza costituzionale. 6. Flessibilità delle regole legislative. 7. Cosa ci attende nel prossimo futuro.
1. Premessa
Qualche anno fa avevo scritto un libretto sui best interests of the child nella prospettiva del diritto costituzionale[1]. In quel libretto avevo provato ad andare oltre alle conclusioni nichilistiche allora dominanti, che vedevano l’interesse del minore come una “scatola vuota” che poteva essere riempita di qualunque contenuto a seconda dei parametri culturali, o comunque extragiuridici, di riferimento dell’interprete, ma soprattutto avevo tentato di combattere l’uso retorico che gli operatori del diritto – giudici, avvocati ma anche la dottrina – spesso facevano del principio del preminente, o superiore, interesse del minore, locuzione che allora – ma per fortuna forse non più oggi, come argomenterò più avanti – con poca consapevolezza invariabilmente si preferiva per rendere in italiano il principio appunto dei best interests of the child.
Quel principio, invece, avrebbe richiesto di essere maneggiato dagli giuristi italiani con maggiore attenzione, addirittura con prudenza, essendo nato ed essendosi sviluppato in un ambiente culturale profondamente diverso dal nostro, quello angloamericano, ed essendosi proprio da lì diffuso sulla scena internazionale grazie soprattutto alla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989, che lo enuncia in via generale all’art. 3[2], per poi consolidarsi in ambito europeo prima tramite la giurisprudenza di Strasburgo e poi attraverso la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Avevo scelto di occuparmi del principio dei best interests, dunque, proprio perché mi ero accorta che il principio era invocato in tutte le occasioni nelle quali veniva in rilievo la posizione di una persona di minore età quasi come formula di stile, in modo indiscriminato e a volte anche a sproposito, e avevo constatato con preoccupazione che troppo spesso gli interpreti ne facevano un uso poco avvertito, superficiale, generico e dunque appunto retorico, se non addirittura strumentale, servendosene da pretesto per ‘coprire’ scelte volte a favorire – nel singolo caso concreto – gli interessi degli adulti.
In effetti, il “superiore” interesse del minore è un’espressione efficace, perché mette tutti a tacere. Chi oserebbe sostenere oggi l’idea opposta, che il bene degli adulti viene prima di quello dei bambini?
Ed è anche un abito buono per tutte le stagioni e per tutte le occasioni. Quanto volte abbiamo visto, soprattutto in passato, nei discorsi politici e giornalistici, ma spesso purtroppo anche in quelli dei giuristi[3], che nel suo nome si vuole giustificare una soluzione a un problema sociale, etico e giuridico, ma anche la soluzione esattamente contraria?
Quanto ai contenuti di quello studio, che risale al 2016, ormai sette anni fa, avevo innanzitutto approfondito un aspetto che già a quei tempi era data per scontata, e cioè la circostanza che nel nostro ordinamento il principio dei best interests si collochi a livello costituzionale, si imponga quindi alla legislazione primaria. Che il principio abbia rango costituzionale si ricava infatti sia da una lettura sistematica ed evolutiva della Costituzione italiana – una lettura che peraltro allora non tutti ricordavano che la Corte costituzionale avesse già offerto nel lontano 1981[4] –, sia da una ricognizione degli effetti sull’ordinamento costituzionale dei bill of rights internazionali e sovranazionali. Su questo punto non serve ora ritornare.
Per il resto, avevo raggiunto alcune conclusioni – due le principali – riguardo alla portata del principio che allora mi parvero non banali, e che qui è utile richiamare per metterle a confronto con i più recenti sviluppi giurisprudenziali.
Erano tuttavia due punti fermi – se di punti fermi è mai possibile parlare, nel campo del diritto – entrambi di segno negativo, relativi a ciò che il principio dei best interests certamente non vuole, non impone, non richiede. Un po’ come nella poesia di Montale: Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo[5].
In primo luogo, avevo concluso che il principio dei best interests non impone affatto all’interprete di far prevalere sempre e comunque i diritti del bambino o dell’adolescente sui diritti degli adulti che si trovano in relazione con lui o su altri beni della collettività del medesimo rango costituzionale, al contrario di ciò che sembrerebbe suggerire l’espressione italiana che lo traduce nei termini di “preminente” o “superiore” interesse del minore.
In secondo luogo, avevo constatato che principio dei best interests non sopporta – o, meglio, male sopporta – gli automatismi, o comunque più in generale diffida delle previsioni legislative rigide, prive di flessibilità, che impediscono all’organo pubblico incaricato di decidere nel caso concreto (un giudice, di solito, ma anche un altro operatore) di compiere una scelta ritagliata, modellata, sulle peculiarità, sulle sfumature, che quel caso presenta.
2. Nessuna superiorità gerarchica, nessuna automatica prevalenza, nessuna tirannia del principio
Prendiamo dunque le mosse dal primo punto: il principio dei best interests of the child non impone che l’interesse della persona di minore età debba sempre automaticamente prevalere su tutto e su tutti.
Ce lo insegnano la nascita e gli sviluppi storici del principio; ce lo fa chiaramente capire la Corte di Strasburgo; ma soprattutto ce lo dice esplicitamente da qualche anno – almeno dal 2017 – la nostra Corte costituzionale.
Motiverò ora brevemente, nell’ordine, tutte e tre queste affermazioni, partendo dalle origini storiche del principio.
3. Le origini
Nella preistoria del principio, nell’Ottocento, la best interests of the child doctrine nasce, nei paesi di common law, per consentire, nel caso di separazione o divorzio, singole eccezioni alla rigida regola, tipica di una società patriarcale, che imponeva di affidare i figli al padre.
L’affidamento alla madre all’inizio era disposto dalle corti in casi rarissimi, se i figli erano molti piccoli e quando il padre legale era all’evidenza del tutto inadatto, ad esempio perché vagabondo, alcolizzato o violento.
A un certo punto, però, e siamo già nella seconda metà del secolo scorso, il principio dei best interests esce dal ristretto ambito del diritto di famiglia – affidamento e adozione – e diventa uno dei cardini del vastissimo dibattito sui children’s rights in ambito nord americano.
Si tratta di un dibattito per noi europei continentali molto difficile da comprendere perché controverte su ciò che da noi è invece dato sempre per scontato, e cioè sulla circostanza che i bambini, in quanto persone umane, siano titolari di diritti fondamentali.
Nel dibattito nord americano sui children’s rights, infatti, si contrappongono – semplificando molto – due orientamenti.
Da una parte stanno coloro che ritengono che anche i bambini e gli adolescenti siano titolari di rights, intesi naturalmente come in generale sono intesi i rights in quell’area culturale, e cioè come diritti di autodeterminazione in tutte le sfere della propria vita.
Si tratta dell’orientamento dell’autonomy o della self-determination, che denuncia l’ingerenza del potere pubblico nelle decisioni che riguardano la vita di una persona di minore età e che per questo motivo ritiene che i bambini e gli adolescenti siano soggetti oppressi, the last minority, “l’ultima minoranza” da liberare, dopo le donne, i neri e gli omosessuali.
Dalla parte opposta si situano invece coloro che tremano al pensiero di abbandonare i bambini e gli adolescenti ai loro diritti, e cioè alle loro scelte, le quali possono sempre ritorcersi a loro danno, e sostengono che sia piuttosto necessario intervenire per compensare la loro debolezza e vulnerabilità.
È questo l’orientamento della protection o della salvation, a volte denominato anche nurturance orientation.
È esattamente al cuore di questo secondo orientamento che nasce e si sviluppa il nostro principio. Secondo questa linea di pensiero, infatti, ai children non devono essere garantiti rights, intesi nel senso di poteri di autodeterminazione, ma al contrario protection, e a tale scopo altri soggetti (pubblici o privati, ma su questo punto le varie concezioni divergono) devono essere incaricati di decidere per loro e al posto loro in che cosa consistano i loro best interests, e cioè in quale modo si realizzi meglio il loro welfare o il loro well-being (termini che non a caso nella tradizione anglo-americana dei children’s rights sono spesso utilizzati come sinonimi dei best interests).
Per spiegare il significato che ha il principio dei best interests nell’area culturale dove è storicamente nato – un significato che certamente il principio porta con sé quando irrompe sulla scena internazionale e sovranazionale – si potrebbe allora dire così.
In base a questo principio, chi si trova a dover prendere una decisione che riguarda la vita di una persona di minore età – che di solito da noi è un’autorità pubblica come un giudice o un assistente sociale – deve abbandonare ogni preconcetto e ogni idea personale per mettersi nei panni del bambino (in the child’s skin), e da questa prospettiva deve individuare ciò che conta di più per la vita del bambino e che gli garantisce il massimo benessere possibile (well-being o welfare, appunto).
Ne consegue che la decisione finale dovrà tendere a realizzare la soluzione migliore per il bambino che si trova in quella determinata situazione concreta, senza tuttavia trascurare o pretermettere i diritti degli adulti che sono in relazione con lui e le altre eventuali esigenze proprie della società. Diritti ed esigenze, dunque, che continuano a mantenere un peso e che richiedono di essere considerati ai fini della decisione stessa.
Del resto, se ci si pensa bene, il tenore testuale dell’espressione inglese va inequivocabilmente in questa direzione. Interests è al plurale e dunque la parola indica i vari possibili interessi/esigenze/bisogni che ogni bambino nutre; best è il superlativo relativo di good, buono. Essa richiede quindi semplicemente che ‘i migliori’ – e cioè i più significativi, i più importanti – tra i numerosi interessi/esigenze/bisogni del bambino siano tenuti in conto e garantiti da chi deve decidere al posto suo. E il ‘pacchetto’ dei più significativi tra questi interessi/esigenze/bisogni primari della persona di minore età è proprio ciò che le assicurerà il benessere, e cioè il welfare e il well-being.
Già allora, di conseguenza, proponevo che l’espressione inglese best interests of the child fosse resa in italiano con locuzioni più vicine al suo reale significato, e meno ingannevoli, quali ad esempio ‘il migliore interesse’ o ‘il massimo benessere possibile’ della persona di minore età, oppure ancora ‘la soluzione migliore’ (tra tutte quelle possibili) per il bambino o l’adolescente.
Queste traduzioni, alternative a quella corrente, assicurano che il superlativo relativo resti tutto interno al novero degli interessi della stessa persona di minore età, interessi dei quali i più importanti devono essere considerati e protetti.
Al contrario, con queste traduzioni rimane correttamente assente l’elemento della comparazione con altre esigenze e diritti tutelati dall’ordinamento, sui quali il ‘pacchetto’ di interessi/esigenze/bisogni, e anche diritti, del bambino e dell’adolescente non è detto che debba sempre prevalere, al contrario di ciò che suggerisce la più tradizionale traduzione italiana nei termini di “superiore” o “preminente” interesse del minore’.
4. La giurisprudenza di Strasburgo
I segnali che provengono dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo vanno inequivocabilmente in quest’ultimo senso.
Lasciamo perdere il fatto che ci sarebbe molto da dire sulla alluvionale giurisprudenza di Strasburgo sui best interests, e molto anche da criticare: quanto all’incertezza del fondamento del principio nella Cedu (art. 8 primo o secondo paragrafo?), quanto all’incoerenza di molte sue applicazioni, ma anche quanto alla contraddittorietà stessa di alcune sue affermazioni di principio contenute in quella parte sempre uguale delle sentenze di Strasburgo che precede l’applicazione della Convenzione al caso di specie in cui a volte si legge, a distanza di poche righe e magari all’interno della stessa pagina, un’affermazione e anche il suo contrario.
Il punto che qui interessa è invece chiaramente enucleabile da tutta la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, e può essere riassunto nel modo che segue.
È vero che l’interesse del bambino e dell’adolescente ha sempre “particolare importanza”, ma quando l’interesse del minore e quello ad esempio dei suoi genitori biologici sono in conflitto, l’art. 8 Cedu “esige che le autorità nazionali garantiscano un giusto equilibrio tra tutti questi interessi – da noi si dice un ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali – nel quale l’interesse del minore, “a seconda della sua natura e complessità”, può – attenzione: può, non deve! – avere la precedenza su quello dei genitori.
Esemplare, in questo senso, tra le moltissime, la nota sentenza Strand Lobben del 2019, seguita anche da altre molto recenti, tra cui anche sentenze di condanna dell’Italia, come A.I. del 2021[6].
Nella giurisprudenza di Strasburgo l’idea che l’interesse e i diritti del minore debbano essere sottoposti a bilanciamento, e non debbano al contrario automaticamente prevalere su ogni altro interesse o diritto altrui, è sempre presente e soprattutto sempre praticata.
È interessante notare che ciò accade anche quando sull’altro piatto della bilancia, rispetto ai diritti e agli interessi del minore, non ci sono i diritti degli adulti ricorrenti davanti alla Corte di Strasburgo (tipicamente, per fare un esempio, il diritto dei genitori biologici a non vedersi spezzato il legame con il figlio), bensì ci sono interessi generali della società come quelli che vengono in rilievo quando si tratta di riconoscere una surrogazione di maternità avvenuta all’estero. In questo è chiarissima, ad esempio, la recente sentenza K.K. contro Danimarca del 2022[7].
5. Chiarezza concettuale e precisione lessicale nella più recente giurisprudenza costituzionale
Ancora più significativa, oltre che molto più coerente al proprio interno, è la giurisprudenza della nostra Corte costituzionale, che almeno a partire dal 2017 presenta un crescendo davvero notevole di chiarezza concettuale.
Prendiamo, tra le molte, la nota sentenza n. 33 del 2021, che dichiara inammissibile per discrezionalità del legislatore la questione relativa alla possibilità di iscrivere all’anagrafe come figlio della coppia committente il bambino nato all’estero a seguito di una pratica di gestazione per altri[8].
C’è, nella sentenza n. 33, la massima attenzione a sottolineare che “l’interesse del bambino non può essere considerato automaticamente prevalente rispetto a ogni altro controinteresse in gioco”.
E ciò perché «se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona»“.
Ne consegue che gli interessi del bambino possono e devono essere sottoposti a un equo bilanciamento con diritti fondamentali altrui ed esigenze e interessi di pari rango costituzionale.
Non è un caso che i termini “bilanciamento” e “bilanciati” ricorrano ben cinque volte nel Considerato in diritto della sentenza n. 33 la quale, come noto, conclude: “Gli interessi del minore dovranno essere bilanciati, alla luce del criterio di proporzionalità, con lo scopo legittimo perseguito dall’ordinamento di disincentivare il ricorso alla surrogazione di maternità, penalmente sanzionato dal legislatore”.
A una simile ritrovata chiarezza concettuale corrisponde, nella motivazione delle sentenze costituzionali più recenti, la ricerca di nuove espressioni linguistiche per indicare il nostro principio, differenti da quella tradizionale e capaci di sgombrare il campo da ogni residua possibilità di fraintendimento.
In alcune importanti sentenze del 2020 (la 102, sulla sospensione della responsabilità genitoriale per il reato di sottrazione di minore)[9], e del 2021 (la sentenza n. 32, ad esempio, e ancora una volta la n. 33)[10] la Corte costituzionale è esplicita nel proporre un nome più adeguato per il nostro principio, suggerendo di chiamarlo principio della “soluzione ottimale per il minore”, o della “soluzione ottimale in concreto per l’interesse del minore”, o ancora “principio del miglior interesse del minore”.
Tuttavia, nella motivazione di quelle stesse sentenze del 2020 e del 2021 gli aggettivi “superiore” e “preminente”, o “superiori” e “preminenti”, accompagnati a “interesse” o “interessi” del minore o del bambino, riaffiorano a tratti, quasi per abitudine o inerzia.
La svolta si ha invece nella più recente sentenza sull’adozione in casi particolari, la n. 79 del 2022, con la quale la Corte costituzionale estende all’adottato la parentela con i parenti dell’adottante[11].
Nella motivazione di questa pronuncia la Corte costituzionale si riferisce sempre al principio “del miglior interesse del minore”, oppure qualifica tale interesse come “primario” – e dunque, attenzione, un interesse molto importante, ma non già per forza prevalente qualsiasi altro[12]. – mentre gli aggettivi “preminente” e “superiore” compaiono solo come relitti del passato, nelle citazioni testuali di atti meno recenti.
La stessa accuratezza nella scelta delle parole, invece, non si ritrova ancora nella giurisprudenza della Cassazione dove – si pensi ad esempio alla sentenza delle Sezioni Unite dello scorso dicembre sullo status del nato all’estero da surrogazione di maternità[13] – convivono pacificamente la versione ‘ripulita’ e aggiornata del nome italiano del principio dei best interests e la formulazione tradizionale, con tutta la sua pericolosa carica di ambiguità.
Non bisognerebbe mai dimenticare, invece, che la formulazione tradizionale consente di utilizzare il principio nelle nostre aule giudiziarie in modo vuoto, retorico o addirittura fraudolento, dato che consente al giudice di non motivare in modo approfondito sulle circostanze di fatto del singolo caso concreto a cui invece la sua decisione dovrebbe sempre correlarsi.
6. Flessibilità delle regole legislative
Passo ora, molto molto più brevemente, al secondo punto, che dopo quello che ho detto finora risulterà chiarissimo.
Il principio dei best interests non ama gli automatismi legislativi, e anzi è ontologicamente incompatibile con le soluzioni legislative rigide che non consentono all’organo pubblico che deve in un determinato momento assumere una decisione che riguarda la vita di un bambino o di un adolescente di modularla su tutte le circostanze di fatto a sua conoscenza – che siano circostanze positive o negative, risorse o difficoltà –, comprese quelle relative al passare del tempo e all’avvenuto consolidamento di alcune situazioni di fatto[14]. E ciò allo scopo di assicurare a quel bambino o a quell’adolescente di godere, nei limiti del possibile, date appunto le circostanze in cui si trova, degli interessi/delle esigenze/dei bisogni più importanti, fondamentali per il suo pieno sviluppo.
Ma come si fa se la legge è rigida, se prevede un automatismo? La risposta è ovvia: se il testo della legge, o l’intero sistema legislativo, impone al giudice un’unica soluzione, la quale appare al giudice stesso dissintona rispetto alle esigenze del minore in carne e ossa che ha di fronte, il giudice non ha altra strada, per recuperare il potere di decidere diversamente, che adire la Corte costituzionale, chiedendole di cambiare, di manipolare, la legge per introdurvi la flessibilità richiesta dal principio dei best interests.
Le manipolative di accoglimento della Corte costituzionale che rispondono positivamente a simili accorati appelli dei giudici comuni sono molto numerose. Tra le più antiche, esemplare è la sentenza dell’inizio degli anni Novanta che introduce la possibilità per il giudice di derogare al limite dei quaranta anni massimi di differenza di età tra adottante e adottato nell’adozione internazionale, qualora lo richieda l’interesse del figlio[15], che è poi stata seguita da molte altre successive, in tutti i settori del diritto, dal diritto civile, a quello penale, processuale penale e dell’esecuzione penale.
Negli anni più vicini a noi, ad esempio, sono molto note e commentate le sentenze che eliminano l’automatica applicazione della pena accessoria della decadenza dalla responsabilità genitoriale per i delitti di soppressione e di alterazione di stato[16], o più di recente la sentenza che fa fuori l’automatismo nella sospensione della responsabilità genitoriale per il ben più grave delitto di sottrazione e mantenimento del minore all’estero[17].
7. Cosa ci attende nel prossimo futuro
In conclusione di queste riflessioni si possono richiamare due casi recenti per i quali auspico che possano presto intervenire analoghe pronunce costituzionali manipolative.
In primo luogo segnalo un’ordinanza di rimessione della Cassazione, prima sezione civile, depositata pochi giorni fa, che chiede alla Corte costituzionale di rendere flessibile la rigidissima regola della legge sull’adozione del 1983 secondo cui con l’adozione piena, legittimante, cessano irreversibilmente i rapporti dell’adottato con la famiglia di origine, intesa come comprensiva dei parenti fino al quarto grado[18].
Viene quindi sottoposta al giudizio di legittimità costituzionale una regola legislativa che nei suoi primi quarant’anni di vita non era mai stata messa in discussione proprio perché era universalmente ritenuta indispensabile per mettere al sicuro, in una botte di ferro, tutti gli adottati, sancendone l’esclusiva appartenenza alla nuova famiglia adottiva.
Oggi invece, la Cassazione ritiene che, se riferita a un caso difficile come quello sottoposto al suo giudizio, di due fratelli rimasti orfani di madre a seguito di un femminicidio, tale regola contrasta con il principio dei best interests proprio perché eccessivamente rigida. Essa infatti vieta, una volta dichiarata l’adozione piena dei due bambini – o, meglio, una volta dichiarato lo stato di abbandono che prelude all’adozione – di mantenere vivi i loro rapporti con tutti i parenti di sangue anche se la relazione con alcuni di loro, se coltivata “secondo le modalità stabilite in via giudiziale”, potrebbe contribuire al benessere dei bambini.
Un secondo caso di notevole attualità è quello che riguarda l’adozione in casi particolari del nato all’estero da surrogazione di maternità da parte del partner del genitore biologico che aveva condiviso il progetto procreativo.
Qui mi spiace un po’ intervenire in senso leggermente critico, o perlomeno dubbioso, sulla sentenza delle Sezioni Unite dello scorso dicembre, già richiamata[19], che – tengo a precisare – condivido invece pienamente nel suo esito.
Al par. 11 le Sezioni Unite ricordano che secondo la stessa Corte costituzionale uno degli aspetti di inadeguatezza della soluzione di compromesso – di negare la trascrizione della doppia genitorialità e di consentire invece l’adozione in casi particolari da parte del genitore non biologico – risiede nel fatto che, seguendo il dettato della legge del 1983, sarebbe impossibile pronunciare l’adozione quando manca l’assenso del genitore biologico.
Ebbene, le Sezioni Unite affermano che i giudici, in casi come questi, sono chiamati a considerare “le potenzialità dell’interpretazione costituzionalmente conforme” per superare, se l’interesse del figlio lo richiede, il dissenso del genitore biologico all’adozione da parte del genitore non biologico, “senza che occorra sollevare, persistendo l’omissione da parte del legislatore, una questione di legittimità costituzionale”.
Non condivido questo suggerimento.
È vero che le Sezioni Unite non avrebbero potuto sollevare loro stesse il dubbio di costituzionalità per carenza assoluta di rilevanza.
Tuttavia, in un diverso futuro giudizio, instaurato proprio da un genitore non biologico che volesse superare il rifiuto da parte del genitore biologico, a mio parere la lettera della legge sull’adozione, che testualmente richiede sempre il suo consenso, non potrebbe essere aggirata in via interpretativa.
Pronunciare lo stesso l’adozione in casi particolari nonostante il dissenso del genitore biologico sarebbe come disapplicare la legge nel caso concreto: operazione che, in un sistema accentrato di controllo di costituzionalità, al giudice non è mai consentita.
Al contrario, il giudice potrebbe, e dovrebbe, attivare un nuovo incidente di costituzionalità per ottenere dalla Corte costituzionale – con il consueto meccanismo – una manipolazione del rigido testo di legge che dia ingresso alla valutazione caso per caso, da parte del giudice stesso, della rispondenza della richiesta adozione ai bisogni fondamentali del nato dalla pratica di surrogazione di maternità.
Senza contare che l’intervento solitario di un giudice che opera un’interpretazione conforme della legge vale solo provvisoriamente, salvo impugnazione della sua sentenza, e comunque vale soltanto per le parti del suo giudizio.
Al contrario, se quello stesso giudice si rivolge alla Corte costituzionale, la Corte può rimuovere il problema una volta per tutte, non solo per tutti i casi futuri ma anche per quelli in itinere, con benèfici e stabili effetti erga omnes.
Alla continua correzione dei testi di legge da parte del virtuoso raccordo Corte costituzionale-giudici comuni, del resto, siamo da tempo tutti abituati, nel campo del diritto di famiglia come in molti altri settori dell’ordinamento, dato l’endemico ritardo, la colpevole inerzia, dei nostri legislatori di ogni colore, incapaci di adeguare tempestivamente il tessuto normativo ai mutamenti già avvenuti nelle relazioni umane in seno alla società.
* Il testo è una versione rivista e corredata di note della relazione presentata al convegno sul tema Le relazioni giuridiche familiari tra natura e storia. Prospettive culturali e questioni aperte che si è tenuto presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca nei giorni 26, 27 e 28 gennaio 2023.
[1] E. Lamarque, Prima i bambini. Il principio dei best interests of the child nella prospettiva costituzionale, FrancoAngeli, Milano, 2016.
In proposito avverto che molte delle osservazioni svolte nel presente contributo sono tratte, anche testualmente, da quel volume e da altri miei scritti successivi sul tema, tra cui segnalo soltanto E. Lamarque, I best interests of the child, in La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Conquiste e prospettive a 30 anni dall’adozione, a cura dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, Roma, 2019, 140 ss., in open access all’indirizzo www.garanteinfanzia.org, e, da ultimo, G. Mingardo ed E. Lamarque, Gestazione per altri e best interests of the child. La prospettiva della Corte costituzionale italiana, in La surrogazione di maternità nel prisma del diritto. Problemi aperti e sfide future, a cura di F. Pesce, Editoriale Scientifica, Napoli, 2022, 123 ss.
[2] Art. 3 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza – Convention on the Rights of the Child (CRC), adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ratificata dall’Italia con legge n. 176 del 1991: “In all actions concerning children, whether undertaken by public or private social welfare institutions, courts of law, administrative authorities or legislative bodies, the best interests of the child shall be a primary consideration”.
[3] Lo nota, con particolare riferimento ai temi legati alla PMA, M. Acierno, Il mantra del preminente interesse del minore, in Questione Giustizia, 2019.
[4] Corte cost., sent. n. 11 del 1981, redattore Leopoldo Elia. Ora invece questa sentenza capostipite è ricordata come tale dalla Corte costituzionale (si veda ad esempio il punto 4.1. del Considerato in diritto di Corte cost., sent. n. 102 del 2020, il punto 5.3. del Considerato in diritto di Corte cost., sent. n. 33 del 2021 e il punto 5.2.3. del Considerato in diritto di Corte cost., sent. n. 79 del 2022).
[5] E. Montale, Non chiederci la parola, in Ossi di seppia, Piero Gobetti Editore, Torino, 1925.
[6] Strand Lobben e altri contro Norvegia, Grande Camera, 1 settembre 2019, n. 37283/13, parr. 204 e 220 e A.I. contro Italia, prima sezione 1 aprile 2021, n. 70896/17, parr. 87 e 94.
[7] Corte eur. dir. Uomo, seconda sezione, sentenza 6 dicembre 2022, no. 25212/21, par. 57.
[8] Si occupano di questa sentenza e di quella che immediatamente la precede (Corte cost., sentt. nn. 32 e 33 del 2021), tra i molti, M. Sesta, La prospettiva paidocentrica quale ‘fil rouge’ dell’attuale disciplina giuridica della famiglia, in Famiglia e diritto, n. 7/2021; M. Dogliotti, Due madri e due padri: qualcosa di nuovo alla Corte costituzionale, ma la via di inammissibilità è l’unica percorribile?, in Famiglia e diritto, n. 7/2021; G. Ferrando, La Corte costituzionale riconosce il diritto dei figli di due mamme o di due papà ad avere due genitori?, in Famiglia e diritto, n. 7/2021; G. Recinto, Le “pericolose oscillazioni” della Suprema Corte e della Consulta rispetto alla maternità surrogata, in Famiglia e diritto, n. 11/2021; R. Bin, L’interpretazione della Costituzione in conformità delle leggi. Il caso della famiglia, in Famiglia e diritto, n. 2/2022; M.N. Bugetti, Lo status di figlio di coppia omosessuale a dieci anni dall’introduzione dello stato unico di filiazione. Un ‘excursus’ giurisprudenziale (e qualche riflessione), in Famiglia e diritto, n. 8-9/2022; R. Bin, Tecniche procreative, ordine pubblico, interesse del minore. Conclusioni, in Rivista di Biodiritto, n. 3/2021; M. Acierno, La Corte costituzionale “minaccia” un cambio di passo sull’omogenitorialità?, in Questione Giustizia, 2021; E. Frontoni, L’adozione in “casi particolari” non è più sufficiente per tutelare l’interesse dei minori nati attraverso maternità surrogata, in Nomos, n. 2/2021; F. Astone, Procreazione di coppie ‘same sex’ e ‘status’ dei figli: un problema di discrezionalità legislativa?, in Giur. cost., n. 2/2021; V. Calderai, Il dito e la luna. I diritti fondamentali dell’infanzia dopo Corte cost. n. 33/2021, in Giur. it., n. 2/2022; M. Caldiroli, Surrogazione di maternità e ordine pubblico: verso un cambio di rotta, in Rivista di Biodiritto, n.2/2022; M. Caldiroli, La genitorialità intenzionale e l’interesse del minore: un vuoto di tutele intollerabile, in Osservatorio costituzionale, n. 3/2021; B. Carminati, Corte costituzionale, sent. 33/2021: tutela dei figli nati all’estero tramite maternità surrogata, in Rivista di Biodiritto, n. 2021; G. D’Amico, La Corte e il “non detto”. Riflessioni a partire dalle sentt. n. 32 e n. 33 del 2021, in La nuova giurisprudenza civile commentata, n. 4/2021; G. D’Amico, La preminente ... discrezionalità del legislatore e il “giuoco delle parti”, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, n. 3/2021; G. Mingardo, Approdi e partenze: lo stato della gestazione per altri e la prospettiva futura, in Rivista Aic, n. 3/2021; F. Paterniti, Status di figlio e limiti alle possibilità genitoriali delle coppie omoaffettive: lacune dell’ordinamento, attese legislative e (problematici) arresti giurisprudenziali, in Rivista Aic, n. 3/2021; F. Rimoli, Diritto all’omogenitorialità, ‘best interest of the child’ e ‘famiglia naturale’: un problema ancora irrisolto, in Giur. cost., n. 2/2021; A. Ruggeri, La PMA alla Consulta e l’uso discrezionale della discrezionalità del legislatore, in Consulta Online, n. 1/2021; U. Salanitro, L’adozione e i suoi confini. Per una disciplina della filiazione da procreazione assistita illecita, in La nuova giurisprudenza civile commentata, n. 4/2021; S. Tonolo, La Corte costituzionale e la genitorialità delle coppie dello stesso sesso tra trascrizione degli atti di nascita esteri e soluzioni alternative, in Corr. giur., n. 8-9/2021; P. Veronesi, Ancora sull’incerto mestiere del nascere e del diventare genitori: i casi di cui alle sentenze nn. 32 e 33 della Corte costituzionale, in Rivista di Biodiritto, n. 3/2021.
[9] Su cui, tra gli altri, P. Pittaro, La sospensione della responsabilità genitoriale come pena accessoria. incostituzionale se automatica, in Famiglia e diritto, n. 10/2020; G. Matucci, “Cecità” della legge e interesse concreto del minore. Sull’incostituzionalità dell’automatica sospensione della responsabilità genitoriale, in Giur. cost., n. 3/2020; G. Laneve, Pene accessorie che incidono sulla responsabilità genitoriale: dalla “cecità” dell’automatismo legislativo allo sguardo sulla relazione genitore-figlio, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, n. 4/2020; L. Delli Priscoli, Sottrazione internazionale dei minori e “the best interest of the child” quale interesse alla bigenitorialità, in La giustizia penale, n. 8-9/2020.
[10] Si veda supra la nota 6.
[11] Su questa sentenza M.C. Carbone, Famiglia e nuovi rapporti di parentela: la Corte costituzionale traccia il sentiero per il riconoscimento giudico della “familiarità sociale”, in Consulta Online, n. 3/2022 e M.C. Errigo, Garantire le relazioni familiari. La decisione della Corte costituzionale n. 79/2022, in Osservatorio costituzionale, n. 3/2022.
[12] Analogamente Corte cost., sent. 33 del 2021 aveva ritenuto che agli interessi del minore dovesse essere assegnato uno speciale peso in ogni bilanciamento, ma aveva subito chiarito che ciò non significa assegnare all’interesse del minore una assoluta prevalenza sugli altri diritti individuali e interessi della collettività: “la frequente sottolineatura della ‘preminenza’ di tale interesse ne segnala bensì l’importanza, e lo speciale ‘peso’ in qualsiasi bilanciamento; ma anche rispetto all’interesse del minore non può non rammentarsi che tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe ‘tiranno’ nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona”.
È davvero curioso notare che, tutto all’opposto, nella giurisprudenza costituzionale più antica, precedente Corte cost., sent. n. 11 del 1981, cit., lo speciale peso nel bilanciamento con gli interessi della persona minore di età sembrava doversi assegnare “al superiore interesse della società” (così Corte cost., sent. n. 156 del 1967, tra l’altro relativa al delicatissimo tema dell’ispezione corporale del imputato minorenne).
[13] Cass., SS.UU., 30 dicembre 2022, n. 38162.
[14] Corte eur. dir. Uomo, prima sezione, sent. T.C. contro Italia, 19 maggio 2022, n. 54032, parr. 57-58, oltre a quelle richiamate al par. 349 della guida all’art. 8 Cedu, predisposta dalla cancelleria della stessa Corte di Strasburgo (Guide on Article 8 of the European Convention on Human Rights. Right to respect for private and family life, home and correspondence, Updated on 31 August 2022, all’indirizzo https://www.echr.coe.int/documents/guide_art_8_eng.pdf).
[15] Corte cost., sent. n. 148 del 1992.
[16] Corte cost., sentt. n. 31 del 2012 e n. 7 del 2013.
[17] Corte cost., sent. n. 102 del 2020, cit.
[18] Cass. sez. I civ., ord. 5 gennaio 2023, n. 230.
[19] Cass., SS.UU., 30 dicembre 2022, n. 38162, cit.