Sommario: 1. L’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa e la “graduabilità in via generale” - 2. La sentenza della Corte costituzionale n. 132 del 2024: il “monito di politica legislativa” ... in itinere - 3. Il principio del risultato e l’asserito modello del Codice dei contratti pubblici per tipizzare la colpa grave - 4. La underdeterrence è l’unica via per rafforzare la capacità amministrativa?
1. L’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa e la “graduabilità in via generale”
L’introduzione in via legislativa del c.d. “scudo erariale” e la sua ripetuta proroga[1], con la limitazione della responsabilità amministrativa al solo dolo per le condotte commissive, rievoca alcune questioni dibattute allorquando il legislatore, nel 1996, limitò alla colpa grave la medesima responsabilità (allora anche per condotte omissive).
Già in quel momento, come noto, la limitazione dell’elemento soggettivo rilevante fu censurata dalla Corte dei conti alla Corte costituzionale, ma venne da questa ritenuta costituzionalmente legittima con motivazione dal sapore attuale. Nel 1998 il professor Casetta commentò con un titolo estremamente pungente la sentenza di rigetto della Corte costituzionale n. 371 del 1998[2]: “Colpa del dipendente pubblico o colpa del legislatore?”[3].
Tutti conoscono quale fosse il punto cruciale di quella sentenza, che auspicava un assetto normativo nel quale il timore della responsabilità del funzionario non disponesse l’amministrazione pubblica all’inerzia. Pare tuttavia opportuno rileggere l’apparato argomentativo per valutare se sia applicabile al contesto dello scudo erariale: “Il punto è la combinazione di elementi restitutori e di deterrenza per raggiungere l’equilibrio che renda la prospettiva della responsabilità ragione di stimolo e non di disincentivo”[4]. Si tratta di una evidente forzatura lessicale, solo ove si consideri la difficoltà che la responsabilità amministrativa possa costituire uno stimolo. Non è certo la responsabilità che funge da stimolo ma è la configurazione di un adeguato status giuridico del dipendente pubblico, in via normativa e amministrativa, a stimolarne l’azione legittima e efficiente.
A parte l’infelice formulazione, i motivi del rigetto della questione di legittimità costituzionale allora sollevata sono illuminanti e meritano riflessione, soprattutto in relazione alla questione recentemente scrutinata dalla Corte costituzionale. Sintetizzando, la disciplina legislativa censurata non avrebbe violato l’art. 97 Cost. poiché la discrezionalità del legislatore non è censurabile “se non quando è arbitraria o irragionevole”. In questo caso, la Corte, invero in modo sbrigativo, ritenne che quell’“upgrade” dell’elemento soggettivo (dalla colpa alla colpa grave) non fosse né irragionevole né arbitrario, nella ricerca di quell’agognato equilibrio tra stimolo e disincentivo per il funzionario pubblico[5].
Non c'era violazione dell’art. 103 della Costituzione, poiché la materia della contabilità pubblica è definita dalla legge e, quindi, è la razionalità del legislatore, con la sua discrezionalità, a definire il perimetro entro il quale giudica la Corte dei conti. Non era inoltre ravvisato un nesso diretto tra la disciplina censurata e gli adempimenti degli obblighi sovranazionali (all’epoca si trattava del rispetto dei parametri di Maastricht), nonostante il giudice a quo avesse sostenuto una violazione del diritto (allora) comunitario, ridondante in violazione dell’art. 81 Cost.
Ma il professor Casetta, con la sua nota caustica, criticava l’intero sistema ordinamentale che aveva condotto a quella scelta legislativa. Criticava in primis la stessa formulazione dell’art. 28 della Costituzione, poi il legislatore successivo, la Corte dei conti come giudice a quo nella formulazione della rimessione, e infine la sentenza della Corte costituzionale, con diverse sfumature di riprensione[6].
Riguardo all’art. 28 Cost., sulla scorta dei propri importanti studi[7], affermava che i lavori preparatori erano confusi e certamente non illuminanti, frutto di un difetto di redazione lessicale. Riguardo alle leggi successive, come il Testo Unico n. 3 del 1957 e il decreto sulla privatizzazione del pubblico impiego, il legislatore “ha creduto di intervenire con una limitazione della responsabilità, illusoria e inutile, fondatamente sospetta di incostituzionalità”. Sulla Corte dei conti in funzione di giudice a quo, considerava le censure formulate fragili e poco penetranti, tanto da agevolare il rigetto delle questioni mediante una semplice riaffermazione della discrezionalità del legislatore[8].
Infine, riguardo alla Corte costituzionale, il professor Casetta riteneva che il rigetto della questione di legittimità costituzionale fosse costruito su presupposti errati, poiché la discrezionalità del legislatore era arbitraria per avere “rovinato” la visione unitaria, di matrice civilistica, della natura risarcitoria comune alla responsabilità civile e a quella amministrativa.
Riportando l’osservazione del professor Casetta ai giorni nostri, riguardo allo scudo erariale e alla limitazione di responsabilità di cui si è ampiamente discusso, si possono notare differenze notevoli rispetto al precedente “upgrade” normativo dell’elemento soggettivo.
Le censure sollevate riguardo alla proroga dello “scudo erariale” dalla Sezione giurisdizionale campana della Corte dei conti hanno delineato profili d’incostituzionalità senz’altro nuovi, alcuni dei quali, ad avviso di chi scrive, non sono stati adeguatamente esaminati dalla Corte costituzionale, come si noterà a breve.
Rispetto alla “paura della firma”, alla “burocrazia difensiva”, alla “fatica dell’amministrare” e alle diverse formulazioni entrate vigorosamente nel lessico giuridico[9], la limitazione emergenziale della responsabilità amministrativa è divenuta in questi ultimi anni ordinaria, giustificando, ben oltre le ragioni del suo esordio, la corrispondente limitazione dei poteri requirenti e giurisdizionali della Corte dei conti.
Anche la recente pronuncia della Corte costituzionale n. 132 del 2024, con la sua inedita vis propulsiva, suggerisce al legislatore rimedi di diritto sostanziale, appunto intesi a ridisegnare i confini della responsabilità amministrativa, e rimedi di natura ordinamentale e processuale, che interessano le funzioni giurisdizionali della Corte dei conti[10].
Come ricorda il Professor Carlo Emanuele Gallo nel Manuale di contabilità pubblica, tuttavia, la Corte dei conti ha sempre valutato il regime della responsabilità amministrativa con estrema attenzione alle esigenze della pubblica amministrazione, preoccupandosi più di affermare i principi di correttezza nella gestione che di sanzionare gli agenti[11]. Questo è l’orientamento della giurisprudenza contabile, come del resto testimoniano le relazioni di inaugurazione degli anni giudiziari e le relative appendici statistiche.
Piuttosto, citando di nuovo il professor Gallo, “è il legislatore che, talora, sbaglia” perché “prevede sanzioni incredibili, decine di volte maggiori rispetto al danno perpetrato”, oppure “introduce incoerenze, come il danno di immagine”. Le citazioni a riguardo sono numerose. Ad esempio, il caso della “medicina difensiva”, parallelo a quello della “burocrazia difensiva”, dimostra che i rimedi alla “paura” del personale esistono, non limitandosi alla copertura dei rischi mediante la stipulazione di polizze assicurative. Sappiamo benissimo che la legge n. 24 del 2017, c.d. legge Gelli-Bianco, in tale ambito, prevede altri efficaci rimedi, per esempio già prevede l’esonero di responsabilità in caso di conformità della condotta alle linee guida e le buone pratiche clinico-assistenziali, tra gli altri strumenti[12].
La visione unitaria dell'art. 28 della Costituzione è stata frantumata, come affermava il professor Casetta, da quando la responsabilità amministrativa si è disallineata rispetto alla responsabilità civile, sotto il profilo dell'elemento soggettivo. Questo processo ha incrinato l’unitarietà, già debole, del modello di responsabilità discendente dalla laconica disciplina costituzionale.
La questione di fondo riguarda l’individuabilità di limiti a questa gradualità generale dell’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa; in altri termini dove si arresta la discrezionalità del legislatore e da quale punto essa diventi arbitraria e contraria ai principi costituzionali, nella diuturna ricerca dell’ottimale combinazione tra elementi restitutori e di deterrenza propri dell’istituto.
Se il modello di partenza è l’art. 28 Cost., va ricordato che la stessa previsione costituzionale ha occasionato letture profondamente divergenti: Carlo Esposito, nel 1954, riteneva addirittura che la Costituzione limitasse la responsabilità al solo dolo, poiché si riferiva ad atti compiuti in lesione di diritti[13]. Elio Casetta, invece, sosteneva che l’ampia discrezionalità legislativa avrebbe vanificato la Costituzione, portando a estremi problematici, come nel caso della responsabilità civile dei magistrati, ridotta “a essere quasi soltanto simbolica, nella dimensione dell'elemento soggettivo, quando nulla impediva di mantenere la colpa lieve” (Regio decreto di contabilità pubblica n. 2440 del 1923).
Da ultimo, il Codice dei contratti pubblici di cui al d. lgs. n. 36 del 2023, all’art. 2, comma 3, distingue la colpa grave generica dalla colpa lieve, che invece è specifica. Il profilo colposo si manifesta per violazione di norme di diritto o di autolimiti dell’amministrazione (qui abbiamo un profilo di colpa lieve specifica), oppure per palese violazione di regole di prudenza, diligenza e perizia. In questo caso, il termine “palese” suggerisce una violazione macroscopica, riferibile alla colpa grave. Con una previsione degna di sistemi giuridici di Common Law, la stessa disposizione esclude poi dalla colpa grave “la violazione o l’omissione determinata dal riferimento a indirizzi giurisprudenziali prevalenti o a pareri delle autorità competenti”. In disparte la ottimistica fiducia riposta nella formazione di giurisprudenza omogenea su temi complessi e verso l’armonia tra giurisprudenza e orientamenti delle autorità di vigilanza, questa formulazione non pare tipizzare la colpa grave, come per contro si sostiene nelle proposte normative di riforma della responsabilità amministrativa, che la assumono come modello di riferimento, anche alla luce del monito rivolto al legislatore dalla Corte costituzionale.
Provando a riprendere il pensiero del professor Casetta e ad applicarlo al contesto attuale rispetto alla pronuncia della Corte costituzionale del 1998, sorgono diverse domande e questioni, che si ritiene solo in parte siano state affrontate dallo stesso giudice delle leggi con la sentenza n. 132 del 2024. Partendo dal caso pratico, sorge spontaneo chiedersi perché lo “stimolo” di cui già allora parlava la sentenza della Corte costituzionale debba essere rivolto al progettista e non al collaudatore di un’opera pubblica e dove risieda la ragionevolezza della distinzione. Perché lo stimolo, e non il disincentivo, deve riguardare chi progetta e non chi collauda, in ragione della condotta attiva o omissiva? A chi scrive la stessa distinzione pare macroscopicamente viziata, ma la censura che originava dal giudizio a quo era riferita a condotte non inequivocamente riconducibili alla criticata contrapposizione azione/omissione, così consentendo alla Corte costituzionale di sfumare il proprio giudizio su tale punto nodale[14].
Per quanto riguarda l’art. 103 della Costituzione e l’ambito della giurisdizione contabile, sembrava che la questione non potesse essere liquidata in poche righe, come avvenne nel 1998, specie richiamando la giurisprudenza costituzionale che ha ripetutamente riconosciuto la funzione del giudice contabile come giudice naturale del bilancio e della contabilità pubblica. La Corte costituzionale, replicando il proprio originario orientamento, ha tuttavia ritenuto che la disciplina degli elementi della responsabilità amministrativa riguardi il solo diritto sostanziale, escludendo un correlato vulnus alla giurisdizione contabile[15]. L’affermazione stupisce, specie considerando il lungo monito che la stessa Corte costituzionale formula al legislatore, che riguarda congiuntamente profili di diritto sostanziale e di diritto processuale, destinati a incidere profondamente sull’ambito della giurisdizione della Corte dei conti. Lo stesso Presidente della Corte dei conti, nella relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario 2025 ha sollecitato una attenta ponderazione riguardo alle conseguenze di eventuali limitazioni della responsabilità erariale, con “riduzione dello spazio della giurisdizione contabile”, che condurrebbero l’attività dannosa del pubblico funzionario nel più generale alveo dell’illecito[16] civile, con assoggettamento allo statuto generale della relativa responsabilità, certamente meno attenta alla “fatica dell’amministrare”.
Riesce davvero difficile disgiungere il riassetto della responsabilità amministrativa dalle conseguenze processuali indotte, in primo luogo riguardo agli effetti sulla giurisdizione contabile e ai rapporti tra quest’ultima e la giurisdizione ordinaria.
Il riferimento corre alla proposta di legge Foti (C-1621), presentata il 19 dicembre 2023, che nella sua versione originaria avrebbe sostanzialmente snaturato la Corte dei conti, rendendola un organo consultivo, financo consulenziale[17], per le amministrazioni statali con grave rischio di violare il divieto di co-amministrazione[18]. Gravissimo, poi, a parere di chi scrive, prevedere l’istituto del silenzio-assenso riguardo al rilascio dei medesimi pareri: un errore molto grave, indice della natura amministrativa e, per l’effetto, della funzione di co-amministrazione che verrebbe intestata alla stessa Corte, dimenticando la sua posizione nell’assetto costituzionale[19]. Ancora più anomala l’originaria previsione, ad opera della stessa proposta di legge, dell’attribuzione alla Corte dei conti di poteri sanzionatori nei confronti dei dipendenti quali la sospensione o destituzione dei dipendenti in caso di responsabilità amministrativa, che renderebbe la Corte dei conti una sorta di ufficio disciplinare esterno o la assimilerebbe ad una Authority, nuovamente in ispregio alla sua collocazione costituzionale[20]. Tutto il progetto di legge aumenta del resto il rischio di accentuare i profili sanzionatori della responsabilità amministrativo-contabile, allontanandosi dalla sua “natura risarcitoria di fondo”[21].
La relazione di accompagnamento alla richiamata proposta invoca a sostegno delle sue previsioni un effetto “tranquillizzante” per i funzionari pubblici, che lavorerebbero senza preoccupazioni grazie alla copertura assicurativa per la colpa grave, eliminando così le conseguenze di responsabilità amministrativa e contabile, previa funzione consultiva della Corte dei conti. Tuttavia, questa prospettiva condurrebbe a funzionari “anestetizzati” che operano senza il giusto stimolo a causa dell’indotto effetto deresponsabilizzante. Non si ritiene che sia questa la ragionevole misura tra “overdeterrence” e “underdeterrence” invocata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 132 del 2024[22].
Citando il professor Rosario Ferrara, si può osservare la tendenza preoccupante del legislatore, già lamentata nel 1999, verso la disciplina di “un’amministrazione senza qualità, un’amministrazione deresponsabilizzata”[23]. Tale approccio disvela una sfiducia evidente, molto marcata, nella dirigenza e nell’apparato apicale delle pubbliche amministrazioni, con il rischio che anche il legislatore, procedendo in questo modo, violi il principio di fiducia (verso l’apparato amministrativo).
2. La sentenza della Corte costituzionale n. 132 del 2024: il “monito di politica legislativa” ... in itinere
La richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 132 del 2024 è già stata ampiamente e diffusamente commentata e a tali commenti si può fare un generale rinvio[24].
Si intendono tuttavia aggiungere alcune riflessioni, riferite alla forma della pronuncia, alla sua classificazione e ad alcuni paradossi che il futuro legislatore sarà tenuto ad affrontare e, auspicabilmente, a risolvere per effetto dell’articolato monito in essa contenuto[25].
Iniziando dalla forma, riferita alla redazione lessicale e allo sviluppo argomentativo, si può agevolmente constatare l’utilizzo di espressioni forzatamente evocative e poco tecniche. Se ne richiamano alcune, che ben rendono l’idea: “la spinta della macchina amministrativa”, “rimettere in movimento il motore dell’economia”, “i tasselli principali”, “la testata d’angolo” et similia. È evidente l’intento della Corte di concentrare l’attenzione, come ribadito in diversi passaggi, sul risultato della ripresa dell’economia, che non può essere ostacolato da un’amministrazione pubblica “difensiva” (termine invero abusato), ostaggio di una legislazione complessa e di una amministrazione non pronta a farsene carico.
Il ragionamento complessivo è icasticamente ispirato al principio del risultato, che è divenuto centrale dopo la sua positivizzazione nel Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 36 del 2023.
Il sillogismo che origina dall’applicazione del principio del risultato è, tuttavia, non obbligato nella direzione segnata, o auspicata, dalla stessa pronuncia della Corte.
La “amministrazione di risultato” è richiamata più volte: al punto 6.2, al punto 6.4 con riferimento al Codice dei contratti pubblici e, infine, al punto 11 che, come noto, contiene una sorta di “monito di politica legislativa” (per riprendere una felice espressione dottrinale[26]) verso la riscrittura della disciplina della responsabilità amministrativa.
Di solito, tuttavia, le sentenze monito sollecitano il legislatore ad attivarsi ex novo e non recepiscono spunti da un’attività legislativa in itinere e in fase avanzata di analisi parlamentare, ancorché le tecniche monitorie del giudice delle leggi siano progressivamente mutate nel tempo[27].
3. Il principio del risultato e l’asserito modello del Codice dei contratti pubblici per tipizzare la colpa grave
Chi scrive ha appena consegnato alle stampe un lavoro che approfondisce l’effetto del principio del risultato riguardo all’ambito del sindacato giurisdizionale amministrativo[28]: da tale studio si coglie un effetto divergente nell’applicazione del medesimo principio riguardo all’altro plesso di giurisdizione speciale.
In altri termini, i giudici amministrativi, in applicazione del principio del risultato[29], stanno ampliando l’ambito della propria cognizione, attraendo nel giudizio di legittimità spazi che dapprima erano confinati nel merito amministrativo: il Consiglio di Stato replica ormai con convinzione la stessa massima[30].
Il sindacato del giudice amministrativo si irradia inoltre sulla intera “operazione amministrativa”[31]. Questo ampliamento del sindacato è consentaneo alla “individuazione della regola per il caso concreto” che grava sull’amministrazione, come ribadito dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 132 del 2024, cit., che richiama l’art. 1, co. 4, del Codice contratti e la riduzione della quota di rischio a carico del dipendente. Il richiamo implicito è alla classica teoria della “discrezionalità in azione” di Vittorio Ottaviano, che affidava appunto all’amministrazione la creazione della regola per il caso concreto[32].
A questo punto, tuttavia, ad avviso di chi scrive, il sillogismo ipotizzato dal giudice delle leggi non mantiene più una univoca coerenza: si ricorda, infatti, che lo stesso Codice dei contratti mira a “favorire e valorizzare l’iniziativa e l’autonomia decisionale dei dipendenti” (art. 2, co. 2): come si può sostenere che l’autonomia decisionale sia garantita, a rime obbligate, da una disciplina che comporti un sostanziale e significativo sgravio di responsabilità? Si riconosce autonomia decisionale solo senza responsabilità o con forti limitazioni di responsabilità? Forse sì, ma solo in un contesto economico e sociale “peculiarissimo”, utilizzando lo stesso superlativo assoluto speso dalla Corte costituzionale[33].
Il modello richiamato dalla Corte costituzionale è il Codice dei contratti pubblici, che sarebbe da seguire secondo due direttrici: la (asserita) tipizzazione della colpa grave; l’introduzione delle polizze assicurative per i rischi del personale, secondo un modello che si è visto non esaurisce i rimedi introdotti per fronteggiare la c.d. “medicina difensiva”.
Qui la Corte costituzionale forse chiede troppo: ammette che la colpa grave è un “concetto giuridico indeterminato” (punto 6.5 in diritto) ma pretende che venga tipizzata. Ad avviso di chi scrive, non è certo una tipizzazione esemplare quella introdotta dal Codice dei contratti, che utilizza la classica distinzione tra colpa generica e colpa specifica senza aggiungere elementi utili a delineare le fattispecie rilevanti. È una contraddizione rendere determinato un concetto giuridico indeterminato, peraltro affidandosi allo stesso legislatore che viene ripetutamente criticato quale principale fonte dell’inefficienza amministrativa (punto 6.5, specificamente sulla “fame di norme”). Né è affidabile il riferimento agli indirizzi giurisprudenziali “prevalenti”, specie nella magmatica materia dei contratti pubblici.
Invocare la tipizzazione delle condotte è inoltre in palese controtendenza rispetto ad un generale processo di “fuga dalla fattispecie” che caratterizza irreversibilmente l’intero sistema giuridico[34].
L’effetto del principio del risultato in sede di giurisdizione amministrativa consente al giudice di sindacare riguardo a scelte di merito, estese a tutta l’operazione amministrativa (nozione ben più estesa rispetto al procedimento, come noto). In tal modo il giudice “intercetta” la volontà dell’amministrazione, anche dove non espressa, mediante il risultato, una sorta di “faro” che illumina atti e comportamenti amministrativi, e amplia di conseguenza anche i propri poteri di decisione, giungendo ad annullare atti amministrativi viziati per tali ragioni (non più di opportunità ma di legittimità).
È appena il caso di notare che siffatto modo di procedere, indotto dalla legislazione per principi, approda ad una affermazione contraria a quella che ispira lo stesso legislatore, perché poggia su una generale sfiducia verso la pubblica amministrazione (una “amministrazione senza qualità”, per dirla con R. Ferrara). L’iniziativa e autonomia decisionale del dipendente conduce paradossalmente ad un maggior controllo giudiziale sugli atti e ad un ampliato esito di annullamento delle decisioni amministrative.
4. La underdeterrence è l’unica via per rafforzare la capacità amministrativa?
La ricerca legislativa di un equilibrio tra overdeterrence e underdeterrence riporta ai ragionamenti della sentenza della Corte costituzionale n. 371 del 1998, che già allora giustificava la lata discrezionalità del legislatore, con l’effetto della progressiva “rovina” della visione unitaria della responsabilità fondata sull’art. 28 Cost.
Il “polo dell’underdeterrence” è ritenuto “socialmente più accettabile” e, in prospettiva, pare destinato a consolidarsi, già solo per il “timore del riespandersi della burocrazia difensiva” (Corte cost., n. 132 del 2024, cit., punto 11 in diritto).
Questo processo di upgrade dell’elemento soggettivo rilevante non pare dunque arrestarsi, e viene assunto come unica soluzione percorribile, sia pure razionalizzata (escludendo a regime la limitazione generalizzata al solo dolo), senza approfondire le altre strade che condurrebbero a rafforzare la capacità amministrativa, mediante doverosi investimenti a favore dell’amministrazione e della formazione del suo personale.
Lo stesso Codice dei contratti pubblici, eretto a modello, sottolinea del resto il carattere della “esigibilità” delle condotte dell’agente pubblico “in base alle specifiche competenze e in relazione al caso concreto” (art. 2, co. 3, d. lgs. n. 36 del 2023, cit.).
A tacere di alcune risposte della Corte costituzionale che, ad avviso di chi scrive, non sono soddisfacenti né esaustive rispetto alle questioni poste dall’ordinanza di rimessione (si pensi alla ingiustificata distinzione tra condotte attive e omissive e al riferimento alle condotte materiali, affrontato sbrigativamente al punto 7 in diritto), si segnalano due paradossi indotti dal monito al legislatore:
1) Il riferimento all’operazione amministrativa (incluse le condotte materiali) consente un maggiore sindacato del giudice amministrativo e conduce all’annullamento di più atti amministrativi, ma fa punire di meno le condotte serventi, facendo gravare sulla collettività gli effetti pregiudizievoli dell’illegittimità. Non vi è quindi coincidenza tra “effetto tranquilizzante del dipendente” (leitmotiv della p.d.l. Foti, cit.) e legittimità del risultato amministrativo;
2) Se il risultato giustifica condotte viziate anche da colpa grave, esso produce un effetto disincentivante per il funzionario diligente[35].
Occorre infine ricordare che il principio del risultato, per espressa definizione normativa, costituisce attuazione del principio costituzionale del buon andamento ed è perseguito nell’interesse della comunità (art. 1, co. 3, d. lgs. n. 36 del 2023, cit.). Occorrerà dunque che il legislatore, nel rivisitare la disciplina della responsabilità amministrativa, corregga gli eccessi di underdeterrence gravanti sulla collettività, riportando, nell’esercizio della sua razionale discrezionalità, l’inquadramento dell’elemento soggettivo rilevante a conformità con il principio costituzionale di cui all’art. 97 Cost.
Il “peculiarissimo” periodo economico e sociale che ha generato lo “scudo erariale” è superato e un generale metus del funzionario pubblico non può essere tollerato in via generalizzata come fisiologico, a meno di offrire una lettura del principio di buon andamento dell’amministrazione che consenta di riversare sulla collettività le conseguenze di condotte dei funzionari anche gravemente colpose (non sempre, ma in casi tipizzati). Ciò comporta una riparametrazione dell’“interesse della collettività”, che sarebbe soddisfatto anche gravando su di essa il rischio della colpa grave del funzionario, sulla presunzione che l’amministrazione procederebbe complessivamente in modo più celere ed efficiente.
La collettività, in altri termini, beneficerebbe dell’effetto tranquillizzante garantito al funzionario perché l’amministrazione sarebbe, per l’effetto, più performante. Una lettura che non convince in via assoluta, non essendo dimostrato che questa sia la soluzione “socialmente più accettabile”, come per contro perentoriamente asserito dalla Corte costituzionale.
La tipizzazione delle condotte rilevanti per la responsabilità amministrativa richiede in primo luogo una decisa semplificazione normativa, accompagnata da un correlato e consentaneo “adeguamento” della funzione requirente della Corte dei conti: allorquando la normazione è complessa, l’errore d’interpretazione (e di conseguente applicazione in via amministrativa) non può né deve essere inteso come grave negligenza e non può integrare il presupposto per l’azione erariale[36].
Il legislatore, in altri termini, deve non solo tipizzare le condotte (attività non semplice, come si è visto, ma sollecitata dalla Corte costituzionale) ma deve anche, e soprattutto, semplificare e razionalizzare la disciplina normativa per l’attività delle pubbliche amministrazioni. La Corte dei conti, fin dall’azione requirente, deve continuare ad affermare i principi di correttezza nella gestione delle risorse pubbliche, soppesando e dimensionando adeguatamente la gravità della colpa del soggetto agente “in un quadro normativo multilivello caotico e con risorse non sempre adeguate al fabbisogno”[37]. In questo prospettato quadro di riforma, anche la parziale tipizzazione del potere riduttivo dell’addebito del giudice contabile, non sempre adeguatamente utilizzato[38], può ridurre il denunciato effetto disincentivante per l’azione amministrativa[39].
[1] Art. 21, comma 2, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale), convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120, ai sensi del quale «limitatamente ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 30 giugno 2024, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità di cui all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta. La limitazione di responsabilità prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente». Il termine è stato ripetutamente prorogato, da ultimo fino al 30 aprile 2025 (art. 1, co. 9, d.l. 27 dicembre 2024, n. 202, convertito con legge 21 febbraio 2025, n. 15, recante “Disposizioni urgenti in materia di termini normativi”).
[2] Corte cost., sent. 20 novembre 1998, n. 371, Pres. Vassalli, Redattore Vari.
[3] E. Casetta, Colpa del dipendente pubblico o colpa del legislatore?, in Giur. cost., 1998, 3257 ss.
[4] Corte cost., n. 371 del 1998, cit., punto 6 in diritto.
[5] Il termine “upgrade”, riferito alla diversa qualificazione dell’elemento soggettivo, è stato utilizzato da G. Morbidelli nella Relazione al convegno “La responsabilità per gli illeciti degli enti pubblici”, Università di Torino, 21 marzo 2024.
[6] E. Casetta, Colpa del dipendente pubblico o colpa del legislatore?, op. e loc. cit., ed ivi il riferimento a un “(provvisorio?) epilogo” alla “tormentata vicenda dell’istituto della responsabilità dei dipendenti e funzionari pubblici”.
[7] E. Casetta, L’illecito degli enti pubblici, Torino, 1953, spec. 240 ss.
[8] E. Casetta, op. e loc. ult. cit.
[9] Addirittura, nella Relazione di accompagnamento alla p.d.l. AC 1621 “Foti”, di cui infra nel testo, si ostenta l’improponibile termine “firmite”.
[10] Corte cost., sentenza 17 luglio 2024, n. 132, Pres. Barbera, Red. Pitruzzella, specie punto 11 in diritto.
[11] C.E. Gallo, La responsabilità amministrativa e contabile e la giurisdizione, in AA.VV., Contabilità di Stato e degli enti pubblici, Torino, VIII ed., 2018, 207 ss.
[12] Al riguardo si vedano gli ampi riferimenti giurisprudenziali contenuti nella relazione di P. Silvestri, Procuratore generale della Corte dei conti all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2024, ed ivi in particolare, la parte curata dalla V.P.G., C. Vetro, La responsabilità medica nel giudizio innanzi alla Corte dei conti, 35 ss.; nonché nella relazione all’inaugurazione all’anno giudiziario 2025, ed ivi F. Cerioni e G. Stolfi, 83 ss.
[13] C. Esposito, La responsabilità dei funzionari e dipendenti secondo la Costituzione, in La Costituzione italiana. Saggi, Padova, 1954, 103, richiamato da E. Casetta, op e loc. ult. cit.
[14] Corte cost. n. 132 del 2024, cit., punto 8 in diritto.
[15] Corte cost. n. 132 del 2024, cit., punto 10 in diritto.
[16] G. Carlino, Relazione alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2025, 12.
[17] In tali termini, Corte dei conti, SS.RR. in sede consultiva, Adunanza 28 ottobre 2024, Parere n. 3/2024 in merito alla pdl C n. 1621, 27.
[18] Cfr. d.d.l. recante “Modifiche alla legge 14 gennaio 1994, n. 20, al Codice della giustizia contabile, di cui all’allegato 1 al decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174, e altre disposizioni in materia di funzioni di controllo e consultive della Corte dei conti e di responsabilità per danno erariale” (atto camera 1621), sul quale si veda “La riforma della Corte dei conti: il DDL Foti”, in Dir. e conti, 30 settembre 2024. Analoga preoccupazione è espressa da M. Luciani, Appunti per l’audizione innanzi la I Commissione (Affari costituzionali) e la II Commissione (Giustizia) della Camera dei deputati, 29 luglio 2024.
[19] Si vedano al riguardo anche gli emendamenti, intesi ad espungere dal testo i riferimenti al silenzio-assenso, formulati dal Presidente della Corte dei conti alle Commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia della Camera dei deputati, Audizione del 4 febbraio 2025.
[20] Da ultimo, per una critica complessiva alla riforma, cfr. M.T. Polito, La riforma della Corte dei conti. Si smantellano le funzioni per valorizzare l’esimente relativa alla responsabilità erariale a danno dei cittadini, in Giustiziainsieme.it, 7 aprile 2025.
[21] Che invece è rimarcata proprio da Corte cost. n. 132 del 2024, cit., punto 5.2 in diritto.
[22] Punto 6.7 in diritto circa lo spostamento temporaneo della configurazione dell’elemento soggettivo verso il polo della underdeterrence.
[23] R. Ferrara, Le “complicazioni” della semplificazione amministrativa: verso un’amministrazione senza qualità?, in Dir. proc. amm., 1999, 2, 323 ss.
[24] V. Tenore, Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare: lo “scudo erariale” è legittimo perché temporaneo e teso ad alleviare “la fatica dell’amministrare”, che rende legittimo anche l’adottando progetto di legge Foti C1621, in Riv. Corte dei conti, 4/2024, 195 ss.; F.S. Marini, La sentenza n. 132 del 2024: la Corte costituzionale sperimenta nuove tecniche decisorie, in Riv. Corte dei conti, 4/2024; F. Cintioli, La sentenza della Corte costituzionale n. 132 del 2024: dalla responsabilità amministrativa per colpa grave al risultato amministrativo, in Federalismi, 19/2024; L. Balestra, Per un ripensamento della responsabilità erariale e, più in generale, delle funzioni della Corte dei conti, in Giur. It., ottobre 2024, 2166 ss.; A. Indelicato, Responsabilità e “scudo” erariale: retrospettive e prospettive dopo la rimessione alla Consulta, in Riv. Corte dei conti, 6/2023, 217 ss.; D. Palumbo, La sentenza della Corte costituzionale n. 132/2024: verso un nuovo punto di equilibrio nella ripartizione del rischio tra la P.A. e l’agente pubblico?, in Giustizia Insieme, 18 novembre 2024.
[25] Sul punto, già S. Foà, Relazione all’Incontro dibattito “Prospettive della responsabilità per colpa grave dopo la sentenza n. 132/2024 della Corte costituzionale” presso la Scuola di alta formazione “Francesco Staderini”, Corte dei conti, Roma, 16 gennaio 2025.
[26] G. Zagrebelsky, V. Marcenò, Giustizia Costituzionale, Vol. II, Bologna, 2018, 253 ss.
[27] Per un’analisi del mutamento delle tecniche monitorie, cfr. da ultimo E. Cocchiara, L’ evoluzione dei moniti della Corte costituzionale al legislatore: un bilancio a settant’anni dalla L. 87 del 1953, in La Rivista del Gruppo di Pisa, n. 3/2023, 1 ss.
[28] S. Foà (a cura di), Il nuovo merito amministrativo, Torino, 2025.
[29] Tra gli ormai abbondanti contributi sul principio del risultato, si vedano M.R. Spasiano, Codificazione di principi e rilevanza del risultato, in C. Contessa, P. Del Vecchio, Codice dei contratti pubblici, Napoli, 2023, 49 ss.; S. Vaccari, Principio del risultato e legalità amministrativa, ambiguità della “lex specialis” di gara ed interpretazione logico-sistematica, in Giorn. dir. amm., 5, 2024, 669 ss. Sulla nozione di “amministrazione di risultato”, L. Iannotta, Merito, discrezionalità e risultato nelle decisioni amministrative (l’arte di amministrare), in Dir. proc. amm., 1, 2005, 10 ss.
[30] Cons. Stato, Sez. III, 26 marzo 2024, n. 2866, punto 6.4. La massima giurisprudenziale riecheggia ipotesi di eclissi del merito e relativa attrazione nell’area della legittimità: cfr. B. Giliberti, Il merito amministrativo, Padova, 2013, 280; oggi S. Foà, Il nuovo merito amministrativo, op. ult. cit.
[31] Cons. Stato, Sez. IV, 24 aprile 2024, n. 3738; Id., Sez. V, 12 gennaio 2023, n. 431. Sulla nozione di operazione amministrativa, cfr. D. D’Orsogna, Contributo allo studio dell’operazione amministrativa, Napoli, 2005, passim, ed ivi la superata contrapposizione con la nozione di procedimento amministrativo, a partire dalle riflessioni di A.M. Sandulli, Il procedimento amministrativo, Milano, 1940, passim, ma spec. 35 ss.
[32] V. Ottaviano, Studi sul merito degli atti amministrativi, in Annuario dir. comp. e studi legislativi, Serie III, 1948.
[33] Corte cost., n. 132 del 2024, cit., punto 6.7 in diritto.
[34] N. Irti, La crisi della fattispecie, in Riv. dir. proc., 2014, 1, 36 ss., ed ivi l’affermazione secondo cui il valore “non ha bisogno di fattispecie, di una qualche figura o descrizione di fatti, poiché vale in sé, e si applica dovunque sia invocato e preteso”; G. Corso, Tra legge e fattispecie: la prospettiva del diritto amministrativo, in Ars interpretandi, 2019, fasc. 1, 71 ss.
[35] In tal senso anche la Relazione del Procuratore generale della Corte dei conti P. Silvestri all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2024.
[36] La stessa posizione è espressa da M. Luciani, Appunti per l’audizione innanzi la I Commissione (Affari costituzionali) e la II Commissione (Giustizia) della Camera dei deputati, 29 luglio 2024, 5 ss.
[37] In tali termini la Relazione del Procuratore generale P. Silvestri all’inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte dei conti 2025, 5.
[38] In tal senso, cfr. C.E. Gallo, La responsabilità amministrativa e contabile e la giurisdizione, in AA.VV., Contabilità di Stato e degli enti pubblici, Torino, VIII ed., 2018, 241 ss., spec. 243, ed ivi la critica all’atteggiamento più recente del giudice contabile, che conduce ad esercitare raramente il potere riduttivo e ad applicarlo in percentuali modeste.
[39] Sia pure entro i limiti invocati dalla stessa Corte dei conti: cfr. Corte dei conti, SS.RR. in sede consultiva, Adunanza 28 ottobre 2024, Parere n. 3/2024 in merito alla pdl C n. 1621, ove si legge: “Se, in linea di massima, si può concordare sull’opportunità di riconsiderare la disciplina dell’esercizio del potere riduttivo dell’addebito, ampliando la dovuta motivazione del Giudice anche su questo profilo, la sostanziale introduzione di un tetto alla responsabilità pone una serie di criticità, tali da ritenere necessario un ripensamento, almeno rispetto alla formulazione così come prospettata. In primo luogo, la stessa Corte costituzionale, nella più volte richiamata sentenza n. 132/2024, espressamente formula un monito in ordine alla necessità di “vagliare con attenzione” - sostanzialmente negandone la pacifica legittimità, da valutarsi, dunque, in ragione della precipua articolazione di una eventuale disciplina - “la generalizzazione di una misura già prevista per alcune specifiche categorie, ossia l’introduzione di un limite massimo oltre il quale il danno, per ragioni di equità nella ripartizione del rischio, non viene addossato al dipendente pubblico, ma resta a carico dell’amministrazione nel cui interesse esso agisce” (v. punto 11.1 del diritto). L’introduzione generalizzata di un limite massimo, non riferito ad alcune specifiche categorie, né circoscritto temporalmente in ragioni di eccezionali circostanze, non appare agilmente coerente con i principi ribaditi dalla stessa Corte costituzionale, nella suddetta sentenza. Occorre valutare infatti se, quanto ivi chiarito con riferimento all’esclusione temporanea ed eccezionale della responsabilità per colpa grave, possa avere qualche validità anche rispetto a disposizioni normative che ne riducono l’effettività: una così forte limitazione, al pari dell’esclusione della responsabilità, riducendone la finalità risarcitoria e indebolendone anch’essa la funzione deterrente, per essere ritenuta non irragionevole dovrebbe trovare anch’essa una piena e valida giustificazione e, dunque, una applicazione non generalizzata, ma radicata nella particolarità di “uno specifico contesto”.
Immagine: Scudo di Atena Parthenos cd. Stragford Da Atene, Marmo pentelico, III secolo d.C., Londra, British Museum, inv. 1864,0220.18 ©The Trustees of the British Museum.