Un giurista a tutto tondo, una persona e un magistrato con una sola immagine ovunque lo si guardasse, qualunque ruolo rivestisse. Lo ricordiamo attraverso i passaggi di una memorabile sentenza, che diede onore al Consiglio Superiore della Magistratura in uno dei momenti più drammatici della nostra storia repubblicana.
Vladimiro Zagrebelsky è stato uomo del diritto, diritto vissuto a trecentosessanta gradi. È stato giudice e pubblico ministero, procuratore della Repubblica, giudice della Corte EDU per nove anni, protagonista dell’associazionismo giudiziario e animatore dagli albori del Movimento per la giustizia, autore di commentari e opinionista editoriale, docente memorabile per studenti universitari e formatore appassionato di giovani magistrati.
Ognuno di questi aspetti compone la figura di una persona di spessore umano e culturale ineguagliabile e, pur tuttavia, semplice. In ogni suo ruolo, Vladimiro mostrava tratti unici e riconoscibilissimi: l’essenzialità della parola, il rigore logico, l’autonomia morale, la disponibilità a un dialogo che fosse impostato sulla serenità della relazione interpersonale, la lucidità nell’individuazione della soluzione più chiara e onesta. Dei molti modi in cui lo si potrebbe ricordare, dunque, non ne vedo alcuno che potrebbe oscurare una parte della sua poliedricità.
D’accordo con una persona amica, che ha condiviso con lui le ultime giornate e le ultime ore della sua vita, ho scelto quindi un momento specifico tra i moltissimi: quello in cui si trovò, quarantaduenne, a redigere la sentenza di condanna di alcuni colleghi per l’iscrizione alla Loggia P2, quale componente della sezione disciplinare del CSM.
La sentenza porta la data del 9 febbraio 1983. Si era nella consiliatura 1981-1985. Vladimiro sarebbe stato poi rieletto al CSM nel quadriennio compreso tra il 1994 e il 1998.
Della vicenda P2 il Consiglio si occupa inizialmente per la procedura di trasferimento d’ufficio dei magistrati che erano nelle liste. L’8 marzo 1982 inizia il procedimento disciplinare; la sezione si avvale della richiesta di rinvio a giudizio pervenuta dal procuratore generale della Cassazione, degli atti dell’ufficio istruzione di Roma e del fascicolo giunto dalla Commissione parlamentare d’inchiesta.
Quattordici sono i magistrati incolpati di avere “fatto parte dell’ associazione segreta, compromettendo così il prestigio dell’Ordine Giudiziario e rendendosi immeritevoli della fiducia e della considerazione di cui deve godere il magistrato”. Due di loro, Domenico Pone ed Elio Siggia, saranno rimossi; altri otto saranno condannati a sanzioni conservative comprese tra la perdita di anzianità con trasferimento d’ufficio e l’ammonimento; tre saranno prosciolti, mentre nei confronti dell’ultimo l’azione disciplinare sarà dichiarata non proseguibile per avere egli lasciato nel frattempo l’ordine giudiziario. Altri ne erano usciti già in precedenza.
La sentenza, lunga 161 pagine, viene pronunciata il 9 febbraio 1983 e depositata il 16 marzo successivo, meno di quaranta giorni dopo. Occorreva dare un segnale di efficacia e il Consiglio riuscì a darlo tanto nella gestione del dibattimento quanto nella stesura della motivazione.
Il caso volle che il suo deposito sia avvenuto il giorno prima della sentenza di proscioglimento del consigliere istruttore di Roma Ernesto Cudillo, pronunciata su conforme richiesta del procuratore della Repubblica, Achille Gallucci [1].
La decisione traccia un quadro della P2 e dei suoi legami con la magistratura ben più allarmato di quello delineato dai giudici romani. Essa si segnala in particolare per l’affermata esistenza di un divieto generale – per tutti i magistrati così come per ogni pubblico dipendente – di adesione a una società segreta (pur in difetto allora di una norma espressa [2]), per l’attendibilità delle liste sequestrate a Castiglion Fibocchi (di cui aveva invece dubitato il procuratore Gallucci), per l’esame analitico delle singole posizioni in relazione all’iscrizione effettiva, per la ricostruzione del programma a breve e medio termine della Loggia [3].
Per il perseguimento degli obiettivi in materia ordinamentale il programma fa affidamento espresso sulla presenza di una forza interna “(la corrente di magistratura indipendente dell’ANM) che raggruppa oltre il 40% dei magistrati italiani su posizioni moderate” [4]). Sebbene alcuni degli incolpati siano effettivamente iscritti a quella corrente e uno, Pone, ne sia il segretario generale, la sentenza fornisce una ricostruzione equilibrata sullo specifico legame accertato, sia perché esso era rimasto a livello di vertice, stante la sua improponibilità al gruppo di magistrati nel suo complesso, sia perché nella P2 erano stati reclutati anche magistrati aderenti ad altre correnti.
La Relazione parlamentare Anselmi, approvata a larga maggioranza dalla commissione il 10 luglio 1984, si schiera dalla parte del CSM. Mentre rivolge critiche severe alle decisioni della magistratura ordinaria, mutua diverse argomentazioni esposte nella sentenza disciplinare.
A Vladimiro Zagrebelsky si deve dunque anche questa pagina eminente di rigore istituzionale. La vicenda P2 aveva acceso scontri istituzionali senza precedenti. Si temeva anche lo scioglimento del CSM, dato il numero e l’autorevolezza dei magistrati che erano stati investiti dal ciclone. La sentenza della sezione disciplinare pose invece le basi per una rinnovata fiducia nei confronti della giurisdizione.
Alla pagina 65 della motivazione si legge che “il Procuratore Generale, concludendo la sua requisitoria, ha ricordato come la vicenda della P2 presso altre amministrazioni, di non minore rilievo della magistratura, sia stata «cloroformizzata». Si tratta di osservazione che non voleva avere e non ha efficacia esemplare, nel momento in cui la Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura è chiamata ad esprimere, anche con la irrogazione di sanzioni disciplinari, i valori propri dell’Ordine giudiziario e deve, nei limiti della propria responsabilità, dare applicazione alle norme deontologiche che, per i magistrati, sono stabilite dalle leggi della Repubblica e, in primo luogo, dalla Costituzione”. Gli altri, insomma, agiscano secondo i valori che meglio ritengono. I magistrati non possono deflettere dai propri, a cominciare da quelli costituzionali.
Nel leggere quelle parole inequivocabili sembra di sentire ancora la sua voce, di vedere i suoi occhi cerulei che ti guardano, riflettendo l’evidenza della rettitudine. Chi di noi ha avuto a fianco Vladimiro è stato un privilegiato.
Il testo che alleghiamo rappresenta un documento storico, poiché riporta il dattiloscritto originale della sentenza del 9 febbraio 1983 della sezione disciplinare del CSM, con i doverosi omissis. La versione integrale si trova comunque pubblicata [5].
[1] L’annotazione è di E. Bruti Liberati, in Magistrati e società nell’Italia Repubblicana, 2018, Laterza, 178.
[2] Solo con la risoluzione del 22 marzo 1990, il Consiglio superiore della magistratura determinerà a esprimersi in termini generali sull’incompatibilità tra l’iscrizione o l’appartenenza dei magistrati alla massoneria o ad associazioni che pongano vincoli di condotta agli aderenti. Verrà poi la riforma dell’ordinamento giudiziario, con l’art. 3, co. 1, lett. g, d. lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, a qualificare espressamente come illecito disciplinare la partecipazione del magistrato “ad associazioni segrete o i cui vincoli sono oggettivamente incompatibili con l'esercizio delle funzioni giudiziarie”.
[3] Per la P2, le modifiche più urgenti, in materia di ordinamento giudiziario, “investono:
- la responsabilità civile (per colpa) dei magistrati;
- il divieto di nomina sulla stampa i magistrati comunque investiti di procedimenti giudiziari;
- la normativa per l’accesso in carriera (esami psicoattitudinali preliminari);
- la modifica delle norme in tema di facoltà libertà provvisoria in presenza dei reati di eversione – anche tentata – nei confronti dello Stato e della Costituzione, nonché di violazione delle norme sull’ordine pubblico, di rapina a mano armata, di sequestro di persona e di violenza in generale”.
Sono ritenuti invece “obiettivi di medio o lungo termine:
– unità del Pubblico Ministero (a norma della Costituzione – articoli 107 e 112 ove il P.M. è distinto dai giudici);
– responsabilità del Guardasigilli verso il Parlamento sull’operato del P.M. (modifica costituzionale);
– istruzione pubblica dei processi nella dialettica fra pubblica accusa e difesa di fronte ai giudici giudicanti, con abolizione di ogni segreto istruttorio con i relativi e connessi pericoli ed eliminando le attuali due fasi di istruzione;
– riforma del Consiglio Superiore della Magistratura che deve essere responsabile verso il Parlamento (modifica costituzionale);
– riforma dell’ordinamento giudiziario per ristabilire criteri di selezione per merito delle promozioni dei magistrati, imporre limiti di età per le funzioni di accusa, separare le carriere requirente e giudicante, ridurre a giudicante la funzione pretorile;
– esperimento di elezione di magistrati (Costit. art. 106) fra avvocati con 25 anni di funzioni in possesso di particolari requisiti morali”.
[4] Sarebbe quindi “sufficiente stabilire un accordo sul piano morale e programmatico ed elaborare una intesa diretta a concreti aiuti materiali per poter contare su un prezioso strumento, già operativo nell’interno del corpo anche al fine di taluni rapidi aggiustamenti legislativi che riconducano la giustizia alla sua tradizionale funzione di elementi di equilibrio della società e non già di eversione”.
[5] In Cass. Pen. Mass., 1983, 750 segg.