Stefano Venturini approdò nella prima sezione della corte di appello di Roma, nella quale io militavo già da tre anni, nel marzo 2017. Dal primo momento capii che saremmo andati d’accordo: il suo sguardo aperto e sorridente preannunciava quella che sarebbe stata una bella amicizia, interrotta solo dall’intervento di un destino imprevedibile e crudele il 14 giugno di quest’anno.
Stefano non era solo un collega che amava il diritto penale, per la possibilità infinita di indagine nell’animo umano che la materia offre all’interprete. E l’animo umano era da lui indagato con la curiosità del giurista ma anche con il rispetto dell’umanista e dell’uomo di cultura. Stefano infatti coltivava soprattutto dubbi e non riteneva mai di essere depositario di verità rivelate e immutabili.
Abbiamo lavorato nello stesso collegio fino alla mia assegnazione in qualità di presidente alla terza sezione, e abbiamo affrontato talvolta decisioni non facili, alle quali giungevamo dopo lunghe e feconde discussioni. Di quelle camere di consiglio ricorderò sempre la bonomia e la mitezza con le quali Stefano sosteneva le proprie argomentazioni e il rispetto per le persone che giudicavamo: si chiedeva sempre se la persona le cui sorti eravamo chiamati a decidere, a distanza di tempo, fosse la stessa che aveva commesso il reato, se il tempo non avesse operato un cambiamento in quella persona, a volte radicale.
Rileggendo la lunghissima serie di messaggi che ci siamo scambiati a margine delle udienze, ho sorriso (tra le lacrime) per le “perle di saggezza” che emergevano dalle sue riflessioni, sempre condite da battute intelligenti dal tono lieve e ironico. Mi sono anche meravigliata per il quantitativo di ricette di cucina che siamo riusciti a scambiarci in questi sette anni.
Appassionante è stato poi rileggere le sue ineccepibili citazioni in latino e dalla Divina Commedia, brani lunghissimi che ricordava a memoria e che citava sempre a proposito e con grande arguzia. Nonostante avesse subìto le dolorose e premature perdite del papà e del fratello Paolo, Stefano era sempre sorridente, disponibile e portatore di una visione ottimistica del futuro e in generale dell’umanità.
Era anche uno sportivo instancabile, coltivava con regolarità discipline che andavano dallo sci al tennis, alla vela, al rugby, nelle quali si impegnava a fondo, riuscendo incredibilmente a non trascurare il lavoro e la famiglia. Non ha mai depositato un provvedimento in ritardo ed era sempre, quando occorreva, al fianco della moglie Maria Teresa e del figlio Federico. Ricordo la gioia e la soddisfazione che trasparivano dai suoi occhi quando rientrò da un breve viaggio in Sicilia in moto con Federico, con il quale intratteneva un dialogo continuo e affettuoso, che è rarissimo di questi tempi riscontrare tra un padre e un figlio.
Ma anche con gli amici non si risparmiava. Mi aveva promesso che non ci saremmo persi di vista dopo il mio trasferimento ad altra sezione e così è stato.
Abbiamo continuato a parlarci e a commentare i fatti di attualità che ci sembravano più rilevanti. Il mio ultimo ricordo risale a qualche mese fa, quanto gli raccontai che avevo acquistato un quadro enorme (circa due metri per due) e pesantissimo che non sarei mai riuscita ad appendere nella mia nuova stanza. Stefano era anche un esperto di bricolage.
Si presentò in ufficio con la cassetta degli attrezzi, il trapano, il martello, la livella. Sgomberò la parete, si arrampicò su una scala e in poco tempo mi risolse il problema. Era così, semplice e diretto. La sua gioia di vivere, la sua amabilità, la sua attenzione per il prossimo mi mancheranno tanto, e sono certa che mancheranno a tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e di frequentarlo. Ma il prezioso patrimonio di umanità che ci ha lasciato ci terrà compagnia e allevierà il dolore per la sua assenza.
Buon viaggio, Stefano
Daniela Rinaldi
Roma, 20 giugno 2024
Stefano lascia un vuoto incolmabile tra i familiari e nei tanti amici e colleghi che hanno avuto modo di conoscerlo ed ammirarlo nell’esercizio della sua professione di Magistrato e nei gesti, anche i più piccoli e in apparenza banali, della vita quotidiana.
Persona di straordinaria intelligenza, sensibilità, umanità, rettitudine morale ed energia vitale, Stefano ha messo a disposizione dell’intera collettività tutti i numerosi talenti di cui era dotato, incarnandoli nella sua figura di Giudice colto, serio, umile e profondamente rispettoso dei diritti di coloro che attendevano il suo giudizio.
Ciò che più colpiva nella sua persona era però una dote rara, quella profonda attenzione per gli altri, quella intelligenza del cuore che consente di “vedere” nella sua interezza la persona che si ha di fronte anche al di là dei suoi comportamenti e delle sue manifestazioni esterne.
Nei diversi passaggi della sua esperienza professionale di Giudice, dapprima a Caltagirone, in Sicilia, quindi a Rieti, poi per tanti anni ad Avezzano, nella nostra Marsica, ed infine a Roma, come Consigliere della Corte d’appello, è stato non solo profondamente stimato dai colleghi e dalla classe forense per l’autorevolezza, la cultura giuridica e il valore professionale, ma amato nelle comunità sociali e dalle persone comuni che, ovunque, nelle diverse realtà territoriali in cui ha operato hanno visto nella sua persona un sicuro e invalicabile punto di riferimento nell’esercizio di una giurisdizione attenta alla tutela dei diritti, specie delle persone più deboli e indifese.
Dalla lettura dei suoi provvedimenti emerge un distillato di rigorosa applicazione della legge illuminata da quel senso di umanità che sempre deve ispirare l’attività di un Giudice.
Non parlo solo del collega, ma soprattutto dell’uomo e dell’amico, del compagno di Liceo con il quale abbiamo condiviso esperienze di vita e professionali indimenticabili, creando, specie con gli amici e colleghi destinati al Tribunale di Caltagirone all’inizio degli anni novanta, in un passaggio storico particolarmente problematico per l’Italia e le sue Istituzioni, una comunità di affetti e valori umani che ancora oggi resiste, indissolubile, perché animata dai medesimi principi di giustizia al servizio della collettività.
Ci ha lasciati troppo presto.
La sua vita terrena è stata segnata da sventure e dolori atroci, che solo la sua straordinaria forza morale ed energia vitale gli hanno consentito di superare, con l’aiuto dei suoi cari: tetragono nelle avversità, ha resistito a tutto, non alla tragica fatalità che lo ha colpito.
Ha affrontato la vita con enorme coraggio, a viso aperto, senza mai risparmiarsi né tirarsi indietro nel lavoro.
Ha combattuto una buona battaglia.
Dietro il velo dell’esistenza terrena, Stefano, con il suo sorriso lieve e ironico di uomo retto e profondamente buono, rimarrà sempre al nostro fianco e ci sarà ancora di esempio.
Certi ricordi, come ha detto un grande poeta, bastano a profumare un’anima per sempre.
Gaetano De Amicis
Tagliacozzo, 19 giugno 2024
Entro in aula e vedo Stefano, una testa riccia nera, tutta ondulata, china a studiare bene le carte. Lo saluto con affetto, come al solito, lui alza lo sguardo, serissimo, poi mi fissa, sembra pieno di pensieri… ma mi coglie di sorpresa con una nuova storia da raccontarmi e scoppiamo a ridere… e continuiamo a ridere felici finché non ci stanchiamo per quanto ci fanno male i muscoli del viso.
Ecco, questo era Stefano, serissimo, quasi intransigente, che parlava del suo lavoro come di un “mestiere”, al servizio agli altri, che raccontava l’esperienza di giudice come una missione, qualcosa che andava al di là del giudicare, ma era il “rendere giustizia”, con tutte le sue forze, fino all’ultima stilla di sudore, sapendo della fallacia dell’agire umano e della fragilità degli uomini.
Poi, però, vi era l’altra parte di Stefano, quella sconosciuta ai più, quella di chi sapeva che la vita era una perentesi breve e che andava bevuta tutta d’un fiato. Il piacere di stare a raccontare storie con un amico, la pacca sulla spalla, quel modo un po' abruzzese di cercare i sentimenti veri e profondi, senza sovrastrutture, la semplicità, un pranzo condiviso, una bevanda fresca ristoratrice, la partita a tennis, lo sci… naturalmente fuori pista… La vita è qui, hic et nunc, avrebbe aggiunto con naturalezza… Si tra le sue parole spesso trovavi perle variopinte e rare, come in una enorme conchiglia colorata, adagiata sul fondale marino, erosa dal sale, ma non ancora aperta a sufficienza, che sprigiona mistero. Uno scrigno nascosto, questo si nascondeva nell’anima bella di Stefano, insieme con l’amore per Federico e Teresa, e per suo fratello Paolo, oltre che per tutti coloro che hanno avuto la ventura di imbattersi nella sua anima.
Stefano dava l’idea di essere una sorta di superuomo, sorridente anche dopo l’ennesimo intervento chirurgico che lo rimetteva sugli sci. Un uomo che anche nell’incedere trasmetteva sicurezza, che sapevi non ti avrebbe mai tradito. Incarnava la sicurezza, la certezza, il punto fermo, come marito, padre, collega, amico. Un uomo forse d’altri tempi, con valori inossidabili, come una quercia ben piantata al suolo, che lascia accarezzare le foglie dal vento tiepido della primavera.
Epperò, anche sul lavoro, talora bastava che alzasse lo sguardo… poi piegava la testa, torceva il collo, scrollava il capo, accennava una increspatura sulla bocca e gli occhi sfavillavano gioiosi…. aveva capito e ti dava conferma che eravamo allineati. Tra noi poche parole, ma era sufficiente un cenno, quella sua capacità di parlare anche attraverso i gesti, la postura del corpo, i movimenti del capo, lo strabuzzare degli occhi, il corrugarsi della fronte.
Un amico, un collega, un uomo dai valori forti, leale, gentile, coltissimo, con un cuore grande, dalla battuta rapida e leggera. Lo sguardo severo, ma dolce nel profondo. Amava il suo lavoro, come lo sport e la vita. Si è preso cura del nipotino dopo che è mancato suo fratello, con un amore raro, pieno di dolcezza, ma di sicuro affidamento. Un amico leale, un padre affettuoso, un marito accogliente, un porto sicuro, un uomo saldo nei suoi valori.
Non avrei mai pensato di dover scrivere queste parole... non si è mai pronti a farlo... ma resta nei nostri cuori... con un'ultima sua battuta... “ma che stai a scrive' Lui’?”
Luigi D'Orazio
Caro Stefano, ci conosciamo da tanti anni, sei stato – sei – per me un collega, un amico, un fratello; per anni abbiamo lavorato gomito a gomito, passato insieme l’intera giornata.
Abbiano continuato a sentirci e a parlarci, pur vedendoci meno, anche negli ultimi tempi.
Ho ancora molte cose da dirti e te le dirò, ma non ora; non qui.
Ora voglio pensare non a ciò che ho da dirti io, ma a ciò che mi avresti detto tu, se fossi dovuto partire per un lungo viaggio, senza poter avvertire né salutare nessuno.
Tu mi avresti detto – ne sono certo – di parlare di Te a tuo figlio e a tua moglie, nella lieta certezza che li avresti un giorno rivisti, ma nella dolorosa impossibilità di immaginare quando.
Parlerò allora loro di tre sentimenti, tra i più belli tra quelli che nobilitano le virtù umane e che in te, amico mio, quasi per una grazia sovrannaturale, si sono eccezionalmente riuniti, formando un dono magnifico e prezioso, un dono che ti hanno fatto gli Dei nella culla.
Essi sono la PASSIONE, la GENEROSITÀ DISINTERESSATA, l’IRONIA.
La PASSIONE vive con te, irrequieta come una giovane donna, sembra volare via dai tuoi lunghi capelli che guardo, invidioso, aprirsi al vento, mentre ti vedo scendere dalla pista della Volpe verso quella degli Innamorati, o correre veloce sull’erba con la palla ovale sotto al braccio, o tentare una demi- volée dalla linea del servizio.
Caro Federico, tuo padre tutto ciò che faceva lo faceva per PASSIONE.
La prima, la più grande, era quella per il suo lavoro e per il diritto, in particolare il diritto penale, che applicava quotidianamente nelle aule di giustizia, rendendo esemplare omaggio alla Toga orgogliosamente indossata e ricevendo la stima e l’apprezzamento unanime, non solo quello professionale degli avvocati, ma anche quello personale delle vittime dei reati e persino degli imputati, dei cui diritti era sacro tutore.
Ma oltre che applicarlo, gli piaceva studiarlo, il diritto, e qui emergeva la PASSIONE.
Una volta – voglio raccontarti questo episodio, caro Federico – ci facemmo in macchina in giornata Avezzano-Bologna e ritorno solo per sentir parlare il Prof. Ferrando Mantovani sulla teoria dell’errore nella dogmatica del reato. Tornando, sulla A14, tuo padre si era talmente appassionato alle parole del vecchio maestro che, discutendo animatamente della teoria dell’errore, mancò l’uscita di Città Sant’Angelo. Gli dissi: “Stefano, non abbiamo preso la A 25”. La sua risposta fu: “Caro Paolo, non tutti mali vengono per nuocere, ora ce ne andiamo a mangiare il pesce a Termoli”.
Se la passione sono i tuoi capelli, la GENEROSITÀ sono i tuoi occhi, Stefano: quegli occhi soccorrenti, amicali, che mi restituirono la forza e il coraggio sottrattimi dal terremoto, che mi rialzarono dalla prostrazione in cui ero piombato offrendomi aiuto, rifugio, amicizia; quegli occhi da cui sgorgava con ineffabile, naturale dolcezza, il profondo amore che regalavi alla tua sposa, alla tua amata Maria Teresa.
Ricordi, Teresa, quando ci ospitaste in Calabria? Federico era già un ragazzo, i miei figli erano ancora bambini. Stefano sorreggeva il piccolo Mario tra le acque rocciose e profonde e ti sorrideva mentre parlavi con Stefania.
Egualmente ti sorrideva in quel bar di Sirolo, quando raggiungemmo con un ritardo di oltre 4 ore la costa marchigiana e il Monte Conero per colpa mia, che vi avevo fatto sbagliare strada, perdendovi tra le mille vie della campagna umbra; mentre sorseggiavamo l’aperitivo eravamo stanchissimi e voi ragazze un poco infastidite, ma Stefano sdrammatizzò, dicendo che ti avrebbe portato in braccio in albergo. Rimasi colpito - e credo anche tu – non tanto dalle parole ma dal sorriso da cui sgorgarono, e dagli occhi che le dicevano, vere sorgenti d’amore.
In quel sorriso, che incorniciava la generosità degli occhi e la passione dei capelli, deflagra la tua IRONIA, caro Stefano; essa non è immediatamente percepibile, palpabile, come lo è la passione; è più recondita, perché ama sorprendere, palesarsi all’improvviso, ma è pronta ad accendersi, di improvvise, generose, fiammate, in una battuta, un racconto, uno scherzo.
Cari Federico e Teresa, Stefano – credo lo sappiate – amava regalare ai suoi amici, oltre la sua generosa amicizia, anche la sua propensione allo scherzo. E quanto più cresceva la diffidenza di chi la riceveva, tanto più aumentava quella propensione; al caro, comune amico che, per telefono, non aveva in un primo momento creduto che a parlare era l’ambasciatore armeno in Italia, disse, in una successiva telefonata, di essere il proconsole dei paesi emergenti dell’Asia Minore e quegli non poté fare a meno di credergli.
La PASSIONE, la GENEROSITÀ DISINTERESSATA e l’IRONIA sono stati il tuo modo di vivere, Caro Stefano, i sentimenti che hanno costantemente ispirato il tuo agire e che hanno qualificato la tua personalità.
Essi sono il contrario dell’egoismo, dell’avarizia, del distacco; sono sentimenti tipici dei ragazzi. Basta avere uno di questi tre doni, per non invecchiare, tu li avevi tutti e tre.
Per questo, ovunque sarai, continuerai, caro agli Dei, a scendere con i capelli al vento dalla pista degli Innamorati, a correre sul campo da rugby con la palla ovale sotto il braccio, a tentare demi-volée dalla linea del servizio.
E noi continueremo a parlarci, amico mio, ancora e per sempre, ne sono certo.
Paolo Spaziani