ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Diritto d’accesso e acquisizione probatoria processuale (nota a Adunanza Plenaria n. 19/2020).
Michele Ricciardo Calderaro
SOMMARIO: 1. Il giudizio di primo grado. – 2. Il giudizio d’appello e l’ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria. – 3. Le questioni di rito risolte dall’Adunanza Plenaria: disciplina emergenziale del processo amministrativo e principio del contraddittorio in appello. – 4. La nozione di documento amministrativo ai fini dell’esercizio del diritto d’accesso. – 5. Il diritto d’accesso secondo la legge n. 241 del 1990 e le norme processuali civili di acquisizione probatoria: i contrapposti orientamenti della IV Sezione del Consiglio di Stato. – 6. La statuizione dell’Adunanza Plenaria: complementarietà, e non reciproca esclusione, tra l’istituto dell’accesso difensivo ed i metodi di acquisizione probatoria nel processo civile. – 7. Osservazioni critiche.
1. Il giudizio di primo grado.
La sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 19 del 25 settembre 2020 è meritevole di attenzione sotto molteplici aspetti.
Occorre però partire dalla ricostruzione della fattispecie dedotta in primo grado.
In pendenza di un giudizio di separazione giudiziale tra coniugi a’ sensi dell’art. 151, cod. civ., uno dei due coniugi chiedeva all’Agenzia delle Entrate l’accesso, volto ad ottenerne copia, della documentazione fiscale, reddituale e patrimoniale (compresi eventuali contratti di locazione a terzi di immobili di proprietà e/o comproprietà del coniuge) della controparte, conservata nell’anagrafe tributaria, nonché delle comunicazioni inviate dagli operatori finanziari all’anagrafe tributaria e conservate nella sezione archivio dei rapporti finanziari, relative alle operazioni finanziarie riferibili alla controparte.
L’esercizio del diritto d’accesso extra-procedimentale era necessario in quanto nel giudizio civile di separazione era stata avanzata domanda di determinazione dell’assegno di mantenimento e di assegnazione della casa familiare.
L’Agenzia delle Entrate rigettava l’istanza di accesso sulla base del rilievo che il controinteressato si era opposto e, con specifico riferimento alla documentazione della sezione archivio dei rapporti finanziari, che era comunque necessaria la previa autorizzazione del giudice investito della causa di separazione.
A questo punto, dinnanzi al rigetto dell’istanza di accesso, l’istante presentava ricorso ex art. 116, cod. proc. amm. al competente Tribunale Amministrativo Regionale, e cioè al T.A.R. Campania, Sezione di Salerno, che assumeva l’orientamento secondo cui in pendenza del giudizio di separazione o di divorzio l’accesso alla documentazione fiscale, reddituale, patrimoniale e finanziaria dell’altro coniuge doveva ritenersi “oggettivamente utile” al perseguimento del fine di tutela, ordinando di conseguenza all’Agenzia delle Entrate di esibire alla ricorrente la documentazione da essa richiesta e di consentirne l’estrazione di copia.
2. Il giudizio d’appello e l’ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria.
La sentenza del T.A.R. Salerno non viene però condivisa ed è oggetto di impugnazione da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Questa censura l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto accessibili i dati dell’anagrafe tributaria, ivi compresi quelli contenuti nella sezione archivio dei rapporti finanziari, senza l’autorizzazione del giudice della causa principale ai sensi dell’art. 492-bis cod. proc. civ., avendo il giudice amministrativo omesso di considerare il rapporto di specialità intercorrente tra la normativa contenuta negli artt. 492-bis, cod. proc. civ[1]. e 155-sexies delle disposizioni attuative al cod. proc. civ[2]. e la disciplina dell’accesso documentale di cui alla legge n. 241 del 1990, ostativo all’applicazione di quest’ultima disciplina, e dovendo l’indispensabilità del documento ai fini della tutela giurisdizionale essere intesa altresì come impossibilità di acquisire il documento attraverso le forme processuali tipiche già previste dall’ordinamento.
La Quarta Sezione del Consiglio di Stato, investita della controversia, pronunciava l’ordinanza collegiale n. 890/2020, con la quale, a fronte dei contrasti giurisprudenziali insorti sulla questione di diritto devoluta in appello, rimetteva gli atti all’Adunanza Plenaria ai sensi dell’art. 99, comma 1, cod. proc. amm., ponendo le seguenti questioni:
a) se i documenti reddituali (le dichiarazioni dei redditi e le certificazioni reddituali), patrimoniali (i contratti di locazione immobiliare a terzi) e finanziari (gli atti, i dati e le informazioni contenuti nell’Archivio dell’anagrafe tributaria e le comunicazioni provenienti dagli operatori finanziari) siano qualificabili quali documenti e atti accessibili ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990;
b) in caso positivo, quali siano i rapporti tra la disciplina generale riguardante l’accesso agli atti amministrativi ex lege n. 241/1990 e le norme processuali civilistiche previste per l’acquisizione dei documenti amministrativi al processo (secondo le previsioni generali, ai sensi degli artt. 210 e 213 del cod. proc. civ.; per la ricerca telematica nei procedimenti in materia di famiglia, ai sensi del combinato disposto di cui artt. 492-bis del cod. proc. civ. e 155-sexiesdelle disposizioni attuative cod. proc. civ.);
c) in particolare, se il diritto di accesso ai documenti amministrativi ai sensi della legge n. 241/1990 sia esercitabile indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste dalle menzionate norme processuali civilistiche, o anche – eventualmente – concorrendo con le stesse;
d) ovvero se – all’opposto – la previsione da parte dell’ordinamento di determinati metodi di acquisizione, in funzione probatoria di documenti detenuti dalla amministrazione, escluda o precluda l’azionabilità del rimedio dell’accesso ai medesimi secondo la disciplina generale di cui alla legge n. 241 del 1990;
e) nell’ipotesi in cui si riconosca l’accessibilità agli atti detenuti dall’Agenzia delle Entrate (dichiarazioni dei redditi, certificazioni reddituali, contratti di locazione immobiliare a terzi, comunicazioni provenienti dagli operatori finanziari ed atti, dati e informazioni contenuti nell’Archivio dell’Anagrafe tributaria), in quali modalità deve essere consentito l’accesso ai medesimi, e cioè se nella forma della sola visione, ovvero anche in quella dell’estrazione della copia, anche solamente per via telematica.
Diverse, pertanto, sono le questioni su cui è stata chiamata a pronunziarsi l’Adunanza Plenaria ma concernenti un’unica fondamentale problematica: cosa si intenda per documento amministrativo e quando il cittadino ha la possibilità di esercitare l’accesso a scopo difensivo a’ sensi della legge n. 241 del 1990, anche in via extra-procedimentale e pure allorché quell’accesso sia rivolto ad ottenere copia di documenti che costituiscono parte fondamentale, come mezzo probatorio, di un giudizio civile[3].
3. Le questioni di rito risolte dall’Adunanza Plenaria: disciplina emergenziale del processo amministrativo e principio del contraddittorio in appello.
La prima questione concerne la modalità di trattazione della controversia, che è avvenuta in pieno periodo emergenziale dovuto alla crisi sanitaria da pandemia di Covid-19.
Ha trovato perciò applicazione l’art. 84, co. 5 e 6, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. in legge 24 aprile 2020, n. 27, secondo cui, in deroga alle previsioni del codice del processo amministrativo, tutte le controversie fissate per la trattazione, sia in udienza camerale sia in udienza pubblica, passano in decisione, senza discussione orale, sulla base degli atti depositati, ferma restando la possibilità di definizione del giudizio ai sensi dell’articolo 60 del codice del processo amministrativo, omesso ogni avviso, ovvero attraverso la definizione nel merito già all’esito dell’udienza cautelare ove si ravvisi che la causa è matura per il passaggio in decisione[4].
Quest’ultima parte della norma pone dei problemi non secondari di tutela delle garanzie difensive delle parti[5]. L’art. 60 del Codice, difatti, prevede che la possibile definizione del merito in esito all’udienza cautelare è ammissibile solamente ove le parti siano state avvertite dal collegio, che ha previamente verificato l’integrità del contraddittorio e dell’istruttoria, circa la possibilità di pervenire ad un’immediata definizione della controversia[6].
Nella disciplina emergenziale quest’esoscheletro di garanzia difensiva manca del tutto e ciò non pare certamente accettabile[7].
L’art. 84, co. 5 ha fatto però salva la possibilità delle parti di presentare, in questi casi di trattazione così rapida e peraltro da remoto, delle brevi note scritte sino a due giorni liberi prima della data fissata per la trattazione[8].
L’Amministrazione delle Entrate, sfruttando questa possibilità, ha chiesto, al fine di esercitare compiutamente il proprio diritto di difesa, di differire l’udienza fissata per discutere oralmente la controversia, data la complessità delle questioni giuridiche sollevate e la rilevanza che la risoluzione delle stesse può rivestire per l’Agenzia per conformare i suoi successivi comportamenti su fattispecie analoghe.
L’Adunanza Plenaria, tuttavia, ha rigettato tale eccezione sulla base di due argomentazioni, che possono trovare condivisione.
La prima, basata sul dettato dell’art. 84, d.l. n. 18/2020, secondo cui l’amministrazione ha svolto compiutamente le proprie difese nelle note difensive scritte depositate prima dell’udienza, senza che possa soccorrere l’istituto della rimessione in termini[9] per coloro i quali non avessero potuto articolare le proprie difese. L’Agenzia delle Entrate, con il deposito della memoria, ha compiutamente esercitato questa facoltà.
La seconda, ancora più rilevante, attiene al rito cui è soggetta la controversia in questione, ovvero il rito previsto nei giudizi in materia di accesso ai documenti amministrativi.
Ed infatti, secondo l’Adunanza Plenaria, considerato che si verte in fattispecie di procedimento camerale ex art. 87, co. 2, lett. c), cod. proc. amm., assoggettato ad un rito accelerato, si pone un’esigenza specifica di tutela del diritto dell’originaria ricorrente alla ragionevole durata del processo[10], da ritenersi prevalente sulle esigenze difensive prospettate in via astratta e generica a suffragio della richiesta di differimento in funzione di una discussione orale.
Secondo il Consiglio di Stato, pertanto, la ragionevole durata del processo amministrativo, che trova spazio come principio generale nel nostro ordinamento anche e soprattutto per forza dei riconoscimenti a livello europeo (in primo luogo l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea[11]), deve prevalere, in questo periodo di trattazione emergenziale delle controversie, su un’istanza di differimento dell’udienza per una migliore trattazione di tutte le posizioni difensive.
L’orientamento è da accogliere con favore ove ciò non si tramuti in un’illegittima compressione delle garanzie di difesa riconosciute dall’art. 24 Cost.[12]: è ragionevole pensare che il processo debba essere definito in un termine equo purché ciò non leda l’effettività della tutela delle posizioni soggettive dedotte in giudizio[13] e questo non pare essere il caso in quanto l’Amministrazione appellante ha comunque avuto il modo di depositare le proprie note difensive, anche se solamente in forma scritta, prima dell’udienza camerale fissata dall’Adunanza Plenaria.
Certo, si potrebbe discutere circa la diversa portata di una discussione orale piuttosto che di una trattazione della controversia che passa in decisione solamente sulla base degli atti difensivi scritti ma il dilungarsi della situazione di crisi sanitaria impone comunque di non protrarre in modo indefinito la definizione della questione di diritto, specialmente se di una tale rilevanza come in questo caso[14].
La seconda questione di rito che è stata chiamata a risolvere l’Adunanza Plenaria concerne l’integrità del contraddittorio[15], dato che l’atto di appello non era stato notificato al controinteressato soccombente in primo grado.
Il Consiglio di Stato ha superato la relativa eccezione, non ritenendo necessario procedere all’integrazione del contraddittorio, sulla base di un principio consolidato nella giurisprudenza amministrativa, peraltro della stessa Adunanza Plenaria[16].
Difatti, secondo questa, la non necessarietà della partecipazione dei controinteressati al giudizio di appello promosso dall’amministrazione deriva dal fatto che essi non possono integrare il thema decidendum una volta che siano decorsi i termini per proporre autonomo gravame, sì che la notificazione dell’appello anche ai controinteressati soccombenti in primo grado avrebbe il mero significato di una litis denuntiatio[17].
Del resto, nel giudizio amministrativo, la causa è identificata dall’atto amministrativo, sulla base del quale sono appunto identificati i controinteressati, solo in primo grado, laddove, invece, il giudizio di appello ha ad oggetto la sentenza pronunciata dal Tribunale amministrativo regionale, con identica e paritaria posizione processuale di tutte le parti[18], nei confronti delle quali essa è stata pronunciata[19].
Per di più, nell’attuale quadro del Codice, l’art. 95, co. 1, prevede che l’impugnazione debba essere notificata, nelle cause inscindibili, a tutte le parti in causa e, negli altri casi, alle “parti che hanno interesse a contraddire”; pertanto, in caso di appello proposto dall’amministrazione soccombente in primo grado i controinteressati, avendo ovviamente una posizione coincidente con essa, cioè di cointeressati all’appello, sono privi di interesse a contraddire e non devono, quindi, essere evocati in giudizio[20].
Il principio del contraddittorio di cui all’art. 24 Cost richiede che siano preventivamente chiamati a far parte del giudizio tutti i contraddittori necessari, determinandosi, in assenza della loro individuazione, la violazione del diritto di difesa di quei soggetti che, non chiamati in causa nella loro veste di litisconsorti necessari, possono subire gli effetti pregiudizievoli di una sentenza alla cui emanazione non abbiano potuto contribuire[21].
Così non era nel caso di specie e correttamente l’Adunanza Plenaria ha ritenuto integro il contraddittorio anche in assenza della notifica al controinteressato costituitosi in primo grado[22].
4. La nozione di documento amministrativo ai fini dell’esercizio del diritto d’accesso.
La nozione di documento amministrativo emerge chiaramente dal dettato normativo, in particolare dall’art. 22, co. 1, lett. d), legge n. 241 del 1990[23] e dall’art. 1, co. 1, lett. a) del d.P.R. n. 445 del 2000, e su di essa non vi possono essere dubbi[24].
Il primo, nel fornire le definizioni nel capo della legge generale sul procedimento amministrativo dedicato al diritto d’accesso, qualifica documento amministrativo “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”.
A sua volta, in modo sostanzialmente analogo, la seconda norma, inserita nel Testo Unico delle disposizioni in materia di documentazione amministrativa, dispone che documento amministrativo è “ogni rappresentazione, comunque formata, del contenuto di atti, anche interni, delle pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati ai fini dell'attività amministrativa”.
La giurisprudenza amministrativa adotta queste qualificazioni in modo assolutamente estensivo.
Si ritiene anzitutto, in generale, che per documento amministrativo suscettibile di esibizione debba intendersi qualsiasi narrazione di fatti desumibile da supporti scritti, iconografici, elettronici o altro: non si tratta, quindi, della necessità di elaborare dei dati, quanto piuttosto di reperirli in modo congruo e di presentarli al richiedente che dimostra di essere in possesso di un titolo per visionarli e copiarli[25].
Inoltre, debbono essere considerati atti amministrativi soggetti alla disciplina dell’accesso anche gli atti interni concernenti un’attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale, allo scopo di assicurare l'imparzialità e la trasparenza dell'azione amministrativa[26], con la conseguenza che la nozione di documento amministrativo ricomprende necessariamente tutti gli atti trasmessi o, comunque, presi in considerazione nell'ambito di un procedimento amministrativo, ancorché di natura privatistica, purché correlati ad un'attività amministrativa[27].
Così, sulla base di questi orientamenti, a solo titolo esemplificativo, sono stati fatti rientrare nella nozione di documento amministrativo assoggettabile alla disciplina dell’accesso di cui all’art. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990 la registrazione sonora di sedute del Consiglio comunale[28], il codice sorgente del software della prova concorsuale informatizzata[29], le riproduzioni audio o audiovideo di una prova orale di un concorso pubblico[30], la documentazione sanitaria relativa ad un ricovero ed eventuale intervento chirurgico con i relativi esami diagnostici richiesti dai parenti di una persona deceduta in ospedale[31], i documenti inerenti la fatturazione elettronica[32], nonché le comunicazioni relative ai rapporti finanziari e, in particolare, le dichiarazione dei redditi[33].
La nozione di documento amministrativo è certamente ampia ma è proprio sulla documentazione reddituale che l’Adunanza Plenaria è stata chiamata a focalizzare la propria attenzione.
Oggetto della controversia, difatti, sono i dati reddituali, patrimoniali e finanziari, acquisiti e conservati nell’anagrafe tributaria gestita dall’Agenzia delle entrate. Segnatamente, si tratta dei documenti delle banche dati dell’anagrafe tributaria, le quali a loro volta includono la banca dati reddituale (che contiene tutte le dichiarazioni presentate dai contribuenti comprese eventuali dichiarazioni sostitutive e/o integrative), la banca dati delle imposte di registro (che contiene la registrazione degli atti scritti di qualsiasi natura produttivi di effetti giuridici) e l’archivio dei rapporti finanziari.
La materia è disciplinata dal d.P.R. 29 settembre 1973, n. 605, che, all’art. 1, nell’individuare i compiti dell’anagrafe tributaria, stabilisce, al co. 1, che l'anagrafe tributaria raccoglie e ordina su scala nazionale i dati e le notizie risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce presentate agli uffici dell'amministrazione finanziaria e dai relativi accertamenti, nonché i dati e le notizie che possono comunque assumere rilevanza ai fini tributari, nonché al co. 2 che i dati e le notizie raccolti sono comunicati agli organi dipendenti dal Ministro per le finanze preposti agli accertamenti ed ai controlli relativi all'applicazione dei tributi, e, in particolare, ai fini della valutazione della complessiva capacità contributiva e degli adempimenti conseguenziali di rettifica delle dichiarazioni e di accertamento, all'ufficio distrettuale delle imposte nella cui circoscrizione il soggetto ha il domicilio fiscale.
Attesi i compiti dell’anagrafe tributaria e l’ampia nozione di documento amministrativo rilevante ai fini dell’applicazione degli articoli 22 e seguenti della legge n. 241 del 1990, l’Adunanza Plenaria, in modo del tutto inequivoco, ritiene che le dichiarazioni, le comunicazioni e gli atti acquisiti dall’amministrazione finanziaria e i relativi dati inseriti e conservati nell’anagrafe tributaria debbono essere fatti rientrare nella nozione di documenti amministrativi, rilevante ai fini dell’accesso documentale ai sensi degli artt. 22 e ss. legge n. 241/1990, in quanto preordinati all’esercizio, a norma dell’art. 1, co. 2, d.P.R. n. 605/1973, delle ivi enunciate funzioni istituzionali dell’amministrazione finanziaria, anche laddove non siano stati formati da quest’ultima.
La conseguenza è di facile deduzione.
Data la qualificazione di questi documenti come documenti amministrativi, essi possono essere oggetto di accesso a’ sensi dell’art. 22, co. 3, salve le eccezioni, connesse alla tutela della riservatezza[34], espressamente previste dall’art. 24 della stessa legge n. 241 del 1990, che comunque sono cedevoli dinnanzi alla necessità di garantire l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici[35], intesi genericamente e riferibili a tutte le posizioni soggettive, che siano diritti soggettivi o interessi legittimi[36].
La conclusione dell’Adunanza Plenaria, data la logica sottesa all’accesso documentale, non può che essere condivisa.
5. Il diritto d’accesso secondo la legge n. 241 del 1990 e le norme processuali civili di acquisizione probatoria: i contrapposti orientamenti della IV Sezione del Consiglio di Stato.
La seconda questione che ha dovuto affrontare l’Adunanza Plenaria concerne il problematico rapporto tra l’accesso documentale di cui agli art. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990 e gli strumenti di acquisizione dei documenti amministrativi nel processo civile, sia secondo la disciplina generale ex artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ., sia secondo la disciplina particolare introdotta nel settore dei procedimenti in materia di famiglia costituita dall’art. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. che compie espresso riferimento allo strumento previsto dall’art. 492-bis cod. proc. civ. che si concretizza nell’accesso, con modalità telematiche, “ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni e, in particolare, nell’anagrafe tributaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari”.
Il complesso rapporto tra le norme, difatti, ha dato luogo all’insorgere di due contrapposti orientamenti in seno alla stessa IV Sezione del Consiglio di Stato.
Secondo una prima tesi, il diritto d’accesso documentale disciplinato dagli artt. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990 è esercitabile, ove ne ricorrano i presupposti, sempre, indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste dalle norme processualcivilistiche[37].
Ed infatti, diverse sarebbero le argomentazioni a suffragio di questa tesi: anzitutto tra le due discipline non sussisterebbe un rapporto di specialità, bensì di concorrenza (anche cumulativa) e di complementarietà; la disciplina sull’accesso agli atti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce – ai sensi dell’art. 22, co. 2, legge n. 241/1990 – “principio generale dell’attività amministrativa”[38]; la ratio dell’istituto dell’accesso dovrebbe essere ravvisata nei principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento[39] sanciti dall’art. 97 Cost.[40] e nell’esigenza di agevolare gli interessati nell’ottenere gli atti per valutare se sia il caso di agire in giudizio a tutela di una propria posizione giuridica[41], non potendosi ravvisare ‘zone franche’ in cui non rilevino i sopra richiamati principi costituzionali[42]; l’affermazione del diritto di accesso è estrinsecazione, oltre che del principio di effettività della tutela giurisdizionale, anche della tutela dei diritti fondamentali dei familiari, in particolare dei figli minorenni, questi ultimi tutelati dall'art. 5 del settimo protocollo addizionale della CEDU e dagli artt. 29 e 30 della Costituzione.
La Quarta Sezione, inoltre, ha evidenziato il consolidato indirizzo seguito dalla giurisprudenza amministrativa che ammette, senza limitazioni, l’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi e la conseguente applicazione della relativa disciplina sostanziale e processuale, anche in pendenza di un giudizio ‘principale’ civile, attesa l'autonomia della posizione sostanziale tutelata con gli artt. 22 e ss. della legge n. 241 rispetto alla posizione che l'interessato intende difendere con altro giudizio e della relativa azione posta dall'ordinamento a tutela del diritto di accesso, perché, diversamente opinando, ciò si tradurrebbe in una illegittima limitazione del diritto di difesa delle parti, con conseguente lesione del principio dell'effettività della tutela giurisdizionale[43]; l’ampliamento dei poteri istruttori del giudice ordinario civile (il cui esercizio ha natura discrezionale) nell’acquisizione delle informazioni e dei documenti patrimoniali e finanziari nei procedimenti in materia di famiglia (art 337-ter, co. 6, cod. civ.; art. 5, co. 9, legge n. 898/1970; art. 736-bis, co. 2, cod. proc. civ.; art. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. in relazione all’art. 492-biscod. proc. civ.) rispetto ai poteri istruttori generali già previsti dagli artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ. (anch’essi, parimenti, di natura discrezionale) non può costituire un ostacolo all’accesso difensivo (anche a prescindere dalla circostanza che le istanze istruttorie proposte nel giudizio non siano state accolte), né dar luogo ad ipotesi derogatorie alla disciplina in materia di accesso alla documentazione (salvo, in ipotesi, predicare un ingiustificato ridimensionamento della disciplina generale sull’accesso, fuori dei casi e dei modi contemplati dall’ordinamento).
La piena esplicazione del diritto di difesa non può dipendere perciò dalla spontanea produzione in giudizio della controparte, né dall’esercizio discrezionale del potere acquisitivo da parte del giudice, il quale potrebbe non consentire l’accesso secondo le logiche tipiche che ispirano il giudizio civile nella formazione e nell’acquisizione della prova, con effetti deteriori sulla piena esplicazione del diritto di difesa.
L’accesso ai documenti, inoltre, potrebbe essere esperito anche prima e indipendentemente dalla pendenza del procedimento civile, allo scopo di impedire il verificarsi degli effetti negativi discendenti dal cd. ricorso ‘al buio’ e di poter valutare, a monte, la convenienza o l’opportunità dell’instaurazione del processo, con effetti deflattivi sul contenzioso giudiziario[44]; in particolare, l’accesso pieno ed integrale alla condizione reddituale, patrimoniale ed economico-finanziaria delle parti processuali – siano essi coniugi o conviventi di fatto, anche rispetto ai figli minorenni o maggiorenni ma non economicamente indipendenti – è da considerare precondizione necessaria per l’uguale trattamento giuridico nell’ambito di tutti i procedimenti di famiglia.
Nei procedimenti in materia di famiglia, connotati dall’attribuzione al giudice civile di ampi e specifici poteri istruttori esercitabili anche d’ufficio, le lacune istruttorie spesso si verificano a cagione del comportamento processuale di una parte a danno dell’altra, inottemperante o parzialmente ottemperante agli obblighi di deposito, il cui superamento postula l’utilizzo di tecniche di indagine molto invasive, soprattutto per la sfera giuridica dei terzi estranei (es. le indagini fiscali e tributarie), con notevole dispiegamento dell’energia della forza pubblica (ad es. Guardia di Finanza); inoltre, occorre considerare, anche tenendo conto dell’orientamento del giudice di legittimità, che tali indagini difficilmente sono autorizzate dal giudice civile in assenza di puntuali, specifici e ben motivati elementi conoscitivi[45].
La questione, quindi, secondo quest’orientamento della Quarta Sezione del Consiglio di Stato, deve essere risolta facendo applicazione dell’art. 24, co. 7, legge n. 241/1990 e procedendo al bilanciamento degli interessi contrapposti sulla base degli artt. 59 e 60, d.lgs. n. 196/2003 e del d.m. 29 ottobre 1996, n. 603, Regolamento per la disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso, il cui art. 5, per un verso, sottrae i documenti che contengono dati attinenti alla riservatezza delle persone all’accesso inteso come diritto alla copia, ma, corrispondentemente, garantisce “la visione degli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per la cura o la difesa degli interessi giuridicamente rilevanti propri di coloro che ne fanno motivata richiesta”, facendo cioè prevalere, in ogni caso, il disposto dell’art. 24, co. 7 della legge n. 241 del 1990[46].
Peraltro, come recentemente chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, deve ritenersi che l'art. 5, d.m. n. 603/1996, nella parte in cui prevede che sia ammissibile solo la visione dei documenti finanziari, sia stato implicitamente abrogato dalla legge n. 15/2005, e quindi, al ricorrere dei presupposti previsti da quest'ultima, il diritto ad ottenere l'ostensione include anche la possibilità di estrarre copia dei documenti[47].
Questa articolata tesi è in contrapposizione ad altro orientamento di segno opposto della stessa Quarta Sezione del Consiglio di Stato, che si è concretizzato nella sentenza n. 3461 del 2017.
In questo caso, il Consiglio di Stato parte dal presupposto che il diritto di accesso di cui alla legge n. 241/1990 non è una posizione sostanziale autonoma, ed in particolare non assume la consistenza di un autonomo interesse legittimo[48] o di un diritto soggettivo[49], ma costituisce, più limitatamente, una situazione strumentale in funzione di tutela di preesistenti ed autonome posizioni di diritto soggettivo e di interesse legittimo. Questa posizione giuridica soggettiva preesistente, cui si ricollega strumentalmente il diritto di accesso, non può essere individuata nel mero e autonomo ‘diritto all’informazione’, né nell’accesso civico a dati e documenti dell’amministrazione, che è istituto diverso, disciplinato autonomamente dall’ordinamento.
La fattispecie all’esame del Consiglio di Stato non attiene, difatti, alla questione relativa alla (quasi) totale accessibilità dell’amministrazione, all’obbligo per questa di pubblicare determinate informazioni ed al correlativo diritto non solo per l’interessato di un procedimento amministrativo di accedere a tutti questi documenti, essendo invece oggetto di indagine la portata dell’accesso procedimentale di cui alla legge n. 241 del 1990, ed in particolare dell’accesso difensivo per la cura e la tutela dei propri interessi e diritti.
Si tratta di due istituti ben diversi, disciplinati in modo differenziato dal nostro legislatore[50].
Il problema da risolvere è quindi se, allorché l’ordinamento giuridico preveda per l’interessato particolari procedimenti e modalità di acquisizione di documenti detenuti dalla pubblica amministrazione, il diritto di accesso sia esercitabile (o meno) indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste dalle norme processuali[51], ovvero anche in modo concorrente e complementare con queste ultime[52].
Secondo quest’orientamento della Quarta Sezione, atteso che, in ordine all’equilibrio tra diritto di accesso e tutela della privacy, l’istanza di accesso deve essere motivata in modo ben più rigoroso rispetto alla richiesta di documenti che attengono al solo richiedente, incombendo su quest'ultimo - fuori dalle ipotesi di connessione evidente tra “diritto” all’accesso ad una certa documentazione ed esercizio proficuo del diritto di difesa - l'onere di dimostrare la specifica connessione con gli atti di cui ipotizza la rilevanza a fini difensivi, l’acquisizione al processo civile di documenti amministrativi deve avvenire per il tramite e nel rispetto delle norme disciplinanti lo specifico processo; ciò in quanto i documenti amministrativi da utilizzare nel processo (e detenuti dalla amministrazione) riguardano una delle due parti private in giudizio e, pertanto, al diritto alla tutela giurisdizionale del soggetto che intende avvalersi di tali documenti occorre contrapporre l’altrettanto riconosciuto e tutelato diritto di difesa dell’altra parte.
Difatti, dato che le norme processualcivilistiche sottopongono alla valutazione del giudice la esibizione di documenti ordinata al terzo (artt. 211, 213, 492-bis cod. proc. civ.), in quanto l’acquisizione di prove documentali non può che avvenire se non nella sede tipica processuale e nel rispetto del principio del contraddittorio, e il giudice “deve cercare di conciliare nel miglior modo possibile l’interesse della giustizia col riguardo dovuto ai diritti del terzo”, se del caso ordinandone la citazione in giudizio (art. 211 cod. proc. civ.)[53], la possibilità di acquisire extra iudicium i documenti amministrativi, dei quali una delle parti intende avvalersi in giudizio, si tradurrebbe in una forma di singolare aggiramento delle norme che governano l’acquisizione delle prove e costituirebbe un vulnus al diritto di difesa dell’altra parte, la quale, lungi dal potersi difendere nella sede tipica prevista dall’ordinamento processuale, si troverebbe a dover esporre le proprie ragioni non già dinnanzi ad un giudice, bensì dinnanzi alla pubblica amministrazione, in qualità di soggetto controinteressato.
Ne discende che, in queste fattispecie, per di più se riferite alle controversie in materia familiare, l’accesso documentale, lungi dall’essere volto alla tutela (procedimentale e/o processuale) del privato nei confronti della pubblica amministrazione, tende ad alterare la parità processuale delle parti in un giudizio civile, garantita anche e soprattutto dalla preventiva valutazione del giudice[54].
Gli orientamenti adottati in materia dalla Quarta Sezione sono pertanto radicalmente contrapposti, facendo prevalere in un caso il diritto d’accesso ai documenti detenuti dalle amministrazioni[55] e nell’altro le modalità di acquisizione probatoria proprie del giudizio civile[56].
Questa è la questione di diritto principale su cui è stata chiamata a pronunziarsi l’Adunanza Plenaria.
6. La statuizione dell’Adunanza Plenaria: complementarietà, e non reciproca esclusione, tra l’istituto dell’accesso difensivo ed i metodi di acquisizione probatoria nel processo civile.
L’Adunanza Plenaria, con un’articolata motivazione in diritto, esprime chiaramente la propria posizione a favore della prima tesi sostenuta dalla Quarta Sezione.
Difatti, a giudizio della Plenaria deve ritenersi che la previsione, nell’ordinamento processualcivilistico, di strumenti di esibizione istruttoria di documenti (anche) amministrativi ai sensi degli artt. 210, 211 e 213, cod. proc. civ., nonché, nell’ambito dei procedimenti di famiglia, dello strumento di acquisizione di documenti contenenti dati reddituali, patrimoniali e finanziari dell’anagrafe tributaria di cui artt. 155-sexies, disp. att. cod. proc. civ. e 492-bis, cod. proc. civ., ivi compresi i documenti conservati nell’archivio dei rapporti finanziari, non esclude l’esperibilità dell’accesso documentale difensivo.
Ne consegue che, sulla base di una lettura unitaria e integratrice tra le singole discipline, nonché costituzionalmente orientata a garanzia dell’effettività del diritto alla tutela giurisdizionale da intendere in senso ampio e non ristretto al solo momento processuale[57], il rapporto tra l’istituto dell’accesso documentale difensivo e questi istituti processualcivilistici non può che essere ricostruito in termini di complementarietà delle forme di tutela.
Si tratta di forme di tutela complementari e non alternative, come dimostra la natura dell’accesso difensivo di cui all’art. 24, co. 7 della legge n. 241 del 1990[58], che è dettagliatamente ricostruita dall’Adunanza Plenaria.
Due infatti sono le logiche sottese all’accesso[59], quella partecipativa[60] e della trasparenza e quella difensiva[61].
La logica partecipativa è imperniata sul principio generale della massima trasparenza possibile[62], con il solo limite rappresentato dalle esclusioni elencate nei commi 1, 2, 3, 5 e 6 dell’art. 24 della medesima legge n. 241.
La logica difensiva è costruita intorno al principio dell’accessibilità dei documenti amministrativi per esigenze di tutela e si traduce in un onere aggravato sul piano probatorio, nel senso che grava sulla parte interessata l’onere di dimostrare che il documento al quale intende accedere è necessario (o, addirittura, strettamente indispensabile se concerne dati sensibili o giudiziari) per la cura o la difesa dei propri interessi[63].
L’accesso difensivo è costruito come una fattispecie ostensiva autonoma, caratterizzata (dal lato attivo) da una vis espansiva capace di superare le ordinarie preclusioni che si frappongono alla conoscenza degli atti amministrativi e connotata (sul piano degli oneri) da una stringente limitazione, ossia quella di dovere dimostrare la ‘necessità’ della conoscenza dell’atto o la sua ‘stretta indispensabilità’, nei casi in cui l’accesso riguarda dati sensibili o giudiziari, oltre alla corrispondenza ed al collegamento tra la situazione che si assume protetta ed il documento di cui si invoca la conoscenza[64].
La conoscenza dell’atto però non è destinata a consentire al privato di partecipare all’esercizio del pubblico potere in senso ‘civilmente’ più responsabile, ossia per contribuire a rendere l’esercizio del potere condiviso, trasparente e imparziale, ma rappresenta il tramite per la cura e la difesa dei propri interessi giuridici.
Ai fini del riconoscimento della situazione legittimante l’accesso difensivo non è positivamente richiesto il requisito dell’attuale pendenza di un giudizio.
La caratteristica già evidenziata, difatti, di istituto generale dell’ordinamento del diritto d'accesso giustifica anche la autonomia di questo istituto rispetto ad altri meccanismi di acquisizione di informazioni e di documenti nei confronti dell'amministrazione, utilizzati, per esempio, in sede processuale[65].
In altri termini, muovendo dall’assenza di una previsione normativa che ciò stabilisca, è possibile trarre il convincimento che la pendenza di una lite (dinanzi al giudice civile o ad altro giudice) può al limite costituire, tra gli altri, un elemento utile per valutare la concretezza e l’attualità dell’interesse legittimante l’istanza di accesso, ma non ne rappresenta la precondizione tipica.
Si è detto, che ai fini della legittimazione dell’accesso difensivo, vi deve essere la corrispondenza tra la situazione che si assume protetta ed il documento di cui si invoca la conoscenza.
Se inseriamo questa “corrispondenza” nei procedimenti in materia di famiglia, l’accesso di un privato ai documenti reddituali, patrimoniali e lato sensu finanziari di un altro soggetto privato sarà strettamente ancorato e non fuoriuscirà dalla necessità della difesa in giudizio di situazioni riconosciute dall’ordinamento come meritevoli di tutela.
Il legislatore medesimo, infatti, si è preoccupato di disciplinare il fenomeno giuridico della ‘famiglia’ in senso omnicomprensivo, e cioè tale da ricomprendere il momento della sua formazione, quello del suo svolgimento e quello, eventuale, della crisi e del suo scioglimento. Si tratta, all’evidenza, di situazioni giuridiche soggettive predeterminate e costruite secondo il modello dell’astratto paradigma legale, sotto il quale vengono sussunte le singole fattispecie concrete.
Al realizzarsi di una di queste fattispecie predeterminate, che giuridicamente corrispondono a necessità e bisogni sociali particolarmente avvertiti dalla comunità (quali, ad esempio, l’equità nella gestione dei rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi o i conviventi e rispetto ai figli), l’unico interesse legittimante all’accesso difensivo sarà quello che corrisponderà in modo diretto, concreto ed attuale alla cura in giudizio di tali predeterminate fattispecie, in chiave strettamente difensiva.
È quindi evidente che in questi procedimenti ricorrono tutte le condizioni richieste dall’art. 24, co. 7 della legge n. 241 del 1990 per poter accedere a tutti i documenti necessari, compresi quelli attinenti alla situazione finanziaria dell’altro coniuge, allo scopo di tutelare i propri interessi. Ciò perché si è in una situazione pienamente conforme a quanto previsto altresì dall’art. 2, d.P.R. 12 aprile 2006, n. 184, Regolamento recante disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi[66], secondo cui quest’ultimo è esercitabile da chiunque abbia un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento rispetto al quale è richiesto l'accesso.
Chiarita la natura dell’accesso difensivo, l’Adunanza Plenaria correttamente è giunta a declinare i rapporti tra questo e gli strumenti di acquisizione probatoria nel processo civile in termini non di alternatività ma di complementarietà.
Anzitutto, da un punto di vista sistematico, va rilevato che nei due sistemi processuali, e cioè quello processualcivilistico e quello amministrativistico, la situazione legittimante all’accesso è autonoma e distinta da quella legittimante l’impugnativa giudiziale e dal relativo esito, con la conseguenza che il diritto di accesso difensivo non è riducibile a un mero potere processuale[67].
Ciò vale anche rispetto al giudizio civile, in cui – parimenti – l’azione volta a far valere la pretesa sostanziale è autonoma rispetto a quella volta a reperire la documentazione utile a sostenere le allegazioni difensive (in generale nel processo, ma in quello civile in particolare modo, vige il principio dispositivo[68], sicché è onere della parte provare i fatti che assume e dovere del giudice quello di decidere la controversia secundum alligata et probata).
Ne discende che – come sottolineato anche nella giurisprudenza civile – il diritto di accesso cd. difensivo exlegge n. 241/1990 è strumentale alla difesa di una situazione giuridica tutelata dall’ordinamento ed è azionabile dinanzi al giudice amministrativo, a prescindere dalla circostanza che la situazione giuridica finale si configuri come diritto soggettivo o interesse legittimo, e che quindi rientri nell’ambito di giurisdizione del giudice ordinario o di quello amministrativo[69].
Vi è quindi una sostanziale differenza tra l’accesso agli atti e gli strumenti di acquisizione probatoria previsti dal codice di rito civile.
L’accesso difensivo ha una duplice natura giuridica, sostanziale e processuale. La natura sostanziale dipende dall’essere, l’accesso, una situazione strumentale per la tutela di una situazione giuridica finale[70]; la natura processuale consiste nel fatto che il legislatore ha voluto fornire di un’azione giurisdizionale la ‘pretesa’ di conoscenza, rendendo effettivo e, a sua volta, giuridicamente tutelabile e giustiziabile l’eventuale illegittimo diniego o silenzio (v. l’art. 116 cod. proc. amm.)[71].
Viceversa, gli strumenti di acquisizione probatoria, sia quelli generali di cui agli artt. 210, 211 e 213, cod. proc. civ., sia quelli particolari di cui agli artt. 155-sexies, disp. att. cod. proc. civ. e 492-bis, cod. proc. civ., si muovono esclusivamente sul piano e all’interno del processo; sono assoggettati alla prudente valutazione del giudice; eventuali rigetti non sono autonomamente impugnabili o ricorribili, potendo gli eventuali vizi dell’istruttoria rilevare come motivi di impugnazione della sentenza.
Di conseguenza, il naturale corollario è che l’eventuale rigetto dell’istanza di esibizione di un documento della pubblica amministrazione, proposta ai sensi dell’art. 210, cod. proc. civ., non si pone in contrasto, né elude la ratio legiscontenuta negli artt. 22 e ss. legge n. 241/1990, poiché le due disposizioni operano su un piano diverso, avendo la legge n. 241/1990 assunto l’interesse del privato all’accesso ai documenti come interesse sostanziale, mentre l’acquisizione documentale ai sensi dell’art. 210 cod. proc. civ. costituisce esercizio di un potere processuale e l’acquisizione del documento resta pur sempre subordinata alla valutazione della rilevanza dello stesso, ai fini della decisione, da parte del giudice al quale spetta di pronunciarsi sulla richiesta istruttoria[72].
Occorre in altri termini tenere distinti, da un lato, la pretesa all’ostensione del documento nei confronti della pubblica amministrazione, intesa quale protezione accordata all’interesse sostanziale alla conoscenza e, dall’altro lato, il diritto alla prova, inteso come protezione dell’interesse processuale della parte alla rappresentazione in giudizio, attraverso un determinato documento, dei fatti costitutivi della domanda, subordinato alla duplice valutazione giudiziale della concludenza e della rilevanza dello specifico mezzo di prova[73].
Alla luce del quadro normativo processualcivilistico, al potere istruttorio di adottare ordini di esibizione ex artt. 210, 211, cod. proc. civ. oppure di formulare richieste di informazioni alla pubblica amministrazione ex art. 213, cod. proc. civ. deve quindi attribuirsi natura sussidiaria e residuale rispetto alla possibilità, pratica o giuridica, che la parte abbia di procurarsi da sé, fuori dal processo (quindi anche attraverso lo strumento dell’accesso documentale difensivo di cui all’art. 24, co. 7, legge n. 241/1990), le prove precostituite idonee a dimostrare i fatti da essa allegati, né i menzionati poteri processuali possono essere esercitati per supplire al mancato assolvimento dell’onere della prova a carico della parte istante.
Ne deriva che la disciplina degli strumenti processualcivilistici di esibizione istruttoria ex artt. 210, 211 e 213, cod. proc. civ., quale interpretata e applicata da costante e consolidata giurisprudenza di legittimità[74], lungi dal costituire un limite all’esperibilità dell’accesso documentale difensivo prima o in pendenza del giudizio sulla situazione giuridica ‘finale’, tutt’al contrario sembra presupporre (e in qualche modo imporre) il suo previo esperimento, essendo tali mezzi di prova configurati come strumenti istruttori tendenzialmente residuali rispetto alle forme di acquisizione dei documenti da parte dei privati sulla base di correlative discipline di natura sostanziale anche in funzione della loro produzione in giudizio.
L’esclusione dell’ammissibilità dell’accesso documentale difensivo, in via generale ed astratta, con richiamo alla disciplina processualcivilistica dell’esibizione istruttoria – la quale, seguendo la tesi ‘restrittiva’, dovrebbe ritenersi in ogni caso prevalente e assorbente –, è operazione ermeneutica, secondo l’Adunanza Plenaria, che finirebbe per incidere in modo pregiudizievole sull’effettività del diritto alla tutela giurisdizionale e sul diritto alla prova intesi in senso lato, implicanti la facoltà della parte di usare tutti gli strumenti offerti dall’ordinamento, e tra questi l’accesso documentale, per influire sull’accertamento del fatto sia in sede stragiudiziale e nella fase preprocessuale, sia poi eventualmente in sede processuale, a difesa della situazione giuridica soggettiva asseritamente lesa.
Ciò vale, forse ancor di più, per i procedimenti giurisdizionali in materia di famiglia.
L’attribuzione al giudice della crisi familiare di ampliati poteri d’ufficio, in particolare di acquisizione dei dati dell’anagrafe tributaria ivi inclusi i dati dell’archivio dei rapporti finanziari, non fa pertanto venir meno l’esigenza della parte interessata di acquisire i documenti al di fuori del giudizio per il tramite dello strumento dell’accesso difensivo, proprio al fine di corroborare istanze sollecitatorie di eventuali (ulteriori) indagini d’ufficio sulla base di elementi specifici e circostanziati di cui la stessa abbia acquisito conoscenza all’esito dell’accesso ed in cui assenza il potere istruttorio ufficioso le potrebbe essere negato.
Non vi è, pertanto, ragione alcuna di escludere o precludere l’esperibilità dell’accesso documentale difensivo ai documenti della anagrafe tributaria, ivi incluso l’archivio dei rapporti finanziari, contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari della controparte, nell’ambito dei procedimenti in materia di famiglia al fine di accertare le sostanze patrimoniali e le disponibilità reddituali di ognuno dei coniugi e, così, determinare l’entità dell’assegno disposto a beneficio di quello più bisognoso nonché dell’eventuale prole, sia prima che in pendenza del processo civile, in particolare non ostandovi l’attribuzione, al giudice delle controversie familiari, dei poteri istruttori di ufficio.
Ne deriva, quindi, che anche in tale materia un’interpretazione costituzionalmente orientata, a garanzia dell’effettività del diritto alla tutela giurisdizionale e del diritto alla prova intesi in senso lato, impone di affermare l’esperibilità dell’accesso difensivo ai documenti in questione, sia prima che in pendenza del processo civile, con la conseguenza che l’accesso non può essere legittimamente negato per l’incompatibilità in astratto tra le due discipline.
In questo caso, ai fini del bilanciamento tra diritto di accesso difensivo (preordinato all’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale in senso lato) e tutela della riservatezza (nella specie, cd. finanziaria ed economica), secondo la previsione dell’art. 24, co. 7, legge n. 241/1990, trova applicazione né il criterio della stretta indispensabilità (riferito ai dati sensibili e giudiziari) né il criterio dell’indispensabilità e della parità di rango (riferito ai dati cd. supersensibili), ma il criterio generale della necessità ai fini della cura e della difesa di un proprio interesse giuridico, ritenuto dal legislatore tendenzialmente prevalente sulla tutela della riservatezza, a condizione del riscontro della sussistenza dei presupposti generali dell’accesso difensivo.
Secondo quest’impostazione, peraltro, non si può ravvisare alcuna lesione dei diritti del terzo e del principio della parità delle armi, in quanto il controinteressato ha a disposizione tutti gli strumenti procedimentali (opposizione exart. 3 d.P.R. n. 184/2006) e processuali (impugnazione dell’atto di accoglimento dell’istanza di accesso dinanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva ex art. 133, co. 1, lett. a), numero 6), cod. proc. amm.[75]) per difendere la propria posizione contrapposta a quella del richiedente l’accesso, nella pienezza delle garanzie giurisdizionali.
L’Adunanza Plenaria, dunque, ha assunto una posizione molto chiara, peraltro conforme all’orientamento maggioritario della Quarta Sezione, non lasciando spazio ad alcun dubbio: l’accesso difensivo, anche se attinente a documenti fiscali e reddituali deve essere consentito, perché le esigenze di difesa prevalgono su quelle di riservatezza, anche in pendenza di un procedimento giurisdizionale.
Non importa che in questo, sia esso civile o amministrativo, siano previsti appositi strumenti processuali di acquisizione documentale anche nei confronti dell’amministrazione, perché è principio generale dell’ordinamento che un cittadino titolare di un interesse particolarmente qualificato, in questo caso perché relativo alla tutela dei propri diritti, possa accedere alla documentazione cui quell’interesse è collegato, che è in possesso dell’amministrazione.
Con riguardo ai documenti dell’anagrafe tributaria, l’Adunanza Plenaria ha dovuto risolvere un ultimo quesito, attinente a se l’accesso possa essere esercitato solo attraverso visione o anche tramite estrazione dei documenti dell’archivio dei rapporti finanziari.
La risposta non può che essere in quest’ultimo senso.
Ciò per due motivazioni principali: anzitutto, sul piano normativo, l’art. 22 della legge n. 241 del 1990 prevede che il diritto d’accesso si esercita mediante la visione e l’estrazione di copia dei documenti amministrativi.
La seconda attiene alla ratio sottesa all’accesso documentale difensivo. Ed infatti, l’unica modalità ontologicamente idonea a soddisfare la funzione di acquisire la documentazione extra iudicium ai fini della cura e difesa della situazione giuridica facente capo al richiedente l’accesso è l’estrazione di copia, ai fini di un eventuale utilizzo del documento in sede stragiudiziale e, a maggior ragione, in sede processuale, impossibile se non attraverso l’offerta in comunicazione e la produzione materiale della relativa copia in giudizio.
7. Osservazioni critiche.
L’Adunanza Plenaria, risolvendo l’intera controversia a’ sensi dell’art. 99, co. 4 del Codice del processo amministrativo[76], e non limitandosi quindi ad enunciare il principio di diritto ma respingendo l’appello con conseguente conferma della pronunzia del T.A.R. Salerno che aveva accolto il ricorso per l’accesso ai documenti reddituali detenuti dall’Agenzia dell’Entrate, ha chiarito un aspetto fondamentale del diritto d’accesso previsto nell’ordinamento italiano.
Come noto, a partire dal d.lgs. n. 33 del 2013, così come poi successivamente modificato dal d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97, il diritto di accesso, che si potrebbe definire tradizionale, cioè quello procedimentale, è stato affiancato dal diritto di accesso civico semplice e dal diritto di accesso civico generalizzato, ciò sulla base del principio della totale accessibilità dei dati dell’amministrazione e del modello del Freedom of Information Act (FOIA)[77].
L’introduzione di questi due istituti, che in linea generale riconoscono a qualunque cittadino la possibilità di conoscere tutti quei dati dell’attività amministrativa che l’amministrazione avrebbe l’obbligo di pubblicare[78], ha comportato una modifica nell’impostazione dell’accesso procedimentale, che, come correttamente evidenziato, si è arroccato, o meglio, è stato limitato all’esigenza di protezione di un interesse individuale[79].
La “visione” insieme alla “voce”[80] sono due strumenti fondamentali attraverso cui il cittadino può partecipare[81] all’attività procedimentale dell’amministrazione[82], specialmente ove questa incida su un suo interesse diretto, concreto ed attuale[83].
Quest’impostazione non è propria solo del nostro ordinamento, ma è rinvenibile anche nell’ambito dell’Unione europea, in virtù della Carta dei diritti fondamentali firmata a Nizza nel 2000[84].
Questa, difatti, all’art. 41 prevede il diritto del singolo di accedere al proprio fascicolo nel procedimento che lo riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale[85].
Nei procedimenti individuali, il diritto di visione però non è sufficiente affinché le istituzioni europee rispettino il precetto della buona amministrazione[86]. È necessario infatti che il procedimento si svolga in contraddittorio, che le osservazioni del singolo vengano tenute debitamente in considerazione e che l’amministrazione motivi adeguatamente il provvedimento adottato[87].
A questo diritto d’accesso individuale, l’art. 42 della Carta dei diritti fondamentali aggiunge un diritto d’accesso generalizzato, a norma del quale tutti hanno il diritto di accedere ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione[88].
In questo quadro di regole uniformi l’Adunanza Plenaria ha enunciato quattro principi di diritto[89] che chiariscono in modo inequivocabile la portata dell’accesso documentale difensivo.
Anzitutto, si è chiarita la portata della nozione di documento: questa, come si è visto dall’analisi della giurisprudenza amministrativa di primo e secondo grado, è ampia, tale da ricomprendere anche le dichiarazioni, le comunicazioni e gli atti presentati o acquisiti dagli uffici dell’amministrazione finanziaria, contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari ed inseriti nelle banche dati dell’anagrafe tributaria, ivi compreso l’archivio dei rapporti finanziari.
Si è poi chiarito il rapporto tra l’accesso difensivo e gli strumenti di acquisizione probatoria nel processo civile: l’Adunanza Plenaria ha correttamente osservato che, nel quadro di una piena effettività della tutela garantita alle situazioni giuridiche soggettive, non vi è alternatività ma assoluta complementarietà tra i due istituti perché l’accesso documentale disciplinato dalla legge generale sul procedimento amministrativo è principio generale dell’ordinamento, che può essere esercitato per la cura dei propri interessi indipendentemente dalla pendenza di un giudizio, sia esso amministrativo o civile.
Questo principio di portata generale è valido ovviamente anche se riferito alla documentazione reddituale ed alla contestuale pendenza di un procedimento giurisdizionale in materia di famiglia, confermando l’orientamento che parte della giurisprudenza amministrativa di primo grado aveva già intrapreso[90].
Da ultimo, l’Adunanza Plenaria ha chiarito che in questi casi l’accesso difensivo si può esercitare non solamente attraverso la visione ma ovviamente altresì mediante l’estrazione di copia della documentazione reddituale dell’altro coniuge, necessaria per la tutela dei propri interessi nel procedimento giurisdizionale in materia di famiglia, ad esempio di separazione, pendente.
La controversia alla base della sentenza dell’Adunanza Plenaria sembrava nei contenuti molto circoscritta perché attinente al diritto d’accesso alla documentazione reddituale in possesso dell’Agenzia delle Entrate: in realtà, ha costituito la base per una riflessione onnicomprensiva sulla natura dell’accesso procedimentale, ricondotto dalla giurisprudenza ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali[91], ed in particolare sull’accesso difensivo e sul necessario bilanciamento tra esigenze di riservatezza[92] e tutela dei propri diritti[93].
E l’Adunanza Plenaria pare far pendere la bilancia della comparazione degli interessi in gioco in quest’ultima direzione.
***
[1] Dedicato alla “Ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare”.
[2] Questa norma, rubricata “Ulteriori casi di applicazione delle disposizioni per la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare”, dispone, con un rinvio all’art. 492-bis, cod. proc. civ., che “le disposizioni in materia di ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare si applicano anche per l'esecuzione del sequestro conservativo e per la ricostruzione dell'attivo e del passivo nell'ambito di procedure concorsuali di procedimenti in materia di famiglia e di quelli relativi alla gestione di patrimoni altrui. Ai fini del recupero o della cessione dei crediti, il curatore, il commissario e il liquidatore giudiziale possono avvalersi delle medesime disposizioni anche per accedere ai dati relativi ai soggetti nei cui confronti la procedura ha ragioni di credito, anche in mancanza di titolo esecutivo nei loro confronti. Quando di tali disposizioni ci si avvale nell'ambito di procedure concorsuali e di procedimenti in materia di famiglia, l'autorizzazione spetta al giudice del procedimento”.
[3] Dopo che Cons. Stato, Ad. Plen., 2 luglio 2020, n. 12, in Foro it., 2020, 9, III, 437 ss., era intervenuta sul rapporto tra diritto di accesso e gli atti di gara in una procedura di appalto pubblico, stabilendo che la proposizione dell'istanza di accesso agli atti di gara comporta la "dilazione temporale" per il ricorso quando i motivi conseguano alla conoscenza dei documenti che completano l'offerta dell'aggiudicatario ovvero delle giustificazioni rese nell'ambito del procedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta; la sentenza è rinvenibile anche in l’Amministrativista.it, con nota di M.A. Sandulli, L’Adunanza Plenaria n. 12/2020 esclude i “ricorsi al buio” in materia di contratti pubblici, mentre il legislatore amplia le zone grigie della tutela; Cons. Stato, Ad. Plen., 2 aprile 2020, n. 10, in Guida dir., 2020, 18, 98 ss., ha invece affermato che la disciplina dell'accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di cui all'art. 53 d.lgs. n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all'esecuzione dei contratti pubblici, non ostandovi in senso assoluto l'eccezione del comma 3 dell'art. 5-bisd.lgs. n. 33 del 2013 in combinato disposto con l'art. 53 e con le previsioni della legge n. 241 del 1990, che non esenta in toto la materia dall'accesso civico generalizzato, ma resta ferma la verifica della compatibilità dell'accesso con le eccezioni relative di cui all'art. 5-bis, commi 1 e 2, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza.
[4] In generale, su questo problema, cfr. G. Crepaldi, Le pronunce della terza via. Difesa e collaborazione nel processo amministrativo, Torino, Giappichelli, 2018, 119 ss.; L. Bertonazzi, Forma e sostanza nel processo amministrativo: il caso delle sentenze “a sorpresa” e dintorni, in Dir. proc. amm., 2016, 1048 ss.; F. Saitta, La “terza via” ed il giudice amministrativo: la “questione rilevata d'ufficio” (da sottoporre al contraddittorio) tra legislatore e giurisprudenza, in Dir. proc. amm., 2014, 844 ss.; per l’analoga problematica nel processo civile cfr. A. Giordano, La sentenza della “terza via” e le “vie” d'uscita. Delle sanzioni e dei rimedi avverso una “terza soluzione” del giudice civile, in Giur. it., 2008, 913 ss.; L.P. Comoglio, “Terza via” e processo “giusto”, in Riv. dir. proc., 2006, 758 ss.; S. Chiarloni, La sentenza “della terza via” in cassazione: un altro caso di formalismo delle garanzie?, in Giur. it., 2002, 1363 ss.
[5] Anche e soprattutto in considerazione del fatto che la tutela giurisdizionale dovrebbe costituire “il meccanismo che consente un confronto dialettico tra i vari soggetti dell’ordinamento, tanto pubblici quanto privati, in una posizione di assoluta parità”: così C.E. Gallo, Entusiasmi e prudenze nel reinventare il diritto amministrativo, in Notiziario Giuridico Regionale, n. 2/3, 1999, 6 ss.
[6] Cfr., sul punto, L. Coraggio, Le sentenze semplificate nel nuovo codice del processo amministrativo, in Giurisd. amm., 2011, IV, 121 ss.; M. Sinisi, La disciplina della decisione in forma semplificata, la garanzia del contraddittorio e il giusto processo. Profili di dubbia legittimità, in Foro amm. TAR, 2008, 413 ss.
[7] In tema cfr. M. Lipari, “Fase 2”. I giudizi camerali nel processo amministrativo, oltre la legislazione dell’emergenza: riti speciali, camere di consiglio atipiche e funzione preparatoria della decisione di merito, in Federalismi, n. 18-2020, 260 ss., che già, con riferimento alla tradizionale formulazione dell’art. 60 del Codice, si chiedeva se “sia del tutto corretta la prassi, assai frequente, di avvisare le parti circa la mera “possibilità” di definire nel merito la controversia. In tal modo, il Collegio si riserva di decidere, alternativamente, il merito della controversia oppure solo la questione cautelare, all’esito della valutazione collegiale in camera di consiglio”.
[8] Sulla disciplina emergenziale introdotta dal citato art. 84 cfr. C.E. Gallo, La discussione scritta della causa nel processo amministrativo, in Giustiziainsieme.it, 16 luglio 2020; F. Saitta, Il processo cautelare alle prese con la pandemia, in LexItalia, 16 giugno 2020, 1 ss.; cfr. C. Cacciavillani, Controcanto sulla disciplina emergenziale del processo amministrativo (con riferimento all’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28), in GiustAmm, n. 5-2020, 1 ss.; F. Francario, Diritto dell’emergenza e giustizia nell’amministrazione. No a false semplificazioni e a false riforme, in Federalismi, Osservatorio Covid-19, 15 aprile 2020, 3 ss., che evidenzia come neanche la crisi sanitaria che stiamo vivendo può far immaginare una giustizia amministrativa che non garantisca una tutela piena nei confronti dell’amministrazione; in tema v. anche Id., L’emergenza Coronavirus e la “cura” per la giustizia amministrativa. Le nuove disposizioni straordinarie per il processo amministrativo, in Federalismi, Osservatorio Covid-19, 23 marzo 2020, 1 ss.; Id., Il non-processo amministrativo nel diritto dell’emergenza Covid 19, in Giustiziainsieme.it, 14 aprile 2020; M.A. Sandulli, Vademecum sulle ulteriori misure anti Covid 19 in materia di giustizia amministrativa: l’art 84 del decreto “cura Italia”, in L’Amministrativista.it, 2020; Id., Un brutto risveglio? L’oralità “condizionata” del processo amministrativo, in L’Amministrativista, 1° maggio 2020 N. Paolantonio, Il processo amministrativo dell’emergenza: sempre più speciale, in GiustAmm, 2020, 1 ss.; da ultimo, in tema si rinvia a P.A.G. Di Cesare, Il processo amministrativo nell’emergenza. Oralità, pubblicità e processo telematico, in Giustiziainsieme.it, 28 settembre 2020.
[9] Di recente, Cons. Stato, Sez. VI, 17 luglio 2020, n. 4617, in www.giustizia-amministrativa.it, ha perentoriamente ribadito che “la rimessione in termini configura un istituto eccezionale, derogando alla generale perentorietà dei termini processuali, prevista a tutela del pubblico interesse al tempestivo e celere svolgimento del giudizio, oltre che della parità di trattamento delle parti processuali, da sottoporre ai medesimi termini processuali. La sua operatività deve, dunque, ritenersi limitata alle ipotesi in cui sussista effettivamente un impedimento oggettivo ovvero un errore scusabile in cui sia incorsa la parte processuale, determinato da fatti oggettivi, rappresentati - di regola - dall'oscurità del testo normativo, dalla sussistenza di contrasti giurisprudenziali o da erronee rassicurazioni fornite da soggetti pubblici istituzionalmente competenti all'applicazione della normativa violata”. In dottrina, sulla rimessione in termini per errore scusabile cfr., ex multis, P. Patrito, M. Protto, Comportamento fuorviante del giudice circa il rito applicabile ed errore scusabile, in Urb. e app., 2012, 1337 ss.; A. Prontera, Alcuni spunti di riflessione sulla nozione di errore scusabile nel sistema processuale amministrativo, in Foro amm. Tar, 2007, 2941 ss.; L. Gili, Sulla rimessione in termini per errore scusabile nel processo amministrativo e sui valori tutelati, in Foro amm. Tar, 2002, 3216 ss.; e da un punto di vista generale R. Caponi,Sanatoria retroattiva delle nullità processuali, rimessione in termini e giusto processo civile, in Giur. cost., 2018, 545 ss.
[10] Sulla ragionevole durata del processo amministrativo cfr. N. Bassi, Ragionevole durata del processo e irragionevoli lungaggini processuali, in Giorn. dir. amm., 2009, 1182 ss.; M. Poto, Processo e ragionevole durata: la bestiola tutta pace e tutta flemma, in Resp. civ. e prev., 2008, 1071 ss.; C. Saltelli, La ragionevole durata del processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2007, 979 ss.; in termini generali cfr. altresì G. Verde, Il processo sotto l’incubo della ragionevole durata, in Riv. dir. proc., 2011, 505 ss.; C. Consolo, Disciplina municipale della violazione del termine di ragionevole durata del processo: strategie e profili critici, in Corr. giur., 2001, 569 ss.; C. Pinelli, La durata ragionevole del processo fra Costituzione e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Giur. cost., 1999, 2997 ss.
[11] Secondo cui la controversia deve essere esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole dinnanzi ad un giudice indipendente e imparziale, che sia precostituito per legge, con l’ausilio dell’assistenza tecnica garantita da un difensore: sul punto cfr. M.A. Sandulli, Diritto europeo e processo amministrativo. Relazione al II seminario franco – italiano di diritto amministrativo, Parigi, 12 e 13 ottobre 2007, in www.giustizia-amministrativa.it, 2007, 1 ss.
[12] Soprattutto in un momento storico ove il processo amministrativo deve essere al massimo grado il luogo della tutela dei diritti avverso i pubblici poteri: sul punto si rinvia all’interessante intervista di B. Caravita, M. Collevecchio, A. D’Urbano, D.U. Galetta, M.A. Sandulli, Il processo, luogo della tutela dei diritti anche e soprattutto nell’emergenza. Dialogando con il Presidente Patroni Griffi sulla giustizia amministrativa, in Federalismi, n. 14-2020, 1 ss.
[13] È necessario però porre chiarezza sul concetto di effettività della tutela: secondo I. Pagni, La giurisdizione tra effettività ed efficienza, in G.D. Comporti (a cura di), La giustizia amministrativa come servizio (tra effettività ed efficienza), Firenze, Firenze University Press, 2016, 85, il concetto deve valorizzare il principio chiovendiano, “in virtù del quale il processo deve dare al titolare di una situazione soggettiva tutto quello e proprio quello che il diritto sostanziale riconosce”; l’affermazione del principio è di G. Chiovenda, Della azione nascente dal contratto preliminare, in Saggi di diritto processuale civile, Milano, Giuffrè, 1930, Vol. I, 101 ss.; Id., Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli, Editoriale Scientifica, 1923, ora in Principi di diritto processuale civile, Napoli, Editoriale Scientifica, 1965, 81, secondo cui “il processo deve dare per quanto è possibile praticamente a chi ha un diritto tutto quello e proprio quello ch’egli ha diritto di conseguire”. Il principio è stato riaffermato in ambito cautelare da P. Calamandrei, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, Padova, Cedam, 1936, 30. L’effettività della tutela del sistema giurisdizionale avente ad oggetto i rapporti tra amministrazione e cittadini non è propria solamente della dottrina italiana ma, ad esempio, è al centro anche delle riflessioni della letteratura francese: ex multis, cfr. J.M. Sauvé, Le juge administratif face au défi de l’efficacité. Retour sur les pertinents propos d’un Huron au Palais-Royal et sur la «critique managériale», in Rfda, 2012, 613 ss., secondo cui la giustizia deve essere efficace, effettiva ed efficiente, ove l’effettività non è altro che la qualità tradotta in atti concreti; si v. altresì J. Morand-Deviller, La bonne administration de la justice en France: la célérité et l’efficacité du proces, in V. Parisio (a cura di), I processi amministrativi in Europa tra celerità e garanzia, Milano, Giuffrè, 2009, 39 ss.; M. Fabri, J.P. Jean, P. Langbroek, M. Pauliat, L’administration de la justice en Europe et l’évaluation de sa qualité, Paris, Montchrestien, 2005, 1 ss.; M.L. Cavrois, H. Dalle, J.P. Jean, La qualité de la justice, Paris, La documentation française, 2002, 1 ss.; J.P. Costa, L’effectivité de la justice administrative en France, in G. Paleologo (diretto da), I Consigli di Stato di Francia e d’Italia, Milano, Giuffrè, 1998, 269 ss.
[14] Occorre dar conto che l’art. 25, d.l. 28 ottobre 2010, n. 137, c.d. Decreto Ristori, ha rinnovato le esaminate disposizioni dell’art. 84 d.l. 18 del 2020 per il periodo compreso tra il 9 novembre 2020 ed il 31 gennaio 2021; al co. 2 è stato, difatti, previsto che “durante tale periodo, salvo quanto previsto dal comma 1, gli affari in trattazione passano in decisione, senza discussione orale, sulla base degli atti depositati, ferma restando la possibilità di definizione del giudizio ai sensi dell'articolo 60 del codice del processo amministrativo, omesso ogni avviso. Il giudice delibera in camera di consiglio, se necessario avvalendosi di collegamenti da remoto. Restano fermi i poteri presidenziali di rinvio degli affari e di modifica della composizione del collegio”.
[15] In generale, sul contraddittorio nel rito speciale per l’accesso ai documenti amministrativi, cfr. F. Figorilli, Il contraddittorio nel giudizio speciale sul diritto di accesso, in Dir. proc. amm., 1995, 584 ss.
[16] Sul contraddittorio nel giudizio d’appello si rinvia a E. Zampetti, Il difetto di contraddittorio rilevato in appello non comporta l’annullamento con rinvio, in Giustiziainsieme.it, 5 agosto 2020.
[17] La posizione della dottrina è pressoché unanime sul punto: tra i tanti, si rinvia a C.E. Gallo, L'instaurazione del contraddittorio nel giudizio amministrativo d'appello, in Foro it., 1978, III, 37 ss.; Id., Appello nel processo amministrativo, in Dig. disc. pubbl., Torino, Utet, 1987, 315, spec. 322; L. Migliorini, Il contraddittorio nel processo amministrativo, Rimini, Esi, 1984, 85 ss.; Id., Contraddittorio (principio del), III, Diritto processuale amministrativo, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1998, ad vocem, spec. 4; F.P. Luiso, Il contraddittorio nel processo amministrativo di appello, in Riv. dir. proc., 1994, 963 ss.
[18] Per un inquadramento generale si rinvia a C.E. Gallo, Funzione e prospettive dell’appello nel processo amministrativo, in Aa. Vv., Studi in onore di Umberto Pototschnig, Milano, Giuffrè, 2002, Vol. I, 549 ss.; R. Villata, Considerazioni sull’effetto devolutivo dell’appello nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 1985, 131 ss.; A.M. Sandulli, Il giudizio davanti al Consiglio di Stato e ai giudici sottordinati, Napoli, Morano Editore, 1963, 4 ss.; M. Nigro, L’appello nel processo amministrativo, Milano, Giuffrè, 1960, spec. 47 ss.; U. Pototschnig, Appello (dir. amm.), in Encicl. dir., Milano, Giuffrè, 1958, Vol. II, 785 ss.; G. Miele, Il Consiglio di Stato come giudice d'appello, in Aa. Vv., Scritti giuridici in onore di Santi Romano, Padova, Cedam, 1940, Vol. II, 357 ss.
[19] Secondo quanto già affermato da Cons. Stato, Ad. Plen., 24 marzo 2004, n. 7, in Dir. proc. amm., 2005, 412 ss., con nota di W. Troise Mangoni, Note in tema di contraddittorio nel processo amministrativo di appello.
[20] Così Cons. Stato, Sez. IV, 8 ottobre 2013, n. 4930, in Foro amm. CdS, 2013, 2752 ss.; Cons. giust. amm. reg. Sicilia, Sez. giurisd., 1° giugno 2012, n. 509, in Foro amm. CdS, 2012, 1672 ss.
[21] In tema, in modo convincente, S. Satta, Limiti di estensione dell'art. 24 della Costituzione (a proposito della sentenza n. 55 del 1971), in Giur. cost., 1971, 577 ss., secondo cui l'art. 102, cod. proc. civ. “non è un principio dottrinale, ma una norma positiva, la quale impone di chiamare in giudizio tutte le parti nei cui confronti la sentenza deve pronunciarsi, e che è un'applicazione ante litteram dell'art. 24 Cost.”.
[22] Per un inquadramento generale dell’istituto del litisconsorzio nei giudizi di impugnazione si rinvia allo studio classico di T. Carnacini, Il litisconsorzio nelle fasi di gravame, Padova, Cedam, 1937, 3 ss.
[23] Così come modificato dalla legge n. 15 del 2005 su cui si può rinviare, per un inquadramento generale, a S. Amorosino, La semplificazione amministrativa e le recenti modifiche normative alla disciplina generale del procedimento, in Foro amm. TAR, 2005, 2635 ss.
[24] Le nozioni di documento amministrativo e del connesso diritto d’accesso da esercitare erano già state immaginate prima della legge n. 241 del 1990, ed in particolare dalla Commissione Nigro: cfr. sul punto V. Parisio, Il diniego di accesso ai documenti amministrativi nella normativa di attuazione della l. 7 agosto 1990 n. 241: prime indicazioni, in Giust. civ., 1995, 305 ss.; nonché S. Caponi, A. Saija (a cura di), Nuovo procedimento amministrativo, Edizioni delle Autonomie 1992, 348 ss.; G. Pastori, Il diritto di accesso ai documenti amministrativi in Italia, inAmministrare, 1986, 149 ss.; B. Selleri, Il diritto di accesso agli atti del procedimento amministrativo, Napoli, Esi, 1984, 1 ss.
[25] T.A.R. Liguria, Sez. I, 9 maggio 2018, n. 434, in www.giustizia-amministrativa.it; ma anche T.A.R. Toscana, Sez. I, 31 maggio 2018, n. 775, ivi.
[26] Cfr., in tema, D.U. Galetta, La trasparenza, per un nuovo rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione: un’analisi storico-evolutiva, in una prospettiva di diritto comparato ed europeo, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2016, 1047 ss.
[27] Così Cons. Stato, Sez. IV, 20 ottobre 2016, n. 4372, in Foro amm., 2016, 2339; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. III, 11 febbraio 2016, n. 396, in Foro amm., 2016, 498; T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 8 aprile 2015, n. 497, in Foro amm., 2015, 1179, che vi ricomprende anche gli atti negoziali e le dichiarazioni unilaterali dei privati, purché acquisiti nell’ambito di un procedimento amministrativo.
[28] T.A.R. Piemonte, Sez. I, 27 maggio 2011, n. 563, in Foro amm. TAR, 2011, 1474.
[29] T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 1° luglio 2020, n. 7526, in Guida dir., 2020, 36, 44. Per un approfondimento in letteratura si rinvia a E. Prosperetti, Accesso al software e al relativo algoritmo nei procedimenti amministrativi e giudiziali. Un’analisi a partire da due pronunce del Tar Lazio, in Dir. inform. e informatica, 2019, 1099 ss.
[30] T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 10 dicembre 2019, n. 14140, in Foro amm., 2019, 2111.
[31] T.A.R. Sardegna, Sez. I, 4 marzo 2019, n. 193, in Foro amm., 2019, 613; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 1° giugno 2018, n. 6149, in Foro amm., 2018, 1047. In dottrina, per un approfondimento, cfr. già E. Varani, Il diritto di accesso ai documenti amministrativi contenenti dati sanitari, in Foro amm. TAR, 2005, 929 ss.
[32] T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 4 dicembre 2018, n. 11772, in www.giustizia-amministrativa.it.
[33] T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 18 gennaio 2019, n. 29, in Foro amm., 2019, 145 ss.
[34] Che costituisce un limite, ma non un motivo di esclusione, dell’esercizio del diritto d’accesso: così, in senso assolutamente condivisibile, F. Manganaro, Evoluzione ed involuzione delle discipline normative sull’accesso a dati, informazioni ed atti delle pubbliche amministrazioni, in Dir. amm., 2019, 743 ss.; già, sul punto, cfr. S. Rodriquez, Nota sul rapporto tra diritto di accesso ai documenti amministrativi e le esigenze di riservatezza dei terzi, in Giur. it., 2007, 467 ss.; M. Clarich, Trasparenza e protezione dei dati personali nell’azione amministrativa, in Foro amm. TAR, 2004, 3885 ss.; Id., Il diritto d’accesso ai documenti amministrativi, in Giorn, dir. amm., 1995, 132 ss.; S. Cimini, Accesso ai documenti amministrativi e riservatezza: il legislatore alla ricerca di nuovi equilibri, in Giust. civ., 2005, 407 ss.; A. Sandulli, La riduzione dei limiti all’accesso ai documenti amministrativi, in Giorn. dir. amm., 1997, 1016 ss.
[35] L’accesso difensivo deve essere però di stretta indispensabilità: così Cons. Stato, Sez. V, 28 febbraio 2020, n. 1451, in lamministrativista.it, 2020; sulla tendenziale prevalenza del c.d. accesso difensivo anche sulle antagoniste ragioni di riservatezza o di segretezza tecnica o commerciale delle parti controinteressate cfr. T.A.R. Veneto, Sez. III, 26 luglio 2019, n. 894, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 1° febbraio 2019, n. 106, in Foro amm., 2019, 255; ciò però purché l’istanza di accesso non presenti un carattere di indeterminatezza: così Cons. giust. amm. reg. Sicilia, sez. giurisd., 17 gennaio 2018, n. 15, in Foro amm., 2018, 44 ss.; Cons. Stato, Sez. V, 21 agosto 2017, n. 4043, in www.giustizia-amministrativa.it.
[36] La trattazione delle situazioni giuridiche soggettive e della loro tutela è un tema classico del diritto amministrativo: in tema si rinvia alla fondamentale voce di E. Casetta, Diritti pubblici subiettivi, in Encicl. dir., Milano, Giuffrè, 1964, Vol. XII, 791 ss., che riprende e critica, almeno in parte, S. Romano, La teoria dei diritti pubblici subiettivi, in V.E. Orlando (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Milano, 1900, Vol. I, 117 ss.; nonché E. Casetta, Diritto soggettivo e interesse legittimo: problemi della loro tutela giurisdizionale, in Riv. trim. dir. pubbl., 1952, 624 ss. Si rinvia, ancora, per un inquadramento generale, a F.G. Scoca, L’interesse legittimo. Storia e teoria, Torino, Giappichelli, 2017, 1 ss.; E. Picozza, G. Palma, E. Follieri, Le situazioni giuridiche soggettive nel diritto amministrativo, Padova, Cedam, 2000, 1 ss.; E. Picozza, Le situazioni soggettive nel diritto amministrativo, in G. Santaniello (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Padova, Cedam, 1999; C.E. Gallo, Soggetti e posizioni soggettive nei confronti della pubblica amministrazione, in Dig. disc. pubbl., Torino, Utet, 1999, Vol. XIV, 2864 ss.; A. Romano, Sulla pretesa risarcibilità degli interessi legittimi: se sono risarcibili, sono diritti soggettivi, in Dir. amm., 1998, 1 ss.; A. Romano Tassone, Situazioni giuridiche soggettive, in Encicl. dir., Milano, Giuffrè, Aggiornamento, 1998, Vol. II, 966 ss.; L. Ferrara, Diritti soggettivi ad accertamento amministrativo, Padova, Cedam, 1996, 1 ss.; G. Guarino, Potere giuridico e diritto soggettivo, Napoli, Jovene, 1990, 1 ss.; A. Romano, Diritto soggettivo, interesse legittimo ed assetto costituzionale, in Foro it., 1980, V, 258 ss.; da ultimo cfr. A. Carbone, Potere e situazioni soggettive nel diritto amministrativo, Torino, Giappichelli, 2020, 1 ss. Sulla tutela delle situazioni giuridiche soggettive negli ordinamenti amministrativi, anche in una prospettiva comparata, si permette di rinviare altresì a M. Ricciardo Calderaro, L’integrazione amministrativa e la tutela dei diritti. Problemi e prospettive alla luce della crisi sistemica dell’Unione europea, Torino, Giappichelli, 2020, 1 ss.
[37] Così secondo Cons. Stato, Sez. IV, 27 agosto 2019, n. 5910 e 29 luglio 2019, n. 5347, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, Sez. IV, 14 maggio 2014, n. 2472, ivi.
[38] Sulla portata dei principi, spesso di elaborazione giurisprudenziale, nel diritto amministrativo cfr. M.A. Sandulli, “Principi e regole dell’azione amministrativa”: riflessioni sul rapporto tra diritto scritto e realtà giurisprudenziale, in Federalismi, n. 23/2017, 2 ss.
[39] Su quest’ultimo si può rinviare a M.R. Spasiano, Il principio di buon andamento, in M.A. Sandulli (a cura di), Princìpi e regole dell’azione amministrativa, Milano, Giuffrè, 2020, 63 ss.; sui principi generali del diritto amministrativo cfr. S. Cassese, L. Torchia, Diritto amministrativo. Una conversazione, Bologna, Il Mulino, 2014, 100, per cui questi “non restano per aria, si calano, ad opera del giudice e dell’interprete, in ogni remoto angolo del diritto amministrativo”.
[40] Così come già chiarito da Cons. Stato, Ad. Plen., 18 aprile 2006, n. 6, in Dir. proc. amm., 2007, 156 ss., con nota di L. Bertonazzi, Note sulla consistenza del c.d. diritto di accesso e sul suo regime sostanziale e processuale: critica alle decisioni nn. 6 e 7 del 2006 con cui l’Adunanza Plenaria, pur senza dichiararlo apertamente e motivatamente, opta per la qualificazione della pretesa ostensiva in termini di interesse legittimo pretensivo, in continuità con la decisione n. 16 del 1999; in Foro it., 2006, III, 378 ss., con nota di M. Occhiena, Diritto di accesso, sua “natura camaleontica” e Adunanza Plenaria 6/2006; in Foro amm. CdS, 2006, 2483 ss., con nota di A. Scognamiglio, Tutela giurisdizionale del diritto di accesso e termini di decadenza; in Giur. it., 2006, 1963 ss., con nota di S. Rodriquez, La tutela giurisdizionale del diritto di accesso agli atti amministrativi. Due Plenarie a confronto.
[41] Cons. Stato, Sez. IV, 12 marzo 2009, n. 1455, in www.giustizia-amministrativa.it.
[42] Cons. Stato, Ad. Plen., 24 giugno 1999, n. 16, in Dir. proc. amm., 2000, 148, con nota di C. Cacciavillani, Il diritto di accesso è interesse legittimo; in Urb. e app., 1999, 861 ss., con nota di F. Caringella, La Plenaria riscrive le regole sostanziali e processuali dell’accesso.
[43] Così secondo Cons. Stato, Sez. VI, 15 novembre 2018, n. 6444, in Foro amm., 2018, 1953 ss., anticipato da Cons. Stato, Sez. VI, 21 marzo 2018, n. 1805, in www.giustizia-amministrativa.it.
[44] Secondo quanto affermato da Cons. Stato, Sez. V, 18 dicembre 1997, n. 1591, in Riv. giur. edil., 1998, 687 ss.; Cons. Stato, Sez. IV, 6 marzo 1995, n. 158, in Dir. proc. amm., 1996, 134 ss., con nota di R. Raggi, Diritto alla prova e diritto al documento dopo la legge n. 241 del 1990: due categorie distinte ed autonome.
[45] Difatti, secondo Cass. civ., Sez. I, 4 aprile 2019, n. 9535, in Il familiarista.it, 5 settembre 2019, con nota di F. Picardi, L’inattendibilità delle dichiarazione dei redditi dei coniugi e le indagini patrimoniali, “la legge n. 898 del 1970, art. 5, comma 9, non impone al Tribunale in via diretta e automatica di disporre indagini avvalendosi della polizia tributaria ogni volta in cui sia contestato un reddito indicato e documentato, ma rimette allo stesso la valutazione di detta esigenza, in forza del principio generale dettato dall'art. 187 c.p.c., che affida al giudice la facoltà di ammettere i mezzi di prova proposti dalle parti e ordinare gli altri che può disporre d'ufficio, previa valutazione della loro rilevanza e concludenza”; così anche Cass. civ., Sez. VI, 15 novembre 2016, n. 23263, in Giust. civ. Mass., 2017; Cass. civ., Sez. I, 20 settembre 2013, n. 21603, in Giust. civ. Mass., 2013; Cass. civ., Sez. I, 6 giugno 2013, n. 14336, in Dir. & Giust., 7 giugno 2013, con nota di E. Buscaglia, Indagini patrimoniali? Non sempre sono necessarie.
[46] In ogni caso, l'esclusione dei procedimenti tributari dal diritto di accesso si riferisce esclusivamente ai casi in cui la richiesta di accesso inerisce concretamente ad un procedimento tributario in corso. Né la richiesta di documenti di carattere fiscale può ritenersi sottratta all'accesso per ragioni di riservatezza. Infatti, l'art. 5, d.m. 29 ottobre 1996 n. 603, esclude dall'accesso solamente "gli atti e documenti allegati alle dichiarazioni tributarie", con ciò implicitamente riconoscendo che tale esclusione non può applicarsi alle dichiarazioni tributarie stesse, le quali potranno essere sottratte all'accesso, ai sensi dell'art. 24, co. 1, lett. b), legge n. 241 del 1990 solo se e in quanto incluse in un procedimento tributario, che deve essere peraltro non potenziale ma effettivamente in corso: così T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 13 ottobre 2011, n. 2430, in Foro amm. TAR, 2011, 3054 ss.
[47] Così T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 20 marzo 2020, n. 533, in Foro amm., 2020, 449 ss.
[48] Come immaginato, ad esempio, da Cass. civ., Sez. Un., 27 maggio 1994, n. 5216, in Giust. civ. Mass., 1994, 731 ss., secondo cui “la pretesa di accesso (mediante esame ed estrazione di copie) ai documenti amministrativi esistenti presso le amministrazioni statali (comprese le aziende autonome), gli enti pubblici (compresi quelli locali) ed i concessionari di pubblici servizi, pur trovando diretto fondamento nella legge (art. 22 ss. l. 7 agosto 1990 n. 241), è soggetta ad un apprezzamento da parte della P.A. (che nelle ipotesi previste dall'art. 24 può, con provvedimento motivato, rifiutare, differire o limitare l'esercizio dell'accesso) e costituisce perciò oggetto di una posizione soggettiva avente consistenza di interesse legittimo e tutelabile esclusivamente davanti al T.A.R. con il rimedio previsto dall'art. 25 della stessa legge”.
[49] Secondo quanto era stato affermato, ad esempio, da Cons. Stato, Sez. VI, 12 aprile 2005, n. 1679, in Foro amm. CdS, 2005, 1168, per cui il diritto di accesso ha natura di vero e proprio diritto soggettivo, essendo previsto da una legge di settore che ne disciplina minutamente l'attribuzione e l'esercizio nell'esclusivo interesse del richiedente, limitandolo solo a fronte di specifiche e tassative esigenze di riservatezza (dei terzi o dell'amministrazione stessa) stabilite dalla legge e non per mere valutazioni di opportunità di chi detiene il documento.
[50] Sulla necessità di distinguere chiaramente i diversi istituti in materia di accesso cfr. F. Francario, Il diritto di accesso deve essere una garanzia effettiva e non una mera declamazione teorica, in Federalismi, n. 10/2019, 3 ss.
[51] Per una ricostruzione tradizionale dell’acquisizione probatoria nel processo civile si rinvia, tra i tanti, a V. Sparano, L'esibizione di prove nel processo civile, Napoli, Jovene, 1961; S. La China, L'esibizione delle prove nel processo civile, Milano, Giuffrè; 1960; Id., Esibizione delle prove (dir. proc. civ.), in Encicl. dir., Milano, Giuffrè, 1966, Vol. XV, 701 ss.; A. Massari, Esibizione delle prove, in Noviss. dig. it., Torino, Utet, 1960,Vol. VI, 836 ss.; F. Lancellotti, Esibizione di prove e sequestri, in Aa. Vv., Studi in onore di Redenti, Milano, 1951, Vol. II, 519 ss.; F.Carnelutti, Illecita produzione di documenti, in Riv. dir. proc. civ., 1935, II, 63 ss.; P. Calamandrei, Conseguenze della mancata esibizione di documenti in giudizio, in Riv. dir. proc. civ., 1930, II, 293 ss.; C. Lessona, Trattato delle prove in materia civile, Firenze, 1922, I, n. 63 ss. Il riconoscimento di una generica azione esibitoria vi era anche con riferimento al previgente codice di procedura civile: cfr., sul punto, C. Sega, Cenni intorno all'azione esibitoria nel diritto processuale italiano, Torino, F.lli Bocca, 1933, 56 ss.; L. Mortara, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, Roma, 1925, Vol. III, 556 ss.
[52] Sul punto è interessante quanto affermato da T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 4 giugno 2018, n. 543, in Foro amm., 2018, 1019, secondo cui “poiché il diritto di accesso è indipendente dalla fondatezza della pretesa sostanziale, non può essere imposto al richiedente di dare preventivamente inizio a una controversia di merito solo per provocare l'ordine del giudice di esibizione dei documenti ex art. 210-213 cpc. In questo modo, infatti, l'azione verrebbe esperita con una finalità esplorativa, rovesciando il rapporto tra la domanda di merito e le istanze istruttorie, e trasformando queste ultime nel vero oggetto della controversia”.
[53] Sull’ordine di esibizione adottato dal giudice cfr. A. Graziosi, Riflessioni sull’ordine di esibizione nel processo civile, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1999, 1313 ss.
[54] Così Cons. Stato, Sez. IV, 13 luglio 2017, n. 3461, in www.giustizia-amministrativa.it.
[55] Per un commento generale all’istituto cfr. F. Figorilli, Alcune osservazioni sui profili sostanziali e processuali del diritto di accesso ai documenti amministrativi, in Dir. proc. amm., 1994, 206 ss.
[56] Sulla nozione di documento nel processo civile si rinvia alla voce di S. Patti, Documento, in Dig. disc. priv., sez. civ., Torino, Utet, 1991, Vol. VII, 4 ss.
[57] Anche perché la pienezza e l’effettività della tutela sono corollari necessari, sotto il profilo funzionale, del principio del giusto processo: così V. Fanti, Dimensioni della proporzionalità. Profili ricostruttivi tra attività e processo amministrativo, Torino, Giappichelli, 2012, 168 ss.; sul tema cfr. altresì M. Renna, Giusto processo ed effettività della tutela in un cinquantennio di giurisprudenza costituzionale sulla giustizia amministrativa: la disciplina del processo amministrativo tra autonomia e “civilizzazione”, in G. Della Cananea, M. Dugato (a cura di), Diritto amministrativo e Corte costituzionale, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2006, 552 ss.; E. Picozza, Il “giusto” processo amministrativo, in Cons. Stato, 2000, 1074 ss.; nonché, da ultimo, il recente studio di M. Sinisi, Il giusto processo amministrativo tra esigenze di celerità e garanzie di effettività della tutela, Torino, Giappichelli, 2017, 1 ss.
[58] Disposizione che, secondo M. Lipari, Il diritto di accesso e la sua frammentazione dalla legge n. 241/1990 all’accesso civico: il problema delle esclusioni e delle limitazioni oggettive, in Federalismi, n. 17/2019, 27, suscita non pochi dubbi applicativi.
[59] Afferma la polifunzionalità del diritto d’accesso A. Romano Tassone, A chi serve il diritto d’accesso? (Riflessioni su legittimazione e modalità d’esercizio del diritto d’accesso nella legge n. 241/1990), in Dir. amm., 1995, 315 ss.
[60] Su questa, in linea generale, si rinvia a P. Chirulli, La partecipazione al procedimento, in M.A. Sandulli (a cura di), Princìpi e regole dell’azione amministrativa, cit., 291 ss.; per una lettura critica delle norme sulla partecipazione cfr. E.M. Marenghi, C’era una volta la partecipazione, in Dir. e proc. amm., 2007, 45 ss.
[61] Per una ricostruzione generale si rinvia a M.A. Sandulli, Accesso alle notizie e ai documenti amministrativi, in Encicl. dir., agg. IV, Milano, Giuffrè, 2000, 1 ss.
[62] La letteratura che individua la trasparenza come principio cardine dell’attività e dell’organizzazione amministrativa è amplissima: tra i tanti, si deve certamente rinviare a R. Villata, La trasparenza dell’azione amministrativa, in Dir. proc. amm., 1987, 528 ss.; G. Abbamonte, La funzione amministrativa tra riservatezza e trasparenza. Introduzione al tema, in Aa. Vv., L’amministrazione pubblica tra riservatezza e trasparenza, Atti del XXXV Convegno di studi di scienze dell’amministrazione – Varenna, Milano, Giuffrè, 1991, 8; G. Arena, Trasparenza amministrativa, in Encicl. giur., Roma, 1995, Vol. XXXI, 1 ss.; E. Carloni, Nuove prospettive della trasparenza amministrativa: dall’accesso ai documenti alla disponibilità delle informazioni, in Dir. pubbl., 2005, 576 ss.; P. Tanda, Trasparenza (principio di), in Dig. disc. pubbl., Torino, Utet, 2008, Agg. III, 884 ss.; C. Marzuoli, La trasparenza come diritto civico alla pubblicità, in F. Merloni (a cura di), La trasparenza amministrativa, Milano,Giuffrè, 2008, 45 ss.; F. Manganaro, Trasparenza e digitalizzazione, in Dir. e proc. amm., 2019, 25 ss.; V. Fanti, La trasparenza amministrativa tra principi costituzionali e valori dell’ordinamento europeo: a margine di una recente sentenza della Corte costituzionale (n. 20/2019), inFederalismi, n. 5/2020, 37 ss.
[63] Per una ricostruzione si rinvia, ad esempio, a A. Simonati, I principi in materia di accesso, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, Giuffrè, 2017, 1209 ss.; A. Romano, L’accesso ai documenti amministrativi, in Alb. Romano (a cura di), L’azione amministrativa, Torino, Giappichelli, 2016, 910 ss.
[64] M. Occhiena, I diritti di accesso dopo la riforma della l. n. 241 del 1990, in Foro amm. TAR, 2005, 905 ss., correttamente osserva che, anche in questo caso, permane un potere dell’amministrazione, ovvero un potere di valutazione della necessaria conoscenza dell’atto o della sua stretta indispensabilità.
[65] Così C.E. Gallo, S. Foà, Accesso agli atti amministrativi, in Dig. disc. pubbl., Torino, Utet, Agg., 2000, 1 ss.
[66] Su cui si rinvia al commento di M. Lipari, L’accesso “inaccessibile” (il nuovo regolamento sull’accesso ai documenti amministrativi), in Corr. merito, 2006, 1067 ss.
[67] In questo senso Cons. Stato, Sez. V, 27 giugno 2018, n. 3956, in www.giustizia-amministrativa.it.
[68] Principio che vale, come noto, anche nel processo amministrativo: tra i tanti cfr. L.R. Perfetti, L’istruzione nel processo amministrativo e il principio dispositivo, in Riv. dir. proc., 2015, 72 ss.; C.E. Gallo, La prova nel processo amministrativo, Milano, Giuffrè, 1994, 1 ss.; R. Villata, Riflessioni introduttive allo studio del libero convincimento del giudice nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm. 1990, 201 ss.; M. Nigro, Il giudice amministrativo “signore della prova”, in Foro it. 1976, V, c. 9 ss.; in generale per un’applicazione del principio nel processo civile cfr. G. Verde, L’onere della prova nel processo civile, Napoli, Jovene, 1974, 1 ss.; A. Nasi, Disposizione del diritto e azione dispositiva: contributo allo studio del principio dispositivo nel processo civile di cognizione, Milano, Giuffrè, 1965, 1 ss.; E.T. Liebman, Fondamento del principio dispositivo, in Riv. dir. proc., 1960, 551 ss.; M. Cappelletti, Principio dispositivo e interrogatorio della parte, in Annali Macerata, 1959, 233 ss.; più di recente cfr., inoltre, A. Proto Pisani, Allegazione dei fatti e principio di non contestazione nel processo civile, in Foro it., 2003, I, c. 604; B. Cavallone, Il giudice e la prova nel processo civile, Padova, Cedam, 1991, 1 ss.; G. Verde, Domanda (principio della), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, Vol. XII, 1 ss.
[69] Così Cass. civ., Sez. Un., 14 aprile 2011, n. 8487, in Giur. it., 2011, 2668 ss.
[70] Cons. Stato, Ad. Plen., 18 aprile 2006, n. 6, cit.
[71] In merito alla tutela giurisdizionale del diritto d’accesso cfr. V. Parisio, La tutela dei diritti di accesso ai documenti amministrativi e alle informazioni nella prospettiva giurisdizionale, in Federalismi, n. 11/2018, 2 ss.; Id., Il rito processuale in materia di accesso ai documenti amministrativi: un giudizio di accertamento introdotto da un giudizio di impugnazione, in Aa. Vv., Scritti in onore di Paolo Stella Richter, Napoli, Ed. Scientifiche, 2013, 343 ss.; E.M. Marenghi, Il rito speciale dell’accesso tra differenziazione processuale e indifferenziazione materiale, in Dir. e proc. amm., 2015, 689 ss.; S. Fiorenzano, Il rito in materia di accesso ai documenti amministrativi, in G.P. Cirillo (a cura di), Il nuovo diritto processuale amministrativo, Padova, Cedam, 2014, 1111 ss.
[72] Così già Cass. Civ., Sez. I, 9 agosto 1996, n. 7318, in Giust. civ. Mass., 1996, 1139 ss.
[73] Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 6 marzo 1995, n. 158, in Foro amm., 1995, 570 ss., secondo cui, una volta accertato che il soggetto inciso dall'attività amministrativa è legittimato all'accesso ai documenti amministrativi, la ragion d'essere di quest'ultimo, che attiene ad esigenze sostanziali, rende ininfluente il fatto che la lite sia eventuale o attuale, che la giurisdizione spetti al giudice dell'eccesso o ad altro giudice, e che l'acquisizione dei documenti possa avvenire anche a seguito di poteri istruttori del giudice.
[74] Secondo Cass. civ., Sez. III, 12 marzo 2013, n. 6101, in Giust. civ. Mass., 2013, il potere di cui all'art. 213, cod. proc. civ., di richiedere d'ufficio alla P.A. le informazioni scritte relative ad atti e documenti della stessa che sia necessario acquisire al processo non può essere esercitato per acquisire atti o documenti della p.a. che la parte è in condizioni di produrre; così anche Cass. civ., Sez. II, 11 giugno 2013, n. 14656, in Giust. civ. Mass., 2013; Cass. civ., Sez. lav., 13 marzo 2009, n. 6218, in Giust. civ. Mass., 2009, 3, 454; Cass. civ., Sez. I, 10 gennaio 2005, n. 287, in Arch. giur. circ., 2006, 276 ss.
[75] La trattazione in dottrina sulla giurisdizione esclusiva è amplissima e non è questa la sede per trattarla: si rinvia, però, tra i tanti a C.E. Gallo, La giurisdizione esclusiva in materia di concessioni ridisegnata dalla Corte di Cassazione, in Dir. proc. amm., 2020, 505 ss.; M. Ramajoli, La forma della giurisdizione: legittimità, esclusiva, merito, in B. Sassani, R. Villata (a cura di), Il codice del processo amministrativo, Torino,Giappichelli, 2012, 146 ss.; F.G. Scoca, Riflessioni sulla giurisdizione esclusiva, in Giur. cost., 2010, 439 ss.; M.C. Cavallaro, Brevi riflessioni sulla giurisdizione esclusiva nel nuovo codice del processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2010, 1365 ss.; G. Greco, Metamorfosi e declino della giurisdizione esclusiva: dalla tutela dei diritti per materia a quella per connessione, in Dir. proc. amm., 2006, 906 ss.; L. Mazzarolli, Sui caratteri e limiti della giurisdizione esclusiva: la Corte Costituzionale ne ridisegna l'ambito, in Dir. proc. amm., 2005, 232 ss.; R. Caranta, La giurisdizione amministrativa esclusiva in materia di appalti, in A. Angeletti (a cura di) La Corte Costituzionale e la giurisdizione esclusiva, Milano, Giuffrè, 2005, 53 ss.; C.E. Gallo, La giurisdizione esclusiva ridisegnata dalla Corte costituzionale alla prova dei fatti, in Foro amm. CdS, 2004, 1908 ss.; A. Romano, La giurisdizione amministrativa esclusiva dal 1865 al 1948, in Dir. proc. amm., 2004, 417 ss.; V. Parisio, Carta costituzionale, giurisdizione esclusiva e pubblici servizi, in Dir. e soc., 2003, 75 ss.; Id., Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, appalti e natura delle posizioni giuridiche soggettive, in Giust. civ., 2003, 93 ss.; Id., Giudice amministrativo, giurisdizione esclusiva e pubblici servizi: spunti di riflessione su alcune questioni problematiche, in V. Parisio, A. Perini, (a cura di), Le nuove frontiere della giurisdizione esclusiva. Una riflessione a più voci, Milano, Giuffrè, 2002, 79 ss. F. Satta, Giurisdizione esclusiva, in Encicl. dir., Milano, Giuffrè, 2001, Aggiornamento, Vol. V, 594 ss.; A. Police, Il ricorso di piena giurisdizione davanti al giudice amministrativo - Profili teorici ed evoluzione storica della giurisdizione esclusiva nel contesto del diritto europeo, Padova, Cedam, 2000, 1 ss.; P.M. Vipiana, Giurisdizione amministrativa esclusiva, in Dig. disc. pubbl., Torino, Utet, 1991, vol. VII, 440 ss.; V. Domenichelli, Giurisdizione esclusiva e processo amministrativo, Padova, Cedam, 1988, 1 ss.; R. Meregazzi, La giurisdizione esclusiva del Consiglio di Stato, in G. Miele (a cura di), La giustizia amministrativa, Vicenza, Neri Pozza Editore, 1968, 213 ss.
[76] Cons. Stato, Ad. Plen., 23 febbraio 2018, n. 2, in Guida dir., 2018, 14, 56 ss., ha chiarito che “l'articolo 99, comma 4 del cod. proc. amm. deve essere inteso nel senso di rimettere all'Adunanza plenaria la sola opzione fra l'integrale definizione della controversia e l'enunciazione di un principio di diritto, mentre non è predicabile (per ragioni sia testuali, che sistematiche) l'ulteriore distinzione in princìpi di diritto di carattere astratto e princìpi maggiormente attinenti alle peculiarità del caso concreto”.
[77] Sul punto cfr. M.A. Sandulli, L. Droghini, La trasparenza amministrativa nel FOIA italiano. Il principio della conoscibilità generalizzata e la sua difficile attuazione, in Federalismi, n. 19-2020, 403 ss.
[78] In tema la letteratura è ampia: si rinvia, ad esempio, a E. Guarnieri, Accesso civico generalizzato: àrbitri e arbìtri, in Federalismi, n. 29/2020, 89 ss.; M. Filice, I limiti all’accesso civico generalizzato: tecniche e problemi applicativi, in Dir. amm., 2019, 861 ss.; M. De Rosa, B. Neri, Profili procedimentali dell’accesso generalizzato, in Dir. amm., 2019, 793 ss.; I. Piazza, L’organizzazione dell’accesso generalizzato: dal sistema di governance all’attuazione amministrativa, in Dir. amm., 2019, 645 ss.; A. Moliterni, La natura giuridica dell’accesso civico generalizzato nel sistema di trasparenza nei confronti dei pubblici poteri, in Dir. amm., 2019, 577 ss.; N. Vettori, Valori giuridici in conflitto nel regime delle forme di accesso civico, in Dir. amm., 2019, 539 ss.; M. Savino, Il FOIA italiano e i suoi critici: per un dibattito scientifico meno platonico, in Dir. amm., 2019, 452 ss.; D.U. Galetta, Accesso (civico) generalizzato ed esigenze di tutela dei dati personali ad un anno dall’entrata in vigore del Decreto FOIA: la trasparenza de “le vite degli altri”?, in Federalismi, n. 10/2018, 1 ss.; A. Porporato, Il nuovo accesso civico generalizzato introdotto dal d.lgs 25 maggio 2016 n. 97 attuativo della riforma Madia e i modelli di riferimento, in Federalismi, n. 12/2017, 2 ss.; M.G. Della Scala, Gli obblighi di pubblicazione delle P.A., in A. Romano (a cura di), L’azione amministrativa, Torino, Giappichelli, 2016, 994 ss.; S. Villamena, Il c.d. FOIA (o accesso civico 2016) ed il suo coordinamento con istituti consimili, in Federalismi, n. 23/2016, 2 ss.; E. Carloni, Il nuovo diritto di accesso generalizzato e la persistente centralità degli obblighi di pubblicazione, in Dir. amm., 2016, 579 ss.; M. D’Arienzo, Diritto alla trasparenza e tutela dei dati personali nel d.lgs. n. 33/2013, con particolare riferimento alla disciplina dell’accesso civico, in Dir. e proc. amm., 2015, 123 ss.
[79] F. Francario, Il diritto di accesso deve essere una garanzia effettiva e non una mera declamazione teorica, cit., 11.
[80] Le relative definizioni sono da far risalire allo studio di M. D’Alberti, La “visione” e la “voce”: le garanzie di partecipazione ai procedimenti amministrativi, in Riv. trim. dir. pubbl., 2000, 1 ss., che evidenzia come “la 'visione' e la 'voce' sono momenti chiaramente connessi. Dal punto di vista logico, la 'visione' dei documenti, cioè l'accesso alle informazioni, costituisce il presupposto necessario per poter esprimere compiutamente la 'voce', affinché, in altri termini, abbia luogo un pieno contraddittorio, in senso lato, fra l'amministrato e gli uffici”.
[81] “Il concetto di partecipazione sembra, nelle linee generali, sufficientemente chiaro. Nel suo significato più elementare, che rende però benissimo la sostanza del fenomeno (penso alla precisazione di Chiti in argomento) la partecipazione indica e realizza il «prender parte», ad un processo di decisione, di soggetti diversi da quelli ai quali un ordinamento attribuisce istituzionalmente la competenza a provvedere e che ordina (organizza) stabilmente per questo scopo. Il partecipante è «l'estraneo» rispetto al membro della famiglia”: così secondo l’insegnamento di M. Nigro, Il nodo della partecipazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1980, 226 ss.
[82] Ricordando che, per F. Benvenuti, L’azione amministrativa tra garanzia ed efficienza, in Scritti giuridici, Milano, 2006, Vol. IV, 3655, il procedimento “comporta una democratizzazione del provvedimento in termini di garanzia e adeguatezza dei bisogni ponendosi così come principio di antiarbitrarietà nell’attività dell’amministrazione”.
[83] L’accesso civico e l’accesso civico generalizzato superano questa limitazione, riconoscendo il diritto a “chiunque”: sul punto si rinvia a A. Cauduro, Il diritto di accesso a dati e documenti amministrativi come promozione della partecipazione: un’innovazione limitata, in Dir. amm., 2017, 601 ss.
[84] Per un’ampia trattazione in materia si permette il rinvio a M. Ricciardo Calderaro, L’integrazione amministrativa e la tutela dei diritti, cit., 82 ss.
[85] Sul complesso rapporto tra riservatezza e trasparenza cfr. l’ampio studio di M.G. Losano, Trasparenza e segreto: una convivenza difficile nello Stato democratico, in Dir. pubbl., 2017, 660 ss.; ma già G. Arena, Il segreto amministrativo. Profili storici e sistematici, Padova, Cedam, 1983, 5 ss.
[86] In tema cfr. D.U. Galetta, Il diritto ad una buona amministrazione europea come fonte di essenziali garanzie procedimentali nei confronti della Pubblica Amministrazione, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2005, 819 ss.; di recente, V. Cerulli Irelli, La responsabilità del giuspubblicista. Spunti critici, in Federalismi, n. 30/2020, IX, ha osservato che “una buona amministrazione è per definizione un’amministrazione poco contenziosa, perché svolta con imparzialità e correttezza, nel rispetto della legge e dei diritti”.
[87] Su quest’aspetto si rinvia anche a C. Tommasi, Il diritto di accesso ai documenti dell’Unione europea: tra partecipazione e controllo diffuso, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2019, 839 ss.; G. Conte, Portata e limiti del diritto d’accesso ai documenti nell’Unione europea, in Dir. Un. Eur., 2013, 293 ss.
[88] In letteratura cfr. per tutti, M. Klatt, Art. 42 - Recht auf Zugang zu Dokumenten, in J. Schwarze, U. Becker, A. Hatje, J. Schoo (a cura di), EU-Kommentar, Baden-Baden, Nomos, 2019; S. Ninatti, 42 - Diritto di accesso ai documenti, in R. Mastroianni O. Pollicino, S. Allegrezza, F. Pappalardo, O. Razzolini (a cura di), Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, Milano, Giuffrè, 2017, pp. 781 ss.; B. Schöbener, Art. 42 - Recht auf Zugang zu Dokumenten, in Stern, Sachs (a cura di), Europäische Grundrechtecharta, Kölner Gemeinschafts Kommentar, Köln, C.H. Beck, 2016, 646 ss.
[89] Sul ruolo fondamentale di quest’ultima cfr. E. Follieri, L’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, in E. Follieri, A. Barone (a cura di), I principi vincolanti dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato sul codice del processo amministrativo (2010-2015), Padova, Cedam, 2015, 25 ss.; nonché Id., L'Adunanza Plenaria, "sovrano illuminato", prende coscienza che i principi enunciati nelle sue pronunzie sono fonti del diritto, in Urb. e app., 2018, 373 ss.; S. Oggianu, Il ruolo dell’Adunanza Plenaria nella riforma del processo amministrativo, in Dir. e proc. amm., 2010, 859 ss.
[90] Così, ad esempio, T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. III, 7 marzo 2019, n. 457, in Foro amm., 2019, 611, secondo cui “il coniuge, anche in pendenza del giudizio di separazione o divorzio, ha il diritto di accedere secondo i normali canoni della legge 241/1990 alla documentazione fiscale, reddituale e patrimoniale dell'altro coniuge, al fine di difendere il proprio interesse giuridico, attuale e concreto, la cui necessità di tutela è reale ed effettiva e non semplicemente ipotizzata. Infatti, il combinato disposto degli artt. 492-bis c.p.c. e 155-sexies disp. att. c.p.c., che prevede l'applicabilità delle modalità di ricerca telematica anche quando l'autorità giudiziaria deve adottare provvedimenti in materia di famiglia, costituisce un semplice ampliamento dei poteri istruttori del giudice della cognizione già previsti dal codice di procedura civile ai sensi dell'art. 210 c.p.c., ma non rappresenta un'esclusione dal diritto d'accesso dei documenti contenuti nell'Archivio dei rapporti finanziari”; così anche T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, 7 novembre 2018, n. 6455, in Foro amm., 2018, 2066 ss.; contra, T.A.R. Veneto, Sez. III, 10 dicembre 2018, n. 1144, in Foro amm., 2018, 2243 ss.
[91] Ad esempio, T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, Sez. I, 10 ottobre 2018, n. 756, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 11 ottobre 2016, n. 1847, ivi; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 6 giugno 2011, n. 1004, in Foro amm. TAR, 2011, 2101 ss.
[92] Che debbono tenere altresì conto del Regolamento GDPR, Reg. 2016/679/UE: sul punto cfr. E. D’Alterio, Protezione dei dati personali e accesso amministrativo: alla ricerca dell’”ordine segreto”, in Giorn. dir. amm., 2019, 9 ss.; F. Midiri, GDPR e accesso ai documenti amministrativi, in Foro amm., 2018, 2217 ss.
[93] Su questo delicato rapporto cfr. già le osservazioni di A. Simonati, L’accesso amministrativo e la tutela della riservatezza, Trento, 2002, 1 ss.; M.T.P. Caputi Jambrenghi, Diritto di accesso e tutela della riservatezza, Bari, Cacucci, 2000, 1 ss.; M. Clarich, Diritto d’accesso e tutela della riservatezza: regole sostanziali e tutela processuale, in Dir. proc. amm., 1996, 430 ss.
Kamala Harris, Ruth Bader Ginsburg e le altre. Quel che le donne (al potere) ci possono dire
di Tania Groppi
Nel giro di qualche settimana, tra la fine di settembre e gli inizi di novembre, nel corso di un 2020 flagellato da una inusitata e inattesa pandemia globale, due donne statunitensi hanno attratto l’attenzione di tutto il mondo, andando oltre la cerchia degli addetti ai lavori e contribuendo ad alimentare il dibattito, rinvigorito dall’emergenza COVID, sul ruolo che le donne possono e debbono avere nel nuovo millennio.
Il 18 settembre, Ruth Bader Ginsburg, figlia di genitori ebrei immigrati da Odessa, giudice progressista della Corte suprema, seconda donna nella storia ad esservi nominata, divenuta un’icona della sinistra liberal statunitense, è mancata dopo una lunga malattia proprio negli ultimi scampoli della Presidenza Trump, giusto in tempo per lasciare al Presidente le settimane necessarie per sostituirla con una figura di donna profondamente diversa, per appartenenza religiosa e cultura giuridica.
Il 3 novembre, Kamala Harris, figlia di genitori immigrati dall’India e dalla Giamaica, già procuratrice generale e quindi senatrice della California, è stata eletta vicepresidente degli Stati Uniti d’America, in ticket col Presidente Joe Biden, cumulando due record: la prima donna vicepresidente degli Stati Uniti (come è noto, mai una donna ha ricoperto la carica di Presidente e l’unica candidata è stata Hillary Clinton nel 2016) e la prima afro-asiamericana a ricoprire quell’incarico.
Nonostante il loro eccezionalismo, che su tanti temi contribuisce a farli avvertire molto distanti da noi europei (pensiamo a questioni come la pena di morte, la chiusura al diritto internazionale, il diritto di possedere armi da fuoco, la mancanza di un sistema sanitario pubblico, l’ostilità ai principi basilari dello Stato sociale), gli Stati Uniti continuano ad attrarre gli sguardi dell’Occidente, come accade fin dai tempi di Tocqueville. È assai difficile negare, “nonostante tutto” – dove nel “tutto” comprenderei non solo questa distanza, ma anche le innumerevoli pecche di un sistema costituzionale “invecchiato”, a partire da una serie di falle istituzionali come quelle che emergono in occasione delle elezioni – il fascino che esercita questo grande paese lontano-vicino, questa terra di contraddizioni estreme, una sorta di grande laboratorio nel quale andiamo a caccia di soluzioni, tendenze, anticipazioni.
È in questo quadro che possiamo leggere, e provare a comprendere, anche l’attenzione e l’interesse che hanno destato queste due figure femminili, immediatamente assurte a simboli di percorsi “possibili”, di strade che si aprono per le donne di tutto il mondo.
Siamo infatti in un momento storico molto particolare, per quanto riguarda i diritti delle donne e la loro posizione nella sfera pubblica, un momento che mi sembra assumere la forza di un turning point della storia, dopo i millenni di oppressione e di marginalizzazione che hanno dato luogo a quella che non possiamo non riconoscere come la più diffusa e persistente violazione dei diritti umani, da parte di poteri privati e pubblici.
Se le grandi dichiarazioni della fine del 1700 e l’affermarsi dello Stato liberale di diritto hanno posto le basi per la garanzia dei diritti e per la partecipazione dei consociati alla gestione del potere, esse hanno comunque scontato un grave limite: quello di avere come soggetto di riferimento un individuo, astratto sì, ma agevolmente riconducibile al maschio bianco e proprietario. Nonostante i tentativi di alcune figure femminili di spicco (come Olympe de Gouges, che scrisse nel 1791 la “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”, e Mary Wollstonecraft che nel 1792 pubblicò la “Rivendicazione dei diritti della donna”) di affiancarvi una dichiarazione dei diritti della donna, il paradigma dell’inferiorità della donna è restato dominante ancora a lungo.
Soltanto con l’affermarsi dello Stato democratico-pluralista, nella seconda metà del XX secolo, i testi costituzionali hanno assicurato i principi di eguaglianza e non discriminazione, ma il cammino per implementarli e attuarli si è rivelato assai lungo e complesso, al punto che, settanta anni dopo, anche nelle democrazie stabilizzate dell’Occidente si è ben lontani dall’aver raggiunto, in tutti i campi, una effettiva parità tra i sessi. Nonostante gli enormi progressi legislativi, le donne restano confinate ai margini della sfera pubblica e collocate in posizioni subalterne anche in quella privata, dal lavoro alla famiglia.
È davvero incredibile, qualcosa con cui credo qualsiasi donna deve prima o poi fare i conti, verificare sulla propria pelle la difficoltà dei principi giuridici di incidere sulla effettività dei rapporti di potere: la questione dei diritti delle donne è forse la sfera nella quale il peso della tradizione è più forte e gli strumenti del diritto e della politica sembrano troppo deboli, incapaci di scardinare paradigmi radicati nei millenni.
Questa distanza che pare incolmabile tra le proclamazioni contenute nei trattati internazionali e nelle costituzioni e la realtà delle vite ha generato, negli stessi movimenti delle donne, reazioni altalenanti: accanto ad epoche di lotte e rivendicazioni, ci sono stati periodi di stanchezza e scoraggiamento. Atteggiamenti questi che vanno calati nell’ambito dei diversi momenti storici, andando di pari passo con un maggior attivismo o una rassegnata passività della società: pensiamo al femminismo degli anni Settanta, inserito in un contesto di rivendicazioni da parte di tanti soggetti, oppure alla fuga nel privato e nel carrierismo che hanno connotato i decenni successivi.
Le crisi che si sono susseguite dal 2008, prima quella economico-finanziaria, poi quella determinata dalla pandemia, stanno imponendo all’Occidente una riflessione di ampia portata sui propri valori e identità, spingendo a un ripensamento su una serie di questioni di fondo che erano state in qualche modo accantonate: la crisi ambientale, le diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza, la questione femminile. In genere, non si giunge a mettere in discussione i presupposti fondativi delle democrazie costituzionali, ma a mostrarne le contraddizioni, che si annidano soprattutto nella distanza tra le proclamazioni di principio e la realtà.
È qui che si radica la nuova fase della lotta per i diritti delle donne, che vede al centro la necessità di dare attuazione alle norme esistenti, nella convinzione che una più ampia partecipazione femminile alle attività economiche e ai processi decisionali potrebbe arricchire la società tutta, contribuendo a superare le contraddizioni profonde delle democrazie pluraliste, che ne stanno incrinando la legittimazione agli occhi delle opinioni pubbliche, in Occidente ed altrove.
Siamo in una fase di rinnovata consapevolezza e attivismo, nella quale c’è bisogno di figure che siano di ispirazione sia per il loro contributo diretto, che per il loro percorso personale. Ecco qui Ruth Bader Ginsburg, autrice, come giudice della Corte Suprema, di opinions che sono state capaci di collegare la lotta contro le discriminazioni con una lettura del diritto costituzionale americano visto come storia dell’estensione dei diritti ai gruppi lungamente esclusi: le persone senza proprietà, i nativi americani, gli afroamericani, le donne. Ed ecco Kamala Harris, che questi principi e diritti si propone di inverare attraverso la politica.
Due donne che hanno molti tratti in comune. Non sono soltanto “seconde generazioni”. Figlie di immigrati che sono giunti negli States da paesi lontani, per salvarsi da persecuzioni o povertà, per studiare o comunque perseguire una vita migliore nel contesto del grande paese che invita i talenti di tutto il mondo a contribuire ed essere parte del “sogno americano”. Ma sono anche donne che hanno dedicato la loro vita al diritto, sono giuriste. Non dimentichiamo che Kamala Harris ha fatto tutta la sua carriera come pubblico ministero e avvocato, prima di candidarsi al Senato. Giuriste, ma non solo. C’è modo e modo, lo sappiamo bene, di essere giuristi. Il diritto ha due lati, può essere strumento nelle mani dei potenti, o strumento di difesa per gli inermi: occorre sempre scegliere da che parte stare, se con chi sta sopra o con chi sta sotto. Mi sentirei di dire che ciò che accomuna queste due luminose e illuminanti figure è una scelta di campo. E, chissà, ma questo aspetto meriterebbe una maggiore riflessione, lo scrivo qui in forma di intuizione: chissà che non sia un caso che le donne si facciano più agevolmente strada nel mondo del diritto, e che generalmente si facciano portatrici delle istanze di giustizia che salgono dal mondo degli esclusi. Chissà. Sarebbe bello poter credere (benché l’accusa di essenzialismo sia dietro l’angolo) che millenni di oppressione abbiano lasciato perlomeno questa attitudine, e che le giuriste si sentano chiamate, ancor più dei loro colleghi maschi, a una funzione di pacificazione e giustizia. Sarebbe bello poter credere che una volta immesse nei processi decisionali, sia che si tratti di adottare delicate scelte giudiziarie, che decisioni politiche, le donne siano in grado di far valere la loro diversità, nella direzione di una riduzione delle fatiche e delle sofferenze umane.
Se nei suoi decenni alla Corte suprema Ruth Bader Ginsburg ha fatto sentire tante e tante volte la sua voce in favore degli esclusi, Kamala Harris ha mostrato il suo piglio fin dalle parole di apertura del primo discorso dopo la vittoria elettorale, pronunciato non a caso vestita nel colore bianco delle suffragette: “La democrazia non è uno stato, ma un atto. La democrazia americana non è scontata, la sua forza dipende dalla nostra volontà di combattere per essa”. La aspetta un mandato complicato, in una nazione polarizzata e spaesata: entrata a pieni passi nel mondo maschile del potere, a Kamala Harris spetta altresì il compito gravoso di costruire un ulteriore pezzettino del lungo cammino della storia delle donne.
Il 23 novembre per tanti è una data come un’altra, per alcuni invece è una ferita (ancora) dolorosissima: il ricordo del terremoto dell’Irpinia del 1980, quarant’anni fa, che vide circa 3.000 morti, e un vasto ed impervio territorio quasi completamente devastato.
Quello che segue è il “diario” di quei giorni di un (allora) giovane pretore, che ebbe la ventura di prendere servizio a S. Angelo dei Lombardi (epicentro del sisma) solo due mesi prima del terremoto.
UNA TOGA TRA LE MACERIE
Ernesto Aghina
Nel “secolo” passato, a differenza di quanto accade oggi, come è noto si poteva accedere alla magistratura subito dopo la laurea in giurisprudenza, senza necessità di un titolo supplementare e fu così che, superato il concorso, a soli 25 anni, indossai la toga che era stata di mio nonno materno.
La prima - e fondamentale - decisione di un “uditore giudiziario” (come una volta si chiamavano i neomagistrati) al termine del tirocinio, è quella della scelta della sede di esordio, operata - sulla base dell’elenco delle sedi disponibili – in ordine di graduatoria del concorso.
Ero il terzo dei non pochi napoletani, ed analizzando con trepidazione l’elenco degli uffici giudiziari disponibili (tradizionalmente quelli per cui nessuno degli “anziani” aveva fatto domanda di trasferimento), verificai con disappunto che nella lunga lista non era presente nemmeno un tribunale in Campania.
Solo un giorno dopo (ammetto l’addebito), ebbi modo di capire che la Pretura di S. Angelo dei Lombardi (località a me “cittadino” del tutto sconosciuta) non si trovava tra le brume del nord, quanto nelle verdi valli dell’Irpinia.
Mi recai pertanto per la prima volta in esplorazione a S. Angelo (e ricordo di quel breve tour conoscitivo solo una serie interminabile di tornanti) per accedere ad una cittadina arroccata su un’altura, scoprendo un Tribunale francamente bruttino, forse al disotto della media della grigia edilizia giudiziaria italica.
Non molto per la verità per alimentare il comprensibile entusiasmo di un esordiente ma, acquisita informazione che la sede sarebbe stata richiesta da un concittadino che mi precedeva, la cancellai dai miei orizzonti per dirigermi, insieme al collega De Carolis (oggi Presidente della Corte d’Appello di Napoli), alla volta di Ferrara, dove avevamo concordato di condividere l’inizio dell’attività giudiziaria.
Il fato, che notoriamente governa i destini degli uomini, aveva però in serbo una sorpresa: al momento della scelta della sede il collega che avrebbe dovuto insediarsi a S. Angelo mi comunicò che avrebbe optato per il Tribunale di Lagonegro, più lontano, ma che gli consentiva, sull’autostrada, un percorso più veloce e consono alle prestazioni della sua nuova autovettura.
Fu così che scelsi S. Angelo dei Lombardi, senza particolare convinzione né naturalmente curandomi di consultare la mappa sismica del territorio (cosa che da allora segnalo prudentemente di fare ai magistrati in tirocinio).
La nuova sede era raggiungibile in circa due ore di viaggio, per cui restavo sostanzialmente a Napoli, tra gli sguardi ironici di chi, motivato dalla destinazione in zone ad alta densità criminale, mi preconizzava un impegno giudiziario (in effetti non particolarmente suggestivo) formato da abigeati, pascoli abusivi o controversie agrarie in un’area caratterizzata per di più da una frammentazione della proprietà agricola.
Nel settembre 1980 mi trovai così, “giudice ragazzino” a tutti gli effetti, pretore (unico) a S. Angelo dei Lombardi, con la consueta trepidazione degli esordienti (la prima udienza non si scorda mai…), in un mondo rurale caratterizzato da un dialetto di difficile comprensione, dove ad esempio “strumento” qualificava il titolo di proprietà del terreno.
Ricordo che venni subito adottato dal personale amministrativo dell’ufficio, del tutto comprensivo per le mie inevitabili incertezze iniziali di giudice monocratico (quando si compone il collegio si fruisce dell’ausilio dell’esperienza dei colleghi più esperti), e tutti i funzionari di cancelleria sono stati miei indimenticati compagni di avventura, uniti in quella magica coesione lavorativa che caratterizzava solo il (mai troppo) rimpianto ufficio di Pretura mandamentale.
Il mio primo procedimento giudiziario non fu certamente eclatante: l’appello di un provvedimento di sfratto emesso dal giudice conciliatore, competente per le cause di minimo valore, relativo ad un esercizio commerciale cittadino.
Parva materia, verrebbe da dire, ma la paterna saggezza del vice pretore Mignone (un anziano avvocato che univa ad un’elegante calligrafia una profonda cultura umanistica), intuendo le mie perplessità di fronte ad una fattispecie mai esaminata prima durante il tirocinio, mi consigliò di non affrettare la decisione per poter meglio valutare il merito della questione giuridica.
Mi illustrò l’importanza che quel locale (il più importante ritrovo di S. Angelo) aveva nel contesto urbano, nonostante il modesto valore della causa, e l’opportunità di esaminare con cura gli atti; raccogliendo le sue indicazioni, il mio primo atto giudiziario fu quindi quello di sospendere l’esecuzione dello sfratto, prevista nella settimana successiva.
Il 23 novembre 1980, domenica, non ero a S. Angelo dei Lombardi, dove pure avevo preso in locazione un bilocale in prossimità del Castello longobardo, e nemmeno a Napoli, per cui non ho patito il terrore di quei lunghissimi 90 secondi del sisma: un altro, decisivo, segno del destino.
Il lunedì successivo, nell’iniziale ridda di confuse comunicazioni, come tanti non pienamente consapevole dell’area esatta interessata dal terremoto, raggiunsi in auto S. Angelo di buon’ora per la mia udienza penale.
Al mio arrivo trovai uno scenario agghiacciante, fatto di silenzi squarciati da urla di dolore, macerie ed ancora macerie per ogni dove: una cittadina sconvolta da un’apocalisse che me la rendeva (per quel poco che avevo imparato a conoscerla) del tutto irriconoscibile.
Il Tribunale (sede anche della Pretura), per quanto segnato da profonde e visibili ferite nella sua struttura, era tra i pochi edifici ancora agibili; il moderno ospedale un ammasso di detriti, la mia abitazione semplicemente dissolta.
Credo di essere stato tra i primi a raggiungere S. Angelo, in cui peraltro erano già presenti militari del genio e vigili del fuoco per cui, superato lo sbalordimento dinanzi ad uno spettacolo per me del tutto imprevisto, compresi che la mia tenuta da ufficio era del tutto inadeguata: mi tolsi giacca e cravatta e cominciai ad aiutare un gruppo di persone impegnate nel liberare da un cumulo di detriti una zona (posta in prossimità dell’incrocio che portava all’ufficio postale) in cui si avvertiva distintamente, sotto le macerie, un lamento.
Scavammo freneticamente a mani nude per un tempo che non riesco a quantificare, incoraggiati dalla percezione di suoni sempre più vicini, e mi resta ineludibilmente impressa nella memoria la sensazione al tempo stesso di sorpresa e angoscia che derivò dal veder ergersi dalle rovine un ……. pastore tedesco che terrorizzato, si diede alla fuga scartando in una corsa frenetica e incontrollata.
Il “mio” terremoto a S. Angelo dei Lombardi è da sempre tutto raccolto in quell’immagine di un cane impazzito, che si allontana tra le macerie, sbandando senza meta, in uno scenario di polvere e di morte.
A quel primo e terribile giorno seguirono accadimenti in frenetica successione, segnati dal disorientamento di un giovane pretore alla ricerca di un ruolo utile in quella tragedia, in cui le domande erano ben diverse e prioritarie rispetto a quelle di giustizia.
Mi recai pertanto a Napoli dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello, dove venni confinato ad una lunghissima anticamera, interrotta solo quando, qualificandomi come Pretore di S. Angelo dei Lombardi, venni travolto dagli abbracci e dalla solidarietà dei colleghi che (impropriamente) mi qualificarono come una sorta di sopravvissuto.
Mi venne attribuita extra ordinem un’auto di servizio (con guida personale) e venni “promosso” sul campo da pretore a pubblico ministero (in uno con il collega Barbuto, pretore di Lacedonia), in un ufficio di Procura acefalo per il collocamento in aspettativa del Procuratore della Repubblica in carica, che all’epoca era privo di sostituti procuratori.
In un inverno gelido, senza alcuna esperienza professionale alle spalle, mi trovai a rappresentare l’istituzione giudiziaria dell’alta Irpinia dinanzi alle massime cariche dello Stato, tra cui l’indimenticato presidente Pertini, pranzando nella neve in tende militari e dormendo in un container metallico, posto dinanzi al Tribunale, assegnatomi dal neosindaco designato dopo la morte del suo predecessore.
Una sorta di epopea fatta di emergenze, situazioni imprevedibili che costringevano a decisioni metagiuridiche, il tutto sullo sfondo di uno scenario apocalittico, fatto di sofferenza e disperazione.
II dopo terremoto si connotò di dinamiche convulse e a volte surreali.
Ricordo la protesta dei cittadini di Lacedonia, esclusi dalle provvidenze post sismiche, che paralizzarono l’autostrada Napoli-Bari, determinando la “carica” (e numerosi arresti) da parte dei carabinieri guidati dal giovane capitano Enrico Cataldi (divenuto poi generale e comandante del Racis), catapultato in un solo giorno dal Trentino a S. Angelo dei Lombardi dopo il decesso del capitano Pecora.
Ho ancora vivida l’immagine della catasta di bare, di ogni tipo e dimensione, depositate davanti al cimitero (rivelatosi presto insufficiente), da una catena di soccorritori che avevano ricevuto via radio la segnalazione dell’emergenza ed erano generosamente accorsi con il loro carico ligneo, senza che alcuno avesse poi avvertito della saturazione della necessità, determinandone l’utilizzazione quale combustibile di falò notturni per attenuare i rigori della notte.
La successiva, accorata istanza di centinaia di familiari, che chiedevano di avere una tomba su cui piangere il congiunto deceduto (sepolto per l’emergenza in una fossa comune), mi indusse poi a disporre l’esumazione delle salme, per procedere al loro riconoscimento individuale.
Nel mosaico di fatalità non posso non ricomprendere anche la circostanza che molti cadaveri erano stati rinvenuti, nel tradizionale orario dell’appuntamento serale televisivo con la partita di calcio, sotto le macerie del bar Corrado, proprio l’esercizio di cui avevo (purtroppo) disposto poco prima la sospensione dell’esecuzione dello sfratto. Tra gli avventori anche l’allora sindaco di S. Angelo dei Lombardi, il giovane avvocato Guglielmo Castellano.
Rammento il pathos della mia prima esperienza di pubblico ministero in un processo contro un giovane ufficiale (inevitabilmente condannato ad una pena severa) accusato di avere occultato una cassetta contenente un piccolo tesoro in monete d’oro e dollari, consegnatagli dai suoi sottoposti, che l’avevano rinvenuta sotto le macerie di una casa di campagna, vulnerando così il credito meritoriamente acquisito sul campo dall’esercito.
Non ho dimenticato le precipitose fughe all’aperto derivanti dalle periodiche scosse di assestamento, che interrompevano l’attività di un ufficio giudiziario che aveva orgogliosamente ripreso la sua attività, processando per direttissima alcuni (fortunatamente pochi), “sciacalli” sorpresi a trafugare i poveri beni abbandonati tra le rovine.
Seguirono le indagini condotte sui cosiddetti “crolli facili”, l’arresto di esponenti del Genio Civile e di costruttori derivate dal deposito di elaborati peritali che avevano evidenziato plurime violazioni della normativa antisismica, la risonanza mediatica che accompagnò la solerte ripresa dell’attività giudiziaria nell’area del cratere, il titolo del quotidiano Il Mattino: “I giudici tra le macerie”.
La presenza di un collega (ma soprattutto un maestro) quale Franco Roberti, all’epoca giudice istruttore (poi assurto alla carica di procuratore Nazionale Antimafia), mi consentì di affrontare problematiche probabilmente impegnative per chiunque si fosse trovato ad affrontare una simile contingenza, ma sicuramente impensabili per un giovanissimo pretore, che doveva ogni volta affrontare e superare lo sconcerto dell’interlocutore (anche autorevole) di turno, sorpreso dall’incontro con un magistrato ben lontano dall’ austera saggezza che avrebbe dovuto connotarlo secondo l’immaginario collettivo.
Con Roberti, e con una colonna dell’esercito, fummo incaricati su disposizione “superiore” di prelevare tutti i fascicoli processuali depositati presso il Tribunale di S. Angelo, per trasferire (temporaneamente??) ad Avellino l’ufficio giudiziario. L’ostacolo umano dei corpi degli avvocati del Foro locale, sdraiati sulla neve per impedire la marcia dei camion, indusse a più miti consigli, evitando di infierire su una comunità segnata dalla sorte, che vedeva nel “suo” Tribunale un presidio di legalità e di vanto cittadino.
Ricordo le parole persuasive di Roberti: “Eccellenza, questa gente ha già perso tutto, se togliessimo loro anche il Tribunale, che è il centro della vita pubblica, completeremmo l'opera del terremoto”.
Quale giudice tutelare, curai la gestione di decine di tutele di minori, orfani per il sisma, raccogliendo storie strazianti di bambini irrimediabilmente stravolti da una violenza partita dalla terra e capace di scuotere il profondo del loro cuore, lì dove si nascondono le paure, in cui si era annidata per non lasciarli più.
Il cammino della ricostruzione fu lento e difficile, segnato anche da episodiche infiltrazioni camorristiche che determinarono un complesso dibattimento con numerosi imputati provenienti dall’agro sarnese-nocerino. Per portalo a termine revocai la mia domanda di trasferimento alla Procura di Napoli, e continuai per molti anni la mia funzione di Pretore, una sorta di “medico condotto” del diritto, aduso a ricevere i più disparati protagonisti di conflitti tra confinanti, beghe familiari, ecc., più inteso alla promozione di un accordo tra le parti più che a determinare la ragione e il torto secondo le norme del codice.
Ricordo con nostalgia un contadino (tale Petito) quasi quotidianamente presente in ufficio, con il volto perennemente bruciato dal sole e con una coppola a strette falde che, scappellandosi teatralmente dinanzi all’ “eccellenza”, rivelava la sommità di una cute bianchissima; sostanzialmente viveva per una causa che lo contrapponeva da anni ad un vicino per un “tomolo” di terreno. Quando la decisi (in senso per lui favorevole) percepii distintamente il suo disagio, superato solo dalla notizia dell’appello proposto da parte del suo rivale, che gli consentì (ne sono certo non senza soddisfazione), di legittimare le sue ulteriori peregrinazioni in Pretura, divenuta ormai la sua seconda casa...
Quel legame con S. Angelo dei Lombardi, insorto in una situazione tragica, ebbe modo di consolidarsi con il tempo, parallelamente alla scoperta di un territorio ricco di cultura e di tradizioni, a cui venni avvicinato da avvocati di grande umanità e capacità professionale.
Mi trasferii a Napoli solo quando, con la soppressione degli uffici di pretura, compresi che era venuto il tempo di chiudere un’esperienza irripetibile per affrontare un nuovo e diverso percorso.
Quarant’anni anni sono tanti, ma conservo nel cuore voci, volti ed immagini (sbiadite) di un tempo lontano, di una calamità naturale che mi sfiorò soltanto, ma in modo comunque sufficiente a determinare, in una palestra di formazione giudiziaria del tutto atipica, emozioni incancellabili.
La cittadinanza onoraria di S, Angelo dei Lombardi, conferitami in occasione di un anniversario di quel maledetto 23 novembre, è per me motivo di orgoglio come la sua motivazione “per aver difeso l’istituzione giustizia” nei giorni del terremoto, che campeggia sulla targa donatami dal Comune ed esposta nel mio ufficio, memore che “il ricordo della felicità non è più felicità, mentre il ricordo del dolore è ancora dolore”.
Elementi per un rapporto tra allocazione delle risorse sanitarie e diritto alla salute come problema biogiuridico nell’emergenza del COVID-19
di Aldo Rocco Vitale
Discorrendo con Platone intorno alle idee e usando “tavolità” e “coppità”
invece di tavola e coppa, Diogene disse: «Io, o Platone, vedo la tavola
e la coppa; ma non vedo le idee di tavola e coppa.»
E Platone: «È giusto. Hai gli occhi per vedere la coppa e la tavola,
ma non hai la mente per vederne le idee.»
Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, Laterza, Bari, 2010, Vol. I, pag. 222.
Sommario: 1. Introduzione - 2. Il problema - 3. Conclusioni.
1. Introduzione
«La civiltà giudaico-cristiana è esaurita; è una potenza che ha fatto il suo tempo. La stella collassata collassa ancora di più, è nell’ordine del suo essere»:[1] così Michel Onfray ha sintetizzato il tramonto dell’influenza cristiana all’interno del mondo occidentale contemporaneo, potendosi estendere tale tendenza nei confronti di ogni premessa non soltanto di carattere teologico-religioso, nonostante proprio di origine teologico-religiosa sia il processo di secolarizzazione che ha condotto alla presente situazione,[2] ma anche soltanto trascendente con una parallela eclisse dell’influenza del pensiero metafisico,[3] andamento generale massimamente presente anche e soprattutto nel mondo del diritto che non soltanto è oramai del tutto secolarizzato,[4] ma – talvolta abbandonato alla solitudine nelle mani di un legislatore culturalmente sempre più inadeguato,[5] e talvolta forgiato a immagine e somiglianza della magistratura in quella sempre incandescente fucina del “creazionismo giudiziario” –[6] alla ricerca spasmodica di un fondamento post-metafisico.[7]
In questa direzione Tristram Engelhardt ha precisato che «poiché la cultura laica dominante del nostro tempo si colloca dopo Dio, la riflessione morale laica non può che occuparsi di ogni cosa come se essa non venisse da nessuna parte, non andasse da nessuna parte e non avesse alcuno sbocco finale. Deve trattarsi, cioè, di una morale e di una struttura politica costruite come se moralità, vita morale, strutture politiche e stati fossero in ultima analisi privi di significato […]. Tutto è in definitiva privo di senso».[8]
Proprio questa carenza di senso, del resto, costituisce la sfida intellettuale attualmente più ardua per il mondo contemporaneo agitato dal vortice dell’ideologia, e all’un tempo lo sprone per un ritorno ai più sicuri lidi del pensare, cioè del filosofare, ovvero del tentare di investigare razionalmente – cioè senza apriorismi, senza schemi ideologici, senza pregiudizi, ovvero con autentico spirito critico – la realtà, poiché come ha chiosato Jean-François Lyotard «c’è bisogno di filosofare perché abbiamo perso l’unità. L’origine della filosofia è la perdita dell’uno, è la morte del senso».[9]
In fondo, se per Hans-Georg Gadamer «l’istinto metafisico è troppo radicato nell’uomo per lasciarsi cancellare del tutto, anche ammesso che la metafisica abbia perduto per sempre il rango di “scienza prima”»,[10] ciò che qui s’intende non è una banale rivendicazione di un presunto diritto della metafisica, ma la più seria e difficile proposta di un recupero di una metafisica del diritto come tale in grado di riflettere quell’esigenza di razionalità oggi mancante a cui più sopra si è accennato.
Se infatti, per Martin Heidegger, la metafisica è il terreno in cui affondano le radici dell’albero della filosofia,[11] la metafisica del diritto, oggi, pare il solo terreno fertile da cui può (ri)nascere il bocciolo del suo senso fino ad ora smarrito, così da evitare l’illusione che il “diritto del vuoto”, parallelamente alla “società del vuoto”,[12] possa continuare autoreferenzialmente a legittimare se stesso.
In questa direzione vi sono ambiti in cui il diritto positivo da solo non riesce a dirimere determinate problematiche –[13] in modo razionale senza cioè abbandonare il fenomeno giuridico al mero volontarismo,[14] o, consequenzialmente e peggio,[15] al nichilismo –[16] che possono presentarsi all’attenzione del giurista (sia esso legislatore, interprete o applicatore del diritto), così come accade, per esempio, con i “nuovi temi” biogiuridici.[17]
A tal proposito occorre riconoscere che all’intenso agire di veri e propri processi mareali di ordine concettuale, che si sono succeduti nel corso degli ultimi decenni, sono soggette anche altre dimensioni della realtà oltre quella strettamente giuridica, come, per esempio, l’invecchiamento.
Se Cicerone preferiva «essere meno a lungo vecchio, che esser vecchio prima di esserlo»,[18] oggi si assiste ad una sempre più radicale opera di ristrutturazione complessiva della vecchiaia, non soltanto perché l’età media si è allungata o perché i progressi tecnico-scientifici consentono di “cronicizzare” – al fine di conviverci – quegli stati patologici che si presentano con l’avanzare dell’età e che magari un tempo erano annoverabili tra le cause prime di mortalità, ma anche e soprattutto perché tali recenti mutazioni riflettono la nuova prospettiva antropologica dominante sul senso della vita e, quindi, della morte,[19] oltre che dell’invecchiamento che di quest’ultima è sempre il mesto ambasciatore.
Arricchendosi la capacità dell’uomo di controllare la dimensione biologica, di scrutare i segreti del corpo, di scoprire i misteri della vita umana attraverso il potenziamento della biologia e della biomedicina, l’idea di poter controllare ogni aspetto dell’esistenza biologica si è fatta strada sempre più, fino alle sue logiche conseguenze, ritendo per un verso di poter ritardare la morte per il più lungo tempo possibile, e per altro verso perfino di eliminarla anche a costo di perdere tutto ciò che contraddistingue l’umanità, cioè la caducità e la mortalità dell’uomo.[20]
L’ambizione di una parte crescente del mondo scientifico, ben oltre ogni prospettiva distopica, ma pur sempre all’interno di quel vastissimo orizzonte dischiuso dai paradigmi della nuova antropologia rimodellata dalle più dinamiche frange di quella sempre più influente corrente di pensiero che è l’estropianesimo attuale,[21] di cancellare radicalmente l’invecchiamento tramite i mezzi tecnologici,[22] traduce quella forma neanche tanto implicita di vera e propria guerra tecno-culturale contro la morte – e probabilmente contro la stessa natura in quanto tale – che il mondo contemporaneo sta ormai conducendo da tempo.[23]
Sarebbe quanto mai opportuno comprendere se, in prospettiva, la vecchiaia possa diventare un problema maggiore di ciò che oggi rappresenta, se cioè possa essere dapprima teorizzato un “diritto a non invecchiare”, imponendosi, gradualmente con il tempo, perfino un “dovere di non invecchiare”, fino ad arrivare a considerare la vecchiaia perfino come una colpa, intanto sicuramente in senso morale e sociale, poi, chissà, magari, anche in senso giuridico.[24]
Occorre chiedersi, tuttavia, se la vecchiaia come colpa rappresenti una futuribile prospettiva per ora soltanto “fantascientifica”, o se invece vi siano attualmente degli elementi prodromici sul punto che disvelano i riflessi problematici di carattere giuridico riguardo alle politiche e alle prassi biomediche odierne nei confronti della popolazione meno giovane i cui diritti fondamentali possono essere messi in discussione già oggi in tempo di emergenza da pandemia Covid-19, specialmente in riferimento al rapporto tra allocazione delle scarse risorse sanitarie e tutela del diritto alla salute.
2. Il problema
Su “La Stampa” dello scorso 24 ottobre 2020 è stata pubblicata la notizia secondo cui l’Accademia Svizzera delle Scienze Mediche e la Società Svizzera di Medicina Intensiva hanno elaborato un protocollo secondo cui vengono individuate quattro tipologie di pazienti destinati a non essere ricoverati per Covid-19 nei reparti di in Terapia Intensiva: 1) età superiore a 85 anni; 2) età superiore a 75 anni accompagnata da almeno uno dei seguenti criteri: cirrosi epatica, insufficienza renale cronica stadio III, insufficienza cardiaca di classe NYHA superiore a 1 e sopravvivenza stimata a meno di 24 mesi; 3) arresto cardiocircolatorio ricorrente, malattia oncologica con aspettativa di vita inferiore a 12 mesi, demenza grave, insufficienza cardiaca di classe NYHA IV; 4) malattia degenerativa allo stadio finale.[25]
La questione svizzera, lungi dall’essere di carattere locale, rappresenta una esemplificazione particolare di un problema generale che si sta ciclicamente riproponendo in ogni ordinamento giuridico chiamato a interrogarsi sulla gestione legale della allocazione delle limitate risorse nei sistemi sanitari nazionali posti sotto pressione a causa della pandemia da coronavirus in atto.[26]
Il problema, sicuramente, non è nuovo, essendo senza dubbio tanto risalente quanto ricorrente nella letteratura delle cosiddette “questioni bioetiche”,[27] ma la diffusione del Covid-19 lo ha reso un tema ancor più attuale e sicuramente tanto “virale” quanto vitale,[28] come dimostrano le recenti linee guida redatte dalla SIAARTI in Italia per stabilire i criteri di priorità attraverso le quali scegliere i pazienti da sottoporre alle cure di terapia intensiva e con cui si è deciso di effettuare tale selezione utilizzando il criterio dell’età, cioè favorendo i più giovani.[29]
Del resto, sul numero del 23 marzo 2020 del noto New England Journal of Medicine,[30] è stato pubblicato un contributo dal significativo titolo “Fair allocation of scarce medical resources in the time of Covid-19” nel quale gli autori – come sta accadendo un po’ dovunque nel mondo – si sono interrogati su quale sia la modalità migliore di allocazione delle scarse risorse sanitarie in un periodo di emergenza pandemica quale è quella attuale causata dalla diffusione del letale virus Covid-19.
Alla vetustà della tematica, tuttavia, si contrappone la novità della soluzione proposta, almeno da parte degli autori del suddetto contributo pubblicato su “NEJM”, cioè la possibilità non soltanto di sospendere la ventilazione per i pazienti Covid-19 che non hanno lunghe prospettive di vita, ma di poterla sospendere perfino senza il loro consenso e per di più senza che ciò possa essere considerato eticamente, giuridicamente e deontologicamente problematico.[31]
In senso contrario si è espresso, invece, il Comitato Nazionale per la Bioetica italiano ribadendo che il criterio clinico è l’unico eticamente accettabile in quanto «il più adeguato punto di riferimento, ritenendo ogni altro criterio di selezione, quale ad esempio l’età, il sesso, la condizione e il ruolo sociale, l’appartenenza etnica, la disabilità, la responsabilità rispetto a comportamenti che hanno indotto la patologia, i costi, eticamente inaccettabile».[32]
In un successivo documento lo stesso CNB, inoltre, ha avuto modo di evidenziare la necessità etica e giuridica di una maggior tutela degli anziani – insieme ai disabili, ai minori, alle altre categorie di pazienti non-Covid – come categoria più fragile da salvaguardare.[33]
Negli anni, del resto, si è accentuata la rilevanza della dimensione economico-finanziaria all’interno delle problematiche relative alla sanità con evidenti riflessi anche sul piano della tutela effettiva di un diritto costituzionalmente rilevante e tutelato quale è il diritto alla salute, abbandonando un approccio giuridico “salutecentrico” in favore di un approccio sempre più “econometrico”.[34]
Sul punto la letteratura scientifica e la giurisprudenza sono pressoché illimitate, ma – con il dovuto spirito di sintesi maturato all’ombra della consapevolezza di una palese non esaustività enciclopedica delle presenti osservazioni – si può senza dubbio evidenziare il paradosso per cui proprio nell’epoca, quale è quella attuale, in cui per un verso, come già detto, si respinge la morte quale “economia della vita”,[35] pur essendo la morte all’un tempo reclamata come diritto,[36] per altro verso la morte sia divenuta lo strumento con cui garantire e ottimizzare l’efficienza della “vita dell’economia” alla base di un dato sistema sanitario, come, del resto, aveva già intuito Ivan Illich sottolineando che «la morte approvata dalla società è quella che avviene quando l’uomo è diventato inutile non solo come produttore, ma anche come consumatore».[37]
Si assiste, insomma, ad una vera e propria interversio morum, per cui si attribuisce un costo (rectius, un prezzo) a ciò che ha una dignità,[38] cioè sostanzialmente la vita umana, che si estrinseca dapprima in una economicizzazione del diritto in genere e di quello alla salute in particolare,[39] concludendosi infine in un acrobatico capovolgimento assiologico che sottomette il valore giuridico al valore contabile e che a sua volta confluisce in una vera e propria interversio iuris, per cui il diritto alla salute si rovescia silenziosamente in un singolare “dovere di morire” socialmente ed economicamente giustificato, tanto da potersi e doversi chiedere con Michael Sandel se vogliamo una società in cui ogni cosa ha un prezzo, oppure ci sono certi beni morali e civici che i mercati non onorano e che i soldi non possono comprare.[40]
L’improduttività e l’inattitudine al consumo dell’uomo non più produttivo e non più consumatore a causa della vecchiaia, della malattia o della disabilità,[41] segnano, infatti, nell’epoca post-capitalistica dell’espansione del mercatismo (o turbocapitalismo), inteso quale sublimazione totalizzante e ultimativamente totalitaria del vecchio capitalismo,[42] la consunzione di alcuni diritti come quello alla salute la cui tutela, in certe condizioni, diventa economicamente non vantaggiosa e quindi ridimensionabile, comprimibile o, perfino, sopprimibile.
L’homo oeconomicus,[43] cioè colui il quale antepone l’ottimizzazione economica dinnanzi al valore della vita e del diritto in sé considerato, prende il posto dell’homo juridicus,[44] cioè colui il quale riconosce non soltanto la dignità e l’autonomia epistemica della fenomenologia giuridica che non può essere piegata o piagata dal mondo tecnico come dal calcolo dell’utile economico, ma che soprattutto, prendendola sul serio, individua la fondamentalità di alcuni diritti umani – come quello alla salute – non tanto in una loro mitica o mistica inattingibilità ontologica, quanto piuttosto nella concretezza della loro contraddistintiva intangibilità costitutiva originaria meta-ordinamentale.[45]
I riflessi più strettamente giuridici non possono essere considerati minoritari, venendo in rilievo non soltanto la lesione del diritto fondamentale alla salute da cui discende il diritto all’assistenza sanitaria, ma anche il principio di uguaglianza per cui «l’obiettivo dell’eguale trattamento delle generazioni richiede che sia assegnato un uguale peso a livello di benessere individuale in ciascun momento del tempo»,[46] nonché il principio di autodeterminazione come valore costituzionalmente garantito.[47]
Con l’adozione di un approccio di carattere inizialmente economicistico e,[48] via via perfino utilitaristico,[49] si rischia, infatti, non soltanto la radicale soppressione del diritto alla salute, ma anche una sovversione del diritto di autodeterminazione così rilevante nell’odierno clima giuridico, come del resto indicato, pur tra i vari chiaroscuri, dalla stessa Corte Costituzionale con la recente sentenza 242/2019 sul cosiddetto “caso Cappato-DJ Fabo”.[50]
Per quanto sia ovvio che ad una situazione di emergenza si debba far fronte con norme e comportamenti emergenziali, occorre sottolineare che la gestione dell’emergenza non può mai travalicare i principi generali del diritto e dell’ordinamento, i diritti fondamentali costituzionalmente riconosciuti e tutelati, lo spirito di giustizia in se stessa considerata.
Così, occorre tener presente che la eventuale carente disponibilità delle risorse – con il problema relativo alla esatta loro allocazione tanto in un quadro macro-allocativo quanto in un quadro micro-allocativo –[51] non può mai rappresentare la legittimazione di una compressione o perfino di una soppressione del diritto alla salute prima e del diritto alla vita poi di coloro che, sebbene meno giovani, hanno necessità di accedere ai servizi sanitari essenziali – come le terapie intensive – al fine di veder concretamente tutelati i suddetti diritti.
Il diritto alla salute, infatti, se è davvero un diritto fondamentale, come del resto affermano norme sovranazionali e la stessa Costituzione,[52] nonostante qualche contraria opinione,[53] non può trovare limitazioni di carattere economico-contabilistico che ne comportino non soltanto una minore tutela o una (de)gradazione della stessa, ma neanche, a maggior ragione, un vero e proprio totale sacrificio, nemmeno in un contesto di carattere emergenziale come quello odierno.
In questa direzione occorre tenere presente il contributo della giurisprudenza, almeno di quella costituzionale,[54] che ha avuto modo di esprimersi più volte sulla natura, la portata e l’importanza del diritto alla salute.[55]
Per la Corte Costituzionale, infatti, il diritto alla salute è «riconosciuto e garantito dall’art. 32 della Costituzione come un diritto primario e fondamentale che impone piena ed esaustiva tutela».[56]
Dalla ricostruzione che del diritto alla salute compie la Corte Costituzionale si possono ricavare i tre elementi costitutivi che lo determinano: 1) si articola in situazioni giuridiche soggettive diverse in dipendenza della natura e del tipo di protezione che l’ordinamento costituzionale assicura al bene dell’integrità e dell’equilibrio fisici e psichici della persona umana; 2) è un diritto erga omnes immediatamente garantito dalla Costituzione e dunque azionabile e tutelabile direttamente dai soggetti legittimati nei confronti degli autori dei comportamenti illeciti; 3) conferisce in concreto il diritto ai trattamenti sanitari dei quali la determinazione degli strumenti, dei tempi e dei modi è rimessa all’attuazione messa in essere da parte del legislatore.
Da ciò si evince, tuttavia, che dato il rilievo costituzionale e la fondabilità pre-costituzionale del diritto alla salute, esso non possa essere controbilanciato da un generico e collettivo interesse di carattere economico o contabilistico, proprio in considerazione della palese primazia che con tutta evidenza l’ordinamento gli attribuisce.
Cesare Mirabelli, del resto, non a caso ha puntualizzato che «il contemperamento con le esigenze di natura finanziaria ed organizzativa deve, in ogni caso, garantire l’erogazione delle prestazioni sanitarie indispensabili, assicurando tempestivamente le cure più idonee per lo stato di salute della persona. Deve essere, dunque, sempre garantita la compiuta attuazione del diritto alla salute, non essendo ammissibile che vi siano situazioni prive di tutela per un bene che è essenziale della persona».[57]
Si considerino, peraltro, le due prospettive fondamentali – cioè poste “segretamente” alla sua base – del suddetto approccio, cioè, da un lato il paternalismo,[58] e, ancor più problematicamente, dall’altro lato l’eugenetica,[59] binari cooperanti di un unico deragliamento giuridico qualora sia intrapresa la rotta ove essi conducono.
Plasmare la tutela del diritto alla salute, infatti, anche se in tempi emergenziali pandemici, secondo criteri utilitaristici o economicistici, significa re-introdurre una mentalità paternalistica, non più clinicamente giustificata, ma contabilisticamente fondata, come precisa, tra i tanti, John Wyatt secondo il quale «il vecchio modo paternalista di assegnazione e ripartizione delle spese relative all’assistenza sanitaria sotto il controllo diretto dei medici professionisti è stato adesso soppiantato da una nuova forma di paternalismo in cui sono degli economisti, esperti in spesa sanitaria, dei funzionari governativi, oppure dei burocrati ministeriali che stanno sempre di più prendendo il controllo della salute pubblica, nel nome di una pianificazione razionale ed efficiente delle spese».[60]
Limitare la tutela del diritto alla salute, anche se in tempi emergenziali pandemici, in virtù di una selezione dei pazienti in base alla loro età anagrafica, significa praticare una “politica” sostanzialmente eugenetica tesa a favorire i più “forti” ed eliminare i più “deboli”, cioè non soltanto contravvenire alla reale natura del diritto,[61] e, all’un tempo, alla vocazione umanitaria della stessa medicina,[62] ma anche e soprattutto violare apertamente e frontalmente alcune specifiche normative internazionali che vietano in modo esplicito ogni eventuale, diretta o indiretta, prassi eugenetica.[63]
In tal senso si pensi all’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea,[64] all’articolo 11 della Convenzione di Oviedo,[65] ed implicitamente anche all’articolo 14 della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo nella misura in cui vieta la discriminazione in base a qualunque altra condizione rispetto a quelle esplicitamente elencate.[66]
Confondendo il concetto di guarigione con quello all’assistenza sanitaria, dietro il filtro dell’ottimizzazione delle risorse, si finisce, insomma, per negare la cura di cui hanno diritto persone sofferenti, e pur probabilmente inguaribili, come gli anziani affetti da Covid-19 che si escludono aprioristicamente dalle terapie intensive, dimenticando non soltanto il senso del diritto e dell’etica medica, ma anche la preziosa lezione di Georges Canguilhem secondo il quale, infatti, «imparare a guarire significa imparare a conoscere la contraddizione tra la speranza di un giorno e lo scacco inevitabile alla fine. Senza mai dire di no alla speranza».[67]
Il baluardo un tempo gagliardo e oggi in rovina dell’umanesimo marxista,[68] avrebbe potuto costituire una valida alternativa critica nei confronti di simili prassi di espansionismo post-capitalistico oramai totalizzante e acriticamente accettato proprio da parte di molti, anche influenti, giuristi di ogni ordine e grado.
Del resto, anche la roccaforte dell’etica cristiana, oggi disarmata e collabente a causa dell’apice del processo suicidiario che l’occidente oramai da decenni ha mosso verso se stesso,[69] avrebbe potuto rappresentare un antibiotico contro quella virulenta carica pandemica costituita dall’antigiuridismo attuale sempre più capillarmente diffuso e di cui sono divenuti silente veicolo proprio gli stessi giuristi che supinamente e sociologicamente accettano logiche palesemente antigiuridiche un tempo risolutamente e coraggiosamente respinte.
Alcuni interrogativi sorgono, dunque, in modo spontaneo e inevitabile: in una situazione di emergenza come quella imposta dalla pandemia del coronavirus i diritti fondamentali, come quello alla salute e all’autodeterminazione, possono essere davvero ridimensionati, affievoliti o perfino negati? Il diritto all’autodeterminazione che sta vivendo una nuova stagione di vitalità e riconoscimento prima giudiziario e poi legale può incontrare nell’emergenza sanitaria l’unica vera forza in grado di contrastarne l’espansionismo? L’approccio economicistico è davvero l’unico in grado di poter dare una soluzione all’emergenza sanitaria? La prospettiva utilitarista è davvero compatibile con la struttura della Costituzione e dell’ordinamento giuridico italiani informati dal principio personalistico? Il calcolo economico dei costi-benefici può davvero assurgere a cifra ermeneutica dell’intera realtà giuridica? E’ l’economia che deve regolare il diritto o, piuttosto, è il diritto che deve regolare l’economia? E’ il risultato economico che deve disciplinare la vita delle persone e dei soggetti di diritto o è il principio di intangibilità della persona che deve disciplinare il risultato economico?
Con tutta evidenza, dunque, per comprendere il rapporto tra allocazione delle scarse risorse sanitarie e tutela del diritto alla salute nell’emergenza pandemica da Covid-19, invece di rinchiudersi nell’angolo di rigidi e statici – e francamente più semplici(stici) – rigori economici e contabili, si dovrebbe trovare il coraggio intellettuale e culturale di adottare una prospettiva dinamica, cioè ricorrere alla triangolazione di economia, diritto ed etica, come tale la sola in grado non tanto e non solo di rispettare lo statuto dell’economia, del diritto e della medicina, ma l’unica in grado di non violare arbitrariamente i diritti fondamentali dei singoli e di intere categorie di soggetti fragili che l’ordinamento dovrebbe primariamente tutelare per conservare oltre che la propria intrinseca giuridicità, la propria auspicabile umanità.
3. Conclusioni
«Sopprimo soltanto un mezzo uomo e non me ne vorrete per questo»:[70] così – nel celebre racconto di Albert Camus “La morte felice” – lo stanco, malato, privo di gambe, bisognoso di assistenza e di cure e soprattutto vecchio Zagreus incoraggia il giovane tentennante Mersault, lautamente ricompensato a tal fine, affinché esegua la prestazione, porti a termine il contratto stipulato, cioè sopprima il proprio stesso committente.
Considerare Zagreus soltanto un mezz’uomo per dimezzare la rilevanza morale della sua soppressione, significa sostanzialmente dimezzare la sua umanità, cioè, in definitiva, disumanizzarlo, pur senza comprendere, che una tale operazione costituisce una diretta violazione della dignità umana in quanto, con le parole di Abraham Heschel, «l’annullamento morale conduce allo sterminio fisico».[71]
Come ha giustamente osservato Dietrich Bonhoeffer, dunque, «la distinzione tra vita degna e vita indegna distrugge presto o tardi la vita stessa»,[72] e, inevitabilmente, anche il diritto.
Il diritto, infatti, non è economico, e non può e non deve essere economico. Il diritto è e deve rimanere giuridico per non tradire se stesso e la sua funzione, poiché il diritto non conosce e non può conoscere il servilismo in quanto è espressione della libertà e non della necessità, in quanto dovrebbe essere epifania del giusto e non imposizione dell’utile, in quanto riflesso dell’umanità degli esseri umani e non del loro tornaconto.
Subordinare il diritto alle pretese economiche o di altra natura ad esse simili, significa subordinare la libertà dello spirito allo spirito della necessità, significa soggiogare il diritto come espressione della costitutiva relazionalità naturale dell’uomo alla mera datità del mondo e del numero, significa escludere ciecamente la fondabilità sostanziale del fenomeno giuridico e quindi paradossalmente negare radicalmente il diritto, proprio in quanto giuristi, e l’umanità proprio in quanto esseri umani.
Oltre ogni ulteriore considerazione, non rimane, dunque, che chiedersi: siamo davvero pronti a vivere in un mondo inesorabilmente e irrevocabilmente privato dell’umanità e del diritto?
[1] Michel Onfray, Decadenza. Vita e morte della civiltà giudaico-cristiana, Ponte alle Grazie, Milano, 2017, pag. 601-602.
[2] «Il concetto di secolarizzazione non ha senso al di fuori del Cristianesimo»: Jacques Derrida, Quel che il Signore disse ad Abramo, Castelvecchi, 2005, pag. 30.
[3] «Sono stati “dimenticati” non solo i problemi specifici della trascendenza, ma in generale i problemi di fondo della filosofia e della metafisica. Non pochi filosofi si occupano oggi di questioni di carattere formale, connesse con il problema del “metodo” e del “linguaggio”, tralasciando per lo più la considerazione di ciò che con il metodo e con il linguaggio si dovrebbe raggiungere, ossia dei contenuti»: Giovanni Reale, Radici culturali e spirituali dell’Europa, Raffaello Cortina, Milano, 2003, pag. 140.
[4] Thomas Gutmann, Secolarizzazione del diritto e giustificazione normativa, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2016.
[5] https://espresso.repubblica.it/palazzo/2017/09/27/news/impreparati-incompetenti-immaturi-il-ceto-politico-non-e-mai-stato-cosi-ignorante-1.310776
[6] «Gli spazi della discrezionalità interpretativa sono già fin troppo ampi, a causa dell’odierno caos legislativo, da sconsigliare che li si ampli ulteriormente teorizzando e legittimando il creazionismo della giurisdizione, destinato inevitabilmente a degenerare nel dispotismo giudiziario»: Luigi Ferrajoli, Contro il creazionismo giudiziario, Mucchi Editore, Modena, 2018, pag. 24-25.
[7] Valentin Petev, Per un’ontologia post-metafisica del diritto, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2016.
[8] Tristram Engelhardt, Dopo Dio. Morale e bioetica in un mondo laico, Claudiana, Torino, 2014, pag. 48.
[9] Jean-François Lyotard, Perché la filosofia è necessaria, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2013, pag. 23.
[10] Hans-Georg Gadamer, La responsabilità del pensare. Saggi ermeneutici, V&P, Milano, 2002, pag. 130.
[11] Martin Heidegger, Che cos’è la metafisica?, Adelphi, Milano, 2001, pag. 91.
[12] «La “società del vuoto” può legittimare se stessa. Il nulla su cui galleggia non è il baratro su cui sprofonda, ma lo spazio aereo della sua libertà. Perché ciò sia possibile, sopportabile, occorre la priorità del sogno sulla realtà. Il sacro post-moderno è il luogo della grande illusione, il ritorno dell’Eden perduto in cui Dio e il serpente si fondono nell’uomo “divino” elevato al di là del bene e del male»: Massimo Borghesi, Secolarizzazione e nichilismo, Cantagalli, Siena, 2005, pag. 24.
[13] «La dottrina del positivismo giuridico conosce molte varianti, tutte però concordi nel negare autentico valore teoretico al tema della giustizia o comunque nel qualificarlo alla stregua di un tema extra-giuridico[…]. Ridotto ad un insieme di norme tecniche[…] il diritto viene pensato dai positivisti alla stregua di uno degli strumenti sistemici dell’ordine sociale, il che indubbiamente esso è, purché però non si dimentichi che un ordine, in quanto tale, può anche essere, al limite, atrocemente ingiusto, come quello concentrazionario di un Lager. La dottrina giuspositivistica potrà anche ritenere che il regolamento interno di un campo di concentramento sia autentico diritto, ma dovrà pur riconoscere come sensata l’opinione assolutamente contraria di tutti coloro che sono in esso incarcerati»: Francesco D’Agostino, Corso breve di filosofia del diritto, Giappichelli, Torino, 2011, pag. 53.
[14] «Ciascuno di noi non si trova in un diritto, ma sceglie il proprio diritto»: Natalino Irti, Diritto senza verità, Laterza, Bari, 2011, pag. 13.
[15] «Nichilismo e formalismo sono stretti da un’intima fraternità: l’uno conduce all’altro»: Natalino Irti, Nichilismo giuridico, Laterza, bari, 2005, pag. 26.
[16] «Parlare in sé di diritto e torto è cosa priva di ogni senso»: Friedrich Nietzsche, Genealogia della morale, Adelphi, Milano, 2007, pag. 65.
[17] La letteratura sul punto è praticamente sterminata: a titolo di esempio cfr. i recenti: Salvatore Amato, Biodiritto 4.0. Intelligenza artificiale e nuove tecnologie, Giappichelli, Torino, 2020; Francesco D’Agostino, Bioetica. Questioni di confine, Studium, Bologna, 2019; Carla Faralli, Diritto, diritti e nuove tecnologie, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018; Aldo Rocco Vitale, Introduzione alla bioetica. Temi e problemi attuali, Il Cerchio, Fano, 2019.
[18] Cicerone, La vecchiezza, Bur, Milano, 2005, pag. 169.
[19] «Come concepiamo la vita e come concepiamo la morte sono soltanto due aspetti di un atteggiamento di fondo unitario»: Georg Simmel, Metafisica della morte e altri scritti, SE, Milano, 2012, pag. 9.
[20] «Una specie che riesce a creare artificialmente la propria immortalità, e che cerca di trasformarsi in mera informazione, rimane una specie umana?»: Jean Baudrillard, L’illusione dell’immortalità, Armando Editore, Roma, 2007, pag. 31.
[21] «The first fully developed transhumanist philosophy was defined by the “Principles of Extropy”, the first version of which was published in 1990. The concept of “extropy” was used to encapsulate the core values and goals of transhumanism. Intended not as a technical term opposed to entropy but instead as a metaphor, extropy was defined as the extent of a living or organizational system’s intelligence, functional order, vitality, and capacity and drive for improvement[…]. The Principles of Extropy include the concept of practical optimism or dynamic optimism which tempers an optimistic sense of radical possibility with an insistence that we actively create the future we desire»: Max More – Natasha Vita-More, The transhumanist reader, Wiley-Blackwell, Oxford, 2013, pag. 35.
[22] Secondo il noto biochimico Aubrey de Grey, per esempio, si potrebbe e si dovrebbe attuare il piano cosiddetto “SENS”, cioè Strategies for Engineered Negligible Senescence (ovvero, Strategie per una Senescenza Ingegnerizzata Trascurabile), con cui arrestare biologicamente il fenomeno dell’invecchiamento. Cfr. Aubrey de Grey – Michael Rae, La fine dell’invecchiamento. Come la scienza potrà esaudire il sogno dell’eterna giovinezza, D Editore, Roma, 2018.
[23] «La lotta contro la morte continua a progredire nelle direzioni che già avevo messo in luce vent’anni fa; da allora la speranza nel prolungamento della vita ha fatto progressi ovunque nel mondo e in Francia la durata media della vita è aumentata di una decina d’anni. La morte, insomma, continua a battere in ritirata. Eppure, sebbene nei Paesi più avanzati in campo medico il cancro e le malattie cardiovascolari assorbano ancora la maggior parte delle risorse e dell’attenzione pubblica, la ricerca ha tentato di aprire nuove brecce sul fronte della morte o ha previsto l’avvento di nuove tecniche per lottare contro la senescenza. E soprattutto assistiamo al progressivo delinearsi, negli Stati Uniti, di una vera e propria mobilitazione contro la vecchiaia e la morte: nascono addirittura associazioni che hanno lo scopo dichiarato di abolire la morte, la gente matura comincia a protestare contro la senescenza e anche i giovani a ribellarsi all’assurdità della morte»: Edgar Morin, L’uomo e la morte, Meltemi, Roma, 2002, pag. 342.
[24] Il tema, senza dubbio colorato di tratti da distopia orwelliana, è comune a quello dell’opera di narrativa dello scrittore svedese Carl-Henning Wijkmark, La morte moderna, Iperborea, Milano, 2008, pag. 47.
[25] https://www.lastampa.it/esteri/2020/10/24/news/la-svizzera-sceglie-rianimazione-negata-agli-anziani-malati-di-coronavirus-1.39453134
[26] Per una panoramica nei vari Paesi cfr.: http://bioetica.governo.it/italiano/comunicazione/covid-19-il-dibattito-a-livello-internazionale/i-pareri-per-paese/
[27] John Harris, QALYfying the value of life, in “Journal of Medical Ethics”, 1987, 13, 117-123; Laura Palazzani, Teorie della giustizia e allocazione delle risorse sanitarie, in “Medicina e morale”, 1996/5, 901-921; Adriano Bompiani, Economia ed etica nello sviluppo del Sistema sanitario italiano, in “Medicina e morale”, 1996/5, 923-934; Liss Per-Erik, Hard choices in public health: the allocation of scarce resources, in “Scandinavian Journal of Public Health”, 2003, 31, 156-157; AA.VV., Principles for allocation of scarce medical interventions, in “The Lancet”, 2009, 373, 423-431.
[28] Cfr. Antonio D’Aloia, Costituzione ed emergenza. L’esperienza del coronavirus, in “Rivista di biodiritto”, 2/2020, 14 marzo 2020; Caterina Di Costanzo, Vladimiro Zagrebelsky, L’accesso alle cure intensive fra emergenza virale e legittimità delle decisioni allocative, in “Rivista di biodiritto”, 2/2020, 15 marzo 2020.
[29] «L’allocazione in un contesto di grave carenza (shortage) delle risorse sanitarie deve puntare a garantire i trattamenti di carattere intensivo ai pazienti con maggiori possibilità di successo terapeutico: si tratta dunque di privilegiare la maggior speranza di vita»: SIAARTI, Raccomandazioni di etica clinics per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili, 06/03/2020 disponibile presso il seguente indirizzo internet: http://www.siaarti.it/News/COVID19%20-%20documenti%20SIAARTI.aspx
[30] DOI: 10.1056/NEJMsb2005114
[31] Proprio per la preoccupazione suscitata da un tale orientamento il New York Times ha riportato l’allarme divampato nelle associazioni che rappresentano le persone affette da disabilità che in una simile prospettiva si vedrebbero negato il diritto all’assistenza sanitaria: https://www.nytimes.com/2020/03/23/us/coronavirus-washington-triage-disabled-handicapped.html; in questo senso anche una dichiarazione dell’ONU: https://www.onuitalia.it/covid-19-aggiornamenti-sul-lavoro-delle-nazioni-unite-onu-il-nuovo-coronavirus-mette-a-rischio-i-gruppi-piu-vulnerabili/
[32] CNB, Covid-19: la decisione clinica in condizioni di carenza di risorse e il criterio del “triage in emergenza pandemica”, 8 aprile 2020, pag. 2.
[33] «Fra i gruppi con particolari vulnerabilità citati, una considerazione speciale va riservata agli anziani e alle anziane, in primo luogo perché hanno pagato e stanno ancora pagando il prezzo più alto in vite umane. Ciò è vero soprattutto per quelli confinati nelle RSA, i più fragili: il fatto di essere ricoverati in istituzioni sociosanitarie, senza occasioni di uscita, da fattore di potenziale protezione si è trasformato in ulteriore pericolo. Hanno cioè pagato prima e più di altri il prezzo dell’impreparazione generale del sistema sanitario nell’individuare le filiere del contagio, nell’ informare correttamente gli addetti all’assistenza sulle misure di prevenzione, infine nel fornire a questi ultimi gli strumenti di protezione individuale per impedire il contagio. L’incapacità di fronteggiare il coronavirus nelle RSA si è innestata sulle precedenti inefficienze e storture dell’assistenza agli anziani, ancora diffuse, nonostante in Italia non manchino le buone esperienze. In particolare, è emersa una cultura dell’abbandono, coniugata a un’attitudine autoritaria nel gestire la vita delle persone fragili. Si auspica che questa dolorosa vicenda sia occasione per ripensare e ridisegnare il sistema di presa in carico degli anziani più fragili, con una scelta verso la domiciliarità, come luogo della cura e della protezione; nell’immediato, si assicuri l’adozione di misure di prevenzione adeguate su tutto il territorio nazionale, prevedendo linee guida di prevenzione specifiche per le residenze sociosanitarie per anziani»: CNB, Covid-19: salute pubblica, libertà individuale, solidarietà sociale, 28 maggio 2020, pag. 16.
[34] «La ricerca del superamento del conflitto anacronistico tra etica medica e principi economici, a parere del sottoscritto, deve imboccare due vie. La prima è costituita dal contesto istituzionale giuridico e organizzativo in cui il medico opera. Tale contesto dovrebbe essere tale da indurre o incoraggiare il medico a tener conto delle implicazioni economiche del proprio comportamento[…]. La seconda strada da battere chiama direttamente in causa gli economisti sanitari impegnati in attività formative a livello universitario e post-universitario. In fondo, il passo da far compiere al medico è apparentemente molto semplice. Si tratta di cambiare il quesito, che ogni medico di coscienza si pone, e che può essere espresso come segue: quale decisione produce le migliori conseguenze per il benessere del mio paziente, nel seguente quale decisione comporterebbe le migliori conseguenze per la collettività se la mia decisione fosse assunta da tutti i colleghi che agiscono in circostanze assimilabili?»: Antonio Brenna, Considerazioni su medicina, economia ed etica, in AA.VV., Economia sanitaria. Linee e tendenze di ricerca in Italia, a cura di George France – Ermanno Attanasio, Giuffrè, Milano, 1993, pag. 456-457.
[35] Si pensi in tal senso alla consapevolezza della coappartenenza reciproca della vita e della morte già nota dalla sapienza classica, oggi purtroppo eccessivamente obliata, e magistralmente condensata dalle eterne parole di Eraclito:«Immortali mortali, mortali immortali, viventi la loro morte e morienti la loro vita»: AA.VV., I presocratici. Testimonianze e frammenti, Laterza, Bari, 1981, pag. 210, n. 62.
[36] Ex plurimis cfr.: Aldo Rocco Vitale, L’eutanasia come problema biogiuridico, FrancoAngeli, Milano, 2017.
[37] Ivan Illich, Nemesi medica. L’espropriazione della salute, Red, Milano, 2005, pag. 205.
[38] «Nel regno dei fini tutto ha un prezzo o una dignità. Ciò che ha un prezzo può anche essere sostituito da qualcos’altro, equivalente; invece, ciò che non ha alcun prezzo, né quindi consente alcun equivalente, ha una dignità»: Immanuel Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, Bur, Milano, 1995, pag. 183.
[39] «La questione da decidere non è se una società che segua l’analisi economica del diritto produrrà mutamenti che sono esclusivamente miglioramenti della ricchezza. La questione da decidere è se un tale mutamento sarebbe un miglioramento di valore»: Ronald Dworkin, Questioni di principio, Il Saggiatore, Milano, 1990, pag. 277.
[40] Michael Sandel, Quello che i soldi non possono comprare. I limiti morali del mercato, Feltrinelli, Milano, 2013, pag. 202.
[41] «L’hadicappato è stato immediatamente considerato non utile»: Miguel Benasayag, La salute ad ogni costo. Medicina e biopotere, V&P, Milano, 2010, pag. 20.
[42] «La novità del turbo capitalismo consiste in una mera questione di intensità[…]. E’ una macchina che gira inesorabile, facendo a pezzi le consuetudini stabilite e le relazioni umane che le caratterizzano»: Edward Luttwak, La dittatura del capitalismo, Mondadori, Milano, 1999, pag. 54.
[43] «Una tipica esagerazione economica consiste nel sopravvalutare la velocità, e i servigi da essa resi alla ricchezza in confronto con il valore della vita umana»: Roberto Michels, Homo oeconomicus, Settimo Sigillo, Roma, 2001, pag. 24.
[44] «Fino a epoca recente l’economia politica si definiva tramite il suo oggetto (la produzione e lo scambio di beni materiali). Un primo tentativo di ampliamento è stato quello di includere, all’interno di questo oggetto, tutti i fenomeni relativi all’allocazione delle risorse scarse; così, però, la sfera si allarga enormemente, e l’economia si eleva a Scienza totale, rischiando di perdere la propria credibilità»: Alain Supiot, Homo juridicus. Saggio sulla funzione antropologica del Diritto, Mondadori, Milano, 2005, pag. 88.
[45] «La dottrina dei diritti dell’uomo è nata dalla filosofia giusnaturalistica, la quale per giustificare l’esistenza di diritti appartenenti all’uomo in quanto tale, indipendentemente dallo Stato, era partita dall’ipotesi di uno stato di natura, dove i diritti dell’uomo sono pochi ed essenziali: il diritto alla vita e alla sopravvivenza, che include anche il diritto alla proprietà, e il diritto alla libertà, che comprende alcune libertà essenzialmente negative»: Norberto Bobbio, L’età dei diritti, Einaudi, Torino, 1990, pag. 74; contra Antonio Cassese che facendo proprie le riflessioni del biologo francese Jean Hamburger, sostanzialmente fondate su una antropologia negativa di matrice neo-hobbesiana che tuttavia ripercorre “biologicamente” l’antico oscuro sentiero dell’homo homini lupus ritiene invece che «il concetto di diritti dell’uomo non è ispirato dalla legge naturale della vita, è al contrario ribellione contro la legge naturale»: Antonio Cassese, I diritti umani oggi, Laterza, Bari, 2009, pag. 230-231.
[46] Giuseppe Clerico, L’allocazione delle risorse scarse, in AA..VV., Ambito e fonti del biodiritto, in Trattato di biodiritto, diretto da Stefano Rodotà – Paolo Zatti, Giuffrè, Milano, 2010, pag. 565-566.
[47] Per un completo approfondimento sul punto cfr. Lorenzo Chieffi, Il diritto all’autodeterminazione terapeutica. Origine ed evoluzione di un valore costituzionale, Giappichelli, Torino, 2019.
[48] «Teoria che assegna un ruolo determinante nella storia umana ai fattori economici»: Stefano Cremaschi, voce “Economicismo”, in AA.VV., Enciclopedia filosofica, Bompiani, Milano, 2006, Vol. 4, pag. 3208.
[49] «L’utilitarismo si presta all’instaurazione di una forma di paternalismo da parte di burocrazia ed esperti, i quali tengono in poco conto l’ideale liberale di autonomia individuale e gli altri valori liberali ad esso connessi, come l’offerta della possibilità di scelta»: Max Charlesworth, L’etica della vita. I dilemmi della bioetica in una società liberale, Donzelli Editore, Roma, 1996, pag. 88; contra, nel senso di una difesa del pensiero utilitarista, cfr. Maurizio Mori, Utilitarismo e morale razionale. Per una teoria etica obiettivista, Giuffrè, Milano, 1986.
[50] «Con l’entrata in vigore della Costituzione, tuttavia, il bene della vita dovrebbe essere riguardato unicamente in una prospettiva personalistica, come interesse del suo titolare volto a consentire il pieno sviluppo della persona, secondo il disposto dell’art. 3, secondo comma, Cost. Di qui la maggiore attenzione verso la libertà di autodeterminazione individuale, anche nelle fasi finali della vita, specie quando si tratti di persone che versano in condizioni di eccezionale sofferenza»: ¶ 3.1.
[51] Cfr. Eugenio Lecaldano, voce “Risorse sanitarie”, in Eugenio Lecaldano, Dizionario di bioetica, Laterza, Bari, 2002, pag. 267-269.
[52] «Ogni individuo ha il diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche alle condizioni stabilite dalle legislazioni e prassi nazionali. Nella definizione e nell'attuazione di tutte le politiche ed attività dell'Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana»: art. 35 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea; «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo»: art. 32 Cost. Cfr. A. Oddenino, Profili internazionali ed europei del diritto alla salute, in AA.VV., Salute e sanità, in Trattato di biodiritto, diretto da Stefano Rodotà – Paolo Zatti, Giuffrè, Milano, 2010, pag. 65-145.
[53] «Un fondamentale diritto umano morale e laico all’assistenza sanitaria non esiste, e non esiste nemmeno un diritto ad un minimo decente di assistenza sanitaria»: H. Tristram Engelhardt, Manuale di bioetica, Il Saggiatore, Milano, 1999, pag. 391.
[54] Ex plurimis cfr.: Ida Teresi, La tutela della salute nelle decisioni della Corte Costituzionale, in Rassegna di diritto civile, 1/1998, pag. 114-150; Roberto Ferrara, Il diritto alla salute: i principi costituzionali, Salute e sanità, in Trattato di biodiritto, diretto da Stefano Rodotà – Paolo Zatti, Giuffrè, Milano, 2010, pag. 3-63.
[55] Corte Costituzionale sentenze n.: 88/1979; 184/1986; 559/1987; 992/1988; 1011/1988; 307/1990; 282/2002; 338/2003.
[56] C. Cost. n. 455/1990.
[57] Cesare Mirabelli, Allocazione delle risorse sanitarie, in AA.VV., Enciclopedia di bioetica e scienza giuridica, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2009, Vol. I, pag. 362.
[58] «Il paternalismo si esprime fondamentalmente in due direzioni: la forma assoluta e quella relativa, o, con altra terminologia, c’è un paternalismo forte e uno debole. Il primo è quello che va avanti e procede con interventi clinici a prescindere dalle volontà previamente espresse dal paziente. Quello debole, invece, è quell’azione presa nel migliore interesse del paziente che non può per qualche ragione in quel momento esprimere un pieno consenso, o che non è in grado di offrire nelle sue condizioni cliniche una scelta libera»: Giovanni Russo, voce “Paternalismo medico”, in Enciclopedia di bioetica e sessuologia, ElleDiCi, Torino, 2004, pag. 1342.
[59] «È vero che la nuova eugenetica, anche se mirata al benessere del singolo può avere conseguenze negative su altri, per esempio sui disabili»: Carlo Alberto Defanti, Eugenetica: un tabù contemporaneo, Codice Edizioni, Torino, 2012, pag. 246.
[60] John Wyatt, Questioni di vita e di morte, Edizioni GBU, Roma, 2017, pag. 52.
[61] «Il diritto non può infatti violare il principio della inviolabilità dell’innocente senza negare la propria essenza di regola giusta per trasformarsi in violenza. Là dove per legge (in questo caso, davvero, atto di pura “volontà politica”, come si usa dire oggi) diventa lecito uccidere un innocente, s’instaura infatti l’arbitrio, ossia la licenza di compiere o di non compiere a proprio piacimento un atto dannoso per altri»: Sergio Cotta, Perché il diritto, Editrice La Scuola, Brescia, 1979, pag. 100.
[62] «Il paziente dev’essere assolutamente sicuro che il suo medico non diventi il suo boia e che nessuna definizione lo autorizzi mai a diventarlo»: Hans Jonas, Morte cerebrale e banca di organi umani: sulla ridefinizione pragmatica della morte, in Tecnica, medicina ed etica, Einaudi, Torino, 1997, pag. 170.
[63] Cfr. Aldo Rocco Vitale, Il diritto alla salute tra selezione eugenetica e dignità della persona, in “Medicina e Morale”, 2017/3.
[64] «È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche».
[65] «Ogni forma di discriminazione nei confronti di una persona in ragione del suo patrimonio genetico è vietata».
[66] «Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione».
[67] Georges Canguilhem, Sulla medicina. Scritti 1955-1989, Einaudi, Torino, 2007, pag. 52.
[68] Gunther Rohrmoser, Marxismo e umanità, Queriniana, Brescia, 1976.
[69] Roger Scruton, Il suicidio dell’occidente, Le Lettere, Firenze, 2010.
[70] Albert Camus, op. cit., pag. 13.
[71] Abraham Heschel, Chi è l’uomo?, SE, Milano, 2005, pag. 41.
[72] Dietrich Bonhoeffer, Etica, Bompiani, Milano, 1969, pag. 137.
Quel pasticciaccio brutto di piazza Cavour, piazza del Quirinale e piazza Capodiferro (la questione di giurisdizione)[i].
di Fabio Francario
Sommario: 1. Premessa - 2. La vicenda - 3.1. Due vicende emblematiche rimaste senza tutela: il diritto fondamentale all’accesso alla tutela giurisdizionale riconosciuto dalla CEDU; l’interesse (non immediatamente finale ma) strumentale - 4. Il rifiuto di giurisdizione come questione classica di giurisdizione - 5. Il problema dell’interpretazione evolutiva dell’interesse legittimo (ritorno al futuro) - 6. Un appuntamento rimandato.
1. Premessa
Mai definitivamente sopite, le dispute, dottrinali e giurisprudenziali, intorno alle questioni di giurisdizione ciclicamente si riaccendono facendo una gran confusione. Sembra quasi che più se ne discute, più la confusione cresca. Dal momento che stiamo vivendo uno di questi momenti, nell’affrontare il tema ritengo opportuna una premessa che chiarisca preliminarmente se e quali punti fermi vi siano nel nostro sistema costituzionale. Dunque, prima di tutto la Costituzione.
La riscrittura dell’art 111 Cost. operata con la revisione costituzionale del 1999, nel momento in cui ha inserito nell’articolato il nuovo primo comma (“La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”), ha sicuramente offerto spunti per riconsiderare la problematica delle questioni di giurisdizione, ma non si può ancora guardare alla nuova norma come ad un punto fermo, essendo essa stessa praticamente al centro della discussione [ii]. Per stare ai punti fermi sicuramente offerti dalla Costituzione, tralasciando anche l’art 24 Cost., si può partire dal disposto dell’ultimo comma dell’articolo 111 e dal primo comma dell’art. 103, mantenuti fermi anche a seguito della revisione costituzionale operata nel 1999.
L’ultimo comma dell’art 111 Cost. chiarisce che l’attribuzione alla Corte di Cassazione della competenza a decidere i ricorsi proposti per motivi inerenti alla giurisdizione “Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti” non è un’invenzione creativa della corte medesima, ma il portato di una ben precisa disposizione costituzionale recata da tale articolo. Come tutte le norme, anche quella recata dall’ultimo comma dell’art 111 Cost. va ovviamente interpretata; ma è anche vero che l’interpretazione, oltre alle sue diverse possibili forme e tipologie, ha comunque il suo ovvio limite nel fatto che non può giungere al punto di vanificare la previsione normativa, svuotandola di contenuto. Quale che sia, la previsione deve pertanto avere un senso e deve averlo il fatto che la norma costituzionale attribuisce la decisione alla Corte di Cassazione. Dopo di che si apre lo spazio per la definizione dei criteri da impiegare per capire come e quando si prefiguri una questione di giurisdizione.
Sotto questo profilo, il secondo punto fermo è offerto dal disposto dell’art 103, primo comma: “Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi”. Anche in tal caso, va ripetuta l’ovvia considerazione appena svolta sui limiti dell’interpretazione, che non trova spazio “in claris”. Prima che si apra lo spazio per l’interpretazione, non si può negare che la Costituzione vede il giudice ordinario come il giudice naturale dei diritti soggettivi e quello amministrativo come il giudice naturale degli interessi legittimi[iii]. Il che riflette una ratio sufficientemente chiara e perfettamente comprensibile: se a fronte dell’attività amministrativa si volessero tutelati solo i diritti soggettivi in quanto tali, il giudice ordinario sarebbe più che sufficiente in quanto la tutela risarcitoria è quella che generalmente assiste le situazioni di diritto soggettivo nel sistema della tutela civile dei diritti[iv] e che può essere da questi pacificamente erogata anche nei confronti della pubblica amministrazione; il giudice amministrativo nasce per rispondere ad un bisogno di tutela, diverso da quello già soddisfatto attraverso la figura del diritto soggettivo, impiegando una tecnica di tutela adeguata ad assicurare la soddisfazione dell’interesse (legittimo) attraverso l’annullamento della decisione amministrativa illegittima[v].
Nell’indicare i punti fermi di qualsiasi operazione ricostruttiva mi limito a questi soli due articoli, anche se l’elencazione andrebbe immediatamente integrata almeno con il disposto dell’art 113 Cost. se si passa a considerare anche il profilo del livello minimo di tutela che deve essere garantito al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione.
Insisto sul fatto che questa distinzione tra diritto e interesse è un punto fermo dal quale deve muovere l’interpretazione, perché non mi risulta che le disposizioni costituzionali sul punto siano mai state riscritte o venute meno anche quando si è cercato di rimuovere il criterio fondamentale di riparto , come suol dirsi, a Costituzione invariata[vi]. Se poi l’interpretazione ignora o oblitera questo dato di partenza, l’operazione non mi pare ermeneuticamente corretta. Mi risulta anzi che, le volte in cui la Corte costituzionale è intervenuta in materia, la distinzione è stata sempre costantemente ribadita come criterio fondante la giurisdizione. Il riferimento corre immediatamente, per fare solo un esempio, alla ormai storica sentenza 204 del 2004, la quale ha precisato che il potere discrezionale del legislatore di ridistribuire le funzioni giurisdizionali tra i due ordini di giudici deve muoversi nei confini dettati dalla Costituzione e deve pertanto necessariamente “considerare la natura delle situazioni soggettive coinvolte e non fondarsi esclusivamente sul dato oggettivo delle materie”; con le ulteriori precisazioni che il “necessario collegamento delle “materie” assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con la natura delle situazioni soggettive – e cioè con il parametro adottato dal Costituente come ordinario discrimine tra le giurisdizioni ordinaria ed amministrativa – è espresso dall’art 103” e che “in nessun caso il legislatore ordinario può far sì che la pubblica amministrazione sia, in quanto tale, assoggettata ad una particolare giurisdizione, ovvero sottratta alla giurisdizione alla quale soggiace “qualsiasi litigante privato”: la specialità di un giudice può fondarsi esclusivamente sul fatto che questo sia chiamato ad assicurare la giustizia nell’amministrazione, e non mai sul mero fatto che parte in causa sia la pubblica amministrazione”.
Punto di partenza obbligato è dunque che, nel sistema di giustizia amministrativa dualistico voluto e riconosciuto dalla Costituzione, le questioni di giurisdizione si pongono in maniera direi quasi fisiologica e che spetta alla Corte di Cassazione decidere se e come una determinata tipologia d’interesse sia ritenuta meritevole di protezione da parte dell’Ordinamento e, conseguentemente, quale sia la giurisdizione competente a conoscere dell’eventuale controversia.
Fatta questa doverosa premessa, si può venire all’attualità del tema.
2. La vicenda
Viene proposto alle Sezioni Unite ricorso avverso una sentenza del Consiglio di Stato che ha riformato una sentenza TAR nella parte in cui quest’ultimo aveva rigettato nel merito i motivi di ricorso, proposti dal ricorrente avverso l’aggiudicazione di una gara d’appalto, dopo che nella stessa sentenza il medesimo TAR aveva già rigettato anche i motivi proposti avverso l’esclusione. Secondo il Consiglio di Stato la ricorrente, una volta accertata l’illegittimità della sua esclusione, doveva ritenersi “portatrice di un interesse di mero fatto, analogo a quello di qualunque altro operatore economico del settore economico che non ha partecipato alla gara”; ovverossia: non poteva vantare la titolarità di un interesse legittimo. Qui non ci si può trincerare dietro giri di parole, cercando di sostenere che è questione soltanto di assenza di presupposti processuali, di mancanza cioè di un interesse a ricorrere cha abbia i caratteri dell’attualità e dell’immediatezza. Affermare che il ricorrente è portatore di un interesse di mero fatto significa escludere che possa vantare la titolarità di un interesse che l’ordinamento ritiene meritevole di tutela e che possa quindi agire per chiederne la protezione in sede giurisdizionale[vii].
Messa così, la questione sembra una piana questione di giurisdizione, senza che vi sia necessità d’invocare interpretazioni evolutive di sorta. Il fatto è che poi bisogna deciderla. E la Cassazione si trova di fronte al fatto che la situazione è ritenuta tutelabile dal diritto eurounitario, come interpretato dalla Corte di giustizia, che è comunque fonte di diritto obbiettivo per l’ordinamento nazionale; e al fatto che per il giudice amministrativo nazionale, il Consiglio di Stato, non lo è. E sembra quasi abdicare al suo ruolo di giudice della giurisdizione
Investite del ricorso per diniego di giurisdizione, le Sezioni Unite ritengono infatti necessario chiedere pregiudizialmente alla Corte di giustizia UE di pronunciarsi sulle tre seguenti questioni: se il rimedio del ricorso per cassazione per «difetto di potere giurisdizionale» possa essere utilizzato “per impugnare sentenze del Consiglio di Stato che facciano applicazione di prassi interpretative elaborate in sede nazionale confliggenti con sentenze della Corte di giustizia, in settori disciplinati dal diritto dell'Unione europea (nella specie, in tema di aggiudicazione degli appalti pubblici nei quali gli Stati membri hanno rinunciato ad esercitare loro poteri sovrani in senso incompatibile con tale diritto, con l'effetto di determinare il consolidamento di violazioni del diritto comunitario che potrebbero essere corrette tramite il predetto rimedio e di pregiudicare l'uniforme applicazione del diritto dell'Unione e l'effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive di rilevanza comunitaria, in contrasto con l'esigenza che tale diritto riceva piena e sollecita attuazione da parte di ogni giudice, in modo vincolativamente conforme alla sua corretta interpretazione da parte della Corte di giustizia, tenuto conto dei limiti alla «autonomia procedurale» degli Stati membri nella conformazione degli istituti processuali”; se il ricorso per cassazione sia altresì “proponibile come mezzo di impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato che, decidendo controversie su questioni concernenti l'applicazione del diritto dell'Unione, omettano immotivatamente di effettuare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia (in assenza delle condizioni, di stretta interpretazione, da essa tassativamente indicate (a partire dalla sentenza 6 ottobre 1982, Cilfit, C-238/81) che esonerano il giudice nazionale dal suddetto obbligo, in contrasto con il principio secondo cui sono incompatibili con il diritto dell'Unione le normative o prassi processuali nazionali, seppure di fonte legislativa o costituzionale, che prevedano una privazione, anche temporanea, della libertà del giudice nazionale (di ultimo grado e non) di effettuare il rinvio pregiudiziale, con l'effetto di usurpare la competenza esclusiva della Corte di giustizia nella corretta e vincolante interpretazione del diritto comunitario, di rendere irrimediabile (e favorire il consolidamento del) l’eventuale contrasto interpretativo tra il diritto applicato dal giudice nazionale e il diritto dell'Unione e di pregiudicare la uniforme applicazione e la effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive derivanti dal diritto dell'Unione”); infine, “se i principi dichiarati dalla Corte di giustizia con le sentenze 5 settembre 2019, Lombardi, C-333/18; 5 aprile 2016, Puligienica, C-689/13; 4 luglio 2013, Fastweb, C-100/12, in relazione agli articoli 1, par. 1 e 3, e 2, par. 1, della direttiva 89/665/CEE, modificata dalla direttiva 2007/66/CE, siano applicabili nella fattispecie che è oggetto del procedimento principale, in cui, contestate dall'impresa concorrente l'esclusione da una procedura di gara di appalto e I 'aggiudicazione ad altra impresa, il Consiglio di Stato esamini nel merito il solo motivo di ricorso con cui l'impresa esclusa contesti il punteggio inferiore alla «soglia di sbarramento» attribuito alla propria offerta tecnica e, esaminando prioritariamente i ricorsi incidentali dell'amministrazione aggiudicatrice e dell'impresa aggiudicataria, li accolga dichiarando inammissibili (e ometta di esaminare nel merito) gli altri motivi del ricorso principale che contestino l'esito della gara per altre ragioni (per indeterminatezza dei criteri di valutazione delle offerte nel disciplinare di gara, mancata motivazione dei voti assegnati, illegittima nomina e composizione della commissione di gara), in applicazione di una prassi giurisprudenziale nazionale secondo la quale l'impresa che sia stata esclusa da una gara di appalto non sarebbe legittimata a proporre censure miranti a contestare l'aggiudicazione all'impresa concorrente, anche mediante la caducazione della procedura di gara, dovendosi valutare se sia compatibile con il diritto dell'Unione l'effetto di precludere all'impresa il diritto di sottoporre all'esame del giudice ogni ragione di contestazione dell'esito della gara, in una situazione in cui la sua esclusione non sia stata definitivamente accertata e in cui ciascun concorrente può far valere un analogo interesse legittimo all'esclusione dell'offerta degli altri, che può portare alla constatazione dell'impossibilità per l'amministrazione aggiudicatrice di procedere alla scelta di un'offerta regolare e all'avvio di una nuova procedura di aggiudicazione, alla quale ciascuno degli offerenti potrebbe partecipare”.
Le questioni sono formulate in maniera articolata e complessa, ma si può ritenere che, in ultima analisi, si chiede alla Corte di giustizia di chiarire pregiudizialmente se l’ordinamento nazionale debba necessariamente prevedere rimedi interni per evitare che le pronunce giurisdizionali lascino prive di tutela situazioni soggettive di rilevanza comunitaria; se sotto questo profilo sia sindacabile anche l’omissione del necessario rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia[viii] e, infine, se per il diritto comunitario sia tutelabile l’interesse del concorrente, la cui esclusione non sia stata definitivamente accertata, a sottoporre all’esame del giudice ogni ragione di contestazione dell’esito della gara che possa portare alla constatazione dell'impossibilità per l'amministrazione aggiudicatrice di procedere regolarmente alla scelta di un'offerta e all'avvio di una nuova procedura di aggiudicazione.
3.1. Due vicende emblematiche rimaste senza tutela: il diritto fondamentale all’accesso alla tutela giurisdizionale riconosciuto dalla CEDU; l’interesse (non immediatamente finale ma) strumentale
Convincimento diffuso nei primi commenti dottrinari apparsi sull’ordinanza delle Sezioni Unite n. 19598 del 18 settembre 2020 è che l’ordinanza rifletta una ostinazione della Corte di Cassazione di difficile comprensione e spiegazione alla luce del fatto che la Corte costituzionale con la sentenza n 6 del 2018 dovrebbe aver detto l’ultima parola sui limiti del sindacato della Cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stati per motivi di giurisdizione. Non manca chi afferma infatti che le Sezioni Unite tornano nuovamente sulla questione “poco curanti di quello che deve considerarsi ormai un assetto costituzionale”[ix], ovvero che le Sezioni Unite disattendono la Consulta”[x] o pongono in discussione la Costituzione “così come interpretata dalla Corte costituzionale” davanti al giudice europeo[xi], ovvero ancora che “L’attività creativa è semmai delle Sezioni unite, non del giudice amministrativo”[xii] oppure che si sarebbe di fronte all’ennesima manifestazione “di un’attitudine espansionistica della Cassazione nei confronti del giudice amministrativo”[xiii].
Questa sensazione di meraviglia o stupore, se non quasi di fastidio, affonda le radici nel convincimento che la Cassazione si pone in tal modo in netto contrasto con quanto avrebbe definitivamente chiarito la Corte costituzionale con la sentenza 6/2018; contrasto che sembrerebbe del resto esplicitamente dichiarato dalla stessa ordinanza delle Sezioni Unite che reputa necessario investire della questione la Corte di giustizia facendo riferimento “ad una prassi interpretativa … quale si evince dalla sentenza della Corte costituzionale n. 6 del 2018 e dalla giurisprudenza nazionale successiva che, modificando il precedente orientamento, ha ritenuto che il rimedio del ricorso per cassazione, sotto il profilo del così detto difetto di potere giurisdizionale, non possa essere utilizzato per impugnare intenze del Consiglio di Stato che facciano applicazione di prassi interpretative elaborate in sede nazionale confliggenti con sentenze della Corte di giustizia in settori disciplinati dal diritto dell’Unione europea”.
Facendo le opportune distinzioni, il contrasto può anche apparire meno radicale di quel che sembra, ma le due vicende sollevate dalle Sezioni Unite, la prima decisa da Corte cost 6/2018 e la seconda adesso rimessa alla Corte di Giustizia, sono emblematiche dell’attuale stato del nostro sistema di giustizia amministrativa, che sembra immerso in una situazione di perenne fluidità, a scapito delle garanzie di certezza che regole processuali ormai codificate dovrebbero assicurare. Non mi pare, però, che si possa dire che se colpe, se così si può dire, vi sono, queste siano tutte della Cassazione. Anzi, credo si possa dire che tutte e tre le nostre Corti Supreme, Corte costituzionale, Corte di Cassazione e Consiglio di Stato, abbiano fatto un bel pasticcio, se è vero, come è, che, alla fine della storia (ammesso che questa storia possa mai aver fine), un diritto ritenuto fondamentale dalla Corte EDU è rimasto privo di giudice nel nostro ordinamento; così come sembrerebbe allo stato rimanere privo di giudice e di tutela un interesse che l’ordinamento eurounitario vuole invece senza ombra di dubbio protetto.
Nel bene e nel male, le due vicende (quella attualmente riemessa alla Corte di giustizia e quella decisa da Corte cost. 6/2018) sono comunque collegate ed è bene pertanto ricordare preliminarmente cosa sia successo anche nel primo caso.
3.2. La vicenda decisa da Corte cost 6/2018 è originata da una (sconsiderata) norma di legge che nel lontano 1998 dispone sulla giurisdizione nelle controversie di lavoro con le pubbliche amministrazioni, sopprimendo la possibilità di tutela giurisdizionale per alcuni diritti. In un primo tempo tutte e tre le nostre Supreme Corti, costituzionale civile e amministrativa, respingono le istanze di tutela di chi si era visto privato della possibilità di agire in giudizio (Cass. S.U. 30 01 2003 n. 1511 e 03 05 2005 n. 9101; Corte cost. 07 10 2005 n. 382 e ultima Ad. Plen. 21 02 2007 n. 4 che dichiara il difetto – a questo punto assoluto, essendo già esclusa la giurisdizione ordinaria - di giurisdizione). La questione viene però portata all’attenzione della CEDU, che, con le sentenze Mottola e Staibano del 2014 dichiara che ciò è lesivo del diritto fondamentale al giusto processo (accesso al giudice). Ciò pone il problema delle sorti delle pronunce contrastanti già rese dal giudice nazionale e l’Adunanza Plenaria, investita del ricorso per revocazione proposto dai ricorrenti vittoriosi in Corte EDU, porta la questione alla Corte costituzionale per sentire dichiarare la incostituzionalità della mancata inclusione di tale ipotesi (di contrasto con pronuncia della Corte EDU) tra i casi di revocazione; incostituzionalità che la Corte costituzionale evita però di pronunciare ritenendo che sia il legislatore a dover intervenire per trovare la giusta composizione del conflitto.
In altri casi in cui la sentenza del Consiglio di Stato non era ancora passata in giudicato per la pendenza del termine lungo, la declinatoria di giurisdizione viene impugnata in Cassazione per rifiuto di giurisdizione, anziché con ricorso per revocazione; ed è così che le Sezioni Unite (ord.za 8 4 2016 n. 6891) rimettono a loro volta la questione alla Corte costituzionale, che si pronuncia appunto con la sentenza 6 del 2018. Se la Corte avesse dichiarato l’illegittimità della sconsiderata norma recata dall’art 69 co. 7 del d. lgs. 165/2001, per contrasto con la norma interposta della Convenzione come già interpretata dalla CEDU, avremmo avuto sicuramente meno problemi. Si consuma invece un grosso pasticcio. Nonostante la norma oggetto del giudizio di costituzionalità fosse pacificamente ed esplicitamente una norma regolatrice della giurisdizione, le Sezioni Unite non si limitano a rappresentare il contrasto dell’art 69 co. 7 del d. lgs. 165/2001 con la norma interposta derivante dell’interpretazione della CEDU, ma ritengono di dover precisare che “la situazione in questione rientra in uno di quei casi estremi in cui il giudice adotta una decisione anomala o abnorme, omettendo l’esercizio del potere giurisdizionale per errores in iudicando o in procedendo che danno luogo al superamento del limite esterno”; e, dal canto suo, la Corte costituzionale, fuorviata da una tale argomentazione giuridica, ritiene non rilevante la questione imperniando anch’essa il proprio percorso motivazionale nella confutazione della tesi che il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione possa comprendere anche il sindacato su errores in procedendo o in iudicando qualificandosi come una interpretazione evolutiva poiché ciò “non è compatibile con la lettera e lo spirito della norma costituzionale” (aggiungendo, dopo che aveva in precedenza evitato di emettere una pronuncia additiva quando questione praticamente identica era stata sollevata dall’Ad Plen., che il rimedio opportuno per rimuovere il contrasto con la sentenza CEDU sarebbe semmai quello della introduzione di un nuovo caso di revocazione!).
Comunque sia, sta di fatto che una dichiarazione fatta in via generale e astratta di difetto (assoluto) di giurisdizione nei confronti di un diritto ritenuto fondamentale dalla Corte EDU è rimasta così insindacabile[xiv]. Davvero un bel pasticcio, nel quale ognuna delle nostre Supreme Corti ci ha messo del suo, con buona pace dell’auspicato rimedio all’incertezza del diritto che dovrebbe scaturire dal “dialogo” tra le Corti.
3.3. Il caso attuale è frutto invece del difficile dialogo che il nostro Consiglio di Stato ha con la Corte di giustizia sulla tutelabilità di interessi non “finali”, ma strumentali o procedimentali nelle gare pubbliche d’appalto. Volendo semplificare: sul modo d’intendere l’interesse legittimo.
La giurisprudenza della Corte di giustizia Europea maturata sul tema del ricorso incidentale escludente ha ripetutamente precisato che l’interesse, o se si vuole il bene protetto, non è necessariamente solo quello patrimonialmente apprezzabile all’aggiudicazione della gara espletata, ma anche quello alla correttezza della procedura alla quale si sia partecipato. Sono note le decisioni Fastweb del 2013 (4 luglio 2013, C-100/12, Puligienica del 2016 (5 aprile 2016, C-689/13) e Lombardi del 2019 (5 settembre 2019, C-333/18). Ci si limita a ricordare che l’ultima pronuncia viene resa su rimessione della questione da parte dell’Adunanza Plenaria (ord.za n. 6 dell’11 05 2018) che, trincerandosi dietro la confusione tra interesse ad agire e interesso protetto, riteneva fosse “maggiormente armonico con il sistema processuale nazionale e con il principio di autonomia processuale incentrato sull’ iniziativa delle parti (ed “in parte qua” comune a quello di numerosi Stati-Membri), che venisse precisato che l’interesse del ricorrente principale attinto da un ricorso incidentale escludente, in quanto limitato alla reiterazione della procedura di gara (con esclusione di profili concernenti la “regolarità delle procedure di gara”), dovrebbe essere valutato nella sua concretezza, e non con riferimento a ragioni astratte, dal Giudice adìto” e che “in quest’ottica, sarebbe opportuno che venisse rimesso agli ordinamenti processuali degli Stati Membri, in ossequio all’autonomia processuale loro riconosciuta, il compito di individuare le modalità di dimostrazione della concretezza del detto interesse, garantendo il diritto di difesa delle offerenti rimaste in gara e non evocate nel processo ed in armonia con i principi in materia di interesse concreto e attuale della parte al ricorso e in punto di onere della prova”. Per tutta risposta, nella sentenza Lombardi, la Corte di giustizia afferma chiaramente che “l’articolo 1, paragrafo 1, terzo comma, e paragrafo 3, della direttiva 89/665 deve essere interpretato nel senso che esso osta a che un ricorso principale, proposto da un offerente che abbia interesse ad ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici o delle norme che traspongono quest’ultimo, ed inteso ad ottenere l’esclusione di un altro offerente, venga dichiarato irricevibile in applicazione delle norme o delle prassi giurisprudenziali procedurali nazionali disciplinanti il trattamento dei ricorsi intesi alla reciproca esclusione, quali che siano il numero di partecipanti alla procedura di aggiudicazione dell’appalto e il numero di quelli che hanno presentato ricorso”; precisando che “il principio di autonomia processuale degli Stati membri … non possa, comunque, giustificare disposizioni di diritto interno che rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione” (compreso il diritto alla buona amministrazione). Per essere ancor più chiari, la Corte di giustizia, dopo aver richiamato (par. 22) il disposto dell’art 1 par. 1 terzo comma della direttiva 89/665 (cd direttiva ricorsi) sa norma del quale “i ricorsi contro le decisioni adottate da un’amministrazione aggiudicatrice devono, per essere considerati efficaci, essere accessibili almeno a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto”, precisa al successivo par. 24 “che il ricorso incidentale dell’aggiudicatario non può comportare il rigetto del ricorso di un offerente escluso qualora la regolarità dell’offerta di ciascuno degli operatori venga contestata nell’ambito del medesimo procedimento, dato che, in una situazione del genere, ciascuno dei concorrenti può far valere un legittimo interesse equivalente all’esclusione dell’offerta degli altri, che può portare alla constatazione dell’impossibilità, per l’amministrazione aggiudicatrice, di procedere alla scelta di un’offerta regolare”.
Costante dunque il tentativo del giudice amministrativo nazionale di negare la tutelabilità dell’interesse strumentale e non finale e di restringere il diritto d’azione avverso l’attività illegittima solo a chi possa trarne immediato e concreto vantaggio; altrettanto costante la posizione della Corte europea nel ritenere meritevole di tutela l’interesse anche solo strumentale, ravvisabile laddove la probabilità di conseguire il bene della vita cui si aspira è garantita dalla correttezza del procedimento amministrativo.
In caso di specie s’inscrive a pieno titolo in questo filone, in quanto il Consiglio di Stato nega la possibilità di ravvisare un interesse legittimo se l’interesse è soltanto strumentale alla ripetizione della gara e ritiene che in tal caso si sia in presenza di un interesse di mero fatto.
4. Il rifiuto di giurisdizione come questione classica di giurisdizione
La presunta “ostinazione” delle Sezioni Unite muove dunque da queste due situazioni emblematiche, nelle quali si riscontra il rifiuto aprioristico, fatto in via generale e astratta, di tutelare situazioni giuridiche soggettive che l’ordinamento reputa invece meritevoli di tutela. Entrambi i casi potevano essere decisi come classiche questioni di giurisdizione, perché in entrambi i casi si discuteva di un asserito difetto assoluto di giurisdizione; da decidere previa risoluzione dell’incidente di costituzionalità della norma di legge che, in contrasto con sentenza CEDU, nega la tutelabilità della situazione soggettiva, in un caso; dichiarando se l’interesse è meritevole di tutela come interesse legittimo, nel secondo caso. Le questioni, tuttavia, non sono state prospettate dalle Sezioni Unite in questi termini, ma assumendo che si fosse in presenza di un novum genus frutto di una interpretazione evolutiva che implicava l’allargamento del novero delle questioni di giurisdizione classiche. Rimandando ad altra occasione la considerazione delle ragioni che spingono la Corte di Cassazione in questa direzione, diventa importante a questo punto fare una distinzione.
Una cosa è, infatti, che nei tempi più recenti le Sezioni Unite abbiano prospettato una nuova figura di “rifiuto di giurisdizione” nell’ambito di una interpretazione evolutiva finalizzata ad attrarre nell’orbita dei motivi di giurisdizione casi estremi in cui l’errore di diritto rende la decisione giurisdizionale abnorme e si traduce in un diniego sostanziale di giustizia. Altra che la figura del rifiuto è sempre esistita come classica questione di giurisdizione.
Nei tempi meno recenti la figura del rifiuto di giurisdizione non ha avuto particolare evidenza perché tradizionalmente il problema e il dibattito si sono focalizzati principalmente sulla distinzione tra diritto e interesse e sulla formulazione di criteri di volta in volta mutevoli su cui fondare la distinzione[xv], ma ciò non deve far dimenticare che si è sempre pacificamente ritenuto che, a fianco al problema del conflitto relativo, virtuale o reale, tra giudice ordinario e amministrativo derivante dalla qualificazione della situazione soggettiva in termini di diritto o interesse, la questione di giurisdizione si potesse anche porre sotto il profilo del rifiuto di giurisdizione o dell’eccesso di potere giurisdizionale. Se solo si prende come termine di riferimento la classificazione operata (verrebbe da dire, in tempi non sospetti) da Mario Nigro, si vede come la tipizzazione dei possibili motivi di giurisdizione non solo comprende espressamente la figura del rifiuto di giurisdizione, ma apre proprio con essa l’elencazione delle tre possibili ipotesi classiche : “a) rifiuto di esercizio della potestà giurisdizionale sull’erroneo presupposto che la materia non possa essere oggetto, in modo assoluto, di funzione giurisdizionale o che non possa essere oggetto della funzione giurisdizionale propria dell’organo investito della domanda; b) invasione della sfera dell’altrui giurisdizione, cioè di quella attribuita ad altro giudice (giudice ordinario o giudice speciale); c) cd eccesso di potere giurisdizionale … … sconfinamento dell’attività giurisdizionale ordinaria o speciale nel campo dei poteri spettanti ad organi amministrativi o legislativi o costituzionali…”[xvi].
Per tradizione consolidata, motivo di giurisdizione è dunque non solo l’ipotesi del conflitto relativo di giurisdizione, reale o virtuale, tra giudice ordinario ed amministrativo; ma anche quella dell’eccesso di potere giurisdizionale, che si configura laddove il giudice amministrativo si sostituisce al legislatore o all’amministrazione tutelando situazioni soggettive che l’ordinamento non considera invece rilevanti come interessi protetti; nonché quella del rifiuto di giurisdizione, che si configura appunto laddove il giudice amministrativo nega in via generale e astratta la possibilità di tutelare un interesse che l’ordinamento vuole invece protetto[xvii].
Rimane dunque pacifico che il rifiuto di giurisdizione (e l’eccesso di potere giurisdizionale) possano essere annoverati tra i motivi di giurisdizione e che le Sezioni Unite possano sindacare sotto questi profili le sentenze del Consiglio di Stato dichiarando, in astratto e senza pregiudicare le questioni sulla pertinenza del diritto e sulla proponibilità della domanda, che una determinata tipologia d’interesse sia meritevole di protezione giurisdizionale ovvero che non lo sia.
A scanso di equivoci vale la pena ricordare che ciò è esplicitamente ribadito nella stessa sentenza 6/2018 della Corte costituzionale: “L’«eccesso di potere giudiziario», denunziabile con il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, come è sempre stato inteso, sia prima che dopo l’avvento della Costituzione, va riferito, dunque, alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento); nonché a quelle di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici”.
5. Il problema dell’interpretazione “evolutiva” dell’interesse legittimo (ritorno al futuro)
Le questioni si sarebbero potute dunque decidere secondo gli schemi classici, senza scomodare interpretazioni evolutive di sorta o creazione di nuovi generi. Anche sgombrando il campo dall’equivoco dell’interpretazione evolutiva, nel primo caso le Sezioni Unite non potevano però fare comunque a meno d’investire pregiudizialmente la Corte costituzionale, poiché il diniego assoluto di giurisdizione contrastante con la lesione del diritto fondamentale accertata dalla decisione CEDU aveva causa in una norma di legge. Nel caso attuale viene da osservare che le forche caudine dell’interpretazione evolutiva non hanno lasciato alla Corte di Cassazione altra via che quella di investire la Corte di giustizia della questione della tutelabilità degli interessi ritenuti meritevoli di tutela dall’ordinamento comunitario; ma, in questo caso, eliminando l’equivoco della interpretazione evolutiva, la decisione avrebbe potuto essere tranquillamente presa senza necessità alcuna di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.
Tranquillamente si fa per dire perché, se ciò fosse avvenuto, le Sezioni Unite si sarebbero comunque trovate di fronte ad una decisione non facile da prendere, stante l’ostinazione del Consiglio di Stato a negare la configurabilità di un interesse legittimo in casi come quello di specie e la conseguente necessità di definire positivamente quale sia l’effettiva consistenza di questa situazione giuridica soggettiva che ci fa discutere da più di un secolo.
Probabilmente si sarebbe resa necessaria un’altra decisione “storica”, com’è stata quella sulla risarcibilità dell’interesse legittimo adottata nel 1999 sempre dalle Sezioni Unite, perché il vero tema posto sul tavolo della discussione da una questione di giurisdizione siffatta è proprio questo del chiarimento della natura e della consistenza dell’interesse legittimo. Nella sua essenza, il problema sembrerebbe riproporsi nell’assolutezza in cui era stato posto prima della Riforma Crispi e dell’istituzione della Quarta Sezione del Consiglio di Stato nelle storiche parole del relatore della legge abolitiva del contenzioso amministrativo del 1865, Pasquale Stanislao Mancini, riferite al cittadino che non potesse vantare un vero e proprio diritto nei confronti della pubblica amministrazione, ma avesse nondimeno uno specifico “interesse” a contestare una decisione amministrativa: “Ebbene, ch’ei si rassegni”[xviii]. Ecco, siamo praticamente tornati innanzi al medesimo bivio, perché anche oggi si tratta di stabilire se il cittadino debba rassegnarsi o se sia giusto e doveroso tutelare l’interesse strumentale al corretto esercizio del potere; ovvero se l’interesse legittimo debba irrigidirsi sul carattere di una situazione finale o possa o debba sfruttare l’elasticità propria di una situazione strumentale. Sotto questo profilo, l’appuntamento con il passato è comunque soltanto rimandato; nel senso che il futuro intreccio tra le pronunce Corte di giustizia e Cassazione e (se verrà investita) Corte costituzionale dovrà necessariamente fornire un chiarimento al riguardo. Le Sezioni Unite, in ultima analisi, hanno messo al centro della discussione una questione che non riguarda le decisioni abnormi del giudice amministrativo ma l’estensione della figura dell’interesse legittimo; questione che nel nostro ordinamento nazionale comunque non pare affatto scontata.
6. Un appuntamento rimandato
Si può conclusivamente osservare che, allo stato attuale, c’è sicuramente un netto contrasto tra Corte di giustizia e Consiglio di Stato sul modo d’intendere l’interesse legittimo, ma non mi pare che vi sia netto contrasto anche tra Corte di giustizia e Corte costituzionale
E’ evidente che la Corte di giustizia sposa una concezione decisamente elastica dell’interesse legittimo come interesse meritevole di protezione nei confronti della pubblica amministrazione[xix], ma anche la Corte costituzionale non è certamente irrigidita in una concezione puramente finalistica che possa escluderne la elasticità. Senza riandare necessariamente alla sentenza 204 del 2004, si può considerare anche solo la più recente sentenza 5 11 2019 n. 271 (resa con riferimento alle disposizioni, per quanto successivamente abrogate, recate dall’art. 120 comma 2 bis c.p.a. che oneravano le imprese partecipanti alle procedure di affidamento dei contratti pubblici d’impugnare immediatamente le ammissioni delle altre imprese partecipanti), nella quale la Corte costituzionale, nell’escludere che la giurisdizione amministrativa abbia i caratteri propri di una giurisdizione di tipo oggettivo, ha già anticipato che “la giurisdizione amministrativa, nelle controversie tra amministrati e pubblico potere, sia primariamente rivolta alla tutela delle situazioni giuridiche soggettive e solo mediatamente al ripristino della legalità dell’azione amministrativa, legalità che pertanto può e deve essere processualmente perseguita entro e non oltre il perimetro dato dalle esigenze di tutela giurisdizionale dei cittadini”; ed ha precisato che “se è vero che gli artt. 24, 103 e 113 Cost., in linea con le acquisizioni della giurisprudenza del Consiglio di Stato, hanno posto al centro della giurisdizione amministrativa l’interesse sostanziale al bene della vita, deve anche riconoscersi che attribuire rilevanza, in casi particolari, ad interessi strumentali può comportare un ampliamento della tutela attraverso una sua anticipazione e non è distonico rispetto ai ricordati precetti costituzionali, sempre che sussista un solido collegamento con l’interesse finale e non si tratti di un espediente per garantire la legalità in sé dell’azione amministrativa, anche al costo di alterare l’equilibrio del rapporto tra le parti proprio dei processi a carattere dispositivo”.
Il richiamo al saldo collegamento con l’interesse finale richiama le lucide teorizzazioni dottrinarie che hanno da sempre sostenuto che il diritto soggettivo è il presupposto necessario per la qualificazione dell’interesse legittimo e che quanto differenzia le due situazioni sono in ultima analisi i modi e i limiti in cui l’interesse sostanziale riceve protezione: immediata e diretta nel diritto soggettivo; indiretta e mediata nell’interesse legittimo[xx]. Soddisfazione immediata e diretta della pretesa al bene della vita nel caso del diritto soggettivo; probabilità della soddisfazione della pretesa al bene della vita attraverso la garanzia di una corretta azione amministrativa nel caso dell’interesse legittimo. Sembra di leggere le sentenze della Corte di giustizia Europea sul tema del ricorso incidentale, senza che si debba agitare lo spauracchio di una giurisdizione di diritto oggettivo che nessuno vuole[xxi]. Allo stato, non mi pare che tra Corte di giustizia europea e Corte costituzionale vi sia un contrasto sul modo d’intendere l’interesse legittimo (e quindi il proprium della giurisdizione amministrativa nel nostro ordinamento nazionale) tale da preconizzare l’innalzamento di controlimiti a seguito della futura pronuncia della Corte di giustizia. La formulazione impiegata dalla Corte costituzionale così come l’attuale stato del dibattito anche dottrinario, escludono il carattere oggettivo della giurisdizione amministrativa ma non negano affatto il carattere strumentale dell’interesse legittimo e non escludono l’elasticità della figura. Certamente dopo la pronuncia delle Sezioni Unite si andrà necessariamente ad un chiarimento sull’effettiva natura e consistenza dell’interesse legittimo, ma è ancora tutto da vedere se questo porterà ad appiattire completamente la figura su quella del diritto soggettivo, ravvisandolo (l’interesse legittimo) solo ove sia in grado di garantire utilità finali; ovvero se conserverà e svilupperà quell’elasticità, auspicata e richiesta soprattutto dalla Corte di giustizia, tipica di una situazione strumentale correlata all’esercizio del potere amministrativo; di un potere che comunque, prima ancora di essere autoritativo, non può ritenersi proprio del soggetto titolare dell’interesse.
Per concludere sul punto, sono dell’avviso che le Sezioni Unite avrebbero potuto evitare di sollevare la pregiudiziale comunitaria e decidere la questione di giurisdizione come una classica ipotesi di rifiuto o diniego di giurisdizione, decidendola in conformità alla norma comunitaria derivante dall’interpretazione della Corte di giustizia che, in quanto tale, è fonte di diritto obbiettivo anche nell’ordinamento nazionale e che vuole protetto come interesse legittimo l’interesse di chi abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e lamenti l’impossibilità, per l’amministrazione aggiudicatrice, di procedere alla scelta di un’offerta regolare. La questione di giurisdizione non è stata decisa, ma l’appuntamento è stato per ora soltanto rimandato.
[i] L’articolo riproduce il testo scritto dell’intervento al convegno organizzato dall’Università di Roma Tre – Giurisprudenza sul tema dei “Limiti esterni di giurisdizione e rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE (a proposito di Cass. S.U. n. 19598/2020)”.
[ii] La letteratura sul tema è ovviamente copiosa. Gli spunti sono efficacemente sintetizzati e riassunti nel Memorandum sulle tre giurisdizioni superiori, in Foro It., V, 57 ss con interventi di A. Proto Pisani– G.Scarselli, La strana idea di consentire ai giudici amministrativi di comporre i collegi delle sezioni unite; G.Canzio, Le buone ragioni di un memorandum; A.Proto Pisani, Chiosa ad una recente conferenza tenuta a Roma il 18 dicembre 2017 presso il parlamento in tema di giustizia con la partecipazione di autorevolissime personalità; A. Carratta- G. Costantino - G. Ruffini, Per la salvaguardia delle prerogative costituzionali della Corte di Cassazione; Lamorgese A., Note in margine al memorandum sulle giurisdizioni; E. Scoditti., Il mutamento costituzionale materiale su diritti soggettivi e giudice amministrativo e il sindacato della Corte di Cassazione; G. Amoroso, Le sezioni unite civili della Corte di cassazione a composizione allargata: considerazioni a margine del memorandum sulle tre giurisdizioni; F. Patroni Griffi, Per un dialogo tra le corti al sevizio del cittadino e non di giudici e giuristi; M. Luciani, Il memorandum delle giurisdizioni superiori e la discussione sulla certezza del diritto; A. Travi A., Rapporti tra le giurisdizioni e interpretazione della Costituzione; Consolo C., La base partecipativa e l’aspirazione alla nomofilachia; A. Pajno, Un memorandum virtuoso;G. D’Auria, Memorandum sulle giurisdizioni e Corte dei Conti; C.M. Barone – R. Pardolesi, Qualche minimale considerazione conclusiva. Successivamente v. anche Il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo: i settori controversi e l’esigenza di speditezza del processo civile, incontro di studi organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura in collaborazione con l’Ufficio Studi, massimario e formazione della giustizia amministrativa i cui atti sono pubblicati sul sito della giustizia amministrativa, sub voce “Convegni”, Il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo: i settori controversi e l’esigenza di speditezza del processo civile, Roma 16 marzo 2017. A seguito della recente ordinanza delle Sezioni Unite v. anche A. Carratta, G. Costantino, G. Ruffini, Limiti esterni della giurisdizione: il contrasto tra Sezioni unite e Corte costituzionale arriva alla corte UE. Note a prima lettura di Cass sez un 18 settembre 2020 n. 19598, in QG, 2020.
[iii] E. Cannada - Bartoli, La tutela giudiziaria del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, Milano, 1968.
[iv] Cfr A. Di Majo, La tutela civile dei diritti, Milano, 1987.
[v] Al riguardo si rinvia a F. Francario, Osservazioni a margine dello studio di Franco Scoca sulla figura dell’interesse legittimo, in Garanzie degli interessi protetti e della legalità dell’azione amministrativa. Saggi sulla giustizia amministrativa, Napoli, 2019, 497 ss e, amplius, F. Francario, Forme e tecniche di tutela del diritto soggettivo nei confronti della pubblica amministrazione, in S. Mazzamuto ( a cura di), Processo e tecniche di attuazione dei diritti, Napoli, 1989 ripubbl. in Garanzie degli interessi protetti e della legalità dell’azione amministrativa, cit., 317 ss. Sotto questo profilo è assoluta la convergenza con quanto osserva M. Mazzamuto che, pur critico nei confronti dell’affermazione del principio della giurisdizione unica sui diritti soggettivi, afferma che “il giudice civile è inidoneo a trattare le controversie di diritto pubblico perchè il sistema pubblicistico si fonda su principi radicalmente diversi da quelli che caratterizzano il sistema di diritto privato” e che la necessità del giudice speciale si spiega si spiega perché la questioni giuridiche non sono “compatibili con l’ambientazione sistematica del giudice civile”; cfr.: M. Mazzamuto, Il riparto di giurisdizione. Apologia del diritto amministrativo e del suo giudice, Napoli, 2008, 219. Diversamente dal Mazzamuto, si è dell’opinione che l’affermazione del principio della giurisdizione unica sui diritti soggettivi valga a rinforzare la comprensione della specialità della tutela erogata a vantaggio delle situazioni d’interesse legittimo, evitando che questa finisca con l’appiattirsi su quella tipica già delle situazioni di diritto soggettivo a scapito della garanzia che deve invece fornire nei rapporti di diritto pubblico.
[vi] Per tutti v. V. Cerulli Irelli, Giurisdizione amministrativa e pluralità delle azioni (dalla Costituzione al Codice del processo amministrativo), in Dir. Proc. Amm., 2012, 436 ss.
[vii] Per tutti v. F.G. Scoca, Interessi protetti (dir. amm.), in Enc Giur Treccani, XVII, Roma, 1989, 1.
[viii] Ritiene che la questione dell’omesso rinvio assorbirebbe in realtà il primo quesito e che l’art 267 TFUE vada inteso come norma sulla giurisdizione (che giustificherebbe il sindacato della Corte di Cassazione sulla sentenza del Consiglio di Stato ma non il rinvio alla Corte di giustizia, che dovrebbe essere operato dal Consiglio di Stato “ove ritenesse di non poter modificare la propria precedente impostazione alla luce della pronuncia della Corte di Cassazione”) G. Greco, La violazione del diritto dell’Unione europea come possibile difetto di giurisdizione?, in Eurojus, 4/2020.
[ix] B. De Santis, Considerazioni di prima lettura sul rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia di Cass. S.U. n. 19598/2020, in Judicium.it, 12 10 2020
[x] M. Clarich, Giurisdizione: partita a poker tra Cassazione e Consulta sulle sentenze del Consiglio di Stato, in Norme e Tributi, Il sole 24ore, 14 ottobre 2020
[xi] Cfr. B. Caravita Di Toritto, La Cassazione pone in discussione la Costituzione davanti al giudice europeo? – Postilla a S. Barbareschi – L.A. Caruso, La recente giurisprudenza costituzionale e la Corte di Cassazione “fuori contesto”: considerazioni a prima lettura di ord. Cass. SS.UU. 18 settembre 2020 n. 19598, in Federalismi.it, paper 4 11 2020.
[xii] G. Tropea, ll Golem europeo e i «motivi inerenti alla giurisdizione» in Giustiziainsieme.it, 7 10 2020.
[xiii] M. Mazzamuto, Le Sezioni Unite della Cassazione garanti del diritto UE?, in corso di pubblicazione su Riv it dir pubbl com.
[xiv] L’evoluzione della complessa vicenda è seguita nella successione dei suoi momenti essenziali sopra riassunti in F.Francario, La violazione del principio del giusto processo dichiarata dalla CEDU non è motivo di revocazione della sentenza passata in giudicato, in Federalismi.it, 13/2017; Il sindacato della Cassazione sul rifiuto di giurisdizione, in Treccani, Libro dell’anno del diritto, 2017 e Diniego di giurisdizione, in Treccani, Libro dell’anno del diritto, 2019 ai quali si rinvia per la più completa ricostruzione e per gli ulteriori riferimenti.
[xv] Il riferimento è alla distinzione, ad esempio, tra atti d’impero e di gestione; norme d’azione e relazione, carenza di potere e cattivo uso del potere e via discorrendo; per tutti al riguardo v. E. Cannada Bartoli, Giurisdizione (conflitti di), in Enc dir., XIX, Milano, 1970, 295ss.
[xvi] M. Nigro., Giustizia amministrativa, 2 ° ed., 1979, 197.
[xvii] Non si condivide ovviamente la tesi che vorrebbe esclusa dal sindacato sulla giurisdizione l’ipotesi del difetto assoluto di giurisdizione, nel presupposto che in tal caso si dovrebbe sollevare conflitto di attribuzione innanzi alla Corte costituzionale stante la riserva costituzionale di giurisdizione stabilita a favore del giudice speciale; in tal senso v.invece M. Mazzamuto, L’eccesso di potere giurisdizionale del giudice della giurisdizione, in Dir. Proc. Amm., 4/2012, 1693 che richiama anche V. Caianiello, Il cosiddetto limite esterno della giurisdizione amministrativa ed i poteri della Cassazione, in Giur. It., 1977,IV, 23 ss.
[xviii] Il passo è riportato in A. Salandra, La giustizia amministrativa nei governi liberi, Torino, 1897, 350 “Sia pure che I'autorità amministrativa abbia fallito alla sua missione, che non abbia provveduto con opportunità e saggezza, che non abbia saputo ottenere la massima somma di prosperità e di sicurezza pubblica mercé i suoi atti; sia pure che essa abbia, e forse anche senza motivi, rifiutato ad un cittadino una permissione, un vantaggio, un favore, che ogni ragione di prudenza e di buona economia consigliasse di accordargli; ovvero gli abbia ordinato di concorrere con soverchio e non necessario disagio allo scopo di un pubblico servigio, cui abbia potestà di provvedere con l'opera gratuita dei privati; sia pure che questo cittadino è stato in conseguenza ferito, e forse anche gravemente, nei propri interessi: che perciò? ... Che cosa ha sofferto il cittadino in tutte le ipotesi testé discorse? Semplicemente una lesione degl'interessi? Ebbene ch'ei si rassegni”.
[xix] In tal senso da ultimo v. D. Capotorto, Le condizioni dell’azione nel contenzioso amministrativo in materia di appalti: “l’interesse meramente potenziale” nuovo paradigma dell’ordinamento processuale?, in Dir. Proc. Amm., 3/2020, 665 ss al quale si rinvia per gli ulteriori riferimenti dottrinari.
[xx] Per tutti si rinvia a E. Cannada Bartoli, Interesse (dir. amm.), in Enc. Dir., XXII, Varese, 1972, 9 ss; A. M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, XIV ed., Napoli, 1989, 1202; G. Miele, Questioni vecchie e nuove in materia di distinzione del diritto dall’interesse nella giustizia amministrativa, in Foro amm. 1940, ripubbl. in Scritti giuridici, Milano, 1987, 275 ss e F.G. Scoca, L’interesse legittimo. Storia e teoria, Torino, 2017 al quale si rinvia per la compiuta ricostruzione delle diverse posizioni dottrinali. Mi limito ad osservare che il collegamento con la situazione di diritto soggettivo è evidente nei casi di interessi oppositivi, quando l’interesse del privato fronteggia provvedimenti ablatori o restrittivi o limitativi di diritti reali o personali che già rientrano nella sfera giuridica individuale. In questi casi l’interesse legittimo prende vita nel momento in cui il diritto viene a contatto con l’esercizio del potere amministrativo e viene protetto, prima e fuori del processo amministrativo già nel dialogo procedimentale con l’amministrazione, come interesse a conservare il bene oggetto del diritto soggettivo. Anche nel caso degli interessi pretensivi, il collegamento con la situazione di diritto soggettivo si rende evidente solo che se ne eviti la confusione con il bene della vita che si aspira a conseguire e che potrà essere oggetto immediato e diretto di una pretesa tutelabile come diritto soggettivo solo se beneficiari del provvedimento finale. Una volta chiarito che non si fa riferimento al diritto a conseguire l’appalto o a vincere un concorso pubblico o a ottenere una concessione, è difficile non rinvenire anche solo nella nostra Carta costituzionale un diritto o una libertà fondamentale dell’individuo (libertà d’iniziativa economica; libertà di circolazione; diritto al lavoro; diritto alla salute diritto all’istruzione etc.) che non legittimino una richiesta di partecipazione al procedimento finalizzato ad attribuire il bene della vita cui si aspira. Se poi l’interesse non ha alcuna situazione ritenuta meritevole di protezione da parte dell’ordinamento sulla quale appoggiarsi, vuol dire che si ricade nell’ipotesi di un mero interesse di fatto, non tutelabile né come diritto soggettivo, né come interesse legittimo. La condizione del “saldo collegamento” postula la necessaria elasticità della figura dell’interesse legittimo.
[xxi] Andrebbe in realtà sottolineato al riguardo che la distinzione dall’interesse sostanziale protetto e la risoluzione dell’interesse legittimo nell’interesse alla legalità dell’azione amministrativa sul piano teorico avvengono proprio se e in quanto, in punto di rilevanza della situazione soggettiva, si ponga l’accento unicamente sull’interesse come presupposto processuale. Tra i contributi più recenti sul tema v. S. Mirate, La legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo: un’analisi alla luce della dicotomia giurisdizione soggettiva/giurisdizione oggettiva, in Dir. Proc. Amm., 3/2020, 602 ss ed ivi per gli ulteriori riferimenti dottrinari tra i quali si segnalano i contributi raccolti nel volume F. Francario – M.A. Sandulli (a cura di ), Profili oggettivi e soggettivi della giurisdizione amministrativa. In ricordo di Leopoldo Mazzarolli, Napoli, 2017.
Per installare questa Web App sul tuo iPhone/iPad premi l'icona.
E poi Aggiungi alla schermata principale.