Camminando con il giudice alla rovescia (Sassari, Carlo Delfino Editore, 2020) a cura di Rosa Agostino e Luciana Breggia.
Recensione di Maria Giovanna Ruo
Camminando con il giudice alla rovescia (Sassari, Carlo Delfino Editore, 2020) a cura di Rosa Agostino e Luciana Breggia, è un libro su un libro, quello di L. Breggia, Il giudice alla rovescia (Torino, 2015, Ed. Einaudi ragazzi) e la sua feconda storia suscitatrice di risorse. Costituisce un modo originale e intrigante di affrontare con levità temi importanti e profondi, come l’educazione delle giovani generazioni a legalità e giustizia, attraverso la proposta di una riflessione maieutica sui percorsi del iuris dicere in materie nelle quali è centrale la considerazione della persona quale si è venuta sviluppando per le sue relazioni, la sua storia e la sua sensibilità e per la società in cui vive e ha vissuto. Provoca una riflessione su come educare non solo i bambini ma anche noi stessi a un approccio diverso ai temi della giustizia e della legalità.
L’obiettivo è alto, ed esplicitamente contenuto nel sottotitolo “come mediare i conflitti e costruire insieme le regole della giusta convivenza”. Il libro è rivolto al mondo delle persone di età minore: la curatrice e autrice del precedente volume (L. Breggia) nella premessa avverte che educare i bambini al rispetto della legge è fondamentale, ma occorre stimolarne la capacità di interrogare la propria coscienza anche di fronte alla legge e di porsi di fronte alla regola in modo non formalistico e superficiale. Il che ovviamente vale per tutti.
I bambini non sono solo i destinatari (principali) del volume, ma ne sono anche i protagonisti, dato l’ampio spazio assicurato alle “ricette” di giustizia che hanno fornito persone di età minore nei vari laboratori di cui il testo dà conto. Il libro non è però diretto “solo” a loro, ma anche agli insegnanti, ai genitori, ai protagonisti delle diverse agenzie educative che bambine/i e adolescenti incontrano nel loro percorso di maturazione e che contribuiscono al raggiungimento della loro piena cittadinanza attiva. E ancor di più: è un libro per giuristi non solo operatori del settore, per la società responsabile e solidale e i suoi protagonisti, per un percorso verso la migliore attuazione della giustizia che parta dall’educazione delle giovani generazioni, della cui cura siamo tutti responsabili.
Tale ambizioso obiettivo è raggiunto attraverso un percorso originale, costruito tra testimonianze e resoconto di laboratori vissuti nelle scuole, la narrazione della metodologia seguita per far crescere la consapevolezza di cosa è giustizia e che sprona a sperimentarla in altre scuole e agenzie educative, con e per le persone di età minore e in stretto contatto con loro, riportando anche l’incredibile profondità delle loro osservazioni sui casi concreti, talvolta espressa con modalità e concetti che lasciano stupiti. Alla rovescia anche perché non dalla norma al caso concreto, ma dal caso concreto alla filosofia di sistema.
Il punto di partenza è appunto il libro di Luciana Breggia, Il giudice alla rovescia: il Giudice è quello di Pinocchio, che manda in carcere l’innocente burattino e poi sparisce nel libro di Collodi; ma in realtà (o -più correttamente- nella finzione fiabesca del libro della Breggia) l’uomo evidentemente cambia, ha una sua personale trasformazione, un percorso di consapevolizzazione dei propri ruolo e funzione (art. 4 , II co., Cost. si potrebbe supporre). Questi arriva quindi in un paese dove gli abitanti litigano continuamente e hanno bisogno di lui per dirimere i loro conflitti. Il Giudice analizza vari casi ma non offre le soluzioni più prevedibili sulla base di torti e ragioni: ascolta, prescinde da stereotipi, alla ricerca delle radici del conflitto per superarlo in una visione più ampia. Quando alla fine riparte da quel paese, la giustizia è ormai diventata patrimonio condiviso del piccolo villaggio.
Nella finzione fiabesca il Giudice alla rovescia aiuta a dirimere i conflitti dei cittadini con l’arte appunto della “maieutica”, conducendoli a una riflessione su cosa sia giustizia, attraverso la riacquistata capacità di dialogo, il superamento di pregiudizi dettati dalla paura del diverso o del cambiamento, l’ascolto dell’altro.
Fiaba, paradosso o utopia? Non si sa, ma forse nemmeno importa. Lo snodo è altro: sta nelle vicende narrate e nelle conclusioni niente affatto scontate dei conflitti che ne emergono e che vengono portate, con modalità originali, ai bambini perché se ne facciano giudici nei Laboratori di cui dà conto il libro Camminando con il giudice alla rovescia. Il libro della Breggia viene definito in questo secondo volume un libro da osservare, per la sequenza delle illustrazioni, da ascoltare, da gustare “per l’umanità vera che c’è in ogni storia del libro” (C. Brucoli e C. Mambelli a p. 23 ne Il testo).
Così la storia della piccola ladra Mariza (su cui in particolare si soffermano F. Costagli e poi N. Turco), migrante ladra per fame e necessità di sopravvivenza, e il suo giudice che capovolge gli “ingiusti” canoni di giudizio, condivisi dagli abitanti del paese, nel quale il furto avviene, che partecipano in massa al processo in una prospettiva “colpevolista” e giustizialista. Il giudice alla rovescia finisce per condannare invece proprio quel paese e i suoi abitanti in quanto, non prestando sostegno alla piccola migrante, sono stati determinanti nel sospingerla verso la devianza. Il furto va inquadrato nella situazione di marginalizzazione, povertà, esclusione, diversità in cui Mariza vive nell’indifferenza colpevole del villaggio.
Sembra quasi, vista alla rovescia, di sentir riecheggiare la Corte Europea dei Diritti dell’uomo, nelle condanne ex art. 8 della Convenzione EDU, quando sottolinea la necessità che le Autorità nazionali sostengano le persone fragili con ogni intervento, prima di provvedimenti limitativi o ablativi dei loro legami parentali: l’obbligo positivo dello Stato di sostenere, recuperare, contrastare la fragilità che porta alla diminuita capacità genitoriale, prima di tutto con provvedimenti di aiuto e, solo in caso di fallimento, di resezione delle relazioni familiari.
Ma soprattutto, nel percorso alla rovescia, si sentono evocati gli articoli 2, 3 e 31 della nostra Carta Costituzionale: garantire a tutti i diritti fondamentali, rimuovere gli ostacoli, tutelare le persone di età minore, in quanto fragili e vulnerabili. Tanto più quando la vulnerabilità è multipla: migranti e di età minore, migranti e soli (non accompagnati).
In Camminando con il giudice alla rovescia si presentano una serie di situazioni in cui il Giudice alla rovescia ha potuto essere utilizzato per un percorso di sensibilizzazione ai temi della legalità e della giustizia nelle scuole. Sono i 5 laboratori (ne descrivono i percorsi: C. Brucoli e C. Mambelli, N. Turco, M. Breggia, M. Martinat, L. Galbusera) nei quali le storie sono state portate ai bambini, individuando con loro gli elementi salienti del conflitto e le tecniche di soluzione che ogni storia fa emergere, ascoltandone i protagonisti e con il contributo del magistrato che vi ha partecipato: con varie metodologie anche di coinvolgimento e formazione degli adulti (M. Martinat giunge a ipotizzare di lavorare con gli adulti con gli stessi spunti impiegati per i ragazzi “in un’attività di formazione da svolgersi in vari ambiti di impegno”: p. 56) e di utilizzo di tecniche narrative (flashback, autobiografia, diario) stimolando così anche l’approccio alla scrittura (L. Galbusera, p. 61).
La prospettiva è il movimento, il cammino verso l’effettività della giustizia (così il contributo di Brucoli e Mambelli, p. 25) che non può che essere calata nel caso concreto, e partendo da questo (alla rovescia) il volume suggerisce come declinare nelle particolari circostanze delle diverse situazioni la regola che assicuri giustizia. Toccando storie, immagini concrete, cercando il superamento del conflitto, prima che la sua conflagrazione diventi irreversibile. Costruendo la consapevolezza che la giustizia non è necessariamente connessa con il sistema giudiziario per svilupparlo “anche nelle forme amichevoli della mediazione e della giustizia partecipativa” (così L. Breggia, p. 15 della premessa)
Per chi scrive, che esercita la professione di avvocato nell’area persona, relazioni familiari e minorenni, la lettura è stata anche un’immersione in esperienze e riflessioni vissute, la riproposizione di domande cui era stata data una risposta abbozzata nella fretta dell’agire quotidiano. Un’esperienza di rivisitazione di prospettive in una visione più di sistema e la proposta di una sfida educativa cui non è legittimo sottrarsi.
Essere avvocati della persona, delle relazioni familiari e dei minorenni, presuppone un approccio alla professione simile a quella del giudice alla rovescia: non cercare il conflitto, non alimentarlo, piuttosto contenere le istanze degli Assistiti che non sono sintoniche con il criterio di the best interest of the child (e di tutti i soggetti vulnerabili coinvolti) che è preminente e determinante nel giudizio nell’area del diritto della persona, delle relazioni familiari e dei minorenni. Promuovere il cambiamento verso la prospettiva dello sviluppo delle relazioni, perché si decide per il futuro, e non per il passato. Sostenere l’Assistito nel difficilissimo compito di (ri)costruire le relazioni sulla base del cambiamento per dirimere i conflitti nell’interesse di tutti, ma soprattutto dei più vulnerabili che vi sono coinvolti.
Essere operatori del diritto in questi campi vuol dire che la scienza giuridica corre il rischio di rimanere sterile ancorché elegante declinazione di concetti se non viene rivisitata alla stregua di altri saperi, lasciandosi contaminare beneficamente dagli stessi: pedagogia, psicologia, scienze sociali, antropologia, pediatria, psichiatria, neurologia, geriatria etc. La persona umana non può essere segmentata: se alla persona, prima di tutto a quella più vulnerabile, si deve assicurare giustizia, il processo della sua effettiva attuazione certo non può essere declinato asetticamente, ma dentro la sua storia. Vuol dire cercare nell’interpretazione delle norme, coadiuvati da altri saperi -nell’equo bilanciamento degli interessi in gioco- la soluzione che garantisca prima di tutto i diritti fondamentali dei soggetti vulnerabili coinvolti, in una dimensione che superi il conflitto garantendo la soluzione giuridicamente migliore possibile che ne attui i diritti fondamentali, primo fra tutti, per la persona di età minore, quello al suo migliore sviluppo psico-fisico.
D’altronde la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di quelle sanzioni penali che, ad es. prevedevano come automatica pena accessoria la decadenza o sospensione dalla responsabilità genitoriale del genitore autore di un reato, ricordando che la valutazione dell’interesse del minore è prioritaria e va considerata dal giudice nella situazione concreta di quel minore coinvolto, caso per caso (ex multis Corte Cost., sent. n. 102/2020). Sempre la Consulta ha affermato (Corte Cost, sent. 172/2017) che il favor veritatis nelle azioni di accertamento di stato personale -e in particolare dell’impugnazione per difetto di veridicità- è recessivo rispetto all’interesse di quel minore la cui identità è in gioco, che va valutato nella sua concretezza di storia, affetti, relazioni che si sono andate costruendo nella sua vita: favor affectionis, appunto, che prevale sul favor veritatis, che a sua volta, nel percorso di approfondimento dei concetti giuridici da applicarsi alle relazioni personali, aveva già inesorabilmente prevalso su quel favor legitimitatis dal sapore obsoleto che, ignorando persona e affetti, relazioni effettive, ha costituito per anni con rigidità il criterio prevalente in materia di azioni di stato personale in ragione della preferenza per la famiglia coniugale. Ancora a titolo esemplificativo la Corte Costituzionale ha affermato (Corte Cost., sent. 308/2008) che l’assegnazione della casa familiare non può “venir meno” automaticamente come previsto dalla norma (all’epoca 155 quater c.c., ora 337 sexies c.c.) se il genitore assegnatario si sposa o vi inizia una nuova convivenza, perché deve essere invece valutato dal giudice l’interesse del minore nella concretezza della sua storia, delle sue relazioni affettive del legame con il luogo degli affetti costituito dalla casa familiare.
Il Comitato ONU, nel suo Commento Generale n. 14 Sul diritto del minorenne a che il proprio superiore interesse sia tenuto in primaria considerazione all’art. 3 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo (New York, 20 novembre 1989, rat, con l. 176/1991) afferma che the best interest of the child è un criterio elastico, che non può prescindere dalla considerazione di come nel concreto le esigenze di quella persona di età minore si atteggino e debbano essere tutelate.
Il tutto dà ragione della specialità dell’area giuridica del diritto delle persone, delle relazioni familiari e dei minorenni, non certo diritto minore, ma diritto che pretende anche altro in chi lo pratica, per non tradirne il senso più profondo, di tutela dei diritti fondamentali dei soggetti vulnerabili nella concretezza delle loro persone, storie, relazioni, approcci valoriali nei principi inderogabili di solidarietà e responsabilità sociale.
In questa prospettiva, Camminando con il giudice alla rovescia traccia e propone un percorso educativo per i bambini (del ciclo delle elementari ma non solo) alla consapevolezza di cosa è giustizia rendendoli protagonisti della gestione di conflitti nella concretezza ed evidenziando quali risposte profonde -se messi nella condizione- siano in grado di fornire. L’educazione all’ascolto dell’altro, a tendere l’orecchio alle sue esigenze, essendo giudice del suo conflitto con la società, o con un’altra persona. Il Progetto ha lo scopo di diffondere la consapevolezza, già nel ciclo delle elementari, “dell’idea che le regole abbiano una funzione positiva e protettiva nel vivere in comune al fine di sviluppare il senso civico di cittadinanza consapevole” (A. Sardara, p. 65). L’esperienza di Sassari, presentata da V. Motzo, si è articolata anche nella costruzione di un giornale murale, che raccoglieva l’iter di attività e riflessioni, in scritti formali e non formali sui conflitti, che hanno dato modo di sviluppare le relative abilità di scrittura, giochi di ruolo sulle diverse tipologie di conflitti, peer education che ha visto i bambini della primaria insegnare -a quelli della scuola dell’infanzia ma anche a quelli delle medie- “i loro segreti per risolvere i conflitti”, la rappresentazione teatrale di fine anno. Il risultato ovviamente non è stato che siano spariti i conflitti nelle classi che hanno vissuto il progetto. E’ però cambiato il modo di approccio. Segue l’esperienza di Livorno, per “indicare ai bambini una strada di risoluzione delle liti e dei conflitti autonoma e pacificante” (A. Fodra, p. 102). Anticipatoria l’esperienza di Civitella di Roveto, nata con la diversa finalità di favorire la crescita dello studente-lettore -dalla lettura del Giudice alla rovescia- che ha però anche centrato l’obiettivo di sviluppare nei partecipanti “la capacità di accettare punti di vista diversi dal proprio” (F. Lucidi, p. 105). Infine il report di B. Rossi (p. 108) sulla trasformazione della capacità di gestire i conflitti maturata all’interno della comunità scolastica dopo il percorso formativo. L’ultima parte del libro è dedicata a “frasi celebri e artisti” e termina con la commovente (non solo per i bambini) lettera al Giudice alla rovescia.
Camminando con il giudice alla rovescia suscita, in chi vive quotidianamente queste tematiche, oltre che pensiero, emozioni non superficiali e stimola la prosecuzione di un cammino tutt’altro che scontato.
Ma nel coinvolgimento nell’azione educativa nei confronti delle giovani generazioni può anche avvicinare gli scienziati del diritto all’area del diritto minorile, spesso considerata con sufficienza, quasi che la contaminazione con altri saperi ne svilisca la sostanza giuridica: il diritto delle persone di età minore, non è un diritto minore, ma è piuttosto un diritto che esige anche altro per essere giustizia effettiva, che non guarda (solo) al passato per stabilire torti e ragioni, ma che ha lo sguardo volto al futuro.