Corte di giustizia e obbligo di rinvio pregiudiziale del giudice di ultima istanza: nihil sub sole novum
di Fabio Ferraro*
Sommario: 1. Premessa. - 2. L’obbligo di rinvio pregiudiziale e la controversa giurisprudenza Cilfit. – 3. La proposta di revirement dell’avvocato generale Bobek. - 4. La sentenza della Corte di giustizia e la conferma dei criteri Cilfit. - 5. Il rinvio pregiudiziale come meccanismo di tutela del sistema oppure come strumento di tutela dei diritti dei singoli? – 6. Gli ulteriori chiarimenti forniti dalla Corte di giustizia. - 7. Considerazioni conclusive sulle prospettive future dell’obbligo di rinvio.
1. Premessa.
Nell’ambito del rinvio pregiudiziale assume una rilevanza centrale la sua obbligatorietà per i giudici di ultima istanza, che non è frutto di una autonoma scelta della Corte di giustizia, ma trova il suo fondamento direttamente nell’art. 267, terzo comma, TFUE. Tale obbligatorietà costituisce, per le sue finalità e per le sue implicazioni, uno degli elementi principali e più qualificanti del rinvio pregiudiziale, al punto che è stato eloquentemente definito come un principio strutturale dell’ordinamento giuridico dell’Unione[1]. Il dovere di cui si discute, infatti, è finalizzato ad assicurare l’uniforme interpretazione e applicazione del diritto dell’Unione negli Stati membri, consentendo così alla Corte di giustizia di esercitare la sua funzione essenzialmente nomofilattica e unificatrice sulla scorta dell’art. 19, par. 1, TUE[2].
In tale contesto si inscrivono le recenti conclusioni rese dall’avvocato generale Bobek nella causa Consorzio Italian Management[3], che hanno ravvivato il dibattito sull’esigenza, più volte sollevata in dottrina e in talune conclusioni degli avvocati generali[4], di rivedere il contenuto dell’obbligo del rinvio pregiudiziale.
È il caso di ricordare che nell’ordinamento italiano tale questione si intreccia con l’ulteriore richiesta rivolta alla Corte di giustizia di fare piena luce sui profili patologici e sulle implicazioni che potrebbero scaturire dalla violazione dell’obbligo di utilizzare questo strumento di cooperazione, poiché è stata ipotizzata una interpretazione evolutiva del ricorso per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione al fine di impugnare una sentenza con la quale il Consiglio di Stato ometta di effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte, in assenza delle condizioni che esonerano il giudice nazionale dal suddetto obbligo. Il rigetto da parte della Corte costituzionale di questo orientamento[5] ha spinto la Corte di Cassazione a investire la Corte di giustizia della problematica dell’applicazione di prassi interpretative elaborate in sede nazionale confliggenti con il diritto dell’Unione[6].
Successivamente all’ordinanza della Corte di Cassazione, lo stesso Consiglio di Stato ha sollevato un nuovo rinvio pregiudiziale e formulato tre quesiti, di cui uno incentrato sull’istituto della revocazione[7]. L’organo giurisdizionale amministrativo di ultima istanza ha chiesto, tra l’altro, alla Corte di giustizia se sia compatibile con il diritto dell’Unione l’impossibilità di esperire questo rimedio straordinario per impugnare sentenze del Consiglio di Stato in contrasto con i principi affermati nelle sentenze pregiudiziali[8]. Questa iniziativa del Consiglio di Stato sembra avere un impatto meno traumatico nell’ordinamento interno rispetto alla soluzione ipotizzata nell’ordinanza di rinvio della Corte di cassazione[9], anche se l’ipotesi della revocazione era stata più volte prospettata, ma esclusa dalla Corte costituzionale in assenza di un intervento legislativo[10]. La Corte di giustizia non si è ancora espressa sull’eventuale possibilità di utilizzare un rimedio del sistema processuale nazionale (ricorso per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione dinanzi alla Corte di Cassazione o revocazione dinanzi al Consiglio di Stato), per evitare il passaggio in giudicato di una sentenza del Consiglio di Stato non conforme al diritto dell’Unione, fermo restando, in ogni caso, la facoltà di richiedere alla Commissione europea l’avvio di una procedura di infrazione[11], di far valere la responsabilità risarcitoria dello Stato o di proporre un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo[12].
Tutto ciò rappresenta una dimostrazione eloquente della seconda giovinezza[13], se non dell’eterna vivacità, di questo meccanismo di dialogo tra giurisdizioni[14], che si manifesta non solo in termini numerici, ma anche sotto il profilo qualitativo, visto il suo fascino e il suo carattere evolutivo.
Tuttavia, è necessario dissipare alcuni dubbi sui confini dell’obbligo del giudice nazionale per evitare che il rinvio pregiudiziale, concepito per garantire la certezza e l’uniforme applicazione del diritto dell’Unione, divenga esso stesso fonte di incertezze e di applicazioni differenziate da parte degli organi giurisdizionali nazionali[15]. La preoccupazione di un ridimensionamento del rinvio pregiudiziale è reale, in quanto la richiesta di modificare la consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia sulla portata dell’obbligo di rinvio rischia di snaturare la chiave di volta del sistema giurisdizionale concepito dai Trattati dell’Unione. Non sembra in discussione soltanto lo strumento pregiudiziale, bensì l’equilibrio complessivo del sistema giurisdizionale e, più in generale, del diritto dell’Unione. Tale preoccupazione è stata avvertita dalla Corte di giustizia che, anziché seguire la tesi dell’avvocato generale, ha confermato la piena validità dei noti criteri Cilfit[16], con l’aggiunta di qualche ulteriore chiarimento su alcuni nodi problematici, ma senza introdurre elementi di novità[17].
A tralasciare il merito della controversia, che non rileva in questa sede, con il presente contributo intendiamo richiamare “lo stato dell’arte” dell’obbligo di rinvio e confrontare le conclusioni dell’avvocato generale Bobek con la parte motiva della sentenza della Corte di giustizia, formulando, al tempo stesso, delle considerazioni critiche, pur condividendo il mantenimento dell’attuale configurazione di questo vincolo che grava sul giudice di ultima istanza.
2. L’obbligo di rinvio pregiudiziale e la controversa giurisprudenza Cilfit.
In via preliminare, occorre chiarire che le conclusioni dell’avvocato generale Bobek si incentrano sul rinvio d’interpretazione, che non solo ha superato di gran lunga, da un punto di vista quantitativo, il rinvio di validità, ma ha assunto un carattere preminente anche rispetto ai rimedi giurisdizionali diretti, nella definizione dei principi qualificanti e, in un certo senso, “costituzionali”, che hanno influito sullo stesso modo di essere dell’ordinamento dell’Unione e ne hanno caratterizzato l’originalità rispetto ad altre organizzazioni internazionali[18]. È ben noto che per mezzo del rinvio pregiudiziale d’interpretazione, non solo dei giudici di ultima istanza ma anche di quelli che vengono definiti giudici di provincia, sono stati elaborati dalla Corte di giustizia i noti principi del primato del diritto dell’Unione, dell’efficacia diretta di alcune delle sue disposizioni, della responsabilità risarcitoria degli Stati membri per la violazione delle norme dell’Unione, dell’effettività e dell’equivalenza.
Ad ogni modo, la scelta di circoscrivere il campo dell’analisi deriva non solo dalla formulazione materiale dei quesiti, bensì anche dal fatto che la giurisprudenza Cilfit, di cui si chiede la revisione, si applica soltanto al rinvio pregiudiziale d’interpretazione. La dicotomia facoltà/obbligo assume una diversa fisionomia nel rinvio di validità, visto che è imposto pure al giudice non di ultima istanza di rivolgersi alla Corte di giustizia nell’ipotesi in cui dubiti della legittimità di un atto dell’Unione, spettando esclusivamente alla Corte europea dichiararne l’invalidità.
Tanto premesso, è utile ricordare che l’obbligo di rinvio di cui all’art. 267, terzo comma, TFUE si riferisce al giudice di ultima istanza, che riveste una posizione di vertice negli ordinamenti giuridici nazionali e le cui pronunce non possono essere oggetto di un ricorso giurisdizionale[19]. La ratio di questa diretta correlazione tra obbligo e giudici di ultima istanza è evidentemente quella di evitare che in uno Stato membro si consolidi una giurisprudenza nazionale contrastante con il diritto dell’Unione.
Le scarne indicazioni di diritto positivo sul rinvio pregiudiziale hanno richiesto un’intensa attività interpretativa da parte della Corte di giustizia, che ha cercato di contemperare due opposte esigenze: da un lato, consentire ai giudici degli Stati membri di utilizzare questo strumento in modo flessibile e, dall’altro lato, evitare una eccessiva discrezionalità da parte di questi organi nazionali.
Per quanto concerne la prima esigenza, la Corte di giustizia ha valorizzato il suo rapporto di cooperazione, anziché di sovraordinazione, con il giudice nazionale, manifestando, per così dire, una certa indulgenza rispetto alla lettera e allo spirito dell’art. 267, comma 3, TFUE[20]. In tal senso, si è affermato che esso non è assoluto, poiché può venire meno in presenza di determinate condizioni, individuate in funzione delle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione, delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta e del rischio di orientamenti divergenti nella giurisprudenza all’interno dell’Unione[21]. Al riguardo la nota sentenza Cilfit[22], confermata in modo inequivocabile dalla successiva giurisprudenza[23], ha attribuito un ruolo particolarmente attivo al giudice nazionale laddove ha affermato che esso può decidere di astenersi dal sottoporre alla Corte un rinvio pregiudiziale ex art. 267, comma 3, TFUE in tre ipotesi: 1) se la questione non sia pertinente[24]; 2) se la questione sia stata già oggetto di interpretazione della Corte[25]; e 3) se la corretta applicazione del diritto comunitario (oggi dell’Unione) si imponga con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi[26].
La vivace e colorita critica dell’avvocato generale è rivolta principalmente a quest’ultima ipotesi, che è stata elaborata dalla Corte trasponendo nel sistema dell’Unione la dottrina c.d. dell’acte clair[27]. Siffatta dottrina è stata utilizzata con il duplice obiettivo di liberare dall’obbligo di rimessione il giudice posto in posizione apicale nell’ambito del sistema giurisdizionale nazionale e di chiamare quest’ultimo a svolgere una funzione di filtro per prevenire un incremento eccessivo del suo carico di lavoro ed un utilizzo distorto del rinvio pregiudiziale[28].
Nella direzione opposta alla concessione di questa flessibilità nel valutare l’obbligo di rinvio si colloca l’esigenza di definire alcuni criteri in relazione all’esistenza di un ragionevole dubbio, in modo da non lasciare ai giudici nazionali un margine eccessivo di discrezionalità[29]. Nondimeno, i caveat individuati dalla Corte del Lussemburgo si sono rivelati insoddisfacenti, poiché troppo labili e non in grado di fornire una guida sicura agli organi giurisdizionali. In particolare, l’oggettiva incertezza in cui si trovano i giudici nazionali è dettata dal fatto che ad essi è richiesto di non ricorrere al rinvio pregiudiziale solo dopo avere maturato il convincimento che l’assenza di dubbio in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione si imporrebbe con la stessa evidenza ai suoi omologhi di altri Stati membri e alla Corte di giustizia[30]. Le perplessità discendono non solo da questa probatio diabolica, bensì anche dagli altri limiti imposti alla discrezionalità del giudice nazionale, i quali consistono nel tener conto i) che vi sono differenti versioni linguistiche, che fanno fede nella stessa misura, e che risulta necessario il loro raffronto, ii) che le nozioni giuridiche non presentano necessariamente lo stesso contenuto nel diritto comunitario e nei vari diritti nazionali; iii) che ogni disposizione di diritto comunitario va ricollocata nel proprio contesto e interpretata alla luce dell’insieme delle disposizioni del suddetto diritto, delle sue finalità, nonché del suo stadio di evoluzione al momento in cui va data applicazione alla disposizione di cui trattasi.
Per definire il perimetro dell’obbligo di rinvio possono risultare utili due ulteriori notazioni di segno diverso sui poteri del giudice di ultima istanza. Per un verso, non può essere tralasciato che la cancelleria della Corte può portare a conoscenza del giudice nazionale le pronunce che già risolvono i dubbi sollevati e comunicargli la possibilità di ritirare le questioni pregiudiziali sollevate, sicché in tal caso l’organo giurisdizionale, ivi compreso quello di ultima istanza, ha la facoltà di far cancellare la causa dal ruolo[31]. Per altro verso, è stato sostenuto che nell’ipotesi in cui non disponga di alcuna discrezionalità in ordine al rinvio pregiudiziale sulla base dei suddetti criteri e sia quindi certamente obbligato ad effettuarlo, la posizione del giudice di ultima istanza non sembra tanto dissimile da quella degli organi legislativi e amministrativi di uno Stato membro che non sono chiamati ad effettuare scelte normative, in quanto si trovano di fronte ad una competenza vincolata[32].
3. La proposta di revirement dell’avvocato generale Bobek.
Le conclusioni rese dall’avvocato generale nella causa Consorzio Italian Management hanno ricostruito in modo ampio la giurisprudenza dei giudici dell’Unione e fatto ricorso perfino a colorite metafore per sostenere un cambiamento dell’orientamento della Corte in merito all’obbligo di rinvio, suscitando grande interesse e meritando attenzione, anche in considerazione del fatto che sono condivise da una parte della dottrina e dei giudici nazionali, sia pure con diverse sfumature[33].
Come accennato, a giudizio dell’avvocato generale l’elemento più discutibile della giurisprudenza Cilfit deriverebbe dalla trasposizione della dottrina francese sull’acte clair in un contesto assai diverso come quello comunitario[34]. In proposito è stato eloquentemente rilevato che “l’aver ancorato l’uso di tale filtro a condizioni molto rigorose, apparentemente persino diaboliche, non può tuttavia eliminare il rischio di veder trasformati molti atti dell’Unione, notoriamente oscuri, in atti chiari; e molte norme chiare, interpretate in modo... oscuro”[35].
Se è corretta quindi la ricostruzione dell’avvocato generale in merito alla difficoltà dei giudici nazionali nel seguire alcuni criteri Cilfit, in quanto non agevolmente applicabili, ciò che non appare affatto convincente è la soluzione ipotizzata nelle sue conclusioni. Invero, si propone un revirement dei principi ormai sedimentati nella giurisprudenza della Corte, che consiste nel passaggio dalla mancanza di ogni ragionevole dubbio quanto alla corretta applicazione del diritto dell’Unione nel singolo caso di specie, dimostrato dall’esistenza di un dubbio giurisdizionale soggettivo, ad un imperativo più oggettivo di garanzia di un’interpretazione uniforme del diritto dell’Unione in tutta l’Unione europea.
Più nello specifico, questo orientamento propone di circoscrivere l’obbligo dei giudici nazionali di ultima istanza di effettuare un rinvio pregiudiziale vertente sull’interpretazione del diritto dell’Unione, qualora siano soddisfatte tre condizioni cumulative: (1) la causa solleva una questione generale di interpretazione del diritto dell’Unione; (2) il diritto dell’Unione può essere ragionevolmente interpretato in più modi possibili; (3) l’interpretazione del diritto dell’Unione non può essere dedotta dalla giurisprudenza esistente della Corte né da una singola sentenza della Corte, formulata in modo sufficientemente chiaro[36].
Secondo l’impostazione dell’avvocato generale, che è preordinata, nella sostanza, a far assumere al rinvio pregiudiziale un carattere teorico-astratto, la mancanza di una sola di tali condizioni dovrebbe esimere i giudici nazionali di ultima istanza dall’obbligo di coinvolgere la Corte sul piano interpretativo. Infatti, qualora decidessero di non proporre alcuna domanda di pronuncia pregiudiziale, i giudici nazionali di ultima istanza dovrebbero spiegare adeguatamente quale delle nuove condizioni sul piano interpretativo non sia stata soddisfatta. Viceversa, nelle ipotesi in cui scegliessero di procedere a un rinvio pregiudiziale nonostante l’esistenza di una giurisprudenza pertinente, i giudici nazionali sarebbero tenuti ad indicare espressamente le ragioni del proprio disaccordo e, preferibilmente, a spiegare quale dovrebbe essere, a loro avviso, l’approccio corretto.
L’avvocato generale perviene a queste conclusioni ritenendo che la logica delle eccezioni della sentenza Cilfit non corrisponda a quella della sentenza Hoffmann-Laroche[37], giacché la prima pronuncia sarebbe incentrata sulla singola controversia e sulle perplessità giudiziarie soggettive, mentre la seconda pronuncia si concentrerebbe in modo oggettivo sulla giurisprudenza in generale piuttosto che sul caso concreto dinanzi al giudice del rinvio. L’obbligo di rinvio dovrebbe quindi tornare alla impostazione originaria della giurisprudenza Hoffmann-Laroche in modo da consentire alla Corte di giustizia di soffermarsi sulle questioni ermeneutiche importanti e su quelle che possano dare luogo a interpretazioni divergenti all’interno degli Stati membri, anziché su quelle riguardanti l’applicazione del diritto dell’Unione.
Vero è che quello che veniva definito, polemicamente o provocatoriamente, a seconda dei punti di vista, “l’uso alternativo” dell’art. 234 del Trattato CE (oggi art. 267 del Trattato FUE) sia diventato l’utilizzo comune del rinvio pregiudiziale d’interpretazione[38]. È ben noto, al riguardo, che attraverso quest’ultimo rimedio vengono di solito messe in discussione norme o prassi interne di uno Stato membro non conformi al diritto dell’Unione. La terminologia utilizzata dalla Corte (il diritto dell’Unione “osta o non osta”) dimostra che il rinvio pregiudiziale consente, sia pure indirettamente, un giudizio sulla conformità di norme nazionali al diritto dell’Unione. Sennonché, la richiesta dell’avvocato generale di precludere alla Corte di giustizia tale giudizio della controversia può essere vista, anche sotto questo profilo, come un’espressione della volontà di un “ritorno al passato”, sia pure giustificata dall’esigenza di arginare l’aumento considerevole del numero dei rinvii pregiudiziali derivante dall’ampiezza dell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione.
4. La sentenza della Corte di giustizia e la conferma dei criteri Cilfit.
La sentenza della Corte di giustizia è stata pronunciata lo stesso giorno del leading case Cilfit, il 6 ottobre, anche se non è dato sapere se sia una mera coincidenza o una scelta voluta. Il giudice dell’Unione non ha accolto la tesi dell’avvocato generale, in particolare nell’ampia risposta al primo quesito pregiudiziale ha, di fatto, rigettato integralmente la proposta di stravolgere i criteri Cilfit. È utile ricordare che tale quesito riguarda la possibilità del giudice nazionale di ultima istanza di astenersi dall’obbligo di rinvio quando la questione di interpretazione del diritto dell’Unione “gli è sottoposta da una parte in una fase avanzata dello svolgimento del procedimento, dopo che la causa sia stata trattenuta per la prima volta in decisione o quando è già stata effettuato un primo rinvio pregiudiziale in tale causa”[39].
Ebbene, dopo aver evidenziato le funzioni attribuite ai giudici nazionali e alla Corte di giustizia nonché le finalità di questo strumento di cooperazione “de juge à juge”[40], la trama argomentativa della sentenza si è sviluppata attorno alle ipotesi in cui il giudice nazionale può essere esonerato dall’obbligo di rinvio, ponendo poi l’accento su alcuni rilevanti profili dello strumento pregiudiziale che costituiscono il cuore della questione di cui si discute, in quanto consentono di definire la portata e il contenuto del dovere del giudice di ultima istanza.
Entrando in medias res, in primo luogo la Corte del Lussemburgo ha rammentato che tanto i giudici di ultima istanza quanto quelli non di ultima istanza dispongono dello stesso potere di valutazione nello stabilire se sia necessaria una pronuncia su un punto di diritto dell’Unione onde consentire loro di decidere la controversia. Sicché, non vi è alcuna esigenza per gli organi giurisdizionali in generale di rivolgersi alla Corte se la questione di interpretazione del diritto dell’Unione non sia rilevante o se non possa in alcun modo influenzare l’esito della controversia[41].
In secondo luogo, la sentenza ha sottolineato che l’autorità dell’interpretazione data dalla Corte può far cadere la causa dell’obbligo previsto dall’articolo 267, terzo comma, TFUE, e renderlo senza contenuto. Segnatamente, ciò si verificherebbe “qualora la questione sollevata sia materialmente identica ad altra questione, sollevata in relazione ad analoga fattispecie, che sia già stata decisa in via pregiudiziale o, a maggior ragione, nell’ambito del medesimo procedimento nazionale, o qualora una giurisprudenza consolidata della Corte risolva il punto di diritto di cui trattasi, quale che sia la natura dei procedimenti che hanno dato luogo a tale giurisprudenza, anche in mancanza di una stretta identità delle questioni controverse”[42]. Rimane ferma la possibilità di sollevare un nuovo rinvio in presenza di una giurisprudenza risolutiva su un punto di diritto, visto che l’autorità della sentenza pregiudiziale non inficia i poteri del giudice nazionale quando esso si trovi di fronte a difficoltà di comprensione della portata della pronuncia della Corte o nelle ipotesi in cui richieda di rivedere la giurisprudenza consolidata.
In terzo luogo, la Corte del Kirchberg si sofferma sui suddetti criteri che consentono al giudice nazionale di ritenere che l’interpretazione corretta del diritto dell’Unione s’imponga con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi[43].
Innanzitutto, la Corte di giustizia si limita a ribadire che il giudice nazionale di ultima istanza deve maturare il convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe altresì ai giudici di ultima istanza degli altri Stati membri e alla Corte senza specificare accuratamente le ragioni che possono sostanziare un simile convincimento. Si può ritenere, al riguardo, che la Corte abbia perso un’occasione per fornire i chiarimenti necessari su questa discutibile e complessa valutazione che difficilmente ritroviamo nelle sentenze nazionali, poiché generalmente i giudici interni non sono nelle condizioni di realizzarla, ancorché decidano di non procedere al rinvio[44]. In particolare, rimane dubbia l’effettiva capacità dei giudici nazionali di conoscere l’orientamento non tanto della Corte di giustizia quanto dei giudici di altri Stati membri. Del resto, questo criterio è diventato una clausola di stile se si considera, per un verso, che la sua violazione appare priva di conseguenze e, per altro verso, che di norma la stessa Corte non si sofferma sul possibile convincimento dei giudici degli altri Stati membri.
Invece, sono apprezzabili i chiarimenti forniti dalla Corte sulle difficoltà che possono sorgere dall’esistenza di divergenze linguistiche, visto che le varie versioni linguistiche fanno fede nella stessa misura e che le disposizioni di diritto dell’Unione devono essere interpretate ed applicate in modo uniforme[45]. La Corte non richiede al giudice di ultima istanza di procedere ad un esame comparativo delle versioni linguistiche, bensì di tener conto delle divergenze tra le versioni linguistiche di cui è a conoscenza, in particolare quando tali divergenze sono richiamate dalle parti e comprovate.
La Corte ribadisce poi che il diritto dell’Unione impiega una terminologia che gli è propria e nozioni autonome che non necessariamente coincidono con quelle equivalenti esistenti nei diritti nazionali. Si noti, infatti, che le sentenze pregiudiziali hanno definito rilevanti nozioni che non si ritrovano nei trattati, come, ad esempio, quelle di lavoratore dipendente[46], di impresa[47] e di giurisdizione nazionale[48], al fine di evitare che le norme nazionali escludano unilateralmente persone, enti e organi dalla sfera di applicazione del diritto dell’Unione.
Inoltre, sono condivisibili le precisazioni della Corte in merito all’esigenza di collocare ciascuna disposizione nel suo contesto e interpretarla alla luce dell’insieme delle disposizioni di tale diritto, delle sue finalità e dello stadio della sua evoluzione nel momento della sua applicazione[49]. Sotto questo profilo, la Corte fornisce alcune indicazioni puntuali al giudice nazionale, innanzitutto nella parte in cui afferma che la mera possibilità di effettuare una o diverse letture di una disposizione del diritto dell’Unione non è di per sé sufficiente per ritenere soddisfatto il requisito del dubbio ragionevole. Nel contempo, viene messo in risalto che il giudice deve prestare particolare attenzione nell’ipotesi in cui siano portati a sua conoscenza orientamenti giurisprudenziali differenti tra i giudici nazionali di un medesimo Stato o di Stati diversi, che rappresentano un elemento sintomatico dell’esistenza di un dubbio quanto all’interpretazione corretta del diritto dell’Unione.
In quarto luogo, l’arrêt della Corte dedica una grande attenzione alla motivazione del giudice nazionale di ultima istanza che decida di non sottoporre una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia[50]. Non vi è dubbio che la formulazione di una motivazione accurata attenua sensibilmente il rischio di successive contestazioni, anche sul piano risarcitorio. La decisione del giudice nazionale di non coinvolgere la Corte di giustizia deve esplicitare il motivo per cui è soddisfatta una delle tre condizioni per non procedere al rinvio (non rilevanza, esistenza di una giurisprudenza consolidata e assenza di un ragionevole dubbio). Tuttavia, sembra che l’obbligo di motivazione non possa rispondere a standard predeterminati e rigidi, ma sia direttamente proporzionato al grado di complessità della questione di diritto dell’Unione sollevata nel giudizio. In altri termini, si può ritenere che tanto più complessa sia la questione, tanto più occorre uno sforzo di motivazione, segnatamente in relazione all’esistenza di un ragionevole dubbio.
5. Il rinvio pregiudiziale come meccanismo di tutela del sistema oppure come strumento di tutela dei diritti dei singoli?
La sentenza si diffonde sui doveri del giudice nazionale di ultima istanza di ricorrere alla Corte ai sensi dell’art. 267, terzo comma, TFUE quando il suo coinvolgimento sia stato proposto da una parte del procedimento in una fase avanzata del procedimento, in particolare dopo un primo rinvio pregiudiziale[51]. Si ripropone in tal modo l’antico dilemma se intendere il rinvio come un meccanismo di tenuta del sistema oppure come uno strumento di tutela dei diritti degli individui[52].
La prima tesi trova sostegno nel principio consolidato secondo cui il rinvio pregiudiziale non è un rimedio nella diretta disponibilità delle parti del giudizio, poiché queste ultime possono soltanto sollecitare il giudice nazionale a sollevare dei quesiti ed esporre il loro punto di vista dinanzi alla Corte di giustizia entro i limiti delle questioni ritenuti utili dallo stesso giudice nazionale. Quest’ultimo provvede alla formulazione del rinvio, anche contro il consenso delle parti[53], le quali non possono né modificarne il tenore, né integrarli con altri[54].
Al riguardo, la sentenza in esame ribadisce un concetto che non è stato ancora pienamente compreso, vale a dire che la valutazione in merito alla “rilevanza” (o pertinenza) e “necessarietà” delle questioni pregiudiziali per la definizione del procedimento principale rientra esclusivamente nell’ambito della responsabilità del giudice che dispone il rinvio. In questa prospettiva, viene messa a fuoco l’indipendenza del giudice interno, che è il “dominus” del rinvio e non è vincolato al principio della domanda né è tenuto a formulare il quesito pregiudiziale così come richiesto dalle parti. Infatti, è ricorrente nella giurisprudenza della Corte di giustizia l’affermazione che il sistema introdotto dall’art. 267 TFUE istituisce una cooperazione diretta tra la Corte ed i giudici nazionali, attraverso un procedimento, di natura incidentale e non contenzioso, estraneo ad ogni iniziativa di parte[55].
Il corretto ed efficace funzionamento del rinvio pregiudiziale dipende soprattutto dai giudici nazionali, in quanto a loro spetta la scelta di ricorrere alla Corte, la determinazione della fase in cui sottoporre la questione pregiudiziale e della formulazione materiale dei quesiti, la decisione finale della causa dopo aver ricevuto la risposta della Corte o l’eventuale scelta di rivolgersi nuovamente al giudice dell’Unione prima di risolvere la controversia. Evidentemente, il dubbio interpretativo può permanere anche dopo una sentenza pregiudiziale d’interpretazione, sicché il giudice nazionale di ultima istanza deve constatare se ricorre o meno una delle tre situazioni che gli consentono di non sottoporre alla Corte una nuova questione pregiudiziale. Anzi, nei casi più complessi può risultare di particolare utilità procedere a un ulteriore rinvio piuttosto che “tradire” il significato e, quindi, vanificare i principi contenuti nella sentenza pregiudiziale o le eventuali verifiche di fatto e di diritto demandategli dalla Corte di giustizia ai fini della definizione della causa principale[56].
Nondimeno, occorre tener presente che il rinvio pregiudiziale ha acquisito una rilevanza fondamentale per il sistema di tutela dei diritti che il singolo vanta in forza del diritto dell’Unione, facendo sorgere delle aspettative, più o meno legittime, in ordine all’efficacia di questo istituto. È fuor di dubbio che proprio per mezzo del rinvio pregiudiziale si realizza una tutela giurisdizionale effettiva e la piena protezione dei diritti dei singoli, i quali sono considerati soggetti di diritto dell’Unione.
In definitiva, entrambe le tesi hanno un fondamento di verità e non sembrano inconciliabili tra loro, sicché l’equivoco di fondo può essere risolto nel senso di ritenere che il rinvio alla Corte di giustizia abbia la finalità di soddisfare sia la tenuta del sistema che la tutela dei diritti dei singoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione. Con riferimento alla finalità del rinvio volta a garantire questa tutela, è però d’obbligo il caveat che essa si realizza indirettamente e per mezzo dei giudici nazionali, i quali esercitano la competenza pregiudiziale sotto la propria responsabilità, in maniera indipendente e con tutta la dovuta attenzione.
6. Gli ulteriori chiarimenti forniti dalla Corte di giustizia.
Nell’ultima parte della risposta al primo quesito la Corte chiarisce i poteri del giudice nazionale in presenza di una causa di irricevibilità, ad esempio se la richiesta della parte modifica l’oggetto della controversia, in quanto formulata dopo un primo rinvio pregiudiziale. La risposta del giudice riconosce in tal caso il potere del giudice di non sollevare la questione pregiudiziale, purché siano rispettati i noti principi di equivalenza e di effettività[57].
Secondo la definizione invalsa nella giurisprudenza della Corte di giustizia, le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza o di non discriminazione)[58], né devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività)[59]. Qualche perplessità discende non tanto dal principio di equivalenza quanto da quello di effettività, che richiede vuoi di tener conto del ruolo delle norme processuali nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità di quest’ultimo dinanzi ai vari organi giurisdizioni nazionali, vuoi di prendere in considerazione, se necessario, i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti di difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento. Vero è che l’oggetto della controversia è determinato dai motivi di ricorso sollevati al momento della sua proposizione al fine di preservare dai ritardi dovuti alla valutazione di motivi nuovi e, quindi, di garantire il regolare svolgimento del procedimento, sicché il giudice nazionale può astenersi dal sollevare un rinvio pregiudiziale per motivi inerenti al procedimento nazionale. Nondimeno, può risultare necessario il soccorso del giudice interno per garantire l’effettività della tutela giurisdizionale e dei diritti derivanti dalle norme dell’Unione, atteso che le sentenze degli organi giurisdizionali di ultima istanza passano in giudicato e sono rimediabili sul piano sostanziale soltanto in casi eccezionali ed in presenza di rigorose condizioni previste dal diritto interno. Tanto più che nell’ordinamento dell’Unione non esiste un mezzo di ricorso diretto per far rispettare l’obbligo di rinvio pregiudiziale, atteso che non fu accolta la proposta contenuta nel Progetto di Trattato del 1984 (c.d. progetto Spinelli), che all’art. 43, intitolato “Controllo giudiziario”, affidava alla Corte di giustizia il compito di svolgere un ruolo di Corte di Cassazione “contro le decisioni nazionali rese in ultima istanza che rifiutino di rivolgere ad essa una domanda pregiudiziale o non rispettino una sentenza pregiudiziale pronunciata dalla Corte”.
Vista l’incertezza sull’esito delle questioni pregiudiziali sollevate dalla Corte di Cassazione e dal Consiglio di Stato, rispettivamente, sulla possibilità di utilizzare il ricorso per cassazione o il rimedio straordinario della revocazione, la proposizione di motivi nuovi rigorosamente giustificati può allo stato rappresentare l’unico mezzo per evitare la formazione (o la progressiva formazione) di un giudicato contrastante con norme dell’Unione europea, anche ricorrendo al dialogo a distanza con la Corte di Lussemburgo. In tal senso, è il caso di ricordare che la Corte di giustizia ha più volte evidenziato di non riconoscere efficacia alle regole processuali che mettano in discussione l’obbligo di rinvio da parte del giudice nazionale, con la conseguenza che quest’ultimo può di propria iniziativa disapplicare qualsiasi disposizione interna, anche di carattere procedurale, che osti all’effetto utile del diritto dell’Unione senza attendere la soppressione in via legislativa o mediante giudizio di legittimità costituzionale[60]. Il giudice nazionale deve verificare appieno la compatibilità del diritto interno con le norme dell’Unione vincolanti e fare applicazione delle medesime anche d’ufficio, di talché nel giudizio di cassazione dell’ordinamento italiano tale verifica non è condizionata alla deduzione di uno specifico motivo e le relative questioni possono essere conosciute per la prima volta durante tutto il corso del giudizio di legittimità[61].
Alla luce di questo filone giurisprudenziale, sia dell’Unione che nazionale, il punto di equilibrio tra il principio di irricevibilità e quello di effettività appare piuttosto complesso e suscettibile di oscillazioni, considerato che vi possono essere delle frizioni tra i due principi laddove, ad esempio, vi sia l’esigenza di proporre tardivamente una questione d’interpretazione fondata sul diritto dell’Unione, a causa di una sopravvenuta pronuncia della Corte.
Per completare il quadro, non possiamo esimerci dal richiamare la declaratoria di irricevibilità della Corte di giustizia in risposta al secondo e al terzo quesito, derivante dal mancato rispetto dei requisiti relativi al contenuto di una domanda di pronuncia pregiudiziale, che sono indicati in modo puntuale nell’art. 94 del regolamento di procedura della Corte ed esplicitati nelle Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale[62]. Tale articolo non si limita a richiamare dei criteri guida da considerare in sede di redazione dell’ordinanza di rinvio, ma è diventato nella giurisprudenza dell’Unione un vero e proprio parametro di riferimento per la verifica della ricevibilità delle domande pregiudiziali[63]. Pertanto, la domanda pregiudiziale deve contenere una descrizione dei fatti rilevanti, quali accertati dal giudice del rinvio, l’indicazione delle norme nazionali applicabili alla fattispecie e della giurisprudenza nazionale in materia e l’illustrazione dei motivi che hanno indotto il giudice del rinvio a interrogarsi sull’interpretazione (o sulla validità) di determinate disposizioni del diritto dell’Unione, nonché il collegamento che esso stabilisce tra dette disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla causa principale. Come logica conseguenza della violazione delle prescrizioni contenute nell’art. 94 del regolamento di procedura, la Corte di giustizia ha censurato il comportamento del giudice nazionale, che non può limitarsi ad esporre gli interrogativi formulati dalle parti del procedimento principale. Va qui precisato che l’organo giurisdizionale può recepire appieno i dubbi delle parti, purché fornisca la propria autonomia valutazione e chiarisca i motivi che l’hanno indotta a interrogarsi sull’interpretazione delle norme dell’Unione, soprattutto se la Corte di giustizia non è competente a pronunciarsi sugli atti menzionati nelle questioni sollevate[64]. In disparte l’esigenza fondamentale di consentire alla Corte di pronunciarsi utilmente sui quesiti, da questo passaggio della sentenza sull’irricevibilità si può ricavare anche l’intento di valorizzare ulteriormente il ruolo del giudice nazionale e la sua indipendenza rispetto alla posizione espressa dalle parti, che non rappresenta una novità introdotta dalla sentenza in esame, ma una indicazione costante della giurisprudenza dell’Unione in tema di rinvio pregiudiziale, nonostante talvolta non sia correttamente intesa.
7. Considerazioni conclusive sulle prospettive future dell’obbligo di rinvio.
La sentenza della Corte di giustizia ha messo dei punti fermi sulla portata dell’obbligo del giudice nazionale di ultima istanza di sollevare un rinvio pregiudiziale, pervenendo a delle conclusioni che sono pienamente condivisibili, in quanto rigettano il tentativo dell’avvocato generale di scindere l’interpretazione dalla applicazione del diritto dell’Unione, salvaguardando in tal modo la funzione essenziale di questo strumento di cooperazione. Non si avverte in alcun modo né l’utilità né la necessità di un cambiamento così radicale che potrebbe pregiudicare l’uniforme applicazione del diritto dell’Unione in tutti gli Stati membri[65]. Piuttosto, appare opportuno, per un verso, imporre al giudice del rinvio un obbligo di motivazione più preciso e puntuale[66], soprattutto nelle cause particolarmente complesse, e, per altro verso, rivedere i criteri sul livello di chiarezza dell’atto, che ormai sono caduti in desuetudine poiché inapplicabili da parte dei giudici nazionali. Sennonché, la sentenza della Corte ha posto in chiara evidenza l’esigenza di una giustificazione motivazionale accurata da parte del giudice nazionale che decida di non rivolgersi alla Corte di giustizia, mentre non ha fatto chiarezza su alcuni criteri in merito all’assenza di “un ragionevole dubbio”, che erano inapplicati e verosimilmente continueranno a rimanere lettera morta.
Al di là di qualche zona d’ombra, non si può che esprimere un giudizio complessivamente positivo sulla sentenza della Corte di giustizia, che ha preservato lo strumento principale del dialogo tra giudici nazionali e Corte di giustizia, respingendo, ancora una volta, il tentativo di snaturarlo. Più in generale, mantenere l’equilibrio complessivo del sistema giurisdizionale, fondato sull’obbligo di rinvio, assume una rilevanza determinante in questo delicato momento storico caratterizzato dal diffondersi dei movimenti sovranisti e dagli orientamenti espressi da alcune Corti costituzionali, come ad esempio quella polacca[67], in merito al principio del primato del diritto dell’Unione. La centralità del rinvio pregiudiziale discende altresì dal fatto che i giudici nazionali non sono tenuti a conformarsi alle indicazioni delle Corti superiori, anche di rango costituzionale, ma sono liberi di interpellare la Corte di giustizia se dubitano della loro conformità con il diritto dell’Unione[68]. L’ipotesi di un totale abbandono della visione del rinvio pregiudiziale come strumentale alla risoluzione delle controversie non tiene conto della realtà dei fatti e della concreta possibilità di mettere in discussione principi ormai consolidati dell’Unione[69]. Il rischio cui si va incontro è che nell’intento di attribuire all’obbligo di rinvio pregiudiziale una valenza sistemica e non più legata alla singola controversia, si finisca per realizzare una singolare eterogenesi dei fini, con conseguente indebolimento del processo di integrazione europea e dei valori sui quali esso si fonda.
Peraltro, il fenomeno del c.d. “rinvio pregiudiziale difensivo” sembra discendere principalmente da una conoscenza non ottimale del rimedio risarcitorio e dei suoi limiti, sebbene sia comprensibile la preoccupazione dei giudici nazionali di essere esposti ad azioni di responsabilità civile[70]. Invero, il dilagare delle azioni di danno non deve essere sopravvalutato, poiché ritroviamo nella giurisprudenza dell’Unione l’affermazione inequivocabile che la responsabilità dello Stato di risarcire i danni causati ai singoli può sussistere solo “nel caso eccezionale” in cui l’organo giurisdizionale di ultima istanza abbia violato in modo manifesto il diritto dell’Unione[71]. L’inosservanza dell’obbligo di rinvio rappresenta soltanto uno degli elementi che il giudice interno deve considerare (unitamente ad altri, quali il margine di discrezionalità, la scusabilità dell’errore, la chiarezza della norma violata, l’intenzionalità della violazione), per accertare la sussistenza della violazione manifesta[72]. Questa condizione è da ritenere presunta soltanto allorché la decisione del giudice nazionale sia intervenuta ignorando manifestamente la giurisprudenza della Corte in materia[73], ma rimane talmente difficile ottenere il risarcimento dei danni che l’avvocato generale Hogan ha suggerito di rendere le condizioni per la condanna dello Stato più agevoli, ritenendo “il rimedio del tipo Francovich […] un’illusione piuttosto che una realtà”[74]. Le altre possibili reazioni all’omesso rinvio sono piuttosto deboli se si considera che i rimedi di carattere generale esperibili dalle parti (la revisione di una di una sentenza passata in giudicato, la procedura di infrazione e il ricorso alla Corte EDU) incontrano difficoltà analoghe a quelle dell’azione di risarcimento dei danni[75]. Stando così le cose, i giudici nazionali possono essere rasserenati sull’esito negativo della stragrande maggioranza delle richieste risarcitorie, così come degli altri rimedi di carattere generale. Certo è che la corretta interpretazione del diritto dell’Unione e l’utilizzo appropriato del rinvio pregiudiziale, accompagnato da una rigorosa motivazione, segnatamente, nell’ipotesi di ricorso alla teoria dell’atto chiaro, sono in grado di esercitare un forte peso deterrente, eliminando o comunque riducendo notevolmente le azioni pretestuose ed infondate.
In conclusione, nell’ambito di quella che viene comunemente definita un’Unione di diritto non sembra che vi siano effettive e comprovate esigenze per recepire i suggerimenti dell’avvocato generale Bobek, che finirebbero inevitabilmente per ridimensionare e affievolire il principale strumento del sistema giurisdizionale.
* Professore ordinario di diritto dell’Unione europea – Università degli Studi di Napoli Federico II.
[1] Conclusioni dell’avv. gen. Tizzano, del 21 febbraio 2002, C-99/00, Lyckeskog, punto 64.
[2] V., G. Tesauro, La Corte costituzionale e l’art. 111, ult. comma: una preclusione impropria al rinvio pregiudiziale obbligatorio, in federalismi.it, n. 34, 2020, p. 241: “[…] l’aspetto più significativo e rilevante del controllo giurisdizionale nel sistema dell’Unione europea è certamente la procedura pregiudiziale. Fondata con sicura lungimiranza sulla sinergia costante tra il giudice nazionale e il giudice dell’Unione in funzione dell’interpretazione e l’applicazione di una norma dell’Unione che ponga qualche dubbio ermeneutico, tale procedura si collega al compito attribuito alla Corte di giustizia dagli Stati membri di indicare la corretta interpretazione della norma, con un esito non astratto ma fin troppo concreto – osta o non osta l’applicazione scelta dal giudice nazionale una volta verificata se vi sia compatibilità con la norma dell’Unione – esito che poi il giudice nazionale dovrà limitarsi a tradurre puntualmente nella decisione che definisce la controversia”.
[3] Presentate il 15 aprile 2021, C-561/19, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi SpA/Rete Ferroviaria Italiana SpA. Per un primo commento, v. P. De Pasquale, La (finta) rivoluzione dell’avvocato generale Bobek: i criteri CILFIT nelle conclusioni alla causa C-561/19), in Osservatorio europeo DUE (dirittounioneeuropea.eu), 2021; E. Gambaro, I. Bellini, Rinvio Pregiudiziale e Giudice di Ultima Istanza: Occorre Ripensare i Criteri “CILFIT”?, in gtlaw.com, 29 aprile 2021; R. Torresan, La giurisprudenza CILFIT e l’obbligo di rinvio pregiudiziale interpretativo: la proposta “ribelle” dell’avvocato generale Bobek, in rivista.eurojus.it, 19 aprile 2021.
[4] In particolare, alcuni sottolineano l’esigenza di non allentare ulteriormente il rigore dell’obbligo in questione al fine di salvaguardare l’uniforme applicazione del diritto dell’Unione (conclusioni Tizzano alla causa Lyckeskog, cit., punto 64), mentre altri suggeriscono di introdurre dei nuovi criteri in favore delle competenze dei giudici nazionali e di limitare l’intervento della Corte del Lussemburgo ai casi in cui venga sollevata una questione di interesse generale (conclusioni dell’avv. gen. Ruiz-Jarabo Colomer, del 30 giugno 2005, C-461/03, Gaston Schul Douane-expediteur, punto 59).
[5] Corte cost. ord. 18 gennaio 2018, n. 6. In dottrina, ex multis, v. F. Deodato, Nota a Corte Costituzionale sentenza 24 gennaio 2018, n. 6 e Corte di Cassazione - S. U. sentenza 29 dicembre 2017, n. 31226, in ildirittoamministrativo.it, 2018; M. Mazzamuto, Motivi inerenti alla giurisdizione - Il giudice delle leggi conferma il pluralismo delle giurisdizioni, in Giurisprudenza italiana, n. 3, 2018, p. 704; A. Travi, Un intervento della Corte costituzionale sulla concezione ‘funzionale’ delle questioni di giurisdizione accolta dalla Corte di cassazione, in Diritto processuale amministrativo, n. 3, 2018, p. 1111; F. Dal Canto, Il ricorso in Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione dinanzi alla Corte costituzionale, in Giurisprudenza Costituzionale, 2019, n. 3, p. 1537.
[6] Cass. UU. ord. 18 settembre 2020, n. 19598. Nella causa pendente dinanzi alla Corte di giustizia sono già state depositate le conclusioni da parte dell’avvocato generale (Hogan, 9 settembre 2021, C-497/20, Randstad Italia). Sull’ordinanza, v. F. Auletta, Ammissibilità del ricorso per “motivi attinenti alla giurisdizione” ed effetti della decisione della Corte di cassazione sulla questione pregiudiziale del giudice speciale “tenuto” al rinvio alla Corte di giustizia, in Foro italiano, 2021, n. 3, punto 1, p. 1025; F. Francario, Quel pasticciaccio brutto di piazza Cavour, piazza del Quirinale e piazza Capodiferro (la questione di giurisdizione, 11 novembre 2020; M. Lipari, L’omesso rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia: i rimedi previsti dal diritto dell’Unione europea, l’inammissibilità del ricorso in Cassazione e la revocazione ordinaria, in giustamm.it, 2021, p. 1; B. Nascimbene, P. Piva, Il rinvio della Corte di Cassazione alla Corte di giustizia: violazioni grave e manifeste del diritto dell’Unione europea?, 24 novembre 2020; M. A. Sandulli, Guida alla lettura dell’ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 19598 del 2020, 30 novembre 2020, tutti in questa Rivista; G. Tropea, Il Golem europeo e i «motivi inerenti alla giurisdizione» (Nota a Cass., Sez. un., ord. 18 settembre 2020, n. 19598), 7 ottobre 2020.
[7] Ord. 18 marzo 2021, n. 2327. Pende dinanzi alla Corte di giustizia la causa C-261/21. Sul tema, v. B. Nascimbene, P. Piva, Rinvio pregiudiziale e garanzie giurisdizionali effettive. Un confronto fra diritto dell’Unione e diritto nazionale. Commento all’ordinanza n. 2327/2021 del Consiglio di Stato, in questa Rivista, 30 luglio 2021; R. Pappalardo, La corsa al dialogo nella discordia sulla giurisdizione (nota a Cons. St., ord. 18 marzo 2021, n. 2327), in questa Rivista, 6 aprile 2021.
[8] Si tratta dell’art. 106 c.p.a. e degli artt. 395 e 396 c.p.c.
[9] Sulla possibilità di inquadrare l’omesso rinvio pregiudiziale totalmente immotivato nell’ambito della revocazione per errore sugli atti processuali, v. M. Lipari, L’omesso rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia: i rimedi previsti dal diritto dell’Unione europea, l’inammissibilità del ricorso in Cassazione e la revocazione ordinaria, cit., p. 33.
[10] Corte cost. ord. 6/2018, cit.
[11] Per il primo caso di condanna di uno Stato per violazione dell’obbligo di cui all’art. 267, comma 3, TFUE, v. Corte giust. 4 ottobre 2018, C‑416/17, Commissione/Francia (Anticipo d’imposta).
[12] V. le conclusioni Hogan alla causa Randstad Italia, cit., punto 97. Sia inoltre consentito rinviare a F. Ferraro, The Consequences of the Breach of the Duty to make Reference to ECJ for a Preliminary Ruling, in Il diritto dell’Unione europea, n. 3, 2015, p. 589.
[13] In tal senso, v. R. Mastroianni, Il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia tra tutela dei diritti e tenuta del sistema, in I Post di AISDUE, III, 2021, p. 1.
[14] La letteratura sul rinvio è sconfinata: senza pretese di esaustività, v. P. Pescatore, Le renvoi préjudiciel: l’évolution du système, in AA. VV., 1952-2002: cinquantième anniversaire de la Cour de justice des Communautés européennes, Luxembourg, 2003, p. 17; B. Nascimbene, Il giudice nazionale e il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, n. 6, 2009, p. 1675; M. Condinanzi, R. Mastroianni, Il contenzioso dell’Unione europea, Torino, 2009, p. 186; A. Barav, Études sur le renvoi préjudiciel dans le droit de l’Union européenne, Bruxelles, 2011; R. Conti, Il rinvio pregiudiziale alla Corte UE: risorsa, problema e principio fondamentale di cooperazione al servizio di una nomofilachia europea, 2014, in cortedicassazione.it.; F. Jacobs, Le renvoi préjudiciel devant la Cour de justice: un modèle pour d’autres systèmes transnationaux?, in AA. VV., La Cour de justice de l’Union européenne sous la présidence de Vassilios Skouris (2003-2015): liber amicorum Vassilios Skouris, Bruxelles, 2015, p. 271; J. P. Jacqué, Actualité du renvoi préjudiciel, in Revue trimestrielle de droit européen, n. 4, 2018, p. 707; J. Malenovský, Le renvoi préjudiciel perçu par trois cours “souveraines”, in Journal de droit européen, n. 200, 2013, p. 214; A. Tizzano, Le renvoi préjudiciel et la pratiques des juges italiens, in P. Paschalidis, J. Wildemeersch (sous la direction de), L’Europe au présent!: liber amicorum Melchior Wathelet, Bruxelles, 2018, p. 703; J. L. Da Cruz Vilaça, De l’interprétation uniforme du droit de l’Union à la “sanctuarisation” du renvoi préjudiciel: étude d’une limite matérielle à la révision des traités, in AA. VV., Liber Amicorum Antonio Tizzano. De la Cour CECA à la Cour de l’Union: le long parcours de la justice européenne, Torino, 2018, p. 247; J. Pertek, Le renvoi préjudiciel: droit, liberté ou obligation de coopération des juridictions nationales avec la CJUE, II ed., Bruxelles, 2021. Sia inoltre consentito rinviare a F. Ferraro, C. Iannone (a cura di), Il rinvio pregiudiziale, Torino, 2020.
[15] In tal senso, v. le conclusioni dell’avv. gen. Capotorti, del 5 maggio 1977, 107/76, Hoffmann-La Roche, punto 7.
[16] Corte giust. 6 ottobre 1982, 283/81. Per un commento alla pronuncia, ex plurimis, v. G. Bebr, The Rambling Ghost of “Cohn-Bendit”: Acte Clair and the Court of Justice, in Common Market Law Review, vol. 20, n. 3, 1983, p. 439; N. Catalano, La pericolosa teoria dell’”atto chiaro”, in Giustizia civile, I, 1983, p. 12; M. Lagrange in Revue trimestrielle de droit européen, vol. 19, n. 1, 1983, p. 159; K. Lenaerts, La modulation de l’obligation de renvoi préjudiciel, in Cahiers de droit européen, 1983, p. 471; J.-C. Masclet, Vers la fin d’une controverse? La Cour de justice tempère l’obligation de renvoi préjudiciel en interprétation faite aux juridictions suprêmes (art. 177, alinéa 3, CEE), in Revue du Marché Commun, 1983, p. 363; A. Tizzano in Foro italiano, vol. 106, n. 3, 1983, p. 63. Cfr. anche i lavori di P. Craig, D. Edwards, D. Sarmiento e A. S. Sweet, in M. Poiares Maduro, L. Azoulai (eds.), The Past and Future of EU Law, Oxford, 2010.
[17] Corte giust. 6 ottobre 2021, C-561/19. Per un primo commento, cfr. G. Capria, Sull’obbligo di rinvio pregiudiziale (nota a CGUE, Grande Sezione, sentenza 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi SpA c. Rete Ferroviaria Italiana SpA in C-561/19), in questa Rivista, 15 ottobre 2021; . P. De Pasquale, Inespugnabile la roccaforte dei criteri CILFIT (causa C561/19), in BlogDue, 2021.
[18] M. Puglia, Finalità e oggetto del rinvio pregiudiziale, in F. Ferraro, C. Iannone (a cura di), op. cit., p. 1
[19] Nell’ordinamento italiano possono essere considerati organi giurisdizionali di ultima istanza la Corte di Cassazione, il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti (nei giudizi di appello). Si può ritenere che la Corte costituzionale abbia l’obbligo di sollevare una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia se adita in via principale, mentre vi sono opinioni discordanti in merito alla facoltà o all’obbligo della Corte costituzionale di sollevare un rinvio pregiudiziale se adita in via incidentale. Con riferimento a quest’ultimo profilo, in senso favorevole, cfr. F. Spitaleri, Facoltà e obbligo del rinvio pregiudiziale, in F. Ferraro, C. Iannone (a cura di), op. cit., p. 113.
[20] Cfr. le conclusioni dell’avv. gen. Tizzano alla causa Lyckeskog, cit., punto 57.
[21] Corte giust. 15 settembre 2005, C-495/03, Intermodal, punto 34.
[22] Sopra citata.
[23] Corte giust. 17 maggio 2001, C-340/99, TNT Traco, punto 35.
[24] Cfr. Corte giust. 27 giugno 2013, C-492/11, Di Donna; ord. 10 dicembre 2020, C-220/20, OO (Suspension de l’activité judiciaire), punto 26.
[25] Trattasi della c.d. questione “materialmente identica”: Corte giust. 27 marzo 1963, 28/62, 29/62 e 30/62, Da Costa, punti 5 e 6.
[26] Cilfit, sopra citata, punti 16 e 17; Corte giust. 9 settembre 2015, C-72/14, X, punto 58; 9 settembre 2015, C-160/14, Ferreira da Silva e Brito e a., punto 40.
[27] Nella letteratura, v. E. D’Alessandro, Intorno alla «Théorie de l’acte clair», in Giustizia civile, n. 11, 1997, p. 2882; D. Sarmiento, Las interpretaciones estratégicas del derecho comunitario y la crisis de la doctrina del acto claro, in Revista de la Facultad de Derecho de la Universidad de Granada, n. 9, 2006, p. 75; M. P. Broberg, Acte clair revisited : adapting the acte clair criteria to the demands of the times, in Common Market Law Review, vol. 45, n. 5, 2008, p. 1383; P. Pescatore, L’interprétation du droit communautaire et la doctrine de “l’acte clair”, in Id., Études de droit communautaire européen 1962-2007, Bruxelles, 2008, p. 355; N. Fenger, M. P. Broberg, Finding light in the darkness: on the actual application of the acte clair doctrine, in Yearbook of European Law, vol. 30, 2011, p. 180; H. Rasmussen, The European Court’s acte clair strategy in C.I.L.F.I.T., or, Acte clair, of course!: but what does it mean?, in European Law Review, vol. 40, n. 4, 2015, p. 475; J. Van Meerbeeck, Arrêt “Ferreira”: le renvoi préjudiciel des juridictions suprêmes en cas d’acte clair, in Journal de droit européen, n. 224, 2015, p. 398; A. Kornezov, The new format of the acte clair doctrine and its consequences, in Common Market Law Review, vol. 53, n. 5, 2016, p. 1317; F. Croci, Nuove riflessioni sull’obbligo di rinvio pregiudiziale interpretativo alla luce delle sentenze Ferreira da Silva e X, in Studi sull’integrazione europea, n. 2, 2017, p. 427.
[28] Cfr. M. Condinanzi, I giudici italiani «avverso le cui decisioni non possa porsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno» e il rinvio pregiudiziale, in Il diritto dell’Unione europea, n. 2, 2010, p. 295, spec. p. 323
[29] Cfr. le conclusioni dell’ avv. gen. Capotorti alla causa Hoffmann-La Roche, cit., punto 7. In tema, v. F. Pani, L’obbligo (flessibile) di rinvio pregiudiziale e i possibili fattori di un suo irrigidimento. Riflessioni in margine alla sentenza Association France Nature Environnement, in European Papers, vol. 2, n. 1, 2017, p. 384.
[30] Cilfit, sopra citata, punto 16.
[31] V. F. Spitaleri, op. cit., p. 127.
[32] Cfr. G. Tesauro (a cura di P. De Pasquale - F. Ferraro), Manuale di Diritto dell’Unione europea, Napoli, 2021, III ed., p. 275.
[33] Cfr. G. Martinico, L. Pierdominici, Rivedere CILFIT? Riflessioni giuscomparatistiche sulle conclusioni dell’avvocato generale Bobek nella causa Consorzio Italian management, in questa Rivista, 17 giugno 2021.
[34] Per l’applicazione della teoria dell’atto chiaro nella giurisprudenza francese, v. Conseil d’Etat, 22 dicembre 1978, n. 11604, Cohn-Bendit e 12 ottobre 1979, n. 8788, Syndicat des importateurs des vetements.
[35] G. Tesauro, Manuale di Diritto dell’Unione europea, cit., p. 465.
[36] Punto 134 delle conclusioni.
[37] Corte giust. 24 maggio 1977, C-107/76.
[38] Cfr. A. Tizzano, La tutela dei privati nei confronti degli Stati membri dell’Unione europea, in Foro italiano, n. 4, 1995, p. 13.
[39] Punto 26.
[40] R. Joliet, L’article 177 du traité CEE et le renvoi préjudiciel, in Rivista di diritto europeo, n. 3, 1991, p. 591, spec. p. 603.
[41] Punto 33.
[42] Punto 36. V. anche Corte giust. 4 novembre 1997, C‑337/95, Parfums Christian Dior, punto 29; 2 aprile 2009, C‑260/07, Pedro IV Servicios, punto 36.
[43] Punto 39.
[44] Cfr. le conclusioni dell’avv. gen. Jacobs, del 10 luglio 1997, C-338/95, Wiener, punto 65.
[45] Corte giust. 24 marzo 2021, C‑950/19, A, punto 37.
[46] Corte giust. 3 luglio 1986, 66/85, Lawrie-Blum, punto 14; 12 maggio 1998, C-85/96, Martinez Sala, punto 32; 27 giugno 1996, C-107/94, Asscher, punto 25.
[47] Corte giust. 23 aprile 1991, C-41/90, Höfner e Elser, punto 21; 10 gennaio 2006, C-222/04, Cassa di Risparmio di Firenze e a., punto 107; 27 aprile 2017, C‑516/15 P, Akzo Nobel e a./Commissione, punto 47.
[48] Corte giust. 30 giugno 1966, 61/65, Vaassen-Goebbels, punti 1-14; 17 ottobre 1989, 109/88, Danfoss; 17 settembre 1997, C-54/96, Dorsch Consult, punto 23.
[49] Corte giust. 28 luglio 2016, C‑379/15, Association France Nature Environnement, punto 49. Cfr. anche 17 aprile 2018, C‑414/16, Egenberger, punto 44 e giurisprudenza ivi citata.
[50] Spec. punto 51.
[51] Punto 52.
[52] Al riguardo, cfr. R. Mastroianni, Il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia tra tutela dei diritti e tenuta del sistema, cit., p. 6.
[53] Corte giust. 12 febbraio 2008, C-2/06, Kempter, punto 41.
[54] Corte giust. 6 ottobre 2015, C-508/14, T-Mobile Czech Republic e Vodafone Czech Republic, punto 29.
[55] Corte giust. 1° marzo 1972, 62/72, Bollmann, punto 4; 10 luglio 1997, C-261/95, Palmisani, punto 31; 16 dicembre 2008, C-210/06, Cartesio, punto 90; 21 luglio 2011, C-104/10, Kelly, punto 62.
[56] Sul tema, v. G. Tesauro, Sui vincoli del giudice nazionale prima e dopo il rinvio pregiudiziale, in federalismi.it, n. 6, 2020, p. 189.
[57] Corte giust. 15 aprile 2008, C-268/06, Impact, punti 44 e 45; 15 gennaio 2013, C-416/10, Križan e a., punto 85 ; 13 dicembre 2017, C-403/16, El Hassani, punto 26; 26 aprile 2018, C-81/17, Zabrus Siret, punto 38; 6 luglio 2020, C-224/19 e C-259/19, Caixabank e Banco Bilbao Vizcaya Argentaria, punto 83; 16 luglio 2020, C-424/19, UR (Assoggettamento degli avvocati all’IVA), punto 25; 10 marzo 2021, C‑949/19, Konsul Rzeczypospolitej Polskiej w N., punto 43; 3 giugno 2021, C-726/19, Instituto Madrileño de Investigación y Desarrollo Rural, Agrario y Alimentario, punto 47.
[58] Corte giust. 26 settembre 2018, C-180/17, Staatssecretaris van Veiligheid en justitie (effetto sospensivo dell’appello), punto 37 e seguenti; 9 settembre 2020, C-651/19, Commissaire général aux réfugiés e aux apatrides (Rigetto di una domanda ulteriore – Termine di ricorso), punto 36 e seguenti; 14 ottobre 2020, C-677/19, Valoris, punto 29; 3 giugno 2021, C-910/19, Bankia, punto 46.
[59] Corte giust. 19 dicembre 2019, C-752/18, Deutsche Umwelthilfe, punto 33; 14 maggio 2020, C-749/18, B e a. (Integrazione fiscale verticale e orizzontale), punto 69.
[60] Cfr., ex multis, Corte giust. 18 luglio 2013, C-136/12, Consiglio nazionale dei geologi e Autorità garante della concorrenza e del mercato, punti 32 e 33. Per un’affermazione recente, v. 6 ottobre 2020, C-511/18, C-512/18 e C-520/18, La Quadrature du Net e a., punto 215.
[61] Cass. 1° giugno 2006, n. 13065; Consiglio nazionale dei geologi, sopra citata, punto 36.
[62] Per una riflessione più ampia sulla disposizione, v. C. Iannone, Le ordinanze di irricevibilità dei rinvii pregiudiziali dei giudici italiani, in Il diritto dell’Unione europea, n. 2, 2018, p. 249.
[63] L. Terminiello, Le condizioni oggettive di ricevibilità del rinvio pregiudiziale, in F. Ferraro, C. Iannone, (a cura di), op. cit., p. 64.
[64] Ad esempio, nel caso di specie la Carta sociale europea esula dalla sfera di applicazione del diritto dell’Unione (Corte giust. 5 febbraio 2015, C‑117/14, Nisttahuz Poclava, punto 43).
[65] Avv. gen. Tizzano, conclusioni Lyckeskog, cit.
[66] P. De Pasquale, La (finta) rivoluzione dell’avvocato generale Bobek: i criteri CILFIT nelle conclusioni alla causa C-561/19), cit., p. 13.
[67] Da ultimo, si vedano due recenti sentenze del Tribunale costituzionale polacco - P 7/20 del 14 luglio 2021 e K 3/21 del 7 ottobre 2021 - le quali, rispettivamente, hanno dichiarato ultra vires un’ordinanza della Corte di giustizia e hanno ritenuto incompatibili con la Costituzione polacca le norme dei Trattati che permettono ai giudici interni di disapplicare le leggi nazionali in contrasto con il diritto dell’Unione.
[68] Cartesio, sopra citata, punto 94; 5 ottobre 2010, C-173/09, Elchinov, punto 26 e seguenti; 15 gennaio 2013, C-416/10, Križan e a., punto 69. A proposito dell’ordinamento italiano, la Corte ha ritenuto l’art. 99, 3° comma, c.p.a. incompatibile con l’art. 267 TFUE nella misura in cui obbligava una sezione di un organo giurisdizionale di ultima istanza (nella fattispecie, il Consiglio di Stato), che non condivideva l’orientamento definito da una decisione dell’adunanza plenaria di tale organo, a deferire la questione all’adunanza plenaria senza consentirgli di richiedere direttamente l’intervento della Corte tramite una domanda di pronuncia pregiudiziale (5 aprile 2016, C-689/13, Puligienica).
[69] V. ad es., TAR Puglia-Lecce, sez. I, sentenza del 18 novembre 2020, n. 1321, pubblicata il 27 novembre 2020, il quale afferma che in assenza del potere dell’amministrazione e, per essa, del funzionario o del dirigente proposto di rivolgersi alla Corte di giustizia e alla Corte costituzionale, tale organo dello Stato non può applicare direttamente la disposizione dell’Unione provvista di effetto diretto, ma è tenuto ad osservare la norma di legge interna nonché ad adottare provvedimenti conformi e coerenti con la norma di legge nazionale.
[70] Cfr. M. P. Chiti, Il rinvio pregiudiziale e l’intreccio tra diritto processuale nazionale ed europeo: come custodire i custodi dagli abusi del diritto di difesa?, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, n. 5, 2012, p. 745; G. Tulumello, Sui presupposti dell’obbligatorietà del rinvio pregiudiziale per i giudici nazionali di ultima istanza: segnali (convergenti) di un’esigenza di ripensamento della giurisprudenza Cilfit, in giustizia-amministrativa.it, 28 settembre 2021.
[71] Corte giust. 30 settembre 2003, C-224/01, Köbler, punto 53. V. anche 9 dicembre 2003, C-129/00, Commissione/Italia.
[72] Questo orientamento è stato recepito nel nostro ordinamento dalla legge 27 febbraio 2015, n. 18, che ha introdotto l’art. 2, par. 3-bis, nella legge sulla responsabilità civile dei magistrati (legge 13 aprile 1988, n. 117), imponendo di tener conto della mancata osservanza dell’obbligo di rinvio nell’ambito della valutazione della violazione manifesta. È il caso di ricordare che per ottenere il risarcimento dei danni si deve dimostrare non solo la violazione sufficientemente qualificata del diritto dell’Unione, da intendere come violazione manifesta (e grave), bensì anche che la norma violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli e che sussista un nesso di causalità tra la violazione e il danno.
[73] Corte giust. 5 marzo 1996, C-46/93 e C-48/93, Brasserie du pêcheur e Factortame, punto 57.
[74] Conclusioni dell’avvocato generale Hogan alla causa Randstad Italia, cit., punto 82.
[75] Al riguardo, sia consentito rinviare a F. Ferraro, Le conseguenze derivanti dalla violazione dell’obbligo di rinvio, in F. Ferraro, C. Iannone (a cura di), op. cit., p. 139.