Attività di impresa e contenzioso climatico. Dal diritto al clima al diritto alla salute passando per gli artt. 9 e 41 della Costituzione (commento a Cassazione, Sezioni Unite, 21 luglio 2025, ordinanza n. 20381)
Sommario: 1. Le peculiarità del caso; 2. Le norme invocate sulla responsabilità civile extracontrattuale. L’elemento oggettivo; 3. L’elemento soggettivo; 4. Riflessioni conclusive alla luce degli artt. 9 e 41 della Costituzione
1. Le peculiarità del caso
Il caso deciso con l’ordinanza dalle Sezioni Unite della Cassazione in commento, a seguito della proposizione di un regolamento di giurisdizione, affronta un tema specifico, ossia la questione del giudice dotato dello ius decidendi in relazione ad un’azione di responsabilità extracontrattuale promossa contro un’impresa privata per danni al diritto alla salute e al rispetto della vita familiare e domestica, tutelati anche dagli articoli 2 e 8 della CEDU[1]. La Corte ha concluso per la sussistenza della giurisdizione civile, precisando che spetta al giudice di merito accertare i presupposti legali per l’eventuale riconoscimento dei diritti azionati.
Secondo l’impostazione degli attori, il danno lamentato – sia patrimoniale sia non patrimoniale – sarebbe causalmente riconducibile ai comportamenti inquinanti dell’impresa e all’inottemperanza di ENI S.p.A. agli obblighi derivanti dal diritto internazionale, in particolare dall’Accordo di Parigi, oltre che alla violazione di ulteriori parametri vincolanti desunti da norme di diritto internazionale, dei quali si invoca l’efficacia tanto orizzontale quanto verticale. Gli attori aggiungono, inoltre, che ENI avrebbe violato il principio dello sviluppo sostenibile e i principi generali dell’azione ambientale.
Tra i convenuti figura non solo ENI, ma anche il Ministero dell’ambiente e Cassa Depositi e Prestiti; questi ultimi chiamati in giudizio non in quanto fautori di politiche pubbliche delle quali si contesti l’inefficacia, ma nella loro qualità di azionisti di controllo della società convenuta, che avrebbero consentito l’attività inquinante traendone beneficio economico sotto forma dell’utile di impresa.
Il regolamento di giurisdizione è stato richiesto (non tanto per un effettivo dubbio circa l’individuazione del giudice munito di giurisdizione, quanto piuttosto) per evitare un esito analogo a quello cui era pervenuto, pochi mesi prima, il Tribunale di Roma[2] che, in una causa che presentava analoghe tematiche, aveva dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione in relazione a una domanda di condanna dello Stato per omissioni connesse all’inefficacia delle politiche climatiche.
La motivazione dell’ordinanza ha affrontato una prima questione, di ordine processuale, inerente alla proponibilità del regolamento di giurisdizione da parte degli attori del giudizio principale.
La decisione della Corte si è appoggiata ad un proprio consolidato orientamento[3], riconoscendo l’ammissibilità dello strumento processuale proposto in ragione dell’interesse ad ottenere la stabilizzazione della questione concernente l’individuazione della giurisdizione.
In particolare, le Sezioni Unite hanno precisato che il caso di specie presentava, in effetti, connotati peculiari, dai quali era deducibile l’interesse concreto ad ottenere una pronuncia sulla giurisdizione: infatti, non si rinvenivano precedenti, nella giurisprudenza di legittimità, su fattispecie analoghe; l’unica decisione di merito, sia pure su una controversia con oggetto significativamente differente, aveva pronunciato il difetto assoluto di giurisdizione e le controparti in giudizio avevano sollevato diverse eccezioni proprio sull’azionabilità delle domande agite, appunto facendo valere il precedente negativo a cui si è fatto cenno.
Ci si dovrebbe domandare se gli argomenti utilizzati dalla Suprema Corte siano meramente confermativi del solco già tracciato oppure siano forieri di un nuovo orientamento sulle condizioni di proponibilità del regolamento di giurisdizione. Si potrebbe infatti arguire che chi ha scelto la giurisdizione, radicando la causa presso un determinato giudice, debba poi dimostrare, per essere legittimato a presentare regolamento preventivo di giurisdizione, che la questione sia nuova e, al contempo, che vi siano contestazioni sul difetto assoluto di giurisdizione[4] e sussistano precedenti contrari dai quali ci sarebbero ragioni per distanziarsi. Tale conclusione non pare, invero, derivare dall’argomentazione dell’ordinanza, che utilizza le ragioni anzidette come elementi convergenti, ma non tutti necessari, per affermare la presenza delle condizioni di proponibilità del ricorso ex art. 41 c.p.c..
Ebbene, al di là della temuta analogia con il caso deciso dal Tribunale di Roma nel quale convenuto era lo Stato Italiano – analogia strumentale al pronunciamento in sede di regolamento preventivo di giurisdizione – come i primi commenti non hanno mancato di sottolineare[5], la causa che ha condotto all’ordinanza delle Sezioni Unite presenta elementi decisamente diversi da quelli alla base del precedente giudizio conclusosi, come accennato, con la declaratoria del difetto assoluto di giurisdizione. Nel caso oggetto del regolamento di giurisdizione, infatti, il thema decidendi riguarda la possibile giustiziabilità di un danno derivante dall’attività di impresa, ai sensi degli artt. 2043, 2050, 2051 e 2058 c.c., e degli artt. 300 e 301 del Codice dell’ambiente; nel caso conclusosi con la declaratoria del difetto assoluto di giurisdizione, invece, l’oggetto della domanda verteva sulla responsabilità dello Stato per non aver adottato politiche climatiche efficaci, con annessa richiesta di condanna ad un facere specifico inerente alle strategie dell’azione politica contro il cambiamento climatico.
La differenza tra i due oggetti di causa concerne, quindi, l’articolazione tecnico-processuale della domanda giudiziale, la fonte del danno lamentato e i soggetti ritenuti responsabili.
Diversamente dall’azione di condanna promossa contro lo Stato per inefficienza delle politiche climatiche, che aveva fondato l’azione sul diritto al clima salubre[6], le domande rivolte nei confronti di ENI non tangono, minimamente, le competenze riservate al legislatore, appuntandosi invece su una condotta illecita generata dall’attività di impresa che avrebbe disatteso gli obblighi derivanti dalle vigenti politiche climatiche.
L’ordinanza delle Sezioni Unite non modifica l’orientamento espresso dal Tribunale di Roma in merito al contenzioso climatico che abbia ad oggetto l’efficacia delle politiche climatiche[7]; anzi, sul punto, vengono rafforzate le conclusioni raggiunte nel precedente caso: la Corte ritiene infatti che nessun giudice possa disporre e imporre allo Stato l’adozione di “atti, provvedimenti o comportamenti manifestamente espressivi della funzione di indirizzo politico”, che restano necessariamente di pertinenza esclusiva di chi esercita quella funzione, dunque non dei titolari dell’esercizio del potere giurisdizionale.
Per ciò, appare utile, anzitutto, unirsi alle voci che già hanno sottolineato la necessità di una interpretazione cauta dell’ordinanza della Suprema Corte che colga la regola enunciata alla luce delle peculiarità del caso con riferimento al quale è stata pronunciata e la delimiti con precisione. In quest’ottica ed in estrema sintesi, dall’ordinanza deriva che se una controversia riguarda un’azione da responsabilità civile extracontrattuale per danno causato da un’impresa, non vi è dubbio che sussista la giurisdizione del giudice civile[8].
Viceversa, una lettura dell’ordinanza che ravvisasse in essa non solo il riconoscimento della sussistenza della giurisdizione del giudice civile su un asserito danno ambientale e climatico arrecato dalle imprese, ma anche un’implicita ammissione di una generalizzata responsabilità degli operatori economici, accanto a quella dei poteri pubblici, rispetto alle politiche climatiche risulterebbe un fuor d’opera.
La Cassazione non si esprime, naturalmente, sul merito delle pretese azionate: spetterà alla cognizione del giudice adito verificare, secondo le regole comuni in materia, se sussistano o meno i presupposti per integrare le contestate fattispecie di responsabilità aquiliana.
Ciò non toglie che le argomentazioni confluite nell’ordinanza presentino aspetti di estremo interesse per l’ampio dibattito suscitato dal contenzioso climatico, ai quali dedicheremo i paragrafi che seguono.
2. Le norme invocate sulla responsabilità civile extracontrattuale. L’elemento oggettivo
Fermo restando, dunque, che la valutazione di merito sulla fondatezza delle pretese azionate spetterà al giudice della cognizione, è possibile svolgere alcune riflessioni generali, a partire dai contenuti dell’ordinanza in commento, in relazione ai rischi gravanti sull’attività di impresa in conseguenza della sua potenziale lesività per il diritto alla salute e per l’ambiente.
Diversamente dalla causa intentata contro lo Stato, discussa e decisa con la sentenza del 26 febbraio 2024, n. 3552 del Tribunale di Roma (nella quale le doglianze riguardavano non specifiche violazioni di norme poste a tutela dell’ambiente, ma il venir meno ad un generale “dovere di protezione” dedotto dalla Costituzione, dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, dalla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 1992, dall’Accordo di Parigi del 2015 e da fonti integrative quali i report scientifici dell’IPCC), nella controversia in commento, il danno ingiusto è lamentato come conseguenza dell’azione di un operatore economico privato, che avrebbe agito in contrasto con norme giuridiche interne e internazionali, di cui si invoca la diretta applicazione.
Nello specifico, secondo gli attori, l’ingiustizia del danno, sotto il profilo oggettivo, deriverebbe dalla violazione, imputata a ENI, di parametri giuridici contenuti nel diritto internazionale – in primo luogo nell’Accordo di Parigi – che i convenuti avrebbero disatteso, pur avendoli assunti come vincolanti nel proprio codice etico aziendale. E non solo; l’impresa avrebbe violato anche la clausola di responsabilità intergenerazionale sancita dall’art. 9, comma 3, Cost., che consente al giudice civile di esercitare un sindacato su quella che è stata definita “obbligazione climatica”[9]. Tale obbligazione vincola le imprese, pubbliche e private, cui si rivolge la nuova formulazione dell’art. 41 Cost., secondo cui l’iniziativa economica non può svolgersi in modo da arrecare danno alla salute e all’ambiente.
Emerge dall’ordinanza che gli attori, per rafforzare i propri argomenti, hanno richiamato anche gli artt. 3 tere 3 quater del Codice dell’Ambiente[10], oltre che gli artt. 2 e 9 della Convenzione di Århus[11] sulla giustiziabilità dei diritti dei singoli e delle associazioni nei confronti delle attività economiche difformi dai principi dell’azione ambientale.
È pacifico, intanto, che il giudice civile dovrà accertare il danno ingiusto, secondo le regole comuni[12].
Efficace, sul punto, la sintesi fornita dall’ordinanza: “la fattispecie in esame si configura come una comune azione risarcitoria, fondata sull’allegazione di un danno, consistente nella lesione del diritto alla vita e al rispetto della vita privata e famigliare, la cui ingiustizia viene predicata in virtù del richiamo da un lato agli obblighi positivi e negativi derivanti dagli artt. 2 e 8 della Cedu, e dall’altro ai doveri di intervento previsti dalle fonti internazionali in tema di contrasto al cambiamento climatico, obblighi e doveri dei quali viene affermata l’efficacia vincolate non solo a carico degli Stati che hanno aderito alla Cedu ed agli Accordi richiamati, ma anche a carico di soggetti pubblici e privati (…) responsabili dell’incremento della temperatura globale”.
In linea generale, deve rammentarsi che è ingiusto un danno prodotto da una condotta posta in essere contra ius, presupposto causale del pregiudizio di cui si chiede il risarcimento, e che si palesi come soggettivamente connotato almeno da colpa dell’agente del fatto dannoso.
Nel giudizio sulla responsabilità aquiliana, il giudice è tenuto a verificare la sussistenza dei presupposti costitutivi dell’illecito aquilano, ossia (i) un’azione o un’omissione colposa, (ii) che abbia causato un danno contra ius e (iii) un nesso di causalità diretta tra condotta imputabile e pregiudizio. Più precisamente, il giudice civile dovrà, in ordine logico progressivo: indagare la sussistenza di un evento dannoso; qualificare il danno come ingiusto; verificare la presenza di un nesso causale; e indagare la sussistenza di una condotta quantomeno colposa.
Ove poi si tratti di responsabilità per omissione – invero dall’ordinanza parrebbe che l’azione contro ENI contesti specificamente l’inottemperanza dell’ENI al dovere di adottare le misure necessarie per ridurre la quantità delle emissioni, ma una tale qualificazione dipenderà dall’esame specifico della domanda, in tutte le sue articolazioni – andrebbe anche considerato che essa può essere accertata solo se il soggetto la cui omissione ha causato il danno è “formalmente” (cioè ex lege) tenuto all’obbligo giuridico di evitare il danno che si è poi verificato come conseguenza della previsione di impegni specifici posti a suo proprio carico.
L’ingiustizia del danno ha connotati differenti a seconda delle diverse ipotesi di responsabilità civile extra contrattuale previsti dal codice civile.
L’ordinanza rammenta che la responsabilità di impresa potrebbe essere ricondotta, seguendo le tesi degli attori, agli artt. 2050 e 2051 cc., alla luce del fatto che gli operatori nel settore della produzione del trasporto e della commercializzazione di combustibili fossili opererebbero nel campo di attività pericolose, che impongono a chi le esercita di adottare tutte le misure idonee ad evitare che si arrechi danno a terzi.
Dunque, al fine di verificare l’ingiustizia del danno, il Tribunale dovrà valutare se ascrivere la fattispecie nel campo (generico) di applicazione della responsabilità aquiliana di cui art. 2043 c.c. oppure in quello, maggiormente specifico, della responsabilità per lo svolgimento di attività pericolosa, ex art. 2050 c.c.
Quale che sia la fattispecie prescelta, non si potrà evitare di prendere una posizione sulla sussistenza di obblighi (di azione e protezione) in capo alle imprese derivanti dalla suddetta “obbligazione climatica”, giacché è da questa questione che dipenderà la stessa configurabilità, in astratto, del danno, quale che sia la norma ritenuta pertinente al caso.
Gli attori hanno invocato, come si accennava, anche l’art. 2050, ricostruendo l’attività di ENI nei termini di una attività pericolosa, per veder affermato il principio secondo cui chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno.
A riguardo, la domanda attorea è tecnicamente insidiosa e dimostra l’evoluzione delle strategie di “attacco” proprie dello sviluppo, per prove ed errori, delle liti strategiche. Qui la prospettiva che il Tribunale dovrà giudicare è quella di ricostruire la posizione dei convenuti nei termini di una responsabilità aggravata, che, in quanto tale, si discosta dal modello generale dell’illecito aquiliano. A ciò conseguirebbe una inversione dell’onere della prova, fondato sulla presunzione di colpa a carico di ENI, in quanto esercente di un’attività qualificabile come pericolosa. In altri termini, per integrare la fattispecie, aperta e atipica, della pericolosità dell’attività, l’attore dovrebbe dimostrare che l’impresa convenuta è impegnata in attività di natura “pericolosa”; mentre l’operatore economico, ove il Tribunale dovesse accogliere la tesi della riconduzione del caso all’art. 2050 cc., per liberarsi, dovrebbe dimostrare di aver adottato tutte le misure ragionevolmente possibili per evitare il danno.
Sul punto, vi è da attendersi che la decisione del Tribunale tenga in considerazione la definizione di attività pericolosa derivante dall’interpretazione giurisprudenziale, che la qualifica come quella attività che “per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati” si presenta come tale, senza invece proporre un elenco tipizzato di casi.
La giurisprudenza civile ha introdotto il concetto di pericolosità “per natura”, di determinate azioni che hanno una pericolosità intrinseca: per esempio la produzione di energia elettrica, a causa dei rischi elevati connessi sia al contatto diretto con la rete sia ai guasti nella distribuzione, come sbalzi di tensione o cortocircuiti[13]; o la produzione, lavorazione e commercializzazione di sostanze esplosive o infiammabili, come la nitrocellulosa[14].
Di fianco a questo concetto, si ritrova quello della pericolosità “per la natura dei mezzi adoperati”, riferibile a situazioni in cui l’attività rientra in quelle pericolose (non per le sue caratteristiche intrinseche, ma) a causa degli strumenti, macchinari o impianti utilizzati per il suo svolgimento, quando vi sia una “potenzialità lesiva notevolmente superiore al normale”: come nel caso di lavori di scavo con mezzo meccanico[15]; attività di polizia in cui sia prevista la disponibilità di armi[16]; navigazione aerea in presenza di condizioni atmosferiche peculiari[17]; gestione di un maneggio per insegnamento di equitazione[18].
Considerate le attività svolte da ENI, la decisione sull’applicabilità o meno dell’art. 2050 c.c. non è affatto scontato e richiederà, con buona probabilità, un’analisi dettagliata anche di raffronto con i precedenti giurisprudenziali a cui si è fatto brevemente cenno.
In ultimo, il Tribunale dovrà anche confrontarsi con il richiamo all’art. 2051, norma per i danni arrecati dai beni di cui si abbia la custodia[19].
Diversamente dalle fattispecie di responsabilità precedentemente citate, nel caso vi sia un legame giuridico con la cosa che produce il danno, il custode risponde sempre direttamente, salvo che provi il caso fortuito. La giurisprudenza è unanime nel qualificare la responsabilità ex art. 2051 c.c. come responsabilità oggettiva, che prescinde completamente da un’indagine sulla colpa (negligenza, imprudenza o imperizia) del custode[20]. L’art. 2051 c.c. fonda la responsabilità sulla mera sussistenza del rapporto di custodia e del nesso causale tra la cosa e il danno[21].
Il fondamento di tale responsabilità oggettiva, che non è collegato a specifiche norme di protezione violate, risiede in un criterio di allocazione del rischio: il soggetto che ha il “governo” della cosa è chiamato a rispondere dei danni che essa produce.
Dunque, la responsabilità del custode del bene che produca danno, ha un perimetro di rischio maggiore di quella configurabile sia ai sensi dell’art. 2043 c.c. sia ai sensi dell’art. 2050, che richiede al danneggiato di provare, tra l’altro, la colpa e il nesso di causalità rispetto alla condotta del danneggiante.
Nello specifico, l’art. 2051 c.c. sanziona la condotta di chi abbia un potere di controllo sulla cosa e ometta di predisporre le misure di sorveglianza per evitare che essa produca danni a situazioni soggettive tutelate dall’ordinamento[22].
La giurisprudenza civile applica l’art. 2051 c.c. anche nel caso di attività di impresa, ritenendo che l’imprenditore debba controllare i rischi e rispondere delle conseguenze dannose delle “cose” di cui dispone[23]. La casistica a riguardo è piuttosto variegata: si afferma, tra l’altro, la responsabilità dell’impresa che gestisce un locale aperto al pubblico per i danni causati da acqua presente sui pavimenti; quella del gestore di un’area gioco per infortunio ai bambini[24]; vi sono anche casi che presentano maggiori tratti di potenziale analogia con quello di specie, come la responsabilità affermata per i gestori di grandi infrastrutture, ritenuti “custodi”, per esempio, del manto stradale e delle relative pertinenze[25].
3. L'elemento soggettivo
L’elemento soggettivo, come si evince da quanto esposto sopra, dipende dalla fattispecie che si consideri. I sistemi di responsabilità civile extracontrattuale presuppongono, difatti, diverse forme di imputabilità del fatto in capo al danneggiante, che dipendono dalla posizione (giuridica) nella quale questi si trovi rispetto all’evento dannoso.
Ove non si verta in ipotesi di responsabilità oggettiva, come nel caso dello svolgimento di attività pericolose, o in quello della responsabilità (aggravata) per cose in custodia, i criteri di determinazione soggettiva della responsabilità dell’agente sono però riconducibili agli ordinari parametri della responsabilità aquiliana.
Nel campo del danno all’ambiente generato da emissioni che contribuiscono ad innalzare il livello della temperatura del Pianeta, l’elemento soggettivo è da sempre segnalato come particolarmente problematico, in ragione della difficoltà di configurare quanto meno una “colpa” nel soggetto agente, a fronte di una condotta che non si ponga in violazione di norme vincolati e per il fatto di ravvisare una sorta di “colpa” diffusa e indifferenziata in ogni condotta riconducibile all’attività umana.
Sul punto assume particolare interesse il ragionamento svolto dalla Corte Internazionale di Giustizia con il parere consultivo n. 3623 del 23 luglio 2025 in tema di “Obblighi degli Stati in materia di Cambiamento Climatico”, reso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite[26].
Sebbene il parere riguardi la responsabilità delle istituzioni, esso contiene affermazioni di portata più generale, che potrebbero suggerire alcuni ripensamenti sia sul tema dell’imputabilità delle condotte sia sul nesso di causalità.
In particolare, la Corte conclude che la responsabilità per le violazioni degli obblighi ai sensi dei Trattati sul cambiamento climatico, e in relazione alle perdite e ai danni associati agli effetti avversi del cambiamento climatico, deve essere determinata applicando le norme consolidate sulla responsabilità degli Stati ai sensi del diritto internazionale consuetudinario e che, in tema di nesso di causalità, l’atto illecito in questione non sarebbe l’emissione di gas a effetto serra di per sé, ma la violazione degli obblighi convenzionali e consuetudinari.
Se tale considerazione valesse anche nel percorso logico giuridico di verifica di responsabilità delle imprese, potrebbe configurarsi una sorta di responsabilità soggettiva in re ipsa ove si ritenesse di attribuire alle previsioni del diritto internazionale consuetudinario un’efficacia anche verticale, capace di determinare obblighi anche nei confronti degli operatori economici.
In più, sul nesso di causalità, la Corte affronta la problematica relativa alla difficoltà di invocare la responsabilità nel contesto del cambiamento climatico, dato che la condotta illecita è di natura cumulativa, coinvolgendo l’azione (o l’omissione) di diversi soggetti. In argomento, la Corte precisa che il fatto che il danno climatico è il risultato di cause concorrenti non esonera i soggetti agenti da qualsiasi obbligo riparatorio, purché sussista “un nesso causale sufficientemente diretto e certo tra un’azione o omissione illecita presunta e il danno presunto sia sufficientemente flessibile da affrontare le sfide che sorgono rispetto al fenomeno del cambiamento climatico”. Per accertare questo nesso di causalità che potremmo definire “specifico”, è ritenuto decisivo il contributo di analisi scientifiche, che processualmente comportano un onere della prova particolarmente rigoroso e l’eventuale utilizzo degli strumenti di approfondimenti istruttorio tipici di ciascun giudizio.
Sono dunque la c.d. “prove scientifiche”[27] ad essere dirimenti, dal punto di vista della rimproverabilità della condotta: esse determinano se sussiste un collegamento giuridicamente qualificato tra fatto e danno, rilevando se un danno significativo al sistema climatico è stato causato come risultato delle emissioni antropogeniche di gas a effetto serra (anche) imputabili ad un certo soggetto che abbia violato le norme del diritto internazionale consuetudinario o i parametri connessi ai propri oneri e responsabilità.
Quanto anticipato comporta che l’elemento soggettivo per ravvisare un danno da responsabilità extracontrattuale in capo ad un’impresa dipenda dalla norma che si consideri applicabile al caso, dalla presenza di nessi, scientificamente provati, tra azione e danno e dalla possibilità, quindi, di ravvisare elementi di colpa, eventualmente in re ipsa, derivanti dalla violazione di parametri normativi che avrebbero dovuto essere considerati dal soggetto agente.
4. Riflessioni conclusive alla luce degli artt. 9 e 41 della Costituzione
L’ordinanza della Corte riporta un passaggio significativo delle tesi attoree che consiste nell’affermare che la limitazione della libertà di determinare la politica aziendale deriverebbe anche dell’art. 9 comma 3 della Costituzione, che prevede una responsabilità intergenerazionale in funzione della tutela dell’ambiente, che impone anche all’autorità giurisdizionale di sindacare il rispetto dell’obbligazione climatica anche ai sensi della nuova formulazione dell’art. 41 della Costituzione, secondo cui l’iniziativa economica privata non può svolgersi in modo da arrecare danno alla salute e all’ambiente.
Senonché, un conto è affermare che, in ragione della riforma costituzionale, lo Stato debba adottare politiche di intervento pubblico volte ad orientare i fattori produttivi verso il raggiungimento di obiettivi che trascendono la semplice competizione tra le imprese[28], altro conto è sostenere che dalle medesime norme derivino auto-vincoli per le imprese, responsabili di una generica obbligazione climatica a fronte della necessità di tutelare gli interessi delle future generazioni.
Infatti, la giurisprudenza della Corte costituzionale mostra una attenta ricostruzione delle implicazioni giuridiche delle modifiche introdotte agli artt. 9 e 41 Cost., ritenendo che sussista un preciso dovere per le generazioni attuali di preservare le condizioni per le generazioni future, anche come “limite esplicito alla stessa libertà di iniziativa economica privata”[29], ma rivolge il suo sindacato alla normativa interna per armonizzarla ai principi costituzionali vigenti: il bilanciamento tra interessi economici e altri interessi primari, tra cui l’ambiente e la salute, viene cioè preso in esame con riferimento all’attività legislativa, nel rispetto della quale va ad essere svolta l’attività di impresa. Non vale cioè il contrario; nel senso che gli art. 9 e 41 della Cost. se vincolano lo Stato, non sono (ancora) interpretati come dotati di effetto diretto verticale, nei confronti di tutti i soggetti dell’ordinamento e a prescindere dal tramite del loro recepimento in previsioni di diritto positivo conformate alla logica sottesa alla riforma della Costituzione. In altri termini “Il livello di sacrificio (dell’ambiente, n.d.r.) considerato come tollerabile in vista dell’esigenze della soddisfazione di un bisogno è l’esatta espressione del giudizio di sostenibilità individuato per legge”[30].
Il condizionamento che le nuove norme proiettano anche sulla libertà di iniziativa economica non può (e non deve) sfuggire al principio di legalità e alla prevedibilità delle condotte attese dalle imprese, la cui azione, se non limitata da previsioni di legge, deve potersi svolgere secondo valutazioni proprie dell’autonomia privata.
Da qui, la dottrina ha segnalato la necessità di applicare, anche alla tutela dell’ambiente, pur a fronte del riconoscimento di diritti umani risarcibili connessi ai fenomeni di deterioramento dell’ambiente e del clima, quella logica del contemperamento degli interessi che la stessa Costituzione avalla[31].
L’art. 41 Cost. non è norma in grado di attribuire diritti che comprimano la libertà economica senza l’intermediazione di una fonte legale.
Così parrebbe rilevante, per individuare limitazioni dell’attività di impresa, invece del parametro costituzionale, la regola del do not significant harm, che è richiamata, tra l’altro, nell’art. 452 bis del codice penale, per determinare la condotta produttiva del danno ambientale, qualificato in termini di deterioramento significativo e misurabile di acqua, aria, suolo, ecosistemi e biodiversità.
Così, se ad un lato vi è la possibilità che sia la legge a delimitare nuovi ambiti di responsabilità d’impresa anche in relazione all’obbligazione climatica, dall’altro lato vi è comunque il presidio di tutela figurato, in termini generali, dalle norme sanzionatorie. Proprio in quest’ottica si conferma l’attualità della decisione fornita dalla Corte Costituzionale nel noto caso Ilva, rammentando che “Spetta certamente al potere politico amministrativo stabilire, in conformità ai principi costituzionali (art. 41, primo, secondo e terzo comma) regime, limiti e vincoli relativi ad attività di per sé non solo lecite ma socialmente utili e necessarie, ancorché genericamente “pericolose”, come la produzione industriale, in particolare la produzione della grande industria dell’acciaio, con i suoi corollari di occupazione e di sviluppo dell’economia nazionale. D’altra parte, spetta certamente al potere giudiziario perseguire e reprimere le condotte violatrici di norme e lesive di diritti delle persone, con i corollari dei poteri cautelari e preventivi attribuiti all’autorità giudiziaria”[32].
Ciò comporta che l’attività di impresa sia guidata verso le necessità di protezione dell’ambiente, nell’ottica proprio del principio di sviluppo sostenibile, ma entro parametri certi compatibili con l’autonomia imprenditoriale e con il sistema economico costituzionale del c.d. liberismo condizionato[33].
Diverso, invece, l’impatto delle norme costituzionali sulle pubbliche amministrazioni, che, in quanto istituzioni che danno corpo allo Stato, subiscono la precettività del dato costituzionale in maniera certamente più ampia e sono tenute ad effettuare un continuo bilanciamento tra iniziativa economica (soggetto a autorizzazioni o controlli), utilità sociale e interessi ambientali[34].
In sostanza, il nuovo art. 41 Cost. enuclea una vera e propria funzione pubblica “traducibile nell’individuazione del limite tollerabile al pregiudizio prodotto dall’iniziativa nei confronti degli elementi altri rispetto all’operazione economica”[35]. Ma, appunto, di funzione pubblica pur sempre si tratta, perché è nella sede delle valutazioni istituzionali che può compiersi il bilanciamento di cui si è detto, stabilendo vincoli e confini all’ “eseguibilità” dell’interesse meramente economico.
E, di fatti, anche la giurisprudenza amministrativa che si appiglia al principio di sviluppo sostenibile, richiamando pure l’interesse delle future generazioni[36], per giustificare decisioni amministrative di rilevante impatto sull’attività economica e comunque limitative dei diritti proprietari, lo fa esaminando la ragionevolezza di provvedimenti pubblici controversi, ma mai estendendo le proprie argomentazioni fino a immaginare un auto-limite che gli operatori economici dovrebbero imporsi per dirigere le proprie azioni nel senso indicato, in astratto, nell’art. 41 Cost., ove ciò non sia recepito in previsioni di legge o provvedimenti amministrativi ad hoc.
Non pare possano condurre ad una interpretazione differente nemmeno gli artt. 3-ter e 3-quater del Codice dell’ambiente che, pur affermando la necessità che anche gli enti privati ispirino la propria azione ai principi della precauzione, dell’azione preventiva e della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, oltre che al principio “chi inquina paga” e al principio di sviluppo sostenibile, hanno efficacia precettiva una volta che siano tradotti in norme.
[1] Per una visione complessiva dei diversi ambiti di tutela contemplati dall’art. 8 CEDU, si rimanda a R. Conti, Alla ricerca del ruolo dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Pol. Dir., 2013, 127 ss.; V. Zagrebelsky - R. Chenal - L. Tomasi, Manuale dei diritti fondamentali in Europa, II ed., Il Mulino, 2016, 275 ss.; M. Bonetti - A. Galluccio, Profili specifici sull'art. 8, in G. Ubertis - F. Viganò (a cura di), Corte di Strasburgo e giustizia penale, Torino, 2022, 327 ss. Con specifico riferimento alla tutela del diritto ambientale tramite l’art. 8 CEDU, cfr. G. D’Avino, La tutela ambientale tra interessi industriali strategici e preminenti diritti fondamentali, in A. Di Stasi (a cura di), Cedu e ordinamento italiano, la giurisprudenza dellaCorte europea dei diritti dell’uomo e l’impatto nell’ordinamento interno (2016 - 2020), Milano, 2020, 709 ss.; A. Scarcella, Violato il diritto alla salute e quello ad un ricorso effettivo dei residenti nell’area ad elevato pericolo di inquinamento ambientale dell’ILVA di Taranto, in Cass. pen., 2019, 2293 ss.; S. Zirulla, Ambiente e diritti umani nella sentenza della Corte di Strasburgo sul caso Ilva, in Dir. pen. contemp., 2019, 135 ss. L’applicazione della previsione ai casi di contenzioso civilistico strategico in materia climatica è ben evidenziata in G. Puleio, L’obbligazione climatica degli Stati nel sistema CEDU. Fondamento normativo e impatto sui rimedi civilistici, in Oss. dir. civ. comm., 2023, 1 ss.; U. Salanitro, Tutela dell’ambiente e del clima nella teoria dei beni, in Riv. dir. civ., 2025, 637 ss.
[2] Tribunale di Roma, 26 febbraio 2024, n. 3552, se si vuole con commento di S. Valaguzza, Gli orizzonti del diritto dell’ambiente a partire dal contenzioso climatico, in Dir. proc. amm., 2024, 917 ss.
[3] Orientamento riassunto, di recente, per esempio, da Cassazione civile, Sez. Un., 29 agosto 2023 , n. 25427, secondo cui il regolamento preventivo di giurisdizione può essere proposto anche dall’attore, in presenza di ragionevoli dubbi sui limiti esterni della giurisdizione del giudice adito, sussistendo, anche in mancanza di un’eccezione proposta dalla controparte, un interesse concreto ed immediato a sollecitare la risoluzione della questione da parte della Corte regolatrice, in via definitiva, in modo da evitare che nel corso del giudizio possano intervenire successive modifiche della giurisdizione, tali da ritardare la definizione della causa, anche al fine di ottenere un giusto processo di durata ragionevole.
[4] A riguardo, invero, la giurisprudenza delle Sezioni Unite Cassazione civile (per es. 30 giugno 2008, n. 17776) è consolidata nel ritenere che se la parte convenuta o resistente aderisce esplicitamente o implicitamente all'assunto della parte attrice o ricorrente che ha ritenuto essere il giudice adito fornito di giurisdizione e non sussiste alcun elemento di fatto - dedotto in ricorso - che possa far dubitare di ciò, la parte attrice o ricorrente non ha interesse a vedere coonestato anticipatamente il suo assunto con una pronuncia di questa Corte sulla giurisdizione che, resa in sede di regolamento preventivo, vincoli il giudice adito.
[5] E. Romani, Il contenzioso climatico e la tutela a geometria variabile offerta dal giudice ordinario e dal giudice amministrativo, in corso di pubblicazione, in Dir. proc. amm.; G. Scarselli, Per una corretta lettura della recente ordinanza delle Sezioni Unite (Cass. Sez. Un., 21 luglio 2025, n. 20381) in tema di contenzioso climatico, in Judicium, 29 luglio 2024; M. Buffoni, Giustizia climatica strategica e transizione ecologica. Prime indicazioni della Cassazione sullo spazio d’azione, per il giudice italiano, nell’approccio alle nuove frontiere del diritto, in Questionegiustizia.it, 15 ottobre 2025; A. Molfetta, «Eppur [qualcosa] si muove». Considerazioni a prima lettura intorno all’ordinanza sul regolamento di giurisdizione nella vertenza climatica Greenpeace e al. v. Eni e al., in Corti supreme e salute, 2025, 1; con riferimento al profilo comparato, V. Capuozzo, Riflessioni sul ruolo del potere giudiziario nel contrasto al cambiamento climatico: un’analisi comparativa, in questa Rivista, 21 ottobre 2025.
[6] Sui c.d. “nuovi” diritti, i contributi scientifici sono ormai molti, senza pretesa di esaustività, ex multis, A. Scalisi, Il valore della persona nel sistema e i nuovi diritti della personalità, Milano, 1990; F. Modugno, I “nuovi diritti” nella giurisprudenza costituzionale, Torino 1995, 2 ss.; S. Castignone, Nuovi diritti e nuovi soggetti: appunti di bioetica e biodiritto, Genova, 1996; R. Ferrara-P.M. Vipiana (a cura di), I nuovi diritti nello Stato sociale in trasformazione, Padova, 2000; A. D’Aloia, Introduzione. I diritti come immagini in movimento: tra norma e cultura costituzionale, in Id. (a cura di), Diritti e Costituzione. Profili evolutivi e dimensioni inedite, Milano 2003; S. Bartole, Interpretazioni e trasformazioni della Costituzione repubblicana, Bologna 2004; E. Corcione, Diritti umani, cambiamento climatico e definizione giudiziale di standard di condotta, in Dir. umani dir. int, 2019, 291; K. Poneti, Il cambiamento climatico tra governance del clima e lotta per i diritti, in S. Ciuffoletti-M. Deriu-S. Marcenò-K. Poneti (a cura di), La crisi dei paradigmi e il cambiamento climatico, in Jura Gentium, XVI, 2019, 5 ss.; G. Carmellino, La tutela d’urgenza dei nuovi diritti, Torino, 2020; R. Di Marco, Diritto e nuovi diritti: l’ordine del diritto e il problema del suo fondamento attraverso la lettura di alcune questioni biogiuridiche, Torino, 2021; F. Menga, F. Ciaramelli (a cura di), Il diritto di fronte al futuro: le sfide della giustizia intergenerazionale, in Riv. fil dir., 2021, 253 ss.; F. Menga, Etica intergenerazionale, Brescia, 2021; S. Scagliarini, Diritti sociali nuovi e diritti sociali in fieri nella giurisprudenza costituzionale, in Gruppo di Pisa, 2012, 1 ss.; G. Ghinelli, Le condizioni dell’azione nel contenzioso climatico: c’è un giudice per il clima?, in Riv. trim. dir. e proc civ., 2021, 273 ss.; E. Guarna Assanti, Il Contenzioso Climatico Europeo. Profili Evolutivi dell’Accesso alla Giustizia in Materia Ambientale, Milano, 2024.
[7] In linea generale, in tema di contenzioso climatico: J. Peel-H.M. Osofsky, Climate Change Litigation: Regulatory Pathways to Cleaner Energy, Cambridge, 2015, 22; C. Ragni, Scienza, diritto e giustizia internazionale, Milano, 2020; W. Kahl-M.P. Weller, Climate Change Litigation, Monaco, 2021; J. Setzer-C. Higham, Global Trends in Climate Change Litigation: 2022 Snapshot, Grantham Research Institute on Climate Change and the Environment, Londra, 2022; F. Sindico-M.M. Mbengue (a cura di), Comparative Climate Change Litigation: Beyond the Usual Suspects, Ius Comparatum - Global Studies in Comparative Law, Cham, 2021; M.L. Banda, Climate science in the courts: a review of U.S. and international judicial pronouncements, in 2 Environmental Law Institute (2020), 1; G. Bisogni, Una giurisdizione all’altezza dei diritti sociali. Limiti attuali e ipotesi di sviluppo della loro giustiziabilità contro il legislatore, in Ragion Pratica, 2017, 231 ss.; M. Limon, Human Rights and Climate Change: Constructing a Case for Political Action, in 33 Harvard Environmental Law review (2009), 439; M. Chapman, Climate Change and the Regional Human Rights Systems, in 37-38 Sustainable Development Law and Policy (2010), 60; M. Spitzer-B. Burtscher, Liability for Climate Change: Cases, Challenges, and Concepts, in 8 Journal of European Tort Law (2017), 137; L. Harrington-F. Otto, Attributable Damage Liability in a Non-Linear Climate, in 153 Climate Change (2019), 15; T. Scovazzi, L’interpretazione e l’applicazione ambientalista della Convenzione europea dei diritti umani, con particolare riguardo al caso Urgenda, in Rivista giuridica dell’ambiente, 2019, 619 ss.; M. Ramajoli, Il cambiamento climatico tra Green Deal e Climate Change Litigation, in Riv. giur. amb., 2021, 53 ss.; F. Sindico-K. McKenzie-G. Medici-Colombo-L. Wegener, Research Handbook on Climate Change Litigation, Cheltenham, 2024; E. Marazza, L’accesso alle Corti per reagire all’inefficienza delle politiche climatiche, in S. Valaguzza, (a cura di), Esplorazioni di diritto dell’ambiente, 221 ss.; B. Pozzo, La climate litigation in prospettiva comparatistica, in Riv. giur. amb., 2021, 271 ss.. Si segnala l’interessante raccolta di materiali offerta dal sito www.contenziosoclimatico.it, che contiene costanti aggiornamenti di contributi dottrinali sul tema e dei casi pendenti e decisi. Il concetto può essere approfondito anche attraverso i contributi di A. Pisanò, Il diritto al clima. Il ruolo dei diritti nei contenziosi climatici europei, Napoli, 2022; M. Ramajoli, Il cambiamento climatico tra Green Deal e Climate Change Litigation, in Riv. giur. amb., 2021, 53 ss.; M. Delsignore, La legittimazione a ricorrere delle associazioni ambientali: questioni aperte, ivi, 2020, 179 ss.; B. Pozzo, La climate litigation in prospettiva comparatistica, in Riv. giur. amb., 2021, 271 ss. e, se si vuole, in S. Valaguzza, Liti strategiche: il contenzioso climatico salverà il Pianeta?, in Dir. proc amm., 2021, 2 ss.. Più di recente, il tema è stato approfondito con sguardo di diritto processuale nei contributi di E. Guarna Assanti, Il contenzioso climatico europeo: profili evolutivi dell’accesso alla giustizia in materia ambientale, Milano, 2024; M. Mattalia, Contenzioso climatico e condizioni dell’azione avanti al giudice amministrativo, Torino, 2025 e, con approccio più sistematico, da D. Bevilacqua, La normativa europea sul clima e il Green New Deal. Una regolazione strategica di indirizzo, in Riv. trim. dir. pubbl., 2022, 297 ss. Nella letteratura - invero sterminata - di diritto internazionale, si segnalano in particolare, per vicinanza all’approccio qui adottato, B. Pozzo, Il contenzioso climatico nel prisma del diritto comparato, in Dir. pubbl. compar. eur., 2024, 987 ss.; O. Feraci, Contenzioso climatico e diritto internazionale privato dell’Unione europea, Torino, 2025.
[8] G. Scarselli, Per una corretta lettura della recente ordinanza delle Sezioni Unite, cit.
[9] In argomento, Così, M. Carducci, La sentenza KlimaSeniorinnen e il Carbon Budget come presidio materiale di sicurezza quantitativa e temporale, contro il pericolo e come limite esterno alla discrezionalità del potere, cit., 1432. Con lo stesso approccio, M. Carducci, Le affinità “emissive”. La giurisprudenza comparata destinata ad incidere sul contenzioso climatico, in www.diritticomparati.it, 2024.
[10] Il principio della tutela ambientale espresso dall’art. 3-ter D.lgs. n. 152/2006 non è stato approfondito dalla dottrina come canone autonomo del diritto ambientale, dovendosi rinvenire il suo fondamento direttamente negli artt. 9 e 41 Cost. secondo S. Matteini Chiari, Tutela del paesaggio e “Codice dell’ambiente”, in Riv. giur. amb., 2008, 717 ss.; M.V. Ferroni, La perdita della biodiversità, gli strumenti di tutela ed il codice dell’ambiente, in Riv. quadr. dir. amb., 2022, 123 ss., in particolare 142. Sul punto, A. Predieri, Significato della norma costituzionale sulla tutela del paesaggio, in Studi per il ventesimo anniversario dell’Assemblea Costituente, vol. II, Firenze, 1969, pp. 381 ss.; R. Leonardi, Principi e organizzazione per l’ambiente, in S. Nespor - A.L. De Cesaris (a cura di), Codice dell’ambiente, III ed., Milano, 2009, 143 ss. Sull’art. 3-quater del medesimo testo normativo, si veda in senso critico la disamina di F. Fracchia, Il principio dello sviluppo sostenibile, in G. Rossi, Diritto dell’ambiente, IV ed., Torino, 2021, 181, spec. 188 ss.; M. Pennasilico, La transizione verso il diritto dello sviluppo umano ed ecologico, in A. Buonfrate - A. Uricchio, Trattato breve di diritto dello sviluppo sostenibile, Padova, 2023, 37, spec. 57 ss.; C. Boiti, La progressiva emersione di princìpi e valori connessi alla sostenibilità, in L. Mezzasoma - G. Berti De Marinis (a cura di), Diritto dell’economia e sviluppo sostenibile, Napoli, 2024, 1 ss.
[11] Sulla quale, ex multis, M. Hedemann-Robinson, Access to environmental justice and European union institutional compliance with the Aarhus convention: a rather longer and more winding road than anticipated, in 31 European Energy Law Review, (2022), 175.
[12] Per tutti, P. Trimarchi, La responsabilità civile: atti illeciti, rischio e danno, Milano, 2021. Anche G. Puleio, Rimedi civilistici e cambiamento climatico antropogenico, in Pers. merc., 2021, 469 ss. e B. Pozzo, I criteri di liquidazione del danno ambientale nella prospettiva della distinzione tra danno evento e danno conseguenza, in Resp. civ. prev., 2023, 1848 ss.. Ragionano sulla configurabilità di un modello di responsabilità civile imperniato sul danno da cambiamento climatico P. Femia, Responsabilità civile e climate change litigation, in Enc. dir. - I tematici, VII - Responsabilità civile, Milano, 2024, 847 ss.; V. Conte, Per una teoria civilistica del danno climatico. Interessi non appropriativi, tecniche processuali per diritti transsoggettivi, dimensione intergenerazionale dei diritti fondamentali, in DPCE Online, 2023; A. Mattarella, Responsabilità degli enti e compliance globale. L’armonizzazione degli ordinamenti nel contrasto al crimine d’impresa, in Dir. fam. pers., 2022, 386 ss.; C. Camardi, Verso un modello europeo di responsabilità civile, in Accademia, n. 25/2025, 38. Affrontano altresì la problematica, pur in una prospettiva più ampia sul contenzioso climatico, G. Ghinelli, Le condizioni dell’azione nel contenzioso climatico: c’è un giudice per il clima?, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2021, 1273 ss.; M. Marinai, Il contenzioso e la legislazione climatica: un interminabile valzer sulle note della due diligence, in Resp. civ. prev., 2023, 1327 ss.; N. Dimitri, Doppio movimento. Riflessioni filosofico-giuridiche su soggetto e responsabilità nel contesto della trasformazione tecnologica e della crisi climatica, in Eur. dir. priv., 2025, 270 ss.; C. Scognamiglio,Il danno risarcibile nella disciplina della responsabilità del produttore, in Resp. civ. prev., 2025, 1107 ss.
[13] Trib. Catania, 8 aprile 2025, n. 1966.
[14] Cass. Civ., sez. III, 7 novembre 2019, n. 28626.
[15] Trib. Salerno, 20 maggio 2014, n. 2628.
[16] Cass. Civ., sez. III, 17 luglio 2014, n. 21426; 30 novembre 2006, n. 25479.
[17] Cass. Civ., sez. III, 19 luglio 2002, n. 10551.
[18] Cass. Civ., sez. III, 27 novembre 2015, n. 24211; 12 gennaio 2015, n. 7093; Cassazione Civ., sez. III, 9 marzo 2010, n. 5664; 19 luglio 2008, n. 20063; 17 ottobre 2002, n. 14743.
[19] Si rammenta in dottrina che il danno non scaturisce dalla cosa, ma è arrecato “con” la cosa, perché il danno si verifica se la direzione e il controllo sulla cosa sono state inadeguate e le conseguenze dell’azione sarebbero state evitabile in condizioni diligenti del custode, V. ancora P. Trimarchi, Rischio e responsabilità oggettiva, 1961, 196.
[20] Ex multis, Cass. Civ., sez. VI, 1° dicembre 2022, n. 35415.
[21] Ex multis, Cass. Civ., sez. III, 25 maggio 2023, n. 14526.
[22] Si rammenta in dottrina che il danno non scaturisce dalla cosa, ma è arrecato “con” la cosa, perché il danno si verifica se la direzione e il controllo sulla cosa sono state inadeguate e le conseguenze dell’azione sarebbero state evitabile in condizioni diligenti del custode, V. ancora P. Trimarchi, Rischio e responsabilità oggettiva, 1961, 196.
[23] Corte App., Reggio Calabria, sez. I, 28 giugno 2017, n. 621.
[24] Trib. Perugia, 16 giugno 2025, n. 733/2018.
[25] Trib. Forlì, 10 novembre 2022, n. 987/2022.
[26] Per un’analisi, si rinvia a T. Scovazzi, Il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia sul cambiamento climatico, in RGA Online, n. 68/2025.
[27] In relazione al contenzioso climatico, tra gli altri, S. Spuntarelli, Contenzioso climatico e sapere scientifico, in AmbienteDiritto.it, 1/2023, 52 ss.; M. F. Cavalcanti, Fonti del diritto e cambiamento climatico: il ruolo dei dati tecnico-scientifici nella giustizia climatica in Europa, in dpceonline.it, Sp-2/2023, 329 ss.. In dottrina si è di recente osservato che ciò che rileva “non è la presa d’atto della sempre più intensa penetrazione delle conoscenze fornite dalla scienza nell’ambito della regolazione, quanto piuttosto la questione relativa all’individuazione del punto di equilibrio fra la rigidità dei vincoli dettati dalla scienza e la flessibilità che deve caratterizzare le scelte effettuabili dal regolatore pubblico.”, così A. Bonomo, L’approccio science-based sul cambiamento climatico: quale spazio per il decisore pubblico?, in Riv. quadr. dir. amb., 2024, 54.
[28] E. Parisi, Il principio di sviluppo sostenibile nell’ordinamento altruista, Napoli, 2025, 74 ss., anche per gli ampi riferimenti dottrinali.
[29] Corte Cost., 20 dicembre 2022, n. 254.
[30] E. Parisi, Il principio di sviluppo sostenibile nell’ordinamento altruista, op. cit., 153.
[31] G. Scarselli, Per una corretta lettura della recente ordinanza delle Sezioni Unite, cit.: “La tutela dell’ambiente, pure sacrosanto, non può spingersi fino al punto di impedire l’attività industriale ed economica del paese, non può spingersi fino al punto di comprimere il diritto del lavoro, e perfino i diritti di libertà delle persone garantiti in tutte le democrazie occidentali. Alla fine, qualcuno dirà che non si potrà più prendere l’aereo o girare in automobile; qualcuno arriverà ad immaginare una nuova vita in nuove città, divise in quartieri, e in ogni quartiere tutti i beni essenziali, e nessuno, a tutela dell’ambiente, potrà più uscire dal proprio quartiere”, 8.
[32] Ci si riferisce a Corte cost. 9 maggio 2013, n. 8. La pronuncia ha suscitato importante riflessioni intorno al principio della separazione dei poteri e alla relazione tra diritto e politica. Tra i commenti più significativi si citano V. Onida, Un conflitto tra poteri sotto la veste di questione di costituzionalità: amministrazione e giurisdizione per la tutela dell’ambiente, in Rivista AIC, n. 3/2013; D. Pulitanò, Giudici tarantini e Corte costituzionale davanti alla prima legge ILVA, ivi, 1498 ss.; R. Bin, Giurisdizione o amministrazione, chi deve prevenire i reati ambientali? Nota alla sentenza “Ilva”, in Giur. cost., 2013, 1505 ss.; M. Boni, Le politiche pubbliche dell’emergenza tra bilanciamento e «ragionevole» compressione dei diritti: brevi riflessioni a margine della sentenza della Corte costituzionale sul caso Ilva (n. 85/2013), in Federalismi.it, n. 3/2014. Più di recente, il tema è stato affrontato alla luce della pronuncia resa sul medesimo caso da C. giust., Grande Sez., 25 giugno 2024, in C-626/22, da F. Trimarchi Banfi, Politica e diritto: il caso Ilva, in Dir. amm., 2025, 58 ss. Secondo M. Cecchetti, la revisione degli articoli 9 e 41 della Costituzione e il valore costituzionale dell’ambiente, La revisione degli articoli 9 e 41 della Costituzione e il valore costituzionale dell’ambiente: tra rischi scongiurati, qualche virtuosità (anche) innovativa e molte lacune, in Forum di Quaderni Costituzionali, n. 3/2021, 11 ss., la riforma costituzionale del 2022 porterebbe a riconsiderare necessariamente l’assetto del bilanciamento proposto dalla Corte costituzionale nel 2013. Parimenti si veda A. Morrone, L’ambiente in Costituzione. Premesse per un nuovo “contratto sociale”, in AA.VV., La riforma costituzionale in materia di tutela dell’ambiente, Atti del convegno del 29 gennaio 2022, Napoli, 2022, 9.
[33] Ancora in argomento, E. Parisi, Il principio di sviluppo sostenibile nell’ordinamento altruista, op. cit., 143 ss., dove il principio di sviluppo sostenibile viene definito come “costituzionalizzato” e associato ai “connotati procedurali di un criterio di bilanciamento tra interessi, applicabile laddove venga in rilievo un’operazione di rilevanza economica capace di generale un impatto sul contesto sociale e ambientale di riferimento e consistente nell’attribuzione di un peso a interessi altri da quello economico-concorrenziale.”, 143.
[34] Ampiamente sul punto, E. Parisi, Il principio di sviluppo sostenibile nell’ordinamento altruista, op. cit., 172 ss.
[35] E. Parisi, Il principio di sviluppo sostenibile nell’ordinamento altruista, op. cit., 172.
[36] Per esempio, Cons. Stato, sez. VI, 29 dicembre 2020, n. 8502; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 6 aprile 2021, n. 877; Tar Campania, sez. VIII, 4 marzo 2024, n. 1463.
