Annullamento d’ufficio e tutela dell’interesse culturale (nota a Corte Costituzionale, 26 giugno 2025, n. 88)
di Michele Ricciardo Calderaro
Sommario: 1. Il caso di specie. – 2. Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 sollevate dal Consiglio di Stato. – 3. La ricostruzione sistematica del potere di annullamento d’ufficio da parte della Corte costituzionale. – 4. Tutela del patrimonio culturale ed annullamento d’ufficio: la controversa dialettica tra interessi pubblici “qualificati” ed i provvedimenti di secondo grado.
1. Il caso di specie.
La Corte costituzionale, con la sentenza che si commenta, è intervenuta su un tema tanto delicato quanto complesso come quello attinente al rapporto tra l’esercizio dei poteri di autotutela, in particolare del potere di annullamento d’ufficio, e la tutela di interessi pubblici c.d. “qualificati” qual è quello della tutela del patrimonio culturale.
Prima di analizzare le diverse questioni giuridiche affrontate dalla Corte, è necessario ricostruire brevemente la vicenda da cui è scaturito il contenzioso.
Il Consiglio di Stato, Sezione Sesta, con sentenza non definitiva n. 215 del 16 ottobre 2024, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 21-nonies, co. 1, legge 7 agosto 1990, n. 241 in riferimento agli artt. 3, co. 1, 9, co. 1 e 2, 97, co. 2, e 117, co. 1 della Costituzione, quest’ultima come norma costituzionale interposta rispetto agli artt. 1, lett. b) e d), e 5, lett. a) e c) della Convenzione di Faro del 27 ottobre 2005, ratificata dall’Italia con la legge 1° ottobre 2020, n. 133, nella parte in cui stabilisce il limite temporale fisso di un anno (e non solo il rispetto del termine flessibile “ragionevole”) per l’annullamento d’ufficio delle autorizzazioni illegittime anche con riguardo a quelle che siano incidenti su un interesse sensibile e di rango costituzionale, come quello relativo alla tutela del patrimonio storico e artistico del Paese.
La questione è insorta con riferimento all’attestato di libera circolazione rilasciato nel 2015 per una tela raffigurante una figura femminile, attribuita alla scuola italiana del XVI secolo e con stima di euro 65.000,00; tuttavia, in esito al suo restauro, nel novembre del 2019 lo studio di un esperto d’arte aveva dimostrato che la tela null’altro era che invece la “Allegoria della pazienza” di Giorgio Vasari.
Di conseguenza, la Direzione generale archeologia belle arti e paesaggio del Ministero della Cultura aveva adottato: il 15 novembre 2021 un provvedimento di annullamento in autotutela del rilascio dell’attestato di libera circolazione; il 17 dicembre 2021 un nuovo provvedimento di diniego dell’attestato di libera circolazione del quadro, con contestuale avvio del procedimento per la dichiarazione dell’interesse culturale; il 27 dicembre 2021 un provvedimento di rientro dell’opera sul suolo nazionale in quanto temporaneamente esposta alla National Gallery di Londra.
Il provvedimento di annullamento in autotutela dell’attestato di libera circolazione è pertanto intervenuto ben 6 anni dopo il rilascio del primo provvedimento positivo e comunque 2 anni dopo che il restauro aveva fatto scoprire che l’opera fosse da attribuire al Vasari.
Il soggetto che aveva ottenuto l’attestato di libera circolazione nel 2015 e la successiva proprietaria dell’opera, di conseguenza, impugnano i provvedimenti della Direzione generale del Ministero della Cultura ma il TAR Lazio ha respinto l’impugnativa ritenendo non tardivo l’annullamento d’ufficio sia per l’operare dell’eccezione del comma 2-bisdell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, sia perché il termine non può che decorrere da quando si provi che l’Amministrazione è venuta a conoscenza degli elementi che le erano stati sottratti, o offerti malamente, ovvero solamente nel luglio del 2021.
Il Consiglio di Stato, a differenza del giudice di primo grado, non ha ritenuto invece applicabile la disposizione di cui al co. 2-bis dell’art. 21-nonies, ovvero quella secondo cui “i provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi”, in quanto, da un lato, la provenienza non è tra i dati che l’apposito modulo ministeriale indica come obbligatori nella denuncia di esportazione e, dall’altro lato, la descrizione dell’oggetto della rappresentazione pittorica come figura femminile era sì generica, ma non mendace.
Pertanto, occorre applicare il termine ordinario di dodici mesi di cui al primo comma ma su questo la Sesta Sezione del Consiglio di Stato solleva importanti dubbi di legittimità costituzionale.
2. Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 sollevate dal Consiglio di Stato.
Secondo i giudici di Palazzo Spada la questione di costituzionalità non è manifestamente infondata perché la norma dell’art. 21-nonies, co. 1, che pone il limite temporale di dodici mesi all’annullamento d’ufficio, indiscriminatamente per tutte le autorizzazioni, comprese quelle incidenti su un interesse sensibile e di rango costituzionale sarebbe manifestamente irragionevole e violerebbe al contempo il fondamentale interesse alla tutela dell’integrità del patrimonio storico e artistico del Paese apprestata dall’art. 9, co. 1 e 2 della Costituzione e il principio di buon andamento dell’Amministrazione di cui all’art. 97, co. 2, Cost.
Ed infatti, in primo luogo, seguendo il ragionamento del Consiglio di Stato, sottoporre ad un limite temporale rigido il potere di annullamento in autotutela anche per gli atti autorizzatori riguardanti interessi di rango super-primario darebbe automatica prevalenza all’interesse privato alla conservazione del provvedimento ampliativo su quello pubblico antitetico, senza consentire il loro bilanciamento in relazione alla specifica vicenda amministrativa. Piuttosto, interessi pubblici, come quello all’integrità ed alla tutela del patrimonio storico-artistico, sarebbero tendenzialmente prevalenti rispetto alla posizione (di matrice individuale) di legittimo affidamento del privato alla stabilità del titolo ottenuto, nella naturale ponderazione delle posizioni contrapposte.
Al contrario, continua la Sesta Sezione, sarebbe adeguato sottoporre l’esericizio del potere di autotutela ad un termine elastico da modulare secondo il canone della ragionevolezza ed il cui esercizio soggiacerebbe al sindacato del giudice amministrativo.
In secondo luogo, la previsione di una barriera temporale, valida in assoluto, non consentirebbe di valutare correttamente la peculiarità e l’importanza del caso concreto nella valutazione sottesa all’esercizio del potere di annullamento d’ufficio, con specifico riguardo ad autorizzazioni il cui rilascio richiede l’apprezzamento di profili, anche complessi e controversi, di natura tecnica.
Tra queste indubbiamente rientra l’attestato di libera circolazione di un bene culturale, la cui emanazione richiede il ricorso a conoscenze di settore, soggette ad evoluzione e non riconducibili a scienze esatte, anzi dotate di margini di opinabilità.
In terzo luogo, il termine decadenziale stabilito per l’esercizio della potestà di cui all’art. 21-nonies precluderebbe la «spendita di altri profili di capacità speciale autoritativa dell’Amministrazione».
L’annullamento d’ufficio si pone come presupposto logico-giuridico per il riesercizio dell’originario potere o di altri poteri amministrativi a questo connessi, che, pertanto, sarebbero indirettamente impediti dall’impossibilità di annullamento della determinazione originaria per l’intervenuta scadenza dei dodici mesi dalla sua adozione.
Da ultimo, il Consiglio di Stato a sostegno del suo orientamento evidenzia, da un lato, come la legge n. 241 del 1990 per altri istituti del procedimento amministrativo abbia previsto una disciplina specifica laddove ricorrano interessi sensibili come quello della tutela del patrimonio culturale e, dall’altro, sottolinea come nel caso di specie non sia applicabile il co. 2 dell’art. 21-nonies previsto per false rappresentazioni di fatti o false dichiarazioni rese in quanto questa ipotesi eccezionale non coprirebbe un ampio ventaglio di casi, come quello della fattispecie in questione, caratterizzati da situazioni di incertezza e in cui non sarebbe ravvisabile la meritevolezza dell’interesse del privato a una incondizionata prevalenza, per decorso del tempo, sull’interesse pubblico.
Pertanto, è evidente per il Consiglio di Stato che la questione deve essere rimessa al giudizio della Corte costituzionale anche in virtù del fatto che non è possibile altra interpretazione costituzionalmente conforme dell’art. 21-nonies, dato che la norma è inequivoca nello stabilire che il termine “non superiore a dodici mesi” per l’annullamento d’ufficio sia un termine massimo inderogabile e che la sua decorrenza incominci dal momento dell’adozione del provvedimento di primo grado: non vi sarebbe, dunque, possibilità di posticipare il suo spirare in relazione alle manifestazioni sopravvenute dell’illegittimità originaria.
Norma che, ad abundantiam, violerebbe altresì, come norma interposta, l’art. 117, co. 1, Cost., in relazione agli artt. 1, lett. b) e d), e 5, lett. a) e c) della Convenzione di Faro, che riconosce il diritto fondamentale alla protezione dell’eredità culturale di ogni popolo.
In altri termini, quindi, secondo il Consiglio di Stato, la previsione di una scadenza predeterminata per la funzione di riesame con riguardo alle autorizzazioni concernenti i beni culturali sarebbe manifestamente irragionevole e violerebbe al contempo i principi di buon andamento dell’Amministrazione e della tutela del patrimonio storico e artistico. Difatti, la consumazione della potestà di autotutela impedirebbe all’Amministrazione di rinnovare la cura dell’interesse c.d. super-primario alla protezione del patrimonio culturale sotteso al provvedimento illegittimo di primo grado, sottraendole ogni possibilità di apprezzare le peculiarità e l’importanza del caso concreto, ponderare gli interessi contrapposti nell’esercizio della tipica discrezionalità dell’Amministrazione e provvedere, in esito all’annullamento, con il riesercizio del potere.
Questi profili di incostituzionalità verrebbero meno, ovviamente, qualora il potere di riesame risultasse sottoposto al solo limite flessibile del “termine ragionevole”, stabilito in via generale per i provvedimenti amministrativi[1].
Tale orientamento della Sesta Sezione del Consiglio di Stato non ha trovato, però, accoglimento da parte dei giudici costituzionali, che hanno dichiarato in parte non fondate ed in parte inammissibili le questioni di costituzionalità sollevate sulla base di una ricostruzione sistematica, non sempre del tutto persuasiva, come si vedrà infra, del potere di annullamento d’ufficio.
3. La ricostruzione sistematica del potere di annullamento d’ufficio da parte della Corte costituzionale.
Anzitutto la Corte costituzionale ha ritenuto inammissibile la questione di costituzionalità dell’art. 21-nonies, legge n. 241 del 1990 con riferimento all’art. 117, co. 1, Cost. quale norma interposta relativamente agli obblighi assunti con la Convenzione di Faro in quanto la questione sollevata dal Consiglio di Stato è priva di qualsiasi illustrazione delle ragioni per le quali la disposizione censurata integrerebbe una violazione del parametro costituzionale evocato.
Quanto alla presunta violazione degli artt. 3, 9 e 97 Cost., la Corte ha invece ritenuto di dover ricostruire sistematicamente le origini e le caratteristiche del potere di annullamento d’ufficio prima di potersi pronunziare sulla questione di legittimità sollevata dal Consiglio di Stato.
L’annullamento d’ufficio deve essere annoverato tra i provvedimenti di “secondo grado” con cui l’Amministrazione esercita la funzione di riesame di atti già adottati, al fine di garantire la cura dell’interesse pubblico in via continuativa. Si contraddistingue, in tale ampia categoria, per essere il provvedimento discrezionale di portata caducatoria, con effetti ex tunc, di un precedente atto affetto da uno o più vizi di legittimità[2].
Originariamente, ovvero sino al momento in cui non è stata introdotta la norma dell’art. 21-nonies, la funzione del riesame è stata ritenuta espressione dello stesso potere esercitato in primo grado, di cui condivideva il carattere di inesauribilità, e il suo fondamento costituzionale è stato rintracciato nel principio di buon andamento dell’Amministrazione di cui all’art. 97 Cost.
Ne è conseguito, sotto il profilo temporale, che il potere di annullamento è stato ritenuto inconsumabile e discrezionale nel quando, salvo il temperamento individuato dalla giurisprudenza amministrativa, dapprima, sulla base delle sollecitazioni anche risalenti della dottrina[3], nella carenza di un interesse concreto e attuale all’annullamento[4]per “l’operare del fatto compiuto”[5] e, di seguito, nella decorrenza di un termine ragionevole[6], criterio introdotto anche in conseguenza delle “spinte gentili” provenienti dalla Corte di giustizia sin dal 1982, con la sentenza Alpha Steel Ltd, a giudizio della quale il riesame di un atto illegittimo – impropriamente denominato dal giudice europeo come “revoca”[7]– è possibile solamente se interviene entro un arco temporale adeguato[8].
Ciò perché un potere di riesame senza termine può incidere sul legittimo affidamento del cittadino[9]. Pensiamo ad un titolo autorizzatorio (ad esempio, edilizio) dapprima rilasciato e poi annullato d’ufficio a distanza di anni in qualora l’Amministrazione si accorga che era affetto da un vizio di legittimità.
Il cittadino, in questo modo, era lasciato completamente “in balia” dell’Amministrazione, non potendosi certamente configurare un rapporto amministrativo paritario, come preconizzato dalla dottrina[10].
Occorreva pertanto che vi fosse un intervento del legislatore tale da allineare tale potere alla dimensione collaborativa che la legge n. 241 del 1990, seppur in modo non esattamente coincidente con le intenzioni della Commissione Nigro[11], aveva incominciato ad attribuire al rapporto tra Amministrazione e cittadini[12].
Così, la legge 11 febbraio 2005, n. 15 ha introdotto nella legge generale sul procedimento amministrativo l’art. 21-nonies[13], che per la prima volta ha positivizzato, in termini generali, il potere di riesame, ha fatto proprio il concetto del “termine ragionevole”, inserendo il mancato decorso di quel tempo tra le condizioni per il suo esercizio, accanto a quelle della presenza di specifiche ragioni di interesse pubblico che giustifichino l’annullamento del provvedimento di primo grado (distinte, però, dal mero ripristino della legalità violata)[14] e della valutazione degli interessi dei destinatari del provvedimento (in primis, l’affidamento da loro in esso riposto) e dei controinteressati[15].
La codificazione del “termine ragionevole” non ha però risolto tutte le questioni insorte, anche in virtù dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza amministrativa.
Difatti, secondo la stessa Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la scelta normativa di una limitazione temporale tramite il ricorso a “un concetto non parametrico ma relazionale, riferito al complesso delle circostanze rilevanti nel caso” ha comportato la sua qualificazione non come termine di decadenza del potere di autotutela, con sua conseguente consumazione in via definitiva, bensì come elemento determinante nella modalità di esercizio di tale potere, in una logica conformativa del potere al suo interno.
Di conseguenza, secondo il giudice amministrativo[16], il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consuma il potere di adozione del provvedimento di annullamento d'ufficio[17], anche in considerazione del fatto che “il termine ragionevole” per la sua adozione decorre soltanto dal momento della scoperta, da parte dell'Amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell'atto di ritiro[18].
Ora, è evidente che questa interpretazione di un concetto giuridico indeterminato[19] qual è quello del “termine ragionevole”, seppur richiedendo all’Amministrazione una motivazione particolarmente dettagliata dalla sua decisione, nella necessaria comparazione di tutti gli interessi coinvolti, compreso il legittimo affidamento riposto dal cittadino, lascia quest’ultimo in una posizione di difficoltà nei confronti dell’Amministrazione[20] solo però se questa non usa correttamente la propria discrezionalità. Certo, “il termine ragionevole” deve essere riempito di contenuto ma l’elasticità del termine non è di per sé sinonimo di illegittimità.
Tuttavia, il legislatore è nuovamente intervenuto sul co. 1 dell’art. 21-nonies con la legge 7 agosto 2015, n. 124, specificando per i provvedimenti autorizzatori e di attribuzione di vantaggi economici – e dunque per gli atti ampliativi in cui è più evidente l’affidamento del cittadino – che l’annullamento possa intervenire “entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione”[21].
Per questi provvedimenti il termine è stato considerato un termine decadenziale anche dalla stessa Corte costituzionale che, occupandosi dei poteri di controllo postumi riservati all’Amministrazione in caso di SCIA nel termine e alle condizioni di cui all’art. 21-nonies, si è espressa nel senso che la decorrenza del relativo termine determina l’”effetto estintivo di tale potere” e il consolidamento definitivo della situazione soggettiva dell’interessato nei confronti dell’Amministrazione ormai priva di poteri e dei terzi controinteressati[22].
Nel nostro ordinamento, così come in quello europeo[23] la tutela dell’affidamento del cittadino è riconosciuta solo se questo è legittimo[24], vale a dire se incolpevole o fondato sulla buona fede, che oggigiorno trova un ulteriore riconoscimento nella sua codificazione agli artt. 1, co. 2-bis della legge n. 241 del 1990[25] e 5 del nuovo Codice dei contratti pubblici, contenuto nel d.lgs. n. 36 del 2023[26].
Sulla base di questo presupposto, il legislatore del 2015 ha previsto unitamente al termine decadenziale fisso una fattispecie di esclusione della sua applicabilità per immeritevole considerazione della posizione del destinatario del provvedimento invalido. Difatti, all’art. 21-nonies è stato aggiunto il comma 2-bis, a mente del quale l’Amministrazione è legittimata all’annullamento del provvedimento invalido anche dopo la scadenza del termine, all’epoca fissato in diciotto mesi, in caso “di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato”.
Questa disposizione viene costantemente interpretata dalla giurisprudenza amministrativa ritenendo che il termine finale entro cui deve intervenire l’annullamento d’ufficio non trova applicazione tutte le volte in cui si riscontri che il contrasto tra la fattispecie rappresentata e la fattispecie reale sia rimproverabile all’interessato, tanto se determinato da dichiarazioni false o mendaci la cui difformità, se frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante, dovrà scontare l’accertamento definitivo in sede penale, quanto se determinato da una falsa rappresentazione della realtà di fatto, accertata inequivocabilmente dall’Amministrazione con i propri mezzi[27].
In sostanza, il differimento del termine iniziale per l'esercizio dell'autotutela deve essere determinato dall'impossibilità per l'Amministrazione, a causa del comportamento dell'istante, di svolgere un compiuto accertamento sulla spettanza del bene della vita nell'ambito della fase istruttoria del procedimento di primo grado[28].
Di conseguenza, se il termine ragionevole tradizionalmente decorre dal momento dell’adozione del provvedimento di primo grado, in questo caso decorre solamente dal momento in cui l’Amministrazione “scopre” l’illegittimità dovute alle false dichiarazioni, non avendo potuto compiere correttamente la propria istruttoria.
Il termine di 18 mesi, in conseguenza delle “semplificazioni amministrative” intervenute per rilanciare l’economia del Paese a seguito della pandemia da Covid-19, è stato ulteriormente ridotto a 12 mesi dal d.l. 31 maggio 2021, n. 77, conv. in legge 29 luglio 2021, n. 108[29].
Peraltro, il legislatore, al di là di ulteriori specifiche abbreviazioni per procedimenti particolari come ad esempio quelli relativi alla produzione di energia da fonti rinnovabili, probabilmente interverrà ancora con una nuova riduzione del termine a 6 mesi come previsto dal disegno di legge governativo S-1184 ora in discussione al Senato, con l’intento, secondo quanto si può desumere dalla relazione illustrativa della relativa disposizione, di rispondere all’esigenza di ridurre ad un termine più ragionevole l’esaurimento del potere di autotutela dell’Amministrazione a salvaguardia del legittimo affidamento ingenerato nei destinatari del provvedimento (!).
Ora, al di là della correttezza terminologica sull’esauribilità del potere di autotutela dell’Amministrazione, su cui non ci si può soffermare in questa sede[30], la volontà del legislatore pare quella di consolidare il legittimo affidamento del cittadino in un termine non solo ragionevole ma estremamente breve (forse troppo) qualora questo abbia agito consapevolmente ed in buona fede nei propri rapporti con l’Amministrazione[31].
La ricostruzione sistematica del potere di annullamento d’ufficio effettuato dalla Corte è corretta e sufficientemente completa ma persiste un problema: che cosa succede allorquando questo potere si deve confrontare con un interesse pubblico particolarmente qualificato, rectius sensibile, come quello relativo alla tutela del patrimonio culturale?
Questa è la domanda da cui occorre partire per svolgere alcune considerazioni sul nucleo del decisum della Corte costituzionale nella pronunzia che si commenta.
4. Tutela del patrimonio culturale ed annullamento d’ufficio: la controversa dialettica tra interessi pubblici “qualificati” ed i provvedimenti di secondo grado.
L’art. 21-nonies, nelle varie interpolazioni intervenute, non ha mai dedicato una norma specifica agli interessi pubblici particolarmente “qualificati”, come è certamente quello relativo alla tutela dell’interesse culturale, né ha mai previsto la non applicazione (o una sua possibile maggiore flessibilità) del termine ragionevole nei casi in cui ricorrano tali interessi.
Ciò a differenza di altre disposizioni della legge n. 241 del 1990[32] ove si è escluso, ad esempio, l’operare di alcuni istituti di semplificazione procedimentale (i meccanismi devolutivi per l’acquisizione dei pareri e valutazioni tecniche di cui agli artt. 16 e 17) o provvedimentale (il silenzio-assenso c.d. verticale di cui all’art. 20) e di liberalizzazione (la SCIA di cui all’art. 19)[33].
Come è noto, ai sensi dell’art. 9 Cost., la Repubblica italiana si pone come obiettivo imprescindibile quello della promozione della cultura e della ricerca scientifica e tecnica[34]: ciò si realizza anzitutto attraverso la tutela del patrimonio culturale da intendersi non solo nelle sue espressioni identitarie, ma anche attraverso la tutela e la conservazione di tutti quei beni che possano contribuire al perseguimento dell'obiettivo di tale elevazione[35].
Si può pacificamente affermare, dunque, che per tutela si può intendere ogni attività diretta a riconoscere, proteggere e conservare un bene del nostro patrimonio culturale affinché possa essere offerto alla conoscenza e al godimento della collettività[36].
Secondo la Corte costituzionale, tuttavia, la previsione del termine finale fisso per l’esercizio del potere di annullamento degli atti autorizzatori, senza eccezioni (o distinguo) per gli interessi culturali, non risulta manifestamente irragionevole e lesiva dell’interesse culturale protetto dall’art. 9 Cost.
Il fondamento di tale asserzione per la Corte risiede nel fatto che l’annullamento d’ufficio è espressione di una funzione di secondo grado, avente ad oggetto un provvedimento emanato nell’esercizio di un determinato potere.
Secondo questo ragionamento, il riesame del provvedimento[37], pur mosso da ragioni di legittimità, non costituisce espressione di quel potere già esercitato, bensì di un altro potere riconosciuto in via generale all’Amministrazione, quello dell’annullamento d’ufficio, che, proprio perché diverso da quello esercitato e su cui incide, è assoggettato a regole specifiche, quanto a presupposti ed a disciplina procedimentale. In particolare, in sede di riesame emerge l’esigenza di una regola di certezza e di correttezza nei rapporti tra il potere pubblico e i privati, che rende immodificabile l’assetto degli interessi che si è consolidato nel tempo.
Quindi, atteso che, con l’annullamento in autotutela, l’Amministrazione reinterviene su una precedente attività amministrativa, è di questa che debbono essere valorizzate le plurime regole a garanzia degli interessi pubblici di rango costituzionale dettate dalla legge sul procedimento o dalle leggi settoriali: sia in ordine alle modalità di esercizio dei relativi poteri, sia in ordine ai loro termini.
Occorre, pertanto, verificare in questo caso che la disciplina del rilascio o del rifiuto dell’attestato di libera circolazione, necessario per l’esportazione di un’opera in altro Paese dell’Unione europea, ovvero per far uscire definitivamente l’opera dal territorio della Repubblica italiana, prevista dall’art. 68, d.lgs. n. 42 del 2004, Cod. beni culturali, risponda a queste necessarie garanzie.
Il legislatore, prevedendo l’intervento del Ministero della Cultura e degli uffici di esportazione cui deve essere destinata la dichiarazione e che hanno ampia discrezionalità tecnica in merito alla decisione sulla possibile esportazione[38], conforma puntualmente il potere autorizzatorio in ordine alla esportazione delle opere d’arte per la finalità di preservare “l’integrità del patrimonio culturale in tutte le sue componenti”, ma anche a garanzia degli interessi sui quali quel potere interferisce (la proprietà del bene, la relativa disponibilità e il regime della sua circolazione), e l’ufficio di esportazione, cui quel potere è attribuito, nell’esercitarlo, oltre a rispettare le relative regole, è chiamato a concretizzarlo, tramite la corretta espressione della discrezionalità, nel contesto fattuale e nel contemperamento di tutti gli interessi, pubblici e privati, coinvolti[39].
Il rilascio dell’attestato di libera circolazione, che, per esempio, può riferirsi a beni non vincolati, a chiunque appartenenti, che presentino un interesse culturale, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, il cui valore sia superiore ad euro 13.500 (art. 65, co. 3, Cod. beni culturali), in questo caso, nel contemperamento di tutti gli interessi coinvolti, corrisponde evidentemente ad una valutazione dell’Amministrazione di non essenzialità del bene in esame per il patrimonio culturale nazionale[40].
Qualora, tuttavia, l’Amministrazione si avveda che il provvedimento di primo grado presenti profili di illegittimità e valuti di provvedere all’annullamento d’ufficio, non è contrario alla ragionevolezza che l’interesse di particolare rango costituzionale, quale la protezione del patrimonio culturale, abbia nella funzione di riesame una considerazione diversa da quella che gli è riservata nel procedimento di primo grado che porta al rilascio o meno dell’attestato di circolazione.
In sede di riesame, con riferimento alla comparazione attuata in sede di esercizio del potere, gli interessi considerati in primo grado, pur di rilievo costituzionale, acquistano per la Corte una diversa consistenza, perché si confrontano con interessi ulteriori, non solo di natura privata, ma anche pubblica. Nel valutare l’an dell’annullamento, l’Amministrazione deve tenere in considerazione non solo l’interesse pubblico primario in precedenza tutelato dal provvedimento invalido, ma deve soppesare anche quelli, sempre di natura pubblica, al ripristino della legalità (che spesso trova coincidenza con l’interesse del controinteressato pregiudicato dal provvedimento emesso in favore di altri)[41] e alla certezza dei rapporti giuridici, nonché la posizione, di natura privata, di affidamento del destinatario della determinazione favorevole, qualora questo sia legittimo[42].
In tale contesto, lo specifico bilanciamento operato dall’art. 21-nonies nel suo complesso risulta, secondo la Corte, non reprensibile anche con riguardo alla tutela di interessi particolarmente “qualificati” quale quello culturale.
La disposizione prevede, infatti, una regolazione della dialettica degli interessi in gioco il cui punto di equilibrio è dato dalla “variabile tempo”.
L’opzione invocata dal Consiglio di Stato di inoperatività del termine finale fisso per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio dei provvedimenti autorizzatori potrebbe generare una situazione di incertezza nella vita dei cittadini e delle imprese idonea a incidere negativamente, in un’ottica più complessiva, sulle dinamiche del mercato (anche quello dell’arte) e sulla fiducia degli investitori: in definitiva, sull’affidabilità del “sistema Paese”[43].
Ora, questa asserzione della Corte costituzionale appare francamente opinabile con riferimento alla tutela dei beni culturali: si è d’accordo sul fatto che l’esercizio del potere di riesame non può essere senza limiti di tempo, ad libitum, perché si rischierebbe di tornare al punto di origine per cui il cittadino riponeva un legittimo affidamento nell’autorizzazione rilasciata dall’Amministrazione ed anni dopo, magari qualche decennio dopo, si vedeva annullato il titolo precedentemente rilasciato perché l’Amministrazione si accorgeva della sussistenza di un vizio. Questo certamente è contrario a quella certezza del diritto che deve essere propria del nostro ordinamento.
Il caso di specie, tuttavia, è diverso: qui si sta parlando di un’opera d’arte riconducibile al Vasari, che certamente è parte importante del patrimonio culturale italiano. Ritenere che la mancanza di un’apposita disciplina dell’annullamento d’ufficio nei casi in cui venga in rilievo un interesse sensibile come quello della protezione del patrimonio culturale sia conforme al sistema è discutibile.
L’interesse pubblico deve tenere in considerazione senz’altro il legittimo affidamento riposto dal destinatario dell’atto ma con altrettanta certezza si deve affermare che tale interesse non può ridursi in questo caso alla tutela del mercato e della fiducia degli investitori perché i beni culturali non sono e non potranno mai essere solo una variabile economica o un semplice brand del Paese.
Appare più convincente, invece, la motivazione fornita dalla Corte relativamente alla compatibilità della disciplina temporale dell’annullamento d’ufficio con il principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.
Il termine estintivo del potere di annullamento influisce sulla qualità dello stesso processo decisionale di primo grado. La limitazione della potestà di autotutela incentiva le Amministrazioni alla attenta valutazione ed alla corretta ponderazione degli interessi già in primo grado; valutazione che potrebbe essere meno meditata nella consapevolezza di avere una seconda chance di intervento, tramite un contrarius actus, rispetto a quello originariamente assunto in via illegittima, senza limiti temporali predeterminati[44].
In questo senso il termine di decadenza diviene uno strumento di efficienza dell’azione amministrativa[45].
Che, in ogni caso, laddove si parli di un attestato di libera circolazione di un’opera che è indubbiamente parte del patrimonio culturale nazionale, dovrebbe essere quanto meno maggiormente flessibile così come evocato dal Consiglio di Stato perché non tutti gli interessi pubblici hanno una medesima rilevanza.
Su questo aspetto sarebbe necessario, pertanto, che il legislatore ripensasse la disciplina dell’art. 21-nonies, introducendo delle specifiche disposizioni così come ha già fatto per altri istituti previsti dalla legge generale sul procedimento amministrativo[46].
Pur dichiarando le questioni di costituzionalità non fondate, la Corte ha offerto alcuni spunti al legislatore, che sta pensando di riformare la disciplina dell’art. 21-nonies mediante il disegno di legge in discussione al Senato, per rendere più omogenea la norma ai diversi casi che si possono presentare: certamente occorre un termine di decadenza ragionevole prefissato, ma questa ragionevolezza è tale solo se adeguata ai diversi interessi pubblici che è necessario bilanciare attraverso la valutazione tipica dell’esercizio del potere discrezionale da parte dell’Amministrazione[47].
L’alternativa, non condivisibile per la sua impostazione ma che astrattamente risolverebbe il problema, sarebbe quella di considerare il procedimento di rilascio dell’attestato di libera circolazione come un procedimento non autorizzatorio ma cautelare in vista della possibile dichiarazione di interesse culturale da parte del Ministero, visto lo stretto collegamento previsto tra i due procedimenti da parte del Codice dei beni culturali[48]: in questo modo non si applicherebbe il termine di 12 mesi ma la flessibilità del “termine ragionevole” per procedere al suo annullamento d’ufficio.
Si tratterebbe però di un’interpretazione forzata, non necessaria adeguando la disciplina dell’art. 21-nonies, affinché questo termine finale, così come ricordato già dal Consiglio di Stato in sede consultiva qualche anno fa, possa effettivamente costituire un “nuovo paradigma nel rapporto tra pubblica amministrazione e privati”[49].
[1] La ricostruzione analitica della vicenda e della pronunzia del Consiglio di Stato si può leggere in F. Campolo, Attestato di libera circolazione di un bene culturale e potere di autotutela, in GiustiziaInsieme, 26 febbraio 2025.
[2] Per un inquadramento sistematico dell’istituto è necessario rinviare agli scritti classici sul tema quali: R. Resta, L'annullamento d'ufficio degli atti amministrativi come onere di buona amministrazione, in Foro amm., 1937, I, 121 ss.; G. Codacci Pisanelli, L'annullamento degli atti amministrativi, Milano, 1939; V. Romanelli, L'annullamento degli atti amministrativi, Milano, 1939; P. Bodda, Sull'obbligo di annullare d'ufficio o su denunzia gli atti amministrativi illegittimi, in Foro amm., 1942, 1 ss.; G. Miele, In tema di annullamento d'ufficio di atti amministrativi illegittimi, in Giur. comp. Cass., 1947, I, 1133 ss.; A. De Valles, Annullamento d'ufficio ed interesse pubblico, in Foro it., 1950, III, 228 ss.; S. Romano, G. Miele, voce Annullamento degli atti amministrativi, in Noviss. Dig. it., Torino, 1957, I, 1, 644 ss.; E. Cannada Bartoli, voce Annullabilità e annullamento (dir. amm.), in Encicl. dir., Milano, Vol. II, 1958; F. Benvenuti, voce Autotutela (dir. amm.), in Encicl. dir., Milano, 1959, Vol. IV, 544 ss.; F. Garri, Il pubblico interesse all'annullamento d'ufficio ed il decorso del tempo, in Foro amm., 1964, III, 175 ss.
[3] Si v. già in tema A.C. Jemolo, L'interesse come presupposto dell'annullamento degli atti illegittimi. Licenziamento in via eventuale, in Foro it., 1931, III, 113 ss.
[4] Su come veniva interpretato l’interesse pubblico necessario per procedere all’annullamento d’ufficio si rinvia all’ampia disamina di S. Valaguzza, La concretizzazione dell’interesse pubblico nella recente giurisprudenza amministrativa in tema di annullamento d’ufficio, in Dir. proc. amm., 2004, 1245 ss.
[5] In questi termini, ad esempio, Cons. Stato, Sez. V, 20 agosto 1996, n. 939, in Giur.it., 1997, III, 1, 177 ss., con riferimento all’annullamento in autotutela di una licenza edilizia.
[6] Così Cons. Stato, Sez. VI, 15 novembre 1999, n. 1812, in Foro amm., 1999, 2556 ss.
[7] Sull’utilizzo non sempre corrispondente dei termini giuridici da parte del giudice e del legislatore europeo si rinvia a M. Ricciardo Calderaro, L’integrazione amministrativa e la tutela dei diritti. Problemi e prospettive alla luce della crisi sistemica dell’Unione europea, Torino, 2020.
[8] Corte giust. CE, 3 marzo 1982, Alpha Steel Ltd c. Commissione, in causa C-14/81.
[9] Ovviamente, non si può non rinviare allo studio di F. Trimarchi Banfi, L’annullamento d’ufficio e l’affidamento del cittadino, in Dir. amm., 2005, 843 ss.
[10] A partire, ovviamente, da F. Benvenuti, Per un diritto amministrativo paritario, in Aa. Vv., Studi in memoria di Enrico Guicciardi, Padova, 1975, 807 ss., poi in Scritti giuridici, Milano, 2006, Vol. IV, 3223 ss.
[11] Per una ricostruzione del pensiero di Nigro sulla necessità di una legge generale sul procedimento amministrativo v. R. Chieppa, Mario Nigro e la disciplina sul procedimento amministrativo, in Riv. trim. dir. pubbl., 2010, 667 ss.; nonché, di recente, M. Ramajoli, Dal provvedimento al procedimento amministrativo e ritorno. Rileggendo Mario Nigro, in Nomos, fasc. n. 3-2023; G. Della Cananea, Mario Nigro riformatore: la legge sul procedimento amministrativo, in Nomos, fasc. n. 3-2023.
[12] Secondo A. Andreani, Funzione amministrativa, procedimento, partecipazione nella l. 241/90 (quarant'anni dopo la prolusione di F. Benvenuti), in Dir. proc. amm., 1992, 662 ss., la legge n. 241 del 1990 ha recepito i tre diversi modi di essere del procedimento, ossia il procedimento-istruzione, il procedimento-contraddittorio ed il procedimento-collaborazione; M. Clarich, Garanzia del contraddittorio nel procedimento, in Dir. amm., 2004, 72, ricorda che il contraddittorio previsto dalla legge n. 241 del 1990 assolve a diverse funzioni, quali quella di garanzia del diritto di difesa, quella di partecipazione collaborativa e quella di rappresentanza degli interessi; M. Occhiena, Partecipazione al procedimento amministrativo, in S. Cassese (diretto da), Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, vol. V, 4128 ss., evidenzia il fondamentale ruolo collaborativo della partecipazione del privato, che si esplica specialmente nella fase istruttoria del procedimento amministrativo; sul punto cfr. altresì R. Caranta, L. Ferraris, S. Rodriquez, La partecipazione al procedimento amministrativo, Milano, 2005; M. Ricciardo Calderaro, La partecipazione nel procedimento amministrativo tra potere e rispetto dei diritti di difesa, in Foro amm., 2015, 1313 ss.; R. Ferrara, La partecipazione al procedimento amministrativo: un profilo critico, in Dir. amm., 2017, 209 ss.; A. Cauduro, Gli obblighi dell’amministrazione pubblica per la partecipazione procedimentale, Napoli, 2023; M. Clarich, La collaborazione nel procedimento amministrativo, in Dir. amm., 2024, 651 ss.; nonché l’interessante punto di vista di P. Patrito, Premesse storiche e comparatistiche per uno studio sulla partecipazione al procedimento amministrativo, Aracne, 2018.
[13] Cfr. la ricostruzione di C. Deodato, Art. 21-nonies, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2017.
[14] Su questo aspetto è interessante rinviare a N. Posteraro, Sui rapporti tra dovere di provvedere e annullamento d’ufficio come potere doveroso, in Federalismi, fasc. n. 5-2017, 2 ss.
[15] In tema, sotto molteplici punti di vista, cfr. G. Bergonzini, Art. 21-octies della legge n. 241 del 1990 e annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi, in Dir. amm., 2007, 231 ss.; G. Manfredi, Annullamento d’ufficio, tutela dell’affidamento, indennità, in Urb. app., 2007, 1433 ss.; M. Calabrò, Permesso di costruire: precisazioni in tema di decorrenza del termine per l’impugnativa e di presupposti per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio, in Riv. giur. ed., 2007, 567 ss.; F. Costantino, Contrarius actus e competenza ad adottare il provvedimento di annullamento d’ufficio di un atto viziato da incompetenza alla luce della l. n. 15 del 2005, in Foro amm. CdS, 2006, 1839 ss.
[16] Da ultimo, in questi termini, Cons. Stato, Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 8, in Foro amm., 2017, 1980 ss., nonché T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 18 aprile 2024, n. 7672.
[17] Ancora di recente, Cons. Stato, Sez. VII, 23 gennaio 2025, n. 515, ha affermato, ad esempio, che l'annullamento d'ufficio di un titolo edilizio può avvenire anche a distanza di tempo dal rilascio del provvedimento originario, a patto che l'atto di ritiro sia suffragato da una motivazione adeguata che evidenzi la sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale, contrapposto agli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole. Tale principio vuole che il potere di riesaminare d'ufficio un atto amministrativo non si esaurisca automaticamente nel tempo, ma permanga sino a quando l'Amministrazione non divenga consapevole dei motivi che giustificano l'annullamento. In tema cfr. le riflessioni di C. Fragomeni, Il tempo del riesame amministrativo, in GiustiziaInsieme, 4 settembre 2024.
[18] Si esprime in senso critico su questo aspetto N. Posteraro, Annullamento d’ufficio e motivazione in re ipsa: osservazioni a primissima lettura dell’Adunanza Plenaria n. 8 del 2017, in Riv. giur. ed., 2017, 1103 ss., secondo cui “desta molte perplessità, invece, l'affermazione che il termine ragionevole decorre solo dal momento in cui l'amministrazione sia venuta concretamente a conoscenza dei profili di illegittimità dell'atto: in primo luogo, perché la ragionevolezza del termine è strettamente correlata all'affidamento risposto dal privato, il quale, in questo senso, si correla al tempo intercorso tra il momento dell'adozione del provvedimento di primo grado (da cui deriva l'affidamento) e quello dell'eventuale annullamento del provvedimento di primo grado, non al tempo intercorso tra il momento in cui la p.A., pur disponendo degli elementi necessari per farlo in sede di prima (e prescritta) istruttoria, ne scopra (recte, ne rilevi in ritardo) la illegittimità e quello in cui poi, concretamente, annulla”.
[19] Per una riflessione attuale in materia si rinvia alle acute osservazioni di S. Foà, Clausole generali, norme extra-giuridiche e nuovo merito amministrativo. Il neoempirismo temperato, in Id. (a cura di), Il nuovo merito amministrativo, Torino, 2025, 23 ss.
[20] E. Zampetti, Osservazioni a margine della Plenaria n. 8 del 2017 in materia di motivazione nell’annullamento d’ufficio, in Riv. giur. ed., 2018, 404 ss., al riguardo, osserva che “il termine dovrebbe coerentemente decorrere dal momento in cui l'amministrazione sia entrata nella disponibilità di tutti gli elementi di fatto e di diritto necessari per valutare la sussistenza dei suddetti presupposti. Diversamente, la decorrenza risulterebbe correlata ad un evento meramente eventuale ed incerto, nell'esclusiva disponibilità dell'amministrazione, con la conseguenza che il privato sarebbe esposto sine die ad un potere di autotutela non prevedibile né predeterminabile nel suo esercizio, in aperto contrasto con i principi di certezza e stabilità delle situazioni giuridiche”.
[21] In tema si v. C.P. Santacroce, Annullamento d’ufficio e tutela dell’affidamento dopo la legge n. 124 del 2015, in Dir. e proc. amm., 2017, 1145 ss.; più recentemente P. Otranto, Autotutela decisoria e certezza giuridica tra ordinamento nazionale e sovranazionale, in Federalismi, fasc. n. 14-2020, 235 ss.
[22] Corte cost., 13 marzo 2019, n. 45, in Giur. cost., 2019, 2, 712 ss., con nota di G. Mannucci, I limiti alla tutela dei terzi in materia di Segnalazione certificata di inizio attività.
[23] A partire da CGCE, sentenza 22 marzo 1961, in cause riunite C-42 e 49/59, Societé nouvelle des usines de Pontiene – Aciéres du Temple, SNUPAT.
[24] Cfr. M. Ramajoli, Novità (circoscritte) in tema di autotutela decisoria e tutela dell’affidamento, in Riv. giur. urb., 2022, 148 ss.
[25] Sul concetto di buona fede si rimanda alla recente disamina di M. Trimarchi, Buona fede e responsabilità della pubblica amministrazione, in P.A. Persona e Amministrazione, 2022, 59 ss.; e di A. Bartolini, S. Fantini, I principi di buona fede e collaborazione nella legge sul procedimento amministrativo, in Riv. giur. urb., 2022, 12 ss.; ma già F. Merusi, Buona fede e affidamento nel diritto pubblico, Milano, 2001.
[26] Sui principi codificati dal nuovo Codice dei contratti pubblici cfr. C.E. Gallo, Il formalismo nelle procedure contrattuali pubbliche e il dovere di soccorso, in Id. (a cura di), Autorità e consenso nei contratti pubblici. Alla luce del Codice approvato con d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, Torino, 2025, 1 ss.; M.R. Spasiano, La codificazione dei principi del Codice dei contratti pubblici e, in particolare, del risultato, alla prova del correttivo, in Federalismi, fasc. n. 10-2025, 191 ss.; R. Caranta, I principi nel nuovo Codice dei contratti pubblici: artt. 1-12, in Giur. it., 2023, 1950 ss.
[27] Cfr., ex pluribus, T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 3 febbraio 2025, n. 381.
[28] Cons. Stato, Sez. IV, 7 maggio 2025, n. 3876; id., 14 agosto 2024, n. 7134, in Riv. giur. ed., 2024, 5, I, 985 ss.
[29] Per un commento a questo decreto ed alle normative (che nascevano come) emergenziali nel periodo pandemico si rinvia a S. Foà, A. Camaiani (a cura di), Gestione nazionale della pandemia, misure giuridiche tra Costituzione e Cedu. Profili critici, Torino, 2022.
[30] Si rinvia a F. Francario, Autotutela amministrativa e principio di legalità, in Federalismi, fasc. n. 20-2015, spec. 5 ss., secondo cui “la previsione di un termine certo e breve per l’esercizio del potere è incompatibile con l’affermazione dell’immanenza ed inesauribilità del potere e mette pertanto in crisi la ricostruzione teorica tradizionale che in tale affermazione trova il fondamento giustificativo del potere di autotutela. In nome dell’esigenza di certezza e stabilità dei rapporti giuridici il potere di autotutela viene adesso talmente circoscritto nei presupposti del suo esercizio da risultare non più spiegabile come un potere generale, immanente ed inesauribile; ma come un potere spendibile unicamente nei modi e nei termini in cui il legislatore lo consente”. Cfr. altresì l’ampio studio di M. Trimarchi, L’inesauribilità del potere amministrativo. Profili critici, Napoli, 2018.
[31] Cfr. le recenti riflessioni di N. Di Modugno, Annullamento d’ufficio, annullamento e termine di dodici mesi, in DPER, fasc. n. 1-2024, 280 ss.
[32] Per una riflessione recente si rinvia a M. Macchia, Il procedimento amministrativo a trent’anni dalla legge generale, in Giorn. dir. amm., 2020, 697 ss.
[33] Sul tema degli interessi pubblici sensibili si v. anzitutto A. Moliterni, Semplificazione amministrativa e tutela degli interessi sensibili: alla ricerca di un equilibrio, in Dir. amm., 2017, 699 ss., che evidenzia correttamente come “si è andato consolidando il convincimento che i concetti di semplificazione amministrativa e di interesse pubblico sensibile fossero da concepirsi in chiave tendenzialmente escludente, in quanto espressione dell'ineludibile conflitto — tipico di ogni società complessa — tra interessi di produzione e interessi di protezione”; nonché E. Giardino, Beni paesaggistici, interessi sensibili ed omologazione del regime giuridico, in Nuove autonomie, 2019, 481 ss.; S. Vaccari, Decisioni amministrative e interessi pubblici sensibili: le nuove regole sulla trasparenza, in Ist. fed., 2017, 35 ss.; E. Frediani, Decisione condizionale e tutela integrata di interessi sensibili, in Dir. amm., 2017, 447 ss.; C. Videtta, Semplificazione amministrativa e interessi sensibili. Una prospettiva di analisi, in Dir. econ., 2013, 557 ss.
[34] Per un’ampia disamina del tema cfr. C.C. Amitrano, M. Ricciardo Calderaro, La gestione del patrimonio culturale tra customer experience e tecnologie digitali, Napoli, 2024, spec. 24 ss.
[35] Così, ad esempio, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 11 febbraio 2020, n. 1883.
[36] Sul punto cfr. M.S. Giannini, Difesa dell’ambiente e del patrimonio naturale e culturale, in Riv. trim. dir. pubbl., 1971, 1122 ss.; G. Sciullo, Nuovi paradigmi per la tutela del patrimonio culturale, in Aedon, fasc. n. 3-2022, 122 ss.
[37] Cfr. le recenti riflessioni in tema di S. Tuccillo, Potere di riesame, amministrazione semplificata e “paura di amministrare”, in Nuove autonomie, 2020, 725 ss.; C.P. Santacroce, Tempo e potere di riesame: l’insofferenza del giudice amministrativo alle “briglie” del legislatore, in Federalismi, fasc. n. 21-2018, 2 ss.
[38] Sul punto v., ad esempio, T.A.R. Toscana, Sez. I, 24 aprile 2024, n. 502.
[39] Cfr. l’ampia disamina di B. Spampinato, Attestato di libera circolazione – ALC: consistenza della motivazione e rapporti con la dichiarazione di interesse culturale, in Federalismi, fasc. n. 2-2024, spec. 122 ss., secondo cui “si potrebbe persino dubitare che il procedimento di rilascio dell’ALC sia un vero e proprio procedimento (a carattere) autorizzatorio, come tale, ad iniziativa di parte, contrapposto a quello dichiarativo dell’interesse culturale, che sarebbe, invece, di natura (come, talora, suole dirsi) dichiarativo-conformativa e perciò ad iniziativa d’ufficio. Si tratterebbe, invero, più appropriatamente, di un procedimento (di tipo) cautelare”.
[40] Per un’ampia disamina di questo procedimento si rinvia a P. Venditti, La circolazione dei beni culturali in ambito internazionale e la tutela del proprietario in caso di trasferimento illecito o illegale, in Arte e Diritto, 2024, 85 ss.
[41] Come ricordato ancora da Cons. Stato, Sez. IV, 3 settembre 2024, n. 7367, in Riv. giur. edil., 2024, 5, I, 986 ss., l’interesse pubblico effettivo ed attuale alla rimozione dell’atto non può consistere nel mero ripristino della legalità violata.
[42] Cons. Stato, Sez. VII, 15 febbraio 2024, n. 1536, in Riv. giur. edil., 2024, 2, I, 337, ha evidenziato come il provvedimento di annullamento d’ufficio debba contenere una espressa motivazione dalla quale risultino le ragioni di interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione dell'atto, in bilanciamento con la posizione di affidamento dei destinatari dell'atto medesimo e con tutti gli altri interessi emersi nel corso dell'istruttoria.
[43] Questa ricostruzione trova d’accordo G. Strazza, La Corte costituzionale definisce i limiti dell’annullamento d’ufficio, in GiustiziaInsieme, 16 luglio 2025, secondo cui “il Giudice delle leggi coglie, invero, opportunamente, l’occasione per porre in risalto l’importanza del fattore “tempo” per la sicurezza giuridica e per sottolineare che l’esigenza di irretrattabilità del provvedimento amministrativo ampliativo oltre un tempo definito trascende il rapporto tra amministrazione e amministrato, in quanto il “titolo pubblico” condiziona fortemente le relazioni giuridiche intrattenute successivamente con i terzi, anche per la circolazione del bene, mentre l’inoperatività del limite temporale indicato dal legislatore potrebbe determinare una situazione di incertezza nella vita dei cittadini e delle imprese idonea a incidere negativamente, in un’ottica più complessiva, sull’affidabilità del “sistema Paese”.
[44] In tema cfr. F. Pubusa, S. Puddu (a cura di), Procedimento, provvedimento e autotutela: evoluzione e involuzione, Napoli, 2019; M. Allena, L’annullamento d’ufficio: dall’autotutela alla tutela, Napoli, 2018.
[45] Così Corte cost., 20 dicembre 2022, n. 258, in Giur. cost., 2022, 6, 2841 ss.
[46] Esprime dubbi sulla conformità di questa norma al dettato costituzionale anche F. Volpe, Medesimo potere, medesima funzione o nessuna delle due?, in GiustiziaInsieme, 10 settembre 2025, che così conclude: “In definitiva, impedire l’autoannullamento di un provvedimento viziato da eccesso di potere consente all’autorità amministrativa di agire in difformità dalla sua funzione e di stabilizzare gli effetti della sua disfunzionale azione. L’irragionevolezza che viene così a emergere porta, pertanto, a chiedersi se la disciplina dell’art. 21 nonies, creando il descritto deficit di tutela, sia, prima ancora che opportuna, del tutto conforme al dettato costituzionale. Una tale evenienza, tuttavia, sembra essere stata esclusa dalla stessa sentenza della Corte da cui ha preso lo spunto questo studio, perché essa ha negato l’illegittimità dell’art. 21 nonies, l. 7 agosto 1990, n. 241, sia pure sotto il ristretto, ma collegato, profilo dell’inderogabilità del termine entro cui agire in secondo grado. Eppure, proprio le premesse da cui questa sentenza muove (circa la non identità di potere e funzione) forse avrebbero dovuto portare ad opposti risultati. Su un piano più generale, invece, si ritiene che sia più aderente alla Costituzione un dettato normativo che renda doveroso l’annullamento d’ufficio nei casi in cui l’atto di primo grado sia viziato per eccesso di potere, quando pure vi si oppongano altri interessi, pubblici o privati”.
[47] Rimangono assolutamente convincenti le osservazioni al riguardo di A. Police, voce Annullabilità e annullamento (diritto amministrativo), in Encicl. dir., Milano, 2007, Annali I, spec. 66 ss., secondo cui “il giudizio sulla ragionevolezza del termine dipende quindi dalle circostanze concrete e da una valutazione di prudente bilanciamento tra la protezione degli interessi del privato, quali si sono concretizzati a seguito della emanazione dell'atto, e la cura dell'interesse pubblico. La ragionevolezza del termine va valutata di volta in volta, non tanto con riguardo alla semplice durata del tempo trascorso dalla emanazione del provvedimento, quanto piuttosto considerando quali effetti si siano prodotti in tale periodo di tempo in ragione e come conseguenza del provvedimento amministrativo che si intenderebbe autoannullare”.
[48] Così sempre B. Spampinato, Attestato di libera circolazione – ALC: consistenza della motivazione e rapporti con la dichiarazione di interesse culturale, cit., spec. 123. Sul collegamento tra questi due procedimenti cfr. M.G. Della Scala, Diniego di autorizzazione all’esportazione dell’opera d’arte e procedimento dichiarativo dell’interesse culturale. Valutazioni tecnico-discrezionali e limiti del sindacato giurisdizionale, in GiustiziaInsieme, 27 marzo 2024.
[49] Cons. Stato, Ad. Comm. spec., parere 30 marzo 2016, n. 839.
