Tariffe incentivanti per impianti fotovoltaici. La rideterminazione tra autotutela e decadenza (Nota a Cons. Stato, Sez. II, 6 settembre 2024, n. 7461).
di Antonio Persico
Sommario: 1. La vicenda sottoposta alla seconda Sezione del Consiglio di Stato – 2. La normativa astrattamente applicabile: l’art. 42 d.lgs. 28/2011 e l’art. 21-nonies l. 241/1990 – 3. Il dibattito sulla natura del potere di “decadenza” del GSE: gli orientamenti della dottrina, il contrasto giurisprudenziale, l’Adunanza Plenaria n. 18/2020 e le sopravvenienze normative – 4. La posizione della seconda Sezione del Consiglio di Stato – 5. Considerazioni conclusive
1. La vicenda sottoposta alla seconda Sezione del Consiglio di Stato.
La pronuncia in commento interviene su una vicenda legata alla fruizione delle tariffe incentivanti per impianti fotovoltaici previste dal c.d. II Conto Energia[1], prendendo una chiara posizione sul discrimen che intercorre tra l’annullamento di ufficio e la decadenza pubblicistica, nel tentativo di superare, definitivamente, un precedente contrasto giurisprudenziale.
Nel caso di specie, la Società titolare dell’impianto di produzione di energia rinnovabile, risultata poi vittoriosa (anche) in appello, aveva inteso valersi della “proroga” legislativa del II Conto Energia[2], per beneficiare delle tariffe ivi previste in luogo di quelle, meno vantaggiose, di cui al III Conto[3]. Il Gestore dei Servizi Energetici s.p.a. – GSE, a fronte dell’istanza a tal fine presentata, dopo aver contestato, mediante preavviso di rigetto ex art. 10-bis l. 241/1990, l’adeguatezza della documentazione fotografica tesa a comprovare la conclusione dei lavori entro il termine previsto dalla l. 129/2010 (31 dicembre 2010), ma poi, con provvedimento risalente al mese di novembre del 2011, richiamate le osservazioni e la documentazione trasmesse a riscontro del preavviso di rigetto, accoglieva la domanda della Società. Iniziava così l’erogazione delle tariffe incentivanti di cui al II Conto. Nell’ottobre del 2016, tuttavia, il GSE effettuava un sopralluogo presso l’impianto, avviando un procedimento di verifica, che sarebbe culminato, nel mese di gennaio dell’anno 2020, in un provvedimento ostativo alla fruizione delle suddette tariffe, sul rilievo dalla mancata ultimazione dei lavori impiantistici nel riferito termine di legge, riconoscendo all’impianto le meno vantaggiose tariffe di cui al III Conto. Faceva seguito la quantificazione della somma da recuperare, calcolata sulla base della parte “eccedentaria” delle tariffe erogate rispetto a quelle asseritamente spettanti.
La Società adiva quindi il TAR Lazio, che, con sentenza n. 6858/2022 accoglieva il ricorso (integrato da motivi aggiunti), annullando gli atti impugnati in quanto espressione di un potere di autotutela esercitato oltre ogni termine ragionevole (dopo oltre 8 anni dall’ammissione all’incentivazione). A giudizio del TAR, infatti, non v’era dubbio che la vicenda andasse inquadrata nell’ambito dell’autotutela caducatoria, sub specie di annullamento d’ufficio, e che l’agire provvedimentale del GSE andasse valutato in relazione all’art. 21-nonies l. 241/1990, dal momento che il Gestore, non avendo accertato elementi fattuali nuovi mediante il sopralluogo, era “tornato sui suoi passi”, rivalutando, con esito questa volta negativo, il tema già affrontato dell’idoneità delle fotografie a comprovare la fine dei lavori.
Il GSE appellava la sentenza, sostenendo che gli atti impugnati non erano espressione del potere di annullamento di ufficio di cui all’art. 21-nonies l. 241/1990, bensì del potere di verifica e controllo previsto dall’art. 42 d.lgs. 28/2011, posto che, in realtà, la Società non avrebbe allegato alcuna fotografia utile alle osservazioni trasmesse in riscontro al preavviso di rigetto.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza in commento, ha respinto l’appello e ha, per l’effetto, confermato la pronuncia impugnata, valorizzando il più recente orientamento giurisprudenziale, portato correttamente avanti dalla II Sezione, secondo cui «la titolarità del potere di verifica e controllo non consente l’indiscriminata rimessa in discussione dei presupposti iniziali, senza il rispetto delle necessarie garanzie e degli affidamenti in capo alle imprese direttamente coinvolte, in quanto una volta che il procedimento si è concluso con il vaglio positivo degli elementi forniti dal privato, il riesame dei medesimi elementi deve seguire i canoni ed i presupposti del potere di autotutela, sotto tutti i punti di vista»[4].
2. La normativa astrattamente applicabile: l’art. 42 d.lgs. 28/2011 e l’art. 21-nonies l. 241/1990.
Come accennato, due sono i referenti normativi primari in rilievo nel caso di specie.
Da un lato vi è l’art.42 d.lgs. 28/2011, invocato dal GSE[5]. Quest’articolo, con riguardo agli incentivi nel settore elettrico e termico, positivizza il potere del Gestore di effettuare verifiche sui dati trasmessi degli istanti e controlli a campione sugli impianti, sancendo quindi, al comma, 3, che in caso di riscontrate violazioni rilevanti ai fini dell’erogazione degli incentivi, «il GSE dispone il rigetto dell'istanza ovvero la decadenza dagli incentivi, nonché il recupero delle somme già erogate». In attuazione di questa disposizione, è stato emanato il d.m. 31 gennaio 2014, il quale, oltre a disciplinare le modalità di esercizio dei poteri di verifica e controllo del Gestore, reca, all’allegato 1, un’elencazione – non tassativa[6] – delle violazioni rilevanti ai sensi dell’art. 42, co. 3, d.lgs. 28/2011. Di tale elencazione colpisce, in particolare, l’ambigua formulazione delle ipotesi contemplate e, per quanto maggiormente interessa in questa sede, della fattispecie di «mancata presentazione di documenti indispensabili ai fini della verifica della ammissibilità agli incentivi» (lett. a). Invero, il dato normativo non è perspicuo in quanto non distingue a seconda che la verifica dell’ammissibilità agli incentivi sia svolta prima dell’accoglimento dell’istanza, e in tale sede il Gestore rilevi la mancanza della documentazione necessaria, ovvero che il Gestore, dopo aver ammesso l’impianto a incentivazione, rilevi la mancanza della ridetta documentazione nell’ambito di un procedimento di verifica e controllo postumo. In questo secondo caso, si pone il quesito se il Gestore possa disporre tout court la “decadenza” dagli incentivi e il recupero delle somme erogate, ai sensi del comma 3 dell’art. 42 cit., senza incorrere in alcun limite atto a preservare la stabilità del rapporto incentivante e l’affidamento del beneficiario[7]. Orbene, l’ambigua e generica formulazione letterale dell’art. 42 d.lgs. 28/2011 e del d.m. 31 gennaio 2014 si presta anche a una simile interpretazione, la quale è stata difatti sostenuta, anche nel caso di specie, dal GSE.
Dall’altro lato, vi è l’art. 21-nonies l. 241/1990, in tema di annullamento d’ufficio, nella versione risultante dalle modifiche introdotte dalla l. 124/2015[8]. In generale, l’annullamento d’ufficio configura un’ipotesi di autotutela decisoria di carattere caducatorio, in cui la p.A., a seguito di un riesame critico del proprio operato provvedimentale, può demolire, con efficacia retroattiva, in tutto o in parte, un proprio atto illegittimo, mediante un provvedimento di secondo grado. Si tratta di un potere (di regola) discrezionale, il cui esercizio è subordinato non solo alla presenza di un atto illegittimo (annullabile ai sensi dell’art. 21-octies l. 241/1990), ma anche a una positiva valutazione concreta sulla rispondenza dell’annullamento all’interesse pubblico: in tal senso, la norma impone di effettuare un bilanciamento degli interessi pubblici e di quelli privati, del destinatario del provvedimento e degli eventuali controinteressati, sul presupposto implicito, ma chiaro, che il ripristino della legalità violata non sia l’unico valore ordinamentale meritevole di protezione, e che un’azione amministrativa rispondente al canone del buon andamento e della proporzionalità non possa trascurare le posizioni giuridiche degli amministrati medio tempore sorte e/o consolidatesi. In sostanza, la norma vuole scongiurare esiti in cui la presunta soluzione (l’annullamento) si riveli peggiore del male (la violazione della legalità). Nello stesso ordine di idee milita la rilevanza dell’elemento temporale, che la l. 124/2015 ha reso assolutamente centrale, specificando che il termine ragionevole entro il quale può avvenire l’annullamento, a fronte di provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, non può eccedere i diciotto mesi dalla relativa adozione (poi ridotti a 12 dal d.l. 77/2021, convertito nella l. 108/2021). La novella del 2015, come evidenziato in dottrina[9] e in giurisprudenza[10], ha inteso quindi garantire la certezza del diritto e la stabilità dei rapporti giuridici, nonché l’affidamento legittimo riposto dal privato negli atti amministrativi, assistiti da una generale presunzione di legittimità[11]. In quest’ottica, risulta altresì chiara la ratio della deroga al suddetto limite temporale codificata dal comma 2-bis dell’ art. 21-nonies cit.: qualora il privato abbia indotto fraudolentemente in errore l’Amministrazione, mediante false rappresentazioni dei fatti o dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, avendo egli consapevolmente concorso all’adozione dell’atto illegittimo, non v’è ragione di tutelarne l’affidamento (invero insussistente o comunque non “legittimo”) attraverso la garanzia rappresentata dal limite temporale massimo per l’annullamento prescritto dal primo comma[12].
Peraltro, sono evidenti i risvolti economici della disciplina di cui all’art. 21-nonies l. 241/1990. Le istanze di certezza e di stabilità giuridica che il Legislatore (in particolare, del 2015) ha inteso perseguire, attengono a condizioni fondamentali del contesto economico nazionale: in qualunque settore economico, gli investimenti vengono scoraggiati dalla perpetua caducabilità degli atti amministrativi di carattere ampliativo in base ai quali le imprese abbiano acquisito titolo allo svolgimento dell’attività economica ovvero abbiano conseguito benefici economici diretti a incentivare l’attività stessa[13]. Tali esigenze sono, ovviamente, avvertite anche nel settore della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.
Concludendo sull’art. 21-nonies, merita richiamare i condivisibili rilievi svolti dal Consiglio di Stato nel parere n. 839/2016, con cui è stata opportunamente valorizzata la portata garantista della novella legislativa del 2015. Il parere afferma, in proposito, che la previsione di un «confine temporale introduca un ‘nuovo paradigma’ nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione: nel quadro di una regolamentazione attenta ai valori della trasparenza e della certezza, il legislatore del 2015 ha fissato termini decadenziali di valenza nuova, non più volti a determinare l’inoppugnabilità degli atti nell’interesse dell’amministrazione, ma a stabilire limiti al potere pubblico nell’interesse dei cittadini, al fine di consolidare le situazioni soggettive dei privati». Il parere prosegue evidenziando che la novella di cui alla l.124/2015 ha consacrato una nuova «regola di certezza dei rapporti, che rende immodificabile l’assetto (provvedimentale-documentale-fattuale) che si è consolidato nel tempo, che fa prevalere l’affidamento»; regola della quale è sottolineata la portata generale, al punto che il Consiglio di Stato ritiene che essa debba essere applicata «anche a provvedimenti che non sono formalmente definiti “di annullamento”», sul rilievo che «alcune disposizioni utilizzano infatti, impropriamente, i termini “revoca”, “risoluzione”, “decadenza” (dai benefici) o simili per indicare, oltre all’abusivo utilizzo del titolo, la reazione dell’ordinamento all’illegittimo conseguimento del titolo, utilizzando forme che sono state definite di “annullamento travestito”».
3. Il dibattito sulla natura del potere di “decadenza” del GSE: gli orientamenti della dottrina, il contrasto giurisprudenziale, l’Adunanza Plenaria n. 18/2020 e le sopravvenienze normative.
Intorno alla previsione di cui all’art. 42 d.lgs. 28/2011, è sorto un dibattito dottrinario teso a individuare la natura del potere del GSE di disporre la decadenza dagli incentivi[14]. La dottrina, invero, ha negato trattarsi di un potere unitario, articolando il ragionamento sulla base delle diverse ipotesi di violazioni rilevanti che il Gestore potrebbe accertare. In tal senso, la ricostruzione di Travi[15], condotta in relazione al sistema di incentivazione degli interventi di efficientamento energetico (mediante i cd. certificati bianchi), ha evidenziato che, in caso di coerenza tra l’intervento descritto nella proposta progettuale approvata dal GSE e quello effettivamente realizzato, la decisione del Gestore di non approvare la richiesta di verifica e certificazione sul rilievo dell’inammissibilità dell’intervento e di disporre conseguentemente la decadenza dal regime incentivante sottende una valutazione critica da parte del Gestore del proprio operato provvedimentale culminato nell’approvazione della proposta, conseguendone che il GSE può procedere al ritiro di tale approvazione solo nel rispetto dei requisiti di cui all’art. 21-nonies d.lgs. 28/2011; a contrario, non verrebbe in rilievo la normativa sull’annullamento di ufficio se il rifiuto del Gestore di riconoscere la certificazione si basi sulla difformità dell’intervento concretamente realizzato rispetto a quello progettato. Un’altra dottrina[16], a propria volta, ha predicato la necessità di distinguere i casi in cui il GSE accerti, nel corso dell’incentivazione, la mancanza dei requisiti oggettivi di ammissione al beneficio economico da quelli di violazione derivante da un comportamento del beneficiario: nei primi verrebbe in rilievo un potere di autotutela riconducibile all’art. 21-nonies l. 241/1990, nei secondi la “decadenza” si atteggerebbe quale sanzione volta a reprimere condotte illecite. Altra dottrina ancora[17] ha suggerito di distinguere quattro tipologie di provvedimenti adottabili ex art. 42, co. 3, d.lgs. 28/2011, dal momento che, in ragione della violazione accertata, il potere esercitato dal Gestore può essere qualificato in termini di annullamento d’ufficio, di decadenza amministrativa, di autotutela obbligatoria ovvero di autotutela privatistica.
La giurisprudenza, a propria volta, si è divisa, dando luogo al contrasto giurisprudenziale che la pronuncia in commento ha ritenuto ormai definitivamente superato. Per un primo orientamento, la disciplina speciale di cui all’art. 42 cit. metterebbe interamente “fuori gioco” la normativa generale di cui all’art. 21-nonies cit., di talché l’attività di verifica del GSE e il susseguente provvedimento che disponga la decadenza dagli incentivi, non potrebbero essere affatto qualificati come esercizio di un potere di autotutela[18]. Per un secondo orientamento, invece, la rivalutazione, a distanza di tempo, da parte del GSE dell’effettiva spettanza dei benefici già erogati e in corso di erogazione comporta l’esercizio di un potere di autotutela, che deve rispettare i limiti imposti dall’art. 21-nonies cit.[19]. Il primo orientamento è stato a lungo portato avanti dalla Sezione III-Ter del TAR Lazio[20], mentre il secondo ha trovato conferma in recenti pronunce della II Sezione del Consiglio di Stato[21].
In argomento, nel frattempo, è intervenuta l’Adunanza Plenaria n. 18/2020 che, pur senza prendere espressamente posizione sul segnalato contrasto giurisprudenziale, ha affermato che la decadenza dagli incentivi contemplata dall’art. 42 d.lgs. 28/2011 è pienamente sussumibile nella categoria della “decadenza pubblicistica” quale vicenda estintiva con efficacia di regola ex tunc di una posizione giuridica di vantaggio (cd. beneficio). Tale categoria si differenzierebbe radicalmente dall’istituto della sanzione, stante l’irrilevanza dell’elemento soggettivo e il carattere non afflittivo dell’effetto ablatorio-restitutorio, ma sarebbe anche da distinguere rispetto al «più ampio genus dell’autotutela», rispetto al quale presenterebbe degli elementi comuni, ma si caratterizzerebbe specificamente: «a) per l’espressa e specifica previsione, da parte della legge, non sussistendo, in materia di decadenza, una norma generale quale quelle prevista dall’art. 21 nonies della legge 241/90 che ne disciplini presupposti, condizioni ed effetti; b) per la tipologia del vizio, more solito individuato nella falsità o non veridicità degli stati e delle condizioni dichiarate dall’istante, o nella violazione di prescrizioni amministrative ritenute essenziali per il perdurante godimento dei benefici, ovvero, ancora, nel venir meno dei requisiti di idoneità per la costituzione e la continuazione del rapporto; c) per il carattere vincolato del potere, una volta accertato il ricorrere dei presupposti». L’argomentare della Plenaria suscita per vero, a sua volta, una serie di interrogativi: innanzitutto, non è specificato quali siano i tratti comuni della decadenza in questione con l’autotutela (solo l’efficacia ex tunc degli effetti del provvedimento?), né si comprende se, a giudizio della Plenaria, essa faccia parte del più ampio genus dell’autotutela, e se tale espressione alluda all’autotutela decisoria o all’autotutela tout court. Ancora, il requisito sub lett. a), appare a chi scrive logicamente debole: infatti, non pare che la qualificazione della natura di un potere amministrativo possa essere basata sulla circostanza che esso sia previsto o meno da norme della legge 241/1990, specialmente se si tiene conto che l’autotutela caducatoria è stata positivizzata all’interno di quest’ultima legge soltanto a opera della l. 15/2005; l’argomento sub lett. b) allude a un “vizio”, così evocando una rivalutazione della legittimità di precedenti atti amministrativi, ma subito dopo vengono menzionate ipotesi non qualificabili come “vizi” attizi, quali la violazione delle prescrizioni amministrative da parte del beneficiario ovvero la sopravvenuta perdita dei requisiti soggettivi od oggettivi; appare poi arduo ravvisare gli elementi caratterizzanti di un istituto in ipotesi che ricorrono… more solito, e che dunque potrebbero anche non ricorrere ovvero costituire il presupposto applicativo di altri poteri: ad esempio, la falsità delle rappresentazione dei fatti o delle autodichiarazioni per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenze passate in giudicato, è anche il presupposto dell’annullamento di ufficio oltre il termine di legge ai sensi del comma 2-bis dell’art. 21-nonies l. 241/1990(. Insomma, il discorso dell’Adunanza Plenaria non appare del tutto perspicuo nel chiarire l’ubi consistam della decadenza pubblicistica e i suoi rapporti con il genus dell’autotutela. L’unico chiaro elemento differenziale sembra risiedere nel carattere vincolato del potere, a fronte della discrezionalità che (di regola) connota l’autotutela caducatoria. A ogni modo, l’Adunanza Plenaria sembra muovere da una concezione unitaria del potere del GSE di cui all’art. 42, co. 3, cit., il cui esercizio sarebbe in ogni caso doveroso a prescindere dal fattore temporale e al possibile affidamento del privato; tuttavia, sotto un diverso angolo visuale, si potrebbe affermare che la sentenza n. 18/2020 non abbia escluso affatto che, qualora il “vizio” accertato dal Gestore attenga all’originaria mancanza dei requisiti oggettivi o soggettivi per l’ammissione all’incentivazione, erroneamente ritenuti sussistenti in sede di accoglimento della domanda, l’agire provvedimentale dell’ente di vigilanza che disponga la “decadenza” e il recupero degli incentivi ricada nel perimetro applicativo dell’art. 21-nonies l. 241/1990 e non già in quello dell’art. 42 d.lgs. 28/2011. Infatti, si farebbe questione, in questa ipotesi, di una “tipologia di vizio” tipicamente rientrante nei presupposti applicativi dell’annullamento d’ufficio.
Sul versante normativo, l’ art. 56 del d.l. 76/2020 avrebbe dovuto sancire il superamento del dibattito intorno alla natura del potere di “decadenza” del GSE. Invero, il suo comma 7 ha esplicitamente subordinato il potere del gestore di disporre la decadenza dagli incentivi e il recupero di quelli già erogati al ricorrere dei presupposti di cui all’art. 21-nonies l. 241/1990. In tal modo, il Legislatore ha evidentemente inteso promuovere nell’ambito dei rapporti di incentivazione che vedono parte il GSE le stesse esigenze di certezza del diritto, di stabilità dei provvedimenti ampliativi e di tutela dell’affidamento sottese a quest’ultimo articolo, in particolare nella versione risultante dalle modifiche apportate dalla l. 124/2015. Nondimeno, la rilevanza del tema della natura del potere di “decadenza” del GSE non può considerarsi esaurita, dal momento che, secondo unanime giurisprudenza[22], la novella di cui al d.l. 76/2020 non avrebbe inciso sulla natura del potere di cui all’art. 42 d.lgs. 28/2011, il quale continua a dover essere applicato nella versione precedente, secondo la regola tempus regit actum, alle fattispecie verificatesi prima dell’entrata in vigore del d.l. 76/2020[23].
Nel caso affrontato dalla sentenza in commento, il provvedimento impugnato precedeva tale sopravvenienza normativae la sua legittimità andava di conseguenza scrutinata sulla base della versione dell’art. 42 d.lgs. 28/2011 antecedente alle modifiche di cui all’art. 56 d.l. 76/2020, di talché il Consiglio di Stato non avrebbe potuto stigmatizzare il superamento del limite temporale previsto dal primo comma dell’art. 21-nonies l. 240/1990, senza aver prima ricondotto il potere in concreto esercitato dal GSE all’annullamento d’ufficio e dunque predicato la diretta applicabilità alla fattispecie dell’art. 21-nonies cit.
4. La posizione della seconda Sezione del Consiglio di Stato.
La seconda Sezione ha ritenuto difatti applicabile, al caso di specie, l’art. 21-nonies l. 241/1990, previa qualificazione del provvedimento impugnato come atto di autotutela (segnatamente, di annullamento di ufficio parziale). La sentenza in commento addiviene a tale soluzione in linea con l’orientamento giurisprudenziale recentemente portato avanti dalla stessa Sezione – cui si è fatto cenno in apertura e nel precedente paragrafo – in base al quale il GSE non può rimettere in discussione, sine die, l’esistenza dei requisiti per accesso all’incentivazione, dovendo a tal fine provvedere in autotutela nel rispetto dei presupposti di cui all’art. 21-nonies cit. Sul punto, la pronuncia in esame dà invero atto del contrario orientamento giurisprudenziale – al quale pure si è fatto cenno nel precedente paragrafo –, e tuttavia lo ritiene definitivamente superato alla luce del diverso orientamento portato avanti, anche nel caso di specie, dalla II Sezione, alla quale vengono attualmente assegnate le controversie concernenti il GSE. Ed è proprio sul rilievo dell’avvenuto consolidamento, nella giurisprudenza della Sezione, dell’orientamento volto ad ammettere l’applicabilità al GSE della normativa in tema di annullamento d’ufficio, che la pronuncia in commento giunge a escludere la necessità di rimettere il ricorso all’Adunanza Plenaria.
Dell’Adunanza Plenaria, invece, la seconda Sezione richiama la sentenza n. 18/2020, nell’intento di tracciare una chiara linea distintiva tra ipotesi di decadenza ex art. 42 d.lgs. 28/2011 e ipotesi di annullamento di ufficio. In particolare, la pronuncia in commento intende valorizzare gli approdi ermeneutici dell’organo di nomofilachia, nella parte in cui ha ravvisato un elemento distintivo tra autotutela e decadenza ne «la tipologia del vizio, more solito individuato [in caso di decadenza] nella falsità o non veridicità degli stati e delle condizioni dichiarate dall’istante, o nella violazione di prescrizioni amministrative ritenute essenziali per il perdurante godimento dei benefici, ovvero, ancora, nel venir meno dei requisiti di idoneità per la costituzione e la continuazione del rapporti». Tale indicazione viene utilizzata dalla seconda Sezione per distinguere con nettezza l’ambito applicativo dell’art. 42 d.lgs. 28/2011 da quello dell’art. 21-nonies l. 241/1990, escludendo con decisione la possibilità di “sovrapposizioni”. In tal senso, la pronuncia precisa che, laddove sia stato riconosciuto al privato il bene della vita, ovvero il beneficio economico/l’incentivo, all’esito di uno specifico procedimento, la decadenza può riguardare, solamente, tre ipotesi: - conseguimento del beneficio sulla base di dichiarazioni o documenti non veri; - inadempimento alle condizioni e agli obblighi cui il beneficio è subordinato; - sopravvenuta carenza dei requisiti per il suo ottenimento. Di contro, si ricade nell’autoannullamento allorché «l’Amministrazione, dopo aver valutato e ritenuto sussistenti, esplicitamente o implicitamente, i presupposti per la concessione dell’incentivo, così ingenerando nel privato il ragionevole convincimento della sua spettanza, riesamini la situazione e pervenga a una conclusione opposta». Da tale argomentare, il Collegio trae la conclusione per cui, sotto un'altra prospettiva, l’elemento dirimente, che consentirebbe di distinguere la decadenza dall’autoannullamento, consisterebbe nell’affidamento legittimo del privato, incompatibile con la decadenza («questi non vanta alcun affidamento “legittimo”, laddove abbia presentato documenti o dichiarazioni false, e perché la violazione delle prescrizioni e la sopravvenuta carenza dei requisiti sono successivi alla concessione del beneficio»), configurabile (e tutelabile) invece in ipotesi di autoannullamento.
Applicando la regula iuris così individuata al caso di specie, rilevato che il tema della conclusione dei lavori era già stato affrontato e risolto positivamente in sede di ammissione alle tariffe incentivanti, il Collegio ha ricondotto il potere in concreto esercitato dal GSE al paradigma dell’annullamento d’ufficio, stigmatizzando la violazione, da parte del GSE, dell’art. 21-nonies l. 241/1990, realizzata attraverso una macroscopica inosservanza del termine ragionevole (il provvedimento del gennaio 2020 era di oltre otto anni successivo all’ammissione alle tariffe incentivanti), in spregio al legittimo affidamento del privato.
5. Considerazioni conclusive
In definitiva, la pronuncia in commento si pone nel solco di un orientamento garantista volto a riconoscere e tutelare l’affidamento del privato sulla stabilità dei rapporti di incentivazione con il GSE. In quest’ottica, sussumendo la vicenda nel paradigma dell’autotutela caducatoria sub specie di annullamento di ufficio, la seconda Sezione ha valorizzato le esigenze di certezza del diritto e di stabilità dei provvedimenti ampliativi, in linea con quanto auspicato dal parere n. 839/2016. Quest’ultimo, infatti, sottolineava il carattere generale della regola scolpita nell’art. 21-noneis l. 241/1990 e metteva in guardia dalle forme di “annullamento travestito”, in presenza delle quali dovrebbero trovare parimenti applicazione le garanzie previste dal ridetto art. 21-nonies. Nello stesso ordine di idee, appare condivisibile la netta presa di distanza dalle letture estensive e “totalizzanti” del potere del GSE ex art. 42 d.lgs. 28/2011, che pure hanno trovato cittadinanza nella giurisprudenza configurando in capo al Gestore un(o) (stra)potere inesauribile di riesame tale da rendere geneticamente instabili i rapporti d’incentivazione[24].
In chiave critico-costruttiva, si può infine provare ad aggiungere uno spunto di riflessione ulteriore. L’idea che in presenza di dichiarazioni o documenti falsi, presentati in sede di domanda di accesso all’incentivazione, verrebbe necessariamente in rilievo il potere vincolato di decadenza del GSE porta a concludere che in questi casi non vi sia mai un affidamento meritevole di tutela. Tuttavia, la prassi in tema di cd. artato frazionamento, dimostra che non di rado la falsità dichiarativa o documentale è stata a suo tempo realizzata dal soggetto che ha progettato e spacchettato artificiosamente l’impianto, cedendo poi ad altre imprese la titolarità di singoli progetti e dei rapporti incentivanti nel frattempo instaurati con il GSE. Orbene, negare qualsivoglia posizione di affidamento tutelabile in capo all’acquirente in buona fede che abbia acquistato un singolo progetto e per lungo tempo percepito gli incentivi, specialmente se l’artato frazionamento è stato posto in essere prima della positivizzazione normativa del relativo divieto, può apparire eccessivo e condurre a conseguenze ordinamentali non auspicabili, quali il fallimento di attività dirette alla produzione di energia da fonti rinnovabili e la liquidazione di imprese operanti nel settore, a fronte di provvedimenti che dispongano la restituzione di somme ingenti. In quest’ottica, ci si può interrogare se non sia preferibile ricondurre anche le ipotesi di falsità dichiarative e documentali al paradigma dell’annullamento d’ufficio, e segnatamente al comma 2-bis dell’art. 21-nonies l. 241/1990. Difatti, tale soluzione lascerebbe intatta la possibilità di procedere al recupero di incentivi non spettanti oltre il limite temporale previsto dal primo comma, epperò residuerebbe in capo all’Amministrazione un margine di discrezionalità per valutare l’eventuale affidamento del beneficiario, non facendosi questione di un provvedimento vincolato[25].
[1] D.m. 19 febbraio 2007.
[2] Il riferimento è all’art. 2-sexies d.l. 3/2010, convertito con modificazioni in l. 41/ 2010, come sostituito dall’art. 1-septies del d.l. 105/ 2010, convertito con modificazioni in l. 129/2010.
[3] D.m. 6 agosto 2010.
[4] Vengono citate in tal senso le pronunce della seconda Sezione del Consiglio di Stato, n. 4983/2022 e n. 1007/2023.
[5] Per un’analisi più dettagliata del contenuto di tale articolo si rinvia a A. Coiante, I poteri del GSE nell’ambito dell’erogazione degli incentivi per la produzione di energia da fonte rinnovabile: stato dell’arte e persistenti complessità, in Federalismi.it, 17, 2022.
[6] Cfr. art. 11, co. 2, d.m. 31 dicembre 2014.
[7] Per una generale ricognizione giurisprudenziale in argomento vds. E. Traina, Incentivi alla produzione di energie rinnovabili, poteri amministrativi e legittimo affidamento nella giurisprudenza, in Federalismi.it, 5, 2023.
[8] Tra i contributi successivi alla cd. Riforma Madia, senza pretesa di esaustività, vds. M. Sinisi, Il potere di autotutela caducatoria, in M.A. Sandulli (a cura di), Princìpi e regole dell’azione amministrativa, Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2023; M. Immordino, I provvedimenti di secondo grado, in F.G. Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, Torino, Giappichelli, 2021; C.P. Santacroce, Tempo e potere di riesame: l’insofferenza del giudice amministrativo alle “briglie” del legislatore, in Federalismi.it, 21, 2018; R. Caponigro, Il potere di annullamento di ufficio, in Federalismi.it, 23, 2017; C. Deodato, L’annullamento d’ufficio, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, Giuffrè, 2017; Id., Il potere amministrativo di riesame per vizi originari di legittimità, in Federalismi.it, 6, 2017; Id., Autotutela e stabilità del provvedimento nel prisma del diritto europeo, in P.L. Portaluri (a cura di), L’Amministrazione pubblica nella prospettiva del cambia mento: il codice dei contratti e la riforma Madia, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2017, 125 ss.; M.A. Sandulli, Autotutela, in Treccani. Il Libro dell’anno del diritto, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Roma, 2016; Id., Gli effetti diretti della 7 agosto 2015 L. n. 124 sulle attività economiche: le novità in tema di s.c.i.a., silenzio - assenso e autotutela, in Federalismi.it, 17, 2015; F. Francario, Autotutela amministrativa e principio di legalità (nota a margine dell’art. 6 della l. 7 agosto 2015, n. 124), in Federalismi.it, 20, 2015.
[9] Cfr. in particolare M.A. Sandulli, Autoannullamento dei provvedimenti ampliativi e falsa rappresentazione dei fatti: è superabile il termine di 18 mesi a prescindere dal giudicato penale?, in Riv. Giur. Edilizia, 3, 2018, 687; Id., Autotutela, cit., nonché Id., Gli effetti diretti della 7 agosto 2015 L. n. 124 sulle attività economiche: le novità in tema di s.c.i.a., silenzio - assenso e autotutela, cit.
[10] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 26 ottobre 2020, n. 6472.
[11] Cfr. M. Sinisi, Il potere di autotutela caducatoria, cit.
[12] Sulla necessità del giudicato penale anche in ipotesi di “false rappresentazione dei fatti”, per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio oltre il termine di cui all’art. 21-nonies, co.1, nonché sul contrario orientamento giurisprudenziale, si rinvia a M.A. Sandulli, La semplificazione della produzione documentale mediante le dichiarazioni sostitutive di atti e documenti e l’acquisizione d’ufficio (art. 18, l. n. 241 del 1990 s.m.i. e d.P.R. n. 445 del 2000 s.m.i.), in M.A. Sandulli (a cura di), Princìpi e regole dell’azione amministrativa, op. cit., 253 ss.; Id., Edilizia (voce), in Enciclopedia del Diritto – I Tematici, III, 2022; Id., Gli effetti diretti della 7 agosto 2015 L. n. 124 sulle attività economiche: le novità in tema di s.c.i.a., silenzio - assenso e autotutela, cit. La medesima Autrice, inoltre, evidenzia che le misure di semplificazione, in particolare in tema di autodichiarazioni, per come intese da una certa giurisprudenza, hanno dato luogo a un «graduale trasferimento di responsabilità dalle amministrazioni ai privati», con inevitabile incidenza sulla stabilità dei titoli e, soprattutto, dei “benefici”: cfr. M.A. Sandulli, Introduzione, inM.A. Sandulli (a cura di), Princìpi e regole dell’azione amministrativa, op. cit., 9.
[13] La stessa autorevole dottrina ha, peraltro, da tempo evidenziato lo stretto legame intercorrente tra la certezza del diritto e la stabilità dei provvedimenti ampliativi, e in particolare di quelli attributivi di vantaggi economici, da un lato, e la ripresa, il rilancio ovvero la crescita economica del Paese, dall’altro lato: cfr. M.A. Sandulli, Autoannullamento dei provvedimenti ampliativi e falsa rappresentazione dei fatti: è superabile il termine di 18 mesi a prescindere dal giudicato penale?, cit.; Id., I giudici amministrativi valorizzano il diritto alla sicurezza giuridica, in Federalismi.it, 22, 2018; Id., Conclusioni alle giornate di studio su “Principio di ragionevolezza delle decisioni giuridiche e diritto alla sicurezza giuridica”, in Federalismi.it, 14, 2018; Id., Processo amministrativo, sicurezza giuridica e garanzia di buona amministrazione, in Il Processo, 2018, 45 ss, nonché in www.giustizia-amministrativa.it; Id., Princìpi e regole dell’azione amministrativa: riflessioni sul rapporto tra diritto scritto e realtà giurisprudenziale, in Federalismi.it, 23, 2017; Id., Autotutela e stabilità del provvedimento nel prisma del diritto europeo, in P.L. Portaluri (a cura di), L’Amministrazione pubblica nella prospettiva del cambia mento: il codice dei contratti e la riforma Madia, cit.; Id. , Autotutela, cit.
[14] In argomento, vds. A. Coiante, I poteri del GSE nell’ambito dell’erogazione degli incentivi per la produzione di energia da fonte rinnovabile: stato dell’arte e persistenti complessità, cit.
[15] A. Travi, I poteri di revisione del G.S.E., in P. Biandrino, M. De Focatiis (a cura di), Efficienza energetica ed efficienza del sistema dell’energia: un nuovo modello?, Milano, Wolters Kluwer, 2017.
[16] F. Scalia, Controlli e sanzioni in materia di incentivi alle fonti energetiche rinnovabili, in Federalismi.it, 9, 2018.
[17] G. La Rosa, La rideterminazione dei poteri del GSE nel d.l. Semplificazioni e la (apparente) stabilità degli incentivi per l’energia da fonte rinnovabile, in AmbienteDiritto.it, 1, 2021.
[18] Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 12 aprile 2019, n. 2380.
[19] Cons. Stato, Sez. VI, 29 luglio 2019, n. 5324.
[20] Cfr. ad es, TAR Lazio, Sez. III-Ter, 18 gennaio 2019, n. 2165 e altra giurisprudenza ivi citata.
[21] Oltre alle sentenze menzionate nella pronuncia in commento, cfr. Cons. Stato, Sez. II, 31 luglio 2023, n. 7404.
[22] Cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. II, 4 giugno 2024, n. 4977.
[23] Cfr. M.A. Sandulli, La semplificazione della produzione documentale mediante le dichiarazioni sostitutive di atti e documenti e l’acquisizione d’ufficio (art. 18, l. n. 241 del 1990 s.m.i. e d.P.R. n. 445 del 2000 s.m.i.), cit.
[24] Cfr. sul punto M.A. Sandulli, Autoannullamento dei provvedimenti ampliativi e falsa rappresentazione dei fatti: è superabile il termine di 18 mesi a prescindere dal giudicato penale?, cit., la quale rilevava che «l’operatività del suddetto termine di 18 mesi […] viene così tendenzialmente esclusa in riferimento ai provvedimenti che, seppure diretti a rimuovere ex tunc (con ripristino dello status quo ante o recupero delle somme eventualmente concesse) il titolo o il vantaggio economico conseguito per difetto originario dei relativi presupposti e dunque rientranti a pieno titolo nel modello che i richiamati pareri del Consiglio di Stato hanno definito “annullamento travestito”, non sono formalmente qualificati come “annullamento”: è consolidata in tal senso la giurisprudenza della sezione III-ter del TAR Lazio sui provvedimenti di decadenza dagli incentivi per le energie rinnovabili assunti dal GSE a distanza di anni dal relativo rilascio».
[25] Cfr. C. Deodato, L’annullamento d’ufficio, cit.