ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Ho atteso che il tempo sgombrasse l’incredula retina da quelle sequenze da avanspettacolo. Ma purtroppo continuano a rimanervi impresse. Ministri della Repubblica che sgomitano trionfanti per ostentare lo scalpo di un criminale. Ministri della Repubblica che violano disinvoltamente norme del codice di procedura penale e dell’ordinamento penitenziario. Ministri della Repubblica che si cimentano in un’imbarazzante gara nell’esibire la divisa dei corpi di polizia appartenenti al loro dicastero. Ministri della Repubblica che intendono la risposta dell’ordinamento al crimine come la soddisfatta vendetta dei vincitori.
Si sono dovuti ascoltare accenti che sarebbero ben comprensibili se provenienti dalla vittima o da un suo familiare, ma che sono inammissibili per un rappresentante dello Stato. Ed invece proprio dalle vittime, il cui dolore giustificherebbe qualsiasi reazione, anche scomposta e vendicativa, viene spesso un esempio di dignità, di compostezza, di umanità che è la prima e più inappellabile sanzione per i loro aguzzini: perché marca una differenza abissale -non tra vincitori e vinti- ma tra coloro che hanno rispetto degli altri esseri umani e della loro vita e coloro non lo hanno.
Ciò che più interessa, tuttavia, non è biasimare l’infelice sceneggiata: c’è stato un confortante coro al riguardo, cui si sono meritevolmente unite anche persone politicamente vicine ai protagonisti della penosa messinscena. Ciò che interessa è sbugiardare inaccettabili giustificazioni “postume”.
Si dice che con l’ostentata soddisfazione si è inteso rimarcare il successo dello Stato; ma le fanfare dell’entusiasmo, semmai, ne sottolineano l’assoluta eccezionalità.
Si dice che sia stato un modo per riconoscere prestigio e meriti alle forze di polizia interessate dall’operazione. Ma a loro dobbiamo riconoscenza e apprezzamento per ciò che con professionalità e sacrificio fanno quotidianamente al servizio della collettività, non certo per qualche selfie in maschera, che anzi ne mortifica l’altissima funzione. Alla Polizia penitenziaria, ad esempio, va la nostra profonda gratitudine per il delicatissimo, silenzioso, ingrato compito assolto nell’ombra umida e claustrofobica delle prigioni, non certo perché, sotto l’enfasi dei riflettori, si limita a prendere in consegna un condannato per gravissimi crimini. A ragionare diversamente, dovremmo ritenere che la Guardia di finanza o l’Arma dei carabinieri, non gratificate da impavesate passarelle, siano meno meritevoli di apprezzamento. O supporre che gli altri ministri dell’attuale governo che operano con discrezione e sobrietà non siano soddisfatti e orgogliosi dei funzionari del proprio dicastero.
Chiamiamo una buona volta le cose con il loro nome: si è trattato di una strumentalizzazione in chiave autopromozionale di funzioni e divise (v. la denuncia i Vigili del fuoco) che appartengono alla Stato, non certo al ministro pro tempore. Strumentalizzazione condotta, oltretutto, con modalità pateticamente esibizionistiche.
Sarà pur vero, come ammoniva Gobetti, che “in Italia la lotta tra il dannunzianesimo e la serietà è eterna”, ma è altrettanto amaramente certo che in questo periodo la lotta si è fatta impari.
(da “il Dubbio”, del 19.1.2019)
Nota redazionale
Esiste nel processo penale una regola di fede privilegiata degli atti pubblici da smentire con querela di falso?
E’ ipotizzabile l’aggravante della “fidefacenza”, ex art. 476 secondo comma cod. pen., con riferimento all’atto di indagine falso della polizia giudiziaria?
La sesta Sezione della Cassazione, pronunciandosi in tema di atti di indagine della polizia giudiziaria, ha affermato che non esistono nel processo penale atti forniti di fede privilegiata fino a querela di falso.
Si giunge a tale conclusione in base alla considerazione che la querela di falso del cod. civ. del 1942 e del cod. proc. civ del 1940 non ha mai riguardato la materia penale; che nel codice penale del 1930 esisteva lo specifico incidente di falso ex art. 215 e ss. da utilizzare per gli atti del processo, non riprodotto dal codice del 1988; che non è prevista nel processo penale specifica pregiudiziale civile.
A ciò si aggiunga la considerazione che la natura di atto che “fa fede fino a querela di falso”, con riferimento all’accertamento penale, è esclusa, non solo in ragione della mancanza di previsione normativa che assegni potestà documentatrice alla polizia giudiziaria ma altresì in quanto una simile previsione sarebbe in contrasto con il sistema.
E’ smentita ogni affermazione di segno contrario dal principio dell’oralità del dibattimento nonché dal principio – di rango costituzionale - della parità delle armi che permane anche nel rito dell’alternativa inquisitoria.
Sotto altro profilo, logica conseguenza che si trae dalla rilevata insussistenza del connotato di atto che fa fede fino a querela di falso è la non configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 476, secondo comma, cod. pen. alla falsità ideologica commessa dalla polizia giudiziaria negli atti di indagine (rapporti, informative, verbali etc.).
La costante affermazione della giurisprudenza di legittimità secondo cui “in tema di reato di falso ideologico in atto pubblico, affinché sia configurabile la circostanza aggravante prevista dall'art. 476, comma 2, cod. pen., sono documenti dotati di fede privilegiata solo quelli emessi dal pubblico ufficiale investito di una speciale potestà documentatrice, attribuita da una legge o da norme regolamentari, anche interne, ovvero desumibili dal sistema, in forza della quale l'atto assume una presunzione di verità assoluta, ossia di massima certezza eliminabile solo con l'accoglimento della querela di falso o con sentenza penale” (ex plurimis Sez. 6 n. 35219/2017), con riferimento ai verbali della polizia giudiziaria, va dunque senz’altro orientata alla luce della rilevata inammissibilità nel processo penale –governato, si ribadisce, dal principio dell’oralità e della parità delle armi- , nel senso dell’esclusione di caratteri di privilegio probatorio ai verbali redatti dalla polizia giudiziaria, con conseguente non configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 476, comma secondo, cod. pen. nell’ipotesi di falsità dell’atto.
La legge di bilancio per il 2019 ha modificato la pianta organica della magistratura ordinaria portandola a 10751 unità, con un incremento di 600 magistrati rispetto alla precedente dotazione fissata con l. n. 181 del 13 novembre 2008. In quella occasione l’aumento fu modesto (42 unità). Aumenti più consistenti si erano registrati nel 2001 (legge nr. 48 del 13 febbraio 2001: 1000 unità) e nel 1993 (legge nr. 295 del 9 agosto 1993: 600 unità).
Dunque è dal 2001 che la pianta organica non era sottoposta ad un adeguamento capace di incidere significativamente sul sistema giudiziario.
Nel frattempo, va ricordato, altri importanti interventi hanno ridisegnato la distribuzione delle risorse sul territorio: la ridefinizione della geografia giudiziaria del 2013, con la riduzione degli uffici giudiziari attuata attraverso la chiusura e/o l’accorpamento di uffici piccoli, e l’abolizione delle sedi distaccate; la revisione della pianta organica degli uffici di primo e secondo grado operata con i decreti ministeriali del 1° dicembre 2016 e del 2 agosto 2017; gli interventi in materia di assegnazione dei magistrati onorari e del personale amministrativo, anche a seguito di un nuovo consistente reclutamento.
Nelle previsioni del Ministero, anche per le conseguenti coperture di spesa, le 600 unità aggiuntive potranno essere assunte in un triennio, a partire dal 2020, nel numero massimo di 200 per ciascun anno.
La tabella B, poi, risulta modificata già per effetto della legge di bilancio, che suddivide l’aumento di organico assegnando 80 magistrati agli uffici giudicanti e requirenti di legittimità, e 520 agli uffici di merito, con riferimento a magistrati con funzioni giudicanti e requirenti di merito di primo e di secondo grado, di magistrato distrettuale, di coordinamento nazionale presso la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e semidirettive di primo grado, di primo grado elevate e di secondo grado.
E’ evidente che l’assegnazione delle 80 unità agli uffici di legittimità, nel rispondere ad una condivisibile esigenza di rafforzare la Corte di Cassazione e la Procura Generale, non comporterà particolari difficoltà nella suddivisone dei magistrati fra i due uffici. Molto più difficili, complesse e politicamente sensibili, le scelte che dovranno essere operate per ripartire le 520 unità fra gli uffici di merito di primo e secondo grado.
Si tratta di scelte demandate al Ministro della Giustizia che dovrà emanare i relativi decreti entro tre mesi dalla entrata in vigore della legge di bilancio, previo parere del Consiglio Superiore della Magistratura.
La questione non è stata ancora oggetto di un reale dibattito interno alla magistratura che, anzi, ha dato l’impressione di accorgersi della positiva novità solo a norma approvata. Sembrano lontani i tempi in cui la magistratura associata poteva permettersi di esprimere dubbi sulla bontà di iniziative del genere, concentrandosi semmai sul tema della redistribuzione interne degli organici e sulla necessità della loro copertura integrale. Le considerazioni problematiche sulla concreta possibilità di assorbire un cospicuo aumento della pianta organica con nuovi magistrati forniti di adeguata preparazione di base, e la convinzione delle ricadute negative di un eccessivo ampliamento della categoria professionale, oggi lasciano il campo alla convinta consapevolezza che all’aumento progressivo della domanda di giustizia non può farsi fronte che con un adeguamento delle risorse disponibili; prime fra tutte quelle di magistratura, accompagnate da un programma di assunzioni e reclutamento del personale amministrativo che ne determini l’incremento numerico e qualitativo attraverso un deciso un ricambio generazionale, ed un costante investimento nelle nuove tecnologie e nell’informatizzazione. Si tratta di misure necessarie, unitamente alla progressiva entrata a regime della riforma della magistratura onoraria e dell’ufficio per il processo, per continuare a pretendere i miglioramenti organizzativi che la produzione normativa del Consiglio opportunamente richiede ai dirigenti degli uffici.
La distribuzione in organico di 520 magistrati negli uffici di merito rappresenta dunque uno snodo che influenzerà il funzionamento della giustizia per molti anni, e le scelte che faranno Ministero e Consiglio Superiore, oggettivamente difficili, dovranno essere il risultato di criteri e valutazioni che siano ispirati a trasparenza, efficienza e visione complessiva del sistema. Indirizzare più o meno risorse a uffici di primo o secondo grado, ad uffici distrettuali o uffici piccoli e/o periferici, al Nord o al Sud, sottende valutazioni e scelte cariche di “politicità”, che rischiano di essere pesantemente influenzate da campanilismi, bacini elettorali, cordate e interessi di varia natura. La giustizia non è omogeneamente amministrata sul territorio e la distribuzione delle risorse di magistratura continua ad esserne una delle cause, pur mitigata dai recenti ed utili aggiustamenti del 2016- 2017. Una giustizia a più velocità contribuisce a sua volta a determinare un’Italia a più velocità, dove la lentezza della giustizia fa da pendant alla lentezza della crescita economica e sociale di ampie fette della popolazione. Ne consegue che l’occasione è quella giusta per provare a contribuire a porre rimedio a tali disparità, affrontando una questione che appare molto concreta ma che incide su valori assai elevati.
La recente attività di confronto svolta in sede di comitato paritetico fra Ministero e Consiglio, prodromica alla revisione delle piante organiche di recente attuazione, potrà essere di conforto per i criteri utilizzati e gli approfondimenti che in quella sede furono operati, pur funzionali ad una diversa operazione quale quella di un redistribuzione che doveva condurre ad un saldo invariato, salvo il recupero di poche unità accantonate in passato per ragioni tecniche. Potranno essere utilizzate le tabelle del Ministero e le proiezioni fondate sulla densità di popolazione, sulla natura della criminalità e del contenzioso, sull’incidenza della presenza imprenditoriale, sui flussi delle pendenze, delle sopravvenienze e degli indici di ricambio. I dati aggiornati sulla ripartizione all’interno di Tribunali e Corti di giudici e giudici penali saranno utili a conoscere le esigenze dei diversi uffici e parametrare l’organico degli uffici requirenti; la suddivisione di partenza degli uffici in piccolo, medio piccolo, medio grande, grande e metropolitano, mutuato dal T.U. dirigenza e dalle altre fonti consiliari consentiranno di considerare le differenze fra uffici omogenei; l’acquisizione di dati aggiornati sugli uffici qualificati sedi disagiate ai sensi della legge 133/98, sugli uffici che hanno dovuto fruire del maggior numero di applicazioni extradistrettuali e di quelli che subiscono il maggior tasso di turn over, potranno aiutare ad identificare oggettivamente uffici in sofferenza che necessitano di maggiori risorse.
Alcuni problemi si ripropongono e chiederanno una preliminare soluzione.
Il primo, rituale, è il peso da attribuire al numero dei procedimenti pendenti. La pianta organica degli uffici giudiziari si determina innanzitutto sulle sopravvenienze, sui flussi di procedimenti che nel periodo considerato hanno ingresso nei ruoli dell’ufficio. Ma torna costantemente il tema del valore da attribuire alle pendenze, cioè al carico arretrato che grava sull’ufficio, spesso assai diversificato. Il carico arretrato può essere l’effetto del ricorrere di cause di inefficienza organizzativa non dipendente da carenza di risorse, ovvero da caratteristiche oggettive dell’ufficio, quali l’eccessivo turn over, la scarsa copertura dell’organico e la sua inadeguatezza di base, la carenza di personale amministrativo, la natura del contenzioso. Resta il fatto che al momento della definizione delle piante organiche far finta che non ci siano uffici gravati da un arretrato sensibilmente maggiore di altri, significa tradire la premessa che vuole l’aumento della pianta organica funzionale a dare maggiori risposte di giustizia ai cittadini e, soprattutto, ridurre il differenziale di durata dei processi fra una sede ed un’altra. E’ forse il caso di attribuire maggiore peso che in passato a questo criterio di riferimento; dare la possibilità a questi uffici di aggredire l’arretrato, mettendo poi in campo un monitoraggio del Ministero e del Consiglio per evitare che tali risorse vadano sprecate; veri e propri piani di abbattimento dell’arretrato vanno pensati con la collaborazione fra le istituzioni e con l’impegno degli uffici, responsabilizzati dall’aumento di organico, che può essere anche temporaneo e sottoposto a verifica periodica dei risultati conseguiti.
Altre scelte potranno essere il frutto della preliminare decisione sulla sorte dei magistrati distrettuali. Nel 2017 si prese atto del sostanziale fallimento dell’istituto, derivante dalla assenza di reali incentivi a ricoprire una funzione considerata residuale e prescelta, nell’ambito della mobilità, solo per ragioni collegate all’avvicinamento a casa. Ne conseguì la determinazione di ridurre al minimo indispensabile in posti in organico, a favore di posti stabili presso le Corti d’Appello. Dovrà ora valutarsi se l’istituto può essere rivitalizzato, magari discutendo contestualmente di possibili incentivi alla sua copertura, o se per la sua effettiva attuazione dovrà attendersi l’avvicinamento al pieno organico, possibile solo nei prossimi anni. Ne conseguiranno scelte in ordine alla destinazione a tali funzioni di parte dei posti disponibili per l’aumento di organico.
Uno snodo rilevante da affrontare è quello degli uffici piccoli. Una moderna concezione della geografia giudiziaria dovrebbe procedere per la ulteriore riduzione del numero degli uffici giudiziari, attraverso accorpamenti che semplifichino la distribuzione territoriale e realizzino unità organizzative al di sopra di standard minimi di funzionalità (Procure di 13/14 sostituti – Tribunali di 30/35 giudici), ma è chiaro che un tale progetto non appare assolutamente all’orizzonte e si presenta oggi come una vera e propria chimera, come dimostra anche la decisione del governo di rinviare la chiusura di Avezzano, Lanciano, Sulmona e Vasto fino al 2021. Così stando le cose, non c’è dubbio che la nuova distribuzione delle risorse dovrà puntare a puntellare questi uffici piccoli, mettendoli in condizione di avvalersi di organici in grado di assicurare una minima organizzazione funzionale ed efficace. Una particolare approfondimento meriteranno le Procure fine a 9 sostituti ed i Tribunali fino a 20 giudici; senza automatismi, perché alcune realtà di queste dimensioni sono adeguate, ma sicuramente è auspicabile una valutazione preliminare rispetto alle altre.
Infine, le Corti d’appello. Si tratta, per l’analisi dei numeri di pendenze e sopravvenienze di questi anni, senz’altro dell’imbuto del sistema giudiziario italiano su cui occorre intervenire. Del resto si prospetta, seppur fra qualche anno, un inevitabile incremento dei flussi conseguente alla modifica della norma sulla prescrizione, destinata ad entrare in vigore il 1 gennaio 2020. Ne deriverà per un verso un aumento dei procedimenti in secondo grado, per effetto del prevedibile aumento delle sentenze con decisioni nel merito in primo grado e per il venir meno della prescrizione in itinere dopo tale fase; per l’altro la necessità, nel settore penale, di rendere risposte in tempi ragionevoli per evitare l’effetto boomerang della riforma.
Appare davvero ineludibile, dunque, che una porzione significativa dell’aumento di organico sia destinata a tali uffici, con una particolare attenzione alle Corti d’Appello di Roma e di Napoli che gestiscono circa il 40% dell’arretrato delle Corti italiane, e per le quali dovrà continuarsi il lavoro di monitoraggio intrapreso due anni fa.
Queste solo alcune delle questioni che si pongono in vista della distribuzione dell’aumento di organico.
Ma più, e prima ancora, che il merito delle scelte, ciò che interessa evidenziare è la fondamentale importanza che esse siano per un verso il frutto di un metodo di confronto, discussione e condivisione dei criteri in sede di comitato paritetico Csm – Ministero e, per altro, che le determinazioni finali siano trasparenti e facilmente comprensibili, essendo inevitabile che esse possano determinare critiche, disapprovazioni e proteste. Solo l’assunzione da parte della magistratura di un ruolo centrale in questo percorso, sia nell’ambito del dibattito associativo che del circuito locale del governo autonomo (attraverso l’acquisizione di informazioni presso gli uffici ed i consigli giudiziari) e del Consiglio Superiore della Magistratura, potrà mettere in campo la giusta interdizione ad interferenze campanilistiche, in parte esterne al legittimo circuito decisionale e di matrice politica, in parte interne ad esso, con la deprecabile corsa al canale di interlocuzione privilegiato con il Ministro che dirigenti ed uffici giudiziari, specie quelli di maggior peso, possano essere tentati di operare.
La sfida è lanciata, e coinvolge tutti. Aspetteremo poi la copertura dei nuovi organici e gli investimenti per il personale e l’informatica. E continueremo, da par nostro, a lavorare sull’organizzazione. Ma questa è tutta un’altra storia, non meno importante.
Requisitoria di Federico Sorrentino Procuratore generale - Udienza Sezioni Unite del 15 gennaio 2019
Intervista di Enrico De Santis a Elisabetta Pierazzi
Cosa si deve aspettare chi ha deciso di partecipare al concorso in Magistratura? Domande e risposte tra chi è nel pieno dello studio e chi il concorso lo ha fatto due volte, da candidata e da componente della Commissione di esame.
1. Dott.ssa Pierazzi, lei è stata componente della Commissione d'esame del Concorso in Magistratura nel 2010: sulla base della sua pregressa esperienza, quali sono stati i criteri che hanno guidato voi commissari nella scelta delle tracce?
Prima di pensare a delle tracce abbiamo ragionato insieme per capire quale fosse il nostro obiettivo. Certamente avevamo la necessità di individuare argomenti che ci aiutassero a "fare una selezione" tra i candidati, dato che gli iscritti erano circa 6000, ma volevamo anche che si trattasse di tracce che ci consentissero di valutare la conoscenza degli istituti e la capacità di ragionare in un'ottica ordinamentale complessiva. Abbiamo anche deciso di escludere gli argomenti sui quali i commissari avevano scritto di recente, per evitare tracce eccessivamente prevedibili e premiare un approccio “furbo” all’esame.
Ci siamo dati questi criteri di massima, e poi ognuno ha indicato, anonimamente, una traccia, in competa libertà. Tra queste sono state votate le tre per ciascuna materia tra le quali, come per legge, è stata pubblicamente estratta quella sottoposta ai candidati.
2. Scorrendo sul sito del Ministero della Giustizia l’elenco delle tracce assegnate, le commissioni di concorso sembrano orientate, almeno negli ultimi anni, nel prediligere temi di stretta attualità giurisprudenziale. Nell’ultimo concorso - forse anche a seguito delle note polemiche sui corsi privati di preparazione al concorso - sono state formulate tracce di diverso respiro, quasi dottrinale. L’esito del primo approccio potrebbe essere quello di premiare una conoscenza, e quindi una preparazione, molto puntuale e casistica. L’esito del secondo potrebbe essere invece l’opposto, oltre a favorire un’estensione della discrezionalità delle commissioni in sede di valutazione. Quale è la sua opinione a riguardo?
Credo che si debba partire dalla consapevolezza che il concorso in magistratura non mira a selezionare teorici del diritto ma operatori pratici, sostenuti da una solida preparazione teorica, che devono avere una conoscenza e prima ancora un sincero interesse per i casi concreti e le ricadute che le scelte giurisprudenziali hanno nel mondo reale.
Come in parte ho detto rispondendo alla prima domanda, l'esigenza di selezionare non indicando tracce eccessivamente generaliste, con questi numeri, c'è; ma c'è anche l'esigenza di allontanarsi dal modello di conoscenza prevalentemente teorica dell'Università e delle scuole di specializzazione, premiando anche, indubbiamente, uno studio meno scolastico e più critico e l'approfondimento sui temi più attuali.
Per quanto mi riguarda credo che la scelta delle tracce debba sempre tenere insieme questi due aspetti.
3. E’ di certo importante scrivere un elaborato concorsuale che sia di qualità nei contenuti, tuttavia quanto rilievo viene dato alla forma dell'elaborato in sede di correzione? E quali sono gli elementi che la commissione tende ad apprezzare?
Può sembrare scontato, ma la correttezza della forma è il primo requisito, anzi il prerequisito per la valutazione di sufficienza di un elaborato. Purtroppo durante la correzione ci siamo imbattuti in errori grammaticali e sintattici che francamente non ci aspettavamo da candidati di un concorso di secondo grado. Data per presupposta comunque la necessità della mancanza di carenze di questo tipo, la chiarezza della forma e la capacità di organizzare un discorso strutturato per punti logicamente interconnessi è certamente apprezzata.
Quanto agli stili individuali, ognuno ha il suo e questo non è certamente un problema; per conto mio, mi sento di sconsigliare il ricorso al "latinorum", che tra l'altro è spesso fonte di tremendi scivoloni... difficili da dimenticare.
4. Quale peso viene dato alla conoscenza delle opinioni dottrinali e le pronunce giurisprudenziali più recenti?
E' un elemento che può fare la differenza in termini di voto, ma solo se dalla lettura della traccia emerge anche una solida conoscenza e direi confidenza con gli istituti di base. Se, viceversa, le pronunce non sono citate, ma il candidato dimostra di sapere sviluppare un ragionamento coerente per rispondere alle questioni poste dalla traccia, non sarà l'assenza di queste citazioni a rendere l'elaborato insufficiente.
5. Il concorso si compone anche di una prova orale nella quale è richiesta la conoscenza di diverse e numerose materie. Qual è, secondo lei, un buon modo di prepararsi al meglio al colloquio orale? C'è un approccio valutativo diverso tra prove scritte ed orali di cui bisogna tenere conto?
Tutti i magistrati che compongono le commissioni di concorso ricordano come fosse ieri il loro esame orale... quindi l'approccio è generalmente rassicurante, perché mettere a proprio agio il candidato è il primo passo per il buon esito dell'esame. Le materie sono veramente moltissime; anche in questo caso, non ci sono trucchi. La preparazione non si improvvisa, occorre uno studio costante che renda possibile studiare e ripassare in contemporanea le materie affrontate da più tempo. Tieni conto comunque che la maggiore selezione è fatta agli scritti, quindi la prova va affrontata con serietà ma anche con fiducia: la capacità di non perdersi d'animo se non si conosce la risposta alla domanda fatta dal commissario, e proseguire l'esame senza andare nel pallone è un elemento valutato molto positivamente. Diciamo che è un buon test predittivo della tenuta di fronte alle molte situazioni stressanti che ci si troverà ad affrontare nel lavoro!
6. Quale consiglio si sente di dare a tutti coloro che si stanno preparando per il concorso appena bandito?
Non so se è un consiglio, ma certamente è una informazione importante: la preparazione al concorso in magistratura è una maratona, e non una gara di velocità! E' normale che ci siano momenti di stanchezza e di scoraggiamento, che ognuno supera a suo modo, ad esempio studiando o ripetendo in gruppo o in coppia, o concedendosi un piccolo stacco, ma l’unico consiglio che mi sento di dare è di non mollare perché il nostro è un lavoro bellissimo per il quale vale la pena impegnarsi... Vi aspettiamo!
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