Gli impianti “minimi” nel servizio di gestione integrata dei rifiuti. Tutela dell’ambiente e promozione della concorrenza tra potere di direttiva dello Stato, pianificazione regionale e regolazione di ARERA (nota a Cons. St., sez. II, 12 dicembre 2023, n. 10734)
di Saul Monzani
Sommario: 1. Premessa. La classificazione degli impianti di trattamento secondo la regolazione ARERA. - 2. Il principio di evidenza pubblica in rapporto ai principi di prossimità e libera circolazione dei rifiuti urbani. La illegittimità di regimi di privativa non giustificati. - 3. La governance “multi-livello” del servizio di gestione integrata dei rifiuti. La ritenuta carenza di potere, anche implicito, di ARERA in tema di impianti “minimi”. - 4. Il meccanismo degli impianti “minimi” quale strumento di natura regolatoria al servizio della pianificazione regionale nel quadro delle direttive statali. La ricomposizione della governance “multi-livello”.
1. Premessa. La classificazione degli impianti di trattamento secondo la regolazione ARERA.
La fattispecie che è stata oggetto della giurisprudenza che ci si accinge ad esaminare riguarda il meccanismo introdotto dall’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA) nell’ambito del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani in tema di impianti “minimi”.
In particolare, con la delibera del 3 agosto 2021 n. 363 di approvazione del Metodo Tariffario Rifiuti per il secondo periodo regolatorio 2022-2025 (MTR-2), l’Autorità, per quanto qui rileva, ha prospettato, “al fine di sostenere lo sviluppo di un adeguato sistema infrastrutturale”, di adottare strumenti di regolazione delle tariffe di accesso agli impianti di trattamento, sulla base della classificazione, operata a livello di pianificazione regionale, degli impianti di chiusura del ciclo integrato dei rifiuti in “integrati”, “minimi” e “aggiuntivi”.
Tale classificazione viene ora effettuata sulla base di quanto previsto nel Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti (PNGR) di cui al decreto del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica n. 257 del 24 giugno 2022 per cui: gli impianti “integrati” sono quelli gestiti dall’operatore incaricato del servizio integrato di gestione dei rifiuti; gli impianti “minimi” sono quelli individuati come indispensabili nella misura in cui offrono capacità in un mercato con rigidità strutturali, caratterizzato da un forte e stabile eccesso di domanda e da un limitato numero di operatori; mentre, infine, quelli “aggiuntivi” sono individuati in via residuale.
Ebbene, sotto il profilo tariffario, gli impianti di chiusura del ciclo gestiti dall’operatore incaricato del servizio di gestione integrata dei rifiuti sono sottoposti ad una regolazione dei costi riconosciuti e delle tariffe di accesso secondo quanto previsto dal Metodo tariffario adottato dall’Autorità, integrata da un meccanismo di perequazione ambientale, il quale, prevede, da un lato, il riconoscimento di incentivi a favore di chi conferisce agli impianti di recupero della frazione organica dei rifiuti urbani e di incentivi (più limitati e comunque vincolati a prestazioni ambientali soddisfacenti raggiunte nei territori di provenienza) a favore di chi conferisce agli impianti di incenerimento con recupero di energia (a parziale compensazione dei corrispettivi dovuti per l’accesso a tali impianti) nonchè, dall’altro lato, l’applicazione di disincentivi per chi conferisce in discarica o in impianti di incenerimento senza recupero di energia (come maggiorazione dei corrispettivi dovuti per l’accesso a tali impianti).
Gli impianti classificati come “minimi”, anche se facenti capo a gestori non integrati, sono parimenti sottoposti all’applicazione di una regolazione dei costi riconosciuti e delle tariffe integrata dal meccanismo di perequazione ambientale appena descritto.
Infine, gli impianti di chiusura del ciclo “aggiuntivi” non sono assoggettati a regolazione tariffaria, potendo offrire sul mercato la loro capacità, ma sono comunque tenuti all’obbligo di applicare condizioni di conferimento non discriminatorie, pubblicando, sul proprio sito internet, i criteri principali alla base della individuazione dei corrispettivi di accesso, nonché sono sottoposti a disincentivi ove si tratti di discariche o di impianti di incenerimento senza recupero di energia.
Nel descritto contesto, il metodo MTR-2 prevede, in particolare, che in sede di classificazione degli impianti di chiusura del ciclo siano esplicitati: a) i flussi che si prevede vengano trattati per impianto; b) la distinzione dei medesimi secondo il criterio di prossimità che si ritiene utile specificare; c) l’elenco dei soggetti che si prevede conferiscano ai medesimi impianti.
In sostanza, in sede di individuazione degli impianti “minimi”, la pianificazione regionale giunge a determinare i flussi “di prossimità” dei rifiuti che obbligatoriamente devono essere convogliati a ciascun impianto ubicato sul territorio regionale stesso, a fronte del riconoscimento al gestore di una remunerazione determinata in via regolatoria.
Il meccanismo fin qui succintamente illustrato è stato oggetto di contestazione da parte degli operatori del settore, in particolare di quelli titolari di impianti collocati fuori dalla regione presa a riferimento, i quali hanno lamentato un effetto restrittivo della concorrenza nonché hanno dubitato della legittimazione di ARERA ad intervenire sul tema.
Così, la sentenza che ci si accinge ad illustrare ha esaminato e definito la latitudine applicativa della regola dell’evidenza pubblica nel campo del servizio di gestione integrata dei rifiuti, ciò rispetto agli (ulteriori) principi contenuti nel Codice dell’ambiente in tema di “prossimità” nonchè di libera circolazione sul territorio nazionale di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata. Inoltre, la giurisprudenza oggetto del presente commento si è interrogata circa la sussistenza in capo ad ARERA del potere di disciplinare in via regolatoria il meccanismo in questione, con le relative conseguenze che, asseritamente, produrrebbero una sorta di regime di “privativa” del segmento dello smaltimento[1].
2. Il principio di evidenza pubblica in rapporto ai principi di prossimità e libera circolazione dei rifiuti urbani. La illegittimità di regimi di privativa non giustificati.
Come è noto, il Codice dell’ambiente (di cui al d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 s.m.i.) ha previsto, all’art. 200, che, in via “ordinaria”, la gestione dei rifiuti urbani sia effettuata sulla base degli Ambiti Territoriali Ottimali delimitati dalle Regioni, in una prospettiva “integrata” volta al superamento della frammentazione gestionale e al conseguimento di adeguate dimensioni gestionali, nonché previa valutazione del sistema stradale e ferroviario di comunicazione e ricognizione degli impianti di gestione di rifiuti già realizzati e funzionanti nell’ambito territoriale di riferimento. Come è altrettanto noto, però, il comma 7 del predetto art. 200 consente alle Regioni di adottare modelli alternativi o in deroga al modello degli Ambiti Territoriali Ottimali; ciò sulla base di un piano regionale dei rifiuti che dimostri la propria adeguatezza rispetto agli obiettivi strategici previsti dalla normativa vigente, con particolare riferimento ai criteri generali e alle linee guida riservati, in materia, allo Stato.
Il successivo art. 202 del Codice dell’ambiente, in tema di modalità di affidamento del servizio in questione, fa riferimento, in particolare, alla “gara” pubblica, rinviando comunque alla disciplina vigente, anche di livello europeo, in materia di affidamento dei servizi pubblici locali. A tale ultimo proposito, rileva il disposto del vigente Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, il quale, all’art. 7, in nome del principio di “auto-organizzazione amministrativa”, effettua a sua volta un rinvio, per quanto riguarda i servizi di interesse economico generale di livello locale, a quanto previsto dal d.lgs. 23 dicembre 2022, n. 201 recante “Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali a rilevanza economica”.
Ebbene, l’art. 14 di quest’ultimo corpus normativo, in quanto a “modalità di gestione del servizio pubblico locale”, fa riferimento sostanzialmente alle consuete tre possibilità: a) affidamento a terzi mediante procedura ad evidenza pubblica svolta in conformità al diritto dell’Unione europea; b) affidamento a società a capitale misto pubblico-privato tramite una gara avente come doppio oggetto la quota societaria e l’affidamento del servizio, in conformità al diritto dell’Unione europea; c) affidamento diretto c.d. “in house”, nei limiti fissati dall’Unione europea.
Più specificamente, il d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, conv. nella l. 24 marzo 2012, n. 27, dettato in tema di “concorrenza, sviluppo delle infrastrutture e competitività” (decreto c.d. “Crescitalia”), ha ribadito, all’art. 25, volto alla “promozione della concorrenza nei servizi pubblici locali”, comma 4, che la gestione ed erogazione dei servizi di gestione integrata dei rifiuti urbani sono affidate ai sensi del predetto art. 202 del Codice dell’ambiente, nel rispetto della normativa europea e nazionale sull'evidenza pubblica; ciò con esplicito riferimento alle attività di raccolta, raccolta differenziata, commercializzazione e avvio a smaltimento e recupero.
Segue l’ulteriore precisazione per cui nel caso in cui gli impianti siano di titolarità di soggetti diversi dagli enti locali di riferimento, come spesso avviene, all’affidatario del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani devono essere garantiti l’accesso agli impianti a tariffe regolate e predeterminate e la disponibilità delle potenzialità e capacità necessarie a soddisfare le esigenze di conferimento indicate nel piano d’ambito.
D’altro canto, l’art. 181, comma 5, del Codice dell’ambiente specifica che per le frazioni di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata destinati al riciclaggio e recupero è sempre ammessa la libera circolazione sul territorio nazionale al fine di favorire il più possibile il loro recupero, privilegiando, anche con strumenti economici, il principio di prossimità agli impianti di recupero.
Quest’ultimo principio, peraltro, risulta valorizzato nel già citato Programma Nazionale per la Gestione dei Rifiuti (PNGR), ove, con particolare riferimento ai rifiuti organici, si afferma che essi devono essere gestiti “prioritariamente” all’interno del territorio regionale nel rispetto del principio di prossimità, al fine di limitarne il più possibile la movimentazione. In tale prospettiva, si indica alle Regioni la necessità di verificare la propria autonomia impiantistica e di pianificare eventuali impianti necessari alla copertura del fabbisogno, rimanendo comunque impregiudicata la libera circolazione di tale frazione nonché la possibilità di conseguire l’autonomia gestionale, anche su un territorio più ampio, da individuare come “macroarea”, previo accordo tra le Regioni interessate[2].
Ebbene, la giurisprudenza oggetto del presente commento ha proceduto ad una disamina del rapporto sistematico che intercorre, da un lato, tra il principio generale dell’evidenza pubblica, quale modalità “principale” di affidamento del servizio di igiene urbana che, in quanto “integrato” comprende anche l’attività di recupero, e, dall’altro lato, il principio di “prossimità” degli impianti di recupero delle frazioni di rifiuto urbano oggetto di raccolta differenziata nel contesto della “sempre ammessa” circolazione di tale tipologia di rifiuti sul territorio nazionale[3].
Così individuato il quadro di riferimento, la giurisprudenza ora in esame è giunta a negare la sussistenza di una qualche forma di “privativa” rispetto, in particolare, alle attività di recupero dei rifiuti urbani e assimilati, da intendersi in senso lato fino a comprendere anche le attività di avvio al recupero, le quali attività devono pertanto ritenersi suscettibili di essere svolte anche dai privati muniti delle prescritte autorizzazioni ambientali[4].
A siffatte conclusioni, si è pervenuti partendo dal dato normativo di cui agli artt. 101-109 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea per cui un regime di privativa e dunque di “riserva di attività”, per essere ammesso nel sistema, deve essere sia previsto da una esplicita norma di legge, senza che possa essere ricavato o esteso in via interpretativa, nonché deve essere giustificato alla luce del principio di concorrenza.
Ancora più specificamente, la giurisprudenza che si sta considerando ha osservato come la direttiva europea 2008/98/CE “Rifiuti”, nel considerando 6, indichi come obiettivo principale in materia quello di “ridurre al minimo le conseguenze negative della produzione e della gestione dei rifiuti per la salute umana e l’ambiente”, giungendo a prescrivere, all’art. 15, agli Stati membri di adottare “le misure necessarie per garantire che ogni produttore iniziale o altro detentore di rifiuti provveda personalmente al loro trattamento oppure li consegni ad un commerciante o ad un ente o a un’impresa che effettua le operazioni di trattamento dei rifiuti o ad un soggetto addetto alla raccolta dei rifiuti pubblico o privato”, prefigurando, così, un “sistema complesso nel quale agiscono vari soggetti, pubblici e privati”. Tali indicazioni si ritrovano nella normativa nazionale e, in particolare, nell’art. 177 del Codice dell’ambiente, secondo il quale i soggetti pubblici possono esercitare le loro competenze anche “avvalendosi, ove opportuno, mediante accordi, contratti di programma o protocolli d'intesa anche sperimentali, di soggetti pubblici o privati”.
Sotto altro profilo, sempre nella medesima sede, si è rilevato che la direttiva predetta indica, all'art. 23, lo strumento a disposizione degli Stati membri per raggiungere gli obiettivi indicati, là dove prevede che essi “impongono a qualsiasi ente o impresa che intende effettuare il trattamento dei rifiuti di ottenere l'autorizzazione dell'autorità competente”, introducendo così un regime autorizzatorio che peraltro non è universale, dato che, ai sensi del successivo art. 24, gli stessi Stati membri possono escludere la necessità dell’autorizzazione in due casi, uno dei quali è proprio l’attività di recupero. Per tale via, si è concluso che la scelta di un regime autorizzatorio, per di più derogabile, appare di per sé contraria alla previsione di una privativa in materia, sia di carattere generale, sia nel caso particolare dell’attività di recupero, che, in ipotesi, potrebbe svolgersi anche senza autorizzazione e ciò anche sulla base dei principi europei di proporzionalità e adeguatezza: ne consegue, in tale prospettazione, che l’attività predetta può esser svolta da più soggetti, purché nel rispetto degli interessi pubblici coinvolti, non essendovi spazio per ricavare l’esistenza di una privativa che non risulta espressamente prevista dalle norme sulla gestione integrata dei rifiuti urbani[5].
Dal contesto così come appena ricostruito, la sentenza oggetto precipuo del presente commento, ha tratto spunto per ribadire che la regola generale in tema di gestione integrata dei rifiuti urbani è quella improntata all’evidenza pubblica, ovvero in prima battuta alla gara. In siffatto ordine di idee, si è osservato come il principio di “prossimità”, pur funzionale alla migliore tutela ambientale possibile, tuttavia non è in grado di comprimere in maniera assoluta il valore della concorrenza, costituendo, al più, un fattore di “mitigazione”, attraverso il quale, pur sempre nell’ambito di una procedura ad evidenza pubblica, si valorizzino ed incentivino, con l’attribuzione di un punteggio premiale, le offerte che, tra le altre, garantiscano al meglio anche tale, ulteriore, principio[6].
Del resto, sempre secondo l’impostazione ora in rassegna, dallo stesso testo dell’art. 181, comma 5, del Codice dell’ambiente traspare come l’obiettivo principale del legislatore sia quello di “favorire il più possibile” il recupero delle frazioni di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata, mentre il criterio della “prossimità” viene individuato quale criterio preferenziale da incentivare “anche con strumenti economici”, ma senza che tale obiettivo ulteriore sia in grado di trasformare la libera circolazione di tali frazioni di rifiuti da regola ad eccezione, legittimando regimi di privativa o affidamenti diretti tali da sovvertire le regole in materia di affidamento degli appalti pubblici.
Sulla scorta del descritto impianto argomentativo, in definitiva, la giurisprudenza in commento ha statuito la illegittimità dei meccanismi che finiscano per stabilire una sorta di privativa ingiustificata, in particolare per quanto attiene l’attività di recupero delle frazioni di rifiuto urbano oggetto di raccolta differenziata (nel caso concreto si trattava della frazione organica - FORSU), a favore degli impianti “minimi” collocati sul territorio regionale; ciò nel momento in cui, come è avvenuto nella fattispecie concreta decisa dalla giurisprudenza in commento, vengano individuati a livello di pianificazione regionale, con carattere ritenuto “precettivo”, i bacini di riferimento di ciascun impianto, al quale gli enti locali interessati debbano, di fatto, conferire i rifiuti, così da sottrarre indebitamente tale attività alla dinamica concorrenziale del mercato del trattamento e smaltimento dei rifiuti, a discapito degli operatori collocati fuori del contesto regionale[7].
La necessità di sottoporre il conferimento dei flussi presso gli impianti di trattamento alla predetta dinamica competitiva, evitando regimi di privativa non giustificati, emerge nella giurisprudenza anche dal punto di vista delle modalità di affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti. Si allude al fatto che, con l’abrogazione dell’art. 201 del Codice dell’ambiente, il quale attribuiva all’Autorità d’Ambito il compito di individuare un soggetto preposto alla realizzazione, gestione ed erogazione “dell'intero servizio”, quest’ultimo non è più configurato come un tutto inscindibile, essendo ben possibile che entro i confini di un Ambito Territoriale Ottimale si affidi tutto il servizio ovvero singoli segmenti di esso separatamente[8].
Da quest’ultimo punto di vista, in giurisprudenza è apparsa censurabile la scelta di una stazione appaltante di affidare tramite procedura ad evidenza pubblica il servizio di gestione integrata dei rifiuti sulla base di un unico lotto, senza fornire un’adeguata motivazione, ai sensi e per gli effetti del disposto di cui all’art. 51 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (ora art. 58 d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36), che dia conto dei vantaggi economici e/o tecnico-organizzativi derivanti dall’opzione del lotto unico, piuttosto che della suddivisione in più lotti, e che espliciti le ragioni che giustifichino il sacrificio della concorrenza in un determinato settore del mercato, in relazione agli interessi, oltre che delle imprese, anche degli utenti[9]. In altri termini, il carattere “integrato” del servizio in questione non è considerato elemento valido e sufficiente, di per sé, a giustificarne l’affidamento “in blocco”, senza una preventiva indagine dei differenti mercati aventi ad oggetto le singole attività per le differenti tipologie di rifiuto. Alla luce della giurisprudenza segnalata, pertanto, occorre considerare, ancora una volta, che, pur nell’ambito di una gestione “integrata” dei rifiuti, nulla osta, anzi è doveroso, considerare le specificità dei singoli settori della filiera; ciò, con particolare riferimento al segmento relativo al recupero dei rifiuti, il quale costituisce un’attività di mercato che, come tale, non può essere oggetto di una privativa ingiustificata[10].
3. La governance “multi-livello” del servizio di gestione integrata dei rifiuti. La ritenuta carenza di potere, anche implicito, di ARERA in tema di impianti “minimi”.
Un’ulteriore questione passata in rassegna dalla sentenza in commento, riguarda la riconducibilità, o meno, delle disposizioni in tema di impianti “minimi” al potere regolatorio attribuito dalla legge all’Autorità, nonché l’eventuale sovrapposizione di tale potere rispetto alle attribuzioni spettanti alle Regioni e, salendo al livello superiore, allo Stato.
L’impostazione che ci si accinge ad esaminare[11] prende le mosse dalla constatazione per cui la disciplina legislativa attributiva dei poteri alle Autorità indipendenti si connota spesso, vista l’oggettiva difficoltà di fare altrimenti, per l’utilizzo di clausole di ampio respiro, più orientate verso una prospettiva finalistica piuttosto che determinate in maniera tassativa nel loro contenuto: ciò ha portato la giurisprudenza all’elaborazione della nota teoria dei c.d. “poteri impliciti”, con riferimento a quei poteri che non sono espressamente contemplati dalla legge ma che si desumono, all’esito di una interpretazione sistematica, dal complesso della disciplina della materia, perché strumentali all’esercizio di altri poteri, posto che nei settori di competenza delle Autorità indipendenti è oggettivamente complesso per il legislatore predeterminare quale possa essere il contenuto del provvedimento amministrativo, in presenza di poteri di regolazione con una valenza tecnica e che si esplicano in ambiti in costante evoluzione per dinamiche di mercato differenti; ciò con l’ulteriore precisazione per cui siffatto meccanismo, in quanto derogatorio del principio di legalità, va applicato in modo stringente nonché va “affiancato” da particolari garanzie di carattere procedimentale, per consentirne la compatibilità costituzionale[12].
Così individuata la cornice di riferimento, il ragionamento condotto dai giudici amministrativi, al fine di pervenire alla decisione in commento, prende le mosse dalla considerazione del disposto di cui all’art. 1, comma 527, della l. 27 dicembre 2017, n. 205, il quale, proprio nella citata dimensione “finalistica”, conferisce ad ARERA una funzione di regolazione e controllo del servizio integrato dei rifiuti, al fine di garantire accessibilità, fruibilità e diffusione omogenee sull’intero territorio nazionale nonchè adeguati livelli di qualità in condizioni di efficienza ed economicità della gestione, armonizzando gli obiettivi economico-finanziari con quelli generali di carattere sociale, ambientale e di impiego appropriato delle risorse, nonchè di assicurare l’adeguamento infrastrutturale agli obiettivi imposti dalla normativa europea. In particolare, tra le funzioni così attribuite, quelle che interessano la tariffa del servizio riguardano la predisposizione ed aggiornamento del metodo tariffario per la determinazione dei corrispettivi del servizio integrato dei rifiuti e dei singoli servizi che costituiscono attività di gestione, a copertura dei costi di esercizio e di investimento, compresa la remunerazione dei capitali, sulla base della valutazione dei costi efficienti e del principio «chi inquina paga» (lett. f); la fissazione dei criteri per la definizione delle tariffe di accesso agli impianti di trattamento (lett. g); l’approvazione delle tariffe definite, ai sensi della legislazione vigente, dall’ente di governo dell'ambito territoriale ottimale per il servizio integrato e dai gestori degli impianti di trattamento (lett. h).
Ciò posto, secondo i giudici amministrativi l’attività di regolazione così attribuita all’Autorità “non può avere una portata illimitata”, dovendo l’atipicità finalistica del relativo potere confrontarsi con la tipicità dei poteri di altre amministrazioni che con il primo in qualche modo interferiscono. In tale ottica, sempre in base all’orientamento ora in considerazione, le norme del Codice dell’ambiente che ripartiscono le competenze in tema di gestione dei rifiuti, “non possono che costituire un limite all’espansione finalistica del potere di ARERA, arginandolo alla radice”.
Ebbene, le predette norme che vengono in considerazione riguardano l’aspetto di indirizzo, di competenza dello Stato, nonché quello di pianificazione, attribuito alle Regioni, del servizio di gestione integrata dei rifiuti.
Dal primo punto di vista, la giurisprudenza in commento ha richiamato l’impostazione, ormai consolidata, per cui la disciplina dei rifiuti rientra nella materia inerente la “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, lett. s), della Costituzione: in tale prospettiva, si è precisato che la legislazione statale, anche in attuazione degli obblighi europei, rappresenta un livello di tutela uniforme trasversale che si impone sull’intero territorio nazionale come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino[13].
Ciò posto, il carattere trasversale di detta competenza statale andrebbe ad interessare non solo le disposizioni di carattere sostanziale in tema di rifiuti, ma anche la dimensione organizzativa, entro la quale lo Stato alloca le funzioni amministrative in materia di tutela dell’ambiente, individuando più livelli e soggetti, i cui rispettivi ruoli devono essere coordinati nella prospettiva di una maggiore adeguatezza ed efficienza degli interventi di attuazione delle politiche ambientali.
Partendo da tale presupposto, la sentenza oggetto precipuo del presente commento, passa in rassegna le norme del Codice dell’ambiente le quali, anche innovando rispetto all’assetto precedente, “disegnano” un meccanismo pianificatorio “a cascata” che coinvolge Stato e Regioni, secondo un approccio multilivello.
In primo luogo, sul fronte statale, l’art. 195 del Codice ha attribuito al livello centrale, in un’ottica di integrazione e coerenza delle pianificazioni regionali, la funzione volta ad individuare criteri generali, differenziati per i rifiuti urbani e per i rifiuti speciali, ai fini dell’elaborazione dei piani regionali. In siffatta ottica, l’introduzione dell’art. 198-bis del Codice in tema di “Programma nazionale per la gestione dei rifiuti” confermerebbe la scelta di avocare al livello centrale le scelte di principio, affidando a tale atto il compito di definire i criteri e le linee strategiche cui le Regioni e le Provincie autonome devono attenersi nell’elaborazione dei piani regionali.
In secondo luogo, e di conseguenza, viene in considerazione, ai sensi dell’art. 196, la predisposizione del “Piano regionale di gestione dei rifiuti”, il quale comprende, secondo quanto specificato dal successivo art. 199, l’analisi delle modalità di gestione dei rifiuti adottate nell’ambito geografico interessato, le misure da assumere per migliorare l’efficacia ambientale delle diverse operazioni di gestione dei rifiuti, nonché una valutazione del modo in cui i piani contribuiscono all’attuazione degli obiettivi e delle disposizioni nazionali di cui al Codice dell’ambiente stesso. In particolare, per ciò che attiene al tema oggetto del presente in commento, i piani regionali suddetti, sempre in forza del predetto art. 199, comma 3, del Codice, individuano: tipo, quantità e fonte dei rifiuti prodotti all’interno del territorio, suddivisi per ambito territoriale ottimale per quanto riguarda i rifiuti urbani, rifiuti che saranno prevedibilmente spediti da o verso il territorio nazionale e valutazione dell’evoluzione futura dei flussi di rifiuti, nonché la fissazione degli obiettivi di raccolta differenziata da raggiungere a livello regionale (lett. a); i sistemi di raccolta dei rifiuti e impianti di smaltimento e recupero esistenti (lett. b); una valutazione della necessità di nuovi sistemi di raccolta, della chiusura degli impianti esistenti per i rifiuti, di ulteriori infrastrutture per gli impianti per i rifiuti in conformità del principio di autosufficienza e prossimità e se necessario degli investimenti correlati (lett. c). Si tratta, in sostanza, di svolgere un’analisi della domanda e dell’offerta, al fine di stabilire: le politiche generali di gestione dei rifiuti, incluse tecnologie e metodi di gestione pianificata dei rifiuti, o altre politiche per i rifiuti che pongono problemi particolari di gestione (lett. e); il complesso delle attività e dei fabbisogni degli impianti necessari a garantire la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di trasparenza, efficacia, efficienza, economicità e autosufficienza della gestione dei rifiuti urbani non pericolosi all’interno di ciascuno degli ambiti territoriali ottimali, nonché ad assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti speciali in luoghi prossimi a quelli di produzione al fine di favorire la riduzione della movimentazione di rifiuti (lett. h).
L’assetto di competenze fin qui descritto, in definitiva, esprime la necessità, sempre secondo la giurisprudenza in commento, che la “regìa” in tema di gestione dei rifiuti resti unitaria, in modo da assumere una visione d’insieme delle criticità, così da individuare soluzioni che possono anche travalicare i confini territoriali. In altri termini, sussisterebbe la necessità di salvaguardare un sistema che preveda un coordinamento statale nella individuazione delle scelte necessarie a chiudere in maniera efficiente il ciclo dei rifiuti. In particolare sotto il profilo della dotazione impiantistica, il bilanciamento tra tutela dell’ambiente, da un lato, e promozione della concorrenza, dall’altro lato, non potrebbe essere rimessa alla singola Regione in assenza di indicazioni da parte dello Stato soprattutto in situazioni di deficit infrastrutturale, rispetto al quale occorrerebbe una valutazione prospettica ed equidistante al fine di valutare necessità e priorità.
Nel quadro così ricostruito, si è giunti a ritenere che ARERA, nel fornire i criteri per individuare gli impianti “minimi” quale fattore essenziale per la chiusura del ciclo integrato dei rifiuti, abbia finito per indirizzare il potere pianificatorio delle Regioni, avocando, di fatto, un potere di direttiva il quale, come si è visto, spetta allo Stato, potere che quest’ultimo non ha inteso delegare all’Autorità, così che quest’ultima ha finito per individuare una soluzione di carattere normativo alle criticità impiantistiche consistente nella sostanziale acquisizione al sistema pubblicistico di impianti operanti in regime di libera concorrenza.
4. Il meccanismo degli impianti “minimi” quale strumento di natura regolatoria al servizio della pianificazione regionale nel quadro delle direttive statali. La ricomposizione della governance “multi-livello”.
Così ricostruito l’iter argomentativo seguito dalla giurisprudenza in commento al fine di escludere un potere, anche implicito, di ARERA in tema di individuazione di impianti “minimi”, occorre svolgere alcune considerazioni sulle conclusioni cui sono approdati i giudici amministrativi.
Sul punto si potrebbe anche dubitare che l’Autorità abbia effettivamente sconfinato nell’ambito coperto da attribuzioni statali e regionali in materia di gestione integrata dei rifiuti, soprattutto tenendo conto che il suo intervento era da considerarsi limitato alle situazioni di conclamato deficit impiantistico, con riferimento alle quali l’intento dell’Autorità è stato quello di arginare, tramite la sottoposizione ad una regolazione tariffaria, un eccessivo potere di mercato in capo ai pochi impianti esistenti, nonché i conseguenti riflessi in tema di incremento dei costi di gestione dei rifiuti urbani e dunque di una maggiore spesa per gli utenti.
Tale, limitato, campo di applicazione del meccanismo degli “impianti minimi” non parrebbe rientrare nel potere di “direttiva” attribuito allo Stato dall’art. 198-bis del Codice dell’ambiente, in quanto consistente nella definizione dei “criteri e linee strategiche” delle pianificazioni regionali. Analogamente, al livello territoriale viene demandato, come già illustrato, il compito, tra gli altri, di svolgere un’analisi della domanda e dell’offerta, al fine di stabilire le politiche generali di gestione dei rifiuti, entro cui si colloca l’individuazione della eventuale necessità di realizzare nuovi impianti, in modo da garantire la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di efficacia, efficienza, economicità ma anche autosufficienza e prossimità. Così, in fondo, l’individuazione degli impianti “minimi” costituisce solo un possibile strumento di carattere regolatorio al servizio delle “politiche generali” predette, del quale le singole Regioni, a seguito delle necessarie analisi della situazione di riferimento, possono decidere di avvalersi, o meno, fermi restando i poteri di programmazione e pianificazione in capo a Stato e Regioni sulla realizzazione di nuovi impianti[14].
Per contro, tra le competenze legislativamente conferite all’Autorità rientra, come già sottolineato, oltre alla predisposizione ed aggiornamento del metodo tariffario del servizio integrato dei rifiuti e dei singoli servizi che costituiscono attività di gestione, ivi comprese quelle che si inseriscono in un contesto di mercato, anche la fissazione dei criteri per la definizione delle tariffe di accesso agli impianti di trattamento. Peraltro, le attribuzioni delle Autorità in materia di regolazione economico-tariffaria sono state ulteriormente confermate e ribadite, in linea generale, dal disposto di cui al d.lgs. 23 dicembre 2022, n. 201, recante “Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica” (art. 6, comma 1, e art. 26, comma 1).
Nel descritto scenario, si sarebbe potuto anche riconoscere ad ARERA quantomeno un potere di natura implicita desumibile in via interpretativa volto ad impedire eccessivi poteri di mercato in capo a pochi operatori in certi e specifici contesti, proprio allo scopo di “di garantire accessibilità, fruibilità e diffusione omogenee sull’intero territorio nazionale nonchè adeguati livelli di qualità in condizioni di efficienza ed economicità della gestione”, così come prescritto in una prospettiva “finalistica” dal già segnalato art. 1, comma 527, della l. 27 dicembre 2017, n. 205.
Del resto, lo stesso Ministero competente, nell’approvare il PNGR attraverso il già citato d.m. 24 giugno 2022 n. 257, ha mostrato di non ravvisare alcuna “invasione” di competenza da parte di ARERA nel momento in cui essa ha disciplinato il meccanismo degli impianti “minimi” nell’ambito del Metodo Tariffario Rifiuti per il secondo periodo regolatorio 2022-2025 (MTR-2), così come ammesso anche dai giudici amministrativi nella giurisprudenza in commento[15]. Infatti, il citato Programma ministeriale, al par. 5.2., ha dato atto dell’adozione da parte di ARERA, con un intervento evidentemente ritenuto legittimo, di una sua “propria distintiva tassonomia degli impianti di trattamento dei rifiuti urbani”assoggettabili a regolazione tariffaria, cui lo stesso Ministero rinvia, riconoscendo, pertanto, il potere dell’Autorità in tema. In particolare, sempre secondo il Ministero, la definizione del meccanismo in questione si colloca nell’ambito degli obiettivi che hanno guidato da subito l’azione di ARERA: da un lato, la promozione della capacità del sistema locale (regionale o di macroarea) di gestire integralmente i rifiuti, con una forte attenzione al profilo infrastrutturale del settore, per ricomporre i divari territoriali e le carenze impiantistiche rilevate, favorendo così anche il pieno esplicarsi degli stimoli concorrenziali al raggiungimento dell’efficienza allocativa; dall’altro lato, lo sfruttamento ottimale delle potenzialità di valorizzazione economica insite nelle diverse filiere dei rifiuti, incentivando lo sviluppo di soluzioni tecnologiche innovative ed ambientalmente sostenibili, penalizzando oltremodo lo smaltimento in discarica, in coerenza con gli obiettivi di carattere ambientale dettati dal quadro euro-unitario e nazionale.
In tale “riconoscimento” operato dal Ministero si potrebbe scorgere una conferma della possibilità, in realtà, di riconoscere all’Autorità un potere anche solo in via implicita nel campo in considerazione, proprio nell’ottica del perseguimento e della realizzazione degli obiettivi che la legge le ha affidato.
Ancora, sempre nella medesima sede, si è dato atto che il perimetro di azione di ARERA è da ritenersi circoscritto, quantomeno prioritariamente, agli impianti di trattamento finale dei rifiuti urbani volti all’effettiva chiusura del ciclo mediante operazioni di smaltimento o di recupero (impianti di trattamento della frazione organica, inceneritori e discariche), con esclusione degli impianti riconducibili alle filiere del riciclaggio, destinati al recupero di materia, gestiti da Consorzi di filiera, o da altri soggetti, con i quali i Comuni possono sottoscrivere specifiche convenzioni per la copertura degli oneri sostenuti per le raccolte differenziate dei rifiuti, nonché degli impianti riconducibili ad altre filiere di riciclaggio destinati al recupero di materia diversi dagli impianti di trattamento biologico della frazione organica.
Al successivo par. 9, si precisa ulteriormente che le scelte in ordine alla qualificazione degli impianti di chiusura del ciclo come “minimi” devono trovare adeguata giustificazione e sviluppo nei pertinenti atti di programmazione regionale, a seguito dell’analisi dei flussi nonché di una ricognizione degli impianti di trattamento presenti sul proprio territorio: in tale ordine di idee, la classificazione in questione può essere attribuita agli impianti che “risultino operare, offrendo la propria capacità di trattamento, in un mercato caratterizzato da rigidità strutturali, nella misura di un ampio e stabile eccesso di domanda a fronte di un limitato numero di operatori presenti, avendo eventualmente capacità di trattamento già impegnata da flussi garantiti dagli strumenti di programmazione, o da altri atti amministrativi, o, comunque, essendo individuati come tali in sede di programmazione”.
Infine, per quanto qui rileva, viene anche ribadito dal PNGR che l’individuazione degli impianti di chiusura del ciclo “minimi” richiede da parte delle Regioni e Province autonome la contestuale indicazione: a) dei flussi che si prevede vengano trattati per impianto, anche ove ancora non risultassero negli strumenti di programmazione vigenti; b) dell’eventuale distinzione dei medesimi secondo il criterio di prossimità che la Regione o Provincia autonoma ritengano utile specificare; c) dell’elenco dei soggetti che si prevede conferiscano ai medesimi impianti (quali per esempio i gestori della raccolta e del trasporto dei rifiuti urbani o i gestori di impianti di trattamento intermedio).
Tutto ciò considerato, pare confermato l’assunto in precedenza proposto per cui l’individuazione degli impianti “minimi” costituisce un possibile strumento di carattere regolatorio al servizio delle “politiche generali” che comunque sono decise a livello regionale, sulla base delle direttive impartite dallo Stato nell’ottica di garantire livelli uniformi di tutela ambientale.
Ad ogni buon conto, a ricomporre il quadro in qualche misura “spezzato” dalla giurisprudenza commentata è intervenuta nuovamente la stessa ARERA con la deliberazione del 23 gennaio 2024 n. 7, la quale, in dichiarata ottemperanza alle sentenze amministrative esaminate, pur confermando sostanzialmente l’impostazione già assunta, ha dato espressamente conto della necessità che la determinazione delle tariffe di accesso agli impianti di trattamento avvenga tramite la modulazione degli strumenti di regolazione, distinguendo gli impianti di chiusura del ciclo in “integrati”, “minimi” e “aggiuntivi”, di cui al MTR-2, “in coerenza con i criteri indicati nel Programma nazionale per la gestione dei rifiuti (PNGR) approvato con il decreto del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica 24 giugno 2022, n. 257”.
In definitiva, l’Autorità, con la recente delibera indicata, ha preso atto dell’emanazione del PNGR, ancora non esistente all’epoca della delibera del 3 agosto 2021 n. 363 di approvazione del MTR-2, il quale comunque, come si è illustrato, si è espresso in senso conforme a quanto già stabilito in precedenza dall’Autorità stessa[16]. Quest’ultima, nell’ottemperare alle statuizioni del giudice amministrativo, ha comunque rivendicato il fatto che attraverso la definizione del meccanismo degli impianti “minimi” essa non ha mai “inteso intervenire sulle competenze pianificatorie di altri soggetti competenti alla concreta individuazione di tale tipologia di impianti, né sulle competenze in materia di assegnazione dei servizi che possono essere svolti attraverso i medesimi impianti”. L’intervento in tale ambito, sempre secondo l’Autorità, non ha certo voluto provocare la creazione di una privativa nei termini che i giudici amministrativi hanno ritenuto di cogliere, bensì, al contrario, è stata animata da una “finalità di tipo pro-concorrenziale” volta a ridurre il potere di mercato detenuto in certi contesti in maniera eccessiva dai gestori degli impianti di trattamento, con i conseguenti effetti negativi in termini di costo del servizio per i cittadini.
In definitiva, una volta ricostruite le dinamiche di governance “multi-livello” del servizio in questione, si può affermare, conclusivamente, come il dibattito sviluppatosi sul tema degli impianti “minimi” testimoni un processo, avviato ma ancora in corso, di armonizzazione ed equilibrio tra valori tradizionalmente ritenuti, perlomeno in qualche misura, antitetici, ossia la tutela dell’ambiente, attraverso i principi di auto-sufficienza e prossimità, da un lato, e la promozione della concorrenza, dall’altro lato, in coerenza con la gerarchia dei valori affermati a proposito delle modalità di affidamento di contratti pubblici.
La sfida, come si diceva tuttora in atto, è quella di individuare un punto di equilibrio tra i suddetti valori, nella consapevolezza che lo stimolo della concorrenza può risultare funzionale anche ad una migliore tutela dell’ambiente, nel contesto di un’economia sostenibile e circolare; ciò a beneficio della società e della qualità dell’ambiente.
Tuttavia il corretto dispiegarsi di una sana e virtuosa logica di mercato necessita ancora di interventi “correttivi”[17], soprattutto sul fronte impiantistico, come quello posto in essere dall’Autorità, e poi di fatto recepito anche in sede ministeriale, anche se probabilmente si sarebbe dovuto verificare il contrario. In tale quadro, appare chiarissima la situazione di squilibrio infrastrutturale che caratterizza il nostro Paese: come rilevato nel PNGR, infatti, la distribuzione geografica degli impianti risulta fortemente disomogenea tra le Regioni italiane in termini di numerosità, capacità autorizzata e scelte tecnologiche, in quanto circa il 65% della complessiva capacità di trattamento autorizzata per gli impianti di recupero della frazione organica biodegradabile è operativa al Nord; per converso, quote considerevoli di rifiuti prodotte nelle aree del Centro e nel Mezzogiorno vengono trattate in impianti localizzati in altre aree, soprattutto nell’Italia Settentrionale, quindi non coerentemente con i principi di auto contenimento territoriale o prossimità dettati dagli indirizzi normativi e delle buone pratiche.
In tale contesto, dunque, un ruolo importante ai fini del reperimento del punto di equilibrio poc’anzi evocato è svolto senz’altro dall’attività di regolazione di ARERA, in coerenza ai poteri che la legge le ha attribuito, da ultimo anche rispetto al servizio di gestione integrata dei rifiuti. In tale ottica, come da sempre rivendicato dall’Autorità stessa, l’intervento in tema di impianti “minimi”, che di fatto ha solo anticipato quello statale nei contenuti, appare necessario al fine di contenere un fenomeno che ancora diffusamente sussiste, ovvero quello per cui i (troppo) pochi operatori esistenti in molti contesti territoriali detengono un potere di mercato eccessivamente ampio, tanto da costituire una sorta di oligopolio che appare il contrario del libero mercato (solo) astrattamente propugnato dai giudici amministrativi, a tutto discapito dei costi riversati sui cittadini.
Dunque, ove la situazione di deficit impiantistico lo richieda (e ciò purtroppo si verifica ancora in parecchi contesti territoriali, costituendo più che l’eccezione la regola), l’intervento di ARERA appare, come da sempre dichiarato dall’Autorità stessa, come volto a correggere una sorta di fallimento del mercato, nell’ottica di garantire condizioni eque di gestione del servizio e, in prospettiva, di sviluppare un’effettiva concorrenza laddove ancora non vi siano le condizioni (ciò anche stimolando nuovi, quanto cospicui, investimenti infrastrutturali), piuttosto che, come invece ritenuto dai giudici amministrativi, a creare dei regimi di privativa ingiustificati. Così, una volta ricostruite correttamente le dinamiche della governance “multilivello” del servizio di gestione integrata dei rifiuti, con il ripristino del potere di indirizzo statale, appare condivisibile la sostanziale conferma, nei termini illustrati, del meccanismo degli impianti “minimi”, quale (possibile) strumento delle politiche generali di gestione dei rifiuti individuate dalle Regioni.
[1] Cons. St., sez. II, 12 dicembre 2023, n. 10734, in www.giustizia-amministrativa.it.
[2] In tema si v. anche F. Smerchinich, Servizi rifiuti, impianti minimi, principio di prossimità e concorrenza: alcuni chiarimenti tra giurisprudenza e programma nazionale di gestione dei rifiuti (PNGR), in Appalti & Contratti, 2023, 39 ss.
[3] Sul punto cfr., oltre alla sentenza oggetto precipuo del presente commento, anche Cons. St., sez. IV, 31 luglio 2023, n. 7412, in www.giustizia-amministrativa.it.
[4] Sul punto cfr. Cons. St., sez. IV, 29 maggio 2023, n. 5257 nonché Cons. Giust. Amm. Sicilia, sez. giurisd., 30 marzo 2022, n. 410, entrambe in www.giustizia-amministrativa.it. Sul tema si v., in generale, A. Benedetti, Organizzazione e regolazione dei servizi locali di interesse economico: il caso del ciclo dei rifiuti urbani, in www.federalismi.it, 24 febbraio 2021.
[5] In tema cfr. anche R. Raponi, L’autorizzazione alla realizzazione di nuovi impianti nel settore della gestione dei rifiuti assoggettati al libero mercato. Quali limiti incontra la discrezionalità amministrativa e il principio di precauzione?, in www.giustamm.it, 20 ottobre 2023.
[6] In tal senso già Cons. St., sez. IV, 24 dicembre 2020, n. 8315, in www.giustizia-amministrativa.it., ha sottolineato che sebbene i principi di “libera circolazione” nel territorio nazionale e di “prossimità” agli impianti di recupero (o di autosufficienza) siano entrambi presenti nella legislazione nazionale, il primo costituisce il criterio cardine, mentre il secondo è individuato come l'opzione preferibile tra più scelte.
[7] In tema è intervenuta anche l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), con segnalazione del 22 dicembre 2022, pubblicata sul Bollettino dell’Autorità n. 2 del 9 gennaio 2023, ove è stato rimarcato che l’individuazione di impianti “minimi” per la chiusura del ciclo appare uno strumento condivisibile in una prospettiva concorrenziale quando la sua finalità sia quella di garantire, in situazioni di carenza di capacità di trattamento o di smaltimento dei rifiuti, il completo asservimento ai flussi regionali degli impianti esistenti in base a tariffe definite dal regolatore per evitare l’applicazione di prezzi eccessivi da parte dei pochi impianti esistenti (dotati di potere di mercato), ed anche nella prospettiva di stimolare nuovi investimenti (per coprire il gap impiantistico) e per il tempo necessario allo sviluppo di tale nuova capacità. Tuttavia, prosegue l’Autorità, in assenza di uno specifico deficit impiantistico o di rigidità strutturali a livello regionale tali da giustificare la predeterminazione dei flussi e degli impianti di destinazione, non è giustificabile l’individuazione di impianti “minimi”, in quanto essa finisce per impedire la concorrenza tra gli impianti regionali e gli altri impianti limitrofi, collocati in regioni diverse, la quale, invece, è di per sé idonea a consentire di raggiungere un livello adeguato di qualità e prezzi competitivi. In tale prospettiva, sempre secondo l’Autorità, anche l’osservanza del principio di “prossimità” non può riferirsi rigidamente ai confini amministrativi regionali, ma deve eventualmente essere declinato in termini di effettiva distanza dal luogo di raccolta del rifiuto nonché deve tenere conto della tipologia e delle caratteristiche dei potenziali impianti di destinazione nonchè dei mezzi di trasporto impiegati. In dottrina, F. Leonardis, Codice dell’ambiente e regolazione dei rifiuti nella nuova stagione dell’economia circolare, in Riv. quad. dir. amb., 2022, 82-83, ha evidenziato la tendenza ad affidare insieme alle attività di raccolta, trasporto e avvio a smaltimento delle diverse frazioni della raccolta urbana, anche le attività di recupero e riciclo di essa che, invece, dovrebbero tipicamente essere svolte in regime di mercato, così che tale impropria attribuzione di titolarità esclusiva in capo al gestore delle suddette frazioni viene a configurare una sorta di monopolizzazione dei mercati concorrenziali “a valle”. In tale ottica, si rileva anche la necessità di valutare le determinazioni di ARERA nel momento in cui consentono alle Regioni di “ripubblicizzare”, attraverso lo schema degli impianti “minimi”, la gestione degli impianti di riciclo organico senza tener conto del principio di concorrenza. Viene poi rilevata la necessità di indagare come possa conciliarsi l’apertura alla concorrenza dei cd. mercati “a valle” con il principio di prossimità nella gestione dei rifiuti. Sempre in tema si v. anche G. Marchianò, L’economia circolare con particolare attenzione ai rifiuti urbani, ex d.l. n. 121 del 3 settembre 2020, in www.ambientediritto.it, 2022.
[8] Così, Cons. St., sez. IV, 29 maggio 2023, n. 5257, cit.
[9] Così T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 24 aprile 2023, n. 1012, in www.giustizia-amministrativa.it. Nello stesso senso cfr. anche T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 2 gennaio 2024, n. 9; T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 29 marzo 2024, n. 259, entrambe in www.giustizia-amministrativa.it.
[10] Sul punto, la sentenza oggetto precipuo del presente commento ha rilevato come, in particolare dopo l’introduzione del concetto di economia “circolare”, l’approccio al servizio dei rifiuti, nella sua dimensione integrata, necessita di una “completa rivisitazione”, al fine di valorizzare/valutare quelle attività che escono dal regime di privativa per inserirsi in un ambito di mercato. In tema, oltre alla giurisprudenza già citata in precedenza, cfr. T.A.R. Emilia-Romagna Bologna, sez. II, 16 gennaio 2023, n. 17, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 16 ottobre 2023, nn. 2331, 2332, 2334, ivi, in cui, pur confermando l’insussistenza di una privativa comunale, tuttavia non si esclude a priori la possibilità da parte di un ente locale di acquisire il servizio di recupero della FORSU alla mano pubblica ai sensi dell’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 201 del 2022, purchè siffatta scelta avvenga, come previsto dalla legge, all’esito di apposita istruttoria, svolta sulla base di un effettivo confronto tra le diverse soluzioni possibili, da cui risulti che la prestazione dei servizi da parte delle imprese liberamente operanti nel mercato sia inidonea a garantire il soddisfacimento dei bisogni delle comunità locali.
[11] Siffatta impostazione si rinviene, oltre nella sentenza oggetto principale del presente commento, anche in Cons. St., sez. II, 6 dicembre 2023, n. 10548 e n. 10550, nonché in Id., 14 dicembre 2023, n. 10775, tutte in www.giustizia-amministrativa.it.
[12] Così, di recente, T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 24 febbraio 2023, n. 486, in Foro amm., 2023, II, 211. In tema, si v. anche Cons. St., sez. VI, 14 dicembre 2020, n. 7972, in Giur. comm., 2022, II, 152, in cui si è rilevato che nell'esercizio dei poteri desunti in via interpretativa occorre rafforzare la legalità procedimentale, la quale assume una valenza forte per “compensare” le mancanze della legalità sostanziale. Ancora prima cfr. Cons. St., sez. VI, 20 marzo 2015, n. 1532, in Foro amm., 2015, n. 760. In tema si v. in dottrina, tra gli altri, A. Marra, I poteri impliciti, in Dir. amm., 2023, 697 ss.; F.F. Guzzi, I poteri amministrativi impliciti: un tema alla ricerca di soluzioni, in www.ambientediritto.it, 2023; S. Spuntarelli, Poteri impliciti (ad vocem), in Enc. dir., I Tematici, V, 2023, 934 ss.; M. Ramajoli, Attività regolatoria e norme attributive dei poteri: alcune considerazioni, in Riv. reg. merc., 2022, 26 ss.; G. Manfredi, Legalità procedurale, in Dir. amm., 2021, 749 ss.; C. Acocella, Poteri indipendenti e dimensioni della legalità. Le prospettive di sostenibilità dell'implicito nell’esperienza delle autorità amministrative indipendenti, in Id. (a cura di), Autorità indipendenti. Funzioni e rapporti, Napoli, 2022, 11 ss.; F.L Maggio, Questioni interpretative sui poteri normativi delle Autorità amministrative indipendenti, in www.federalismi.it, 2001; P. Pantalone, Autorità indipendenti e matrici della legalità, Napoli, 2018; G. Morbidelli, Il principio di legalità e i c.d. poteri impliciti, in Dir. amm., 2007, 703 ss.; N. Bassi, Principio di legalità e poteri amministrativi impliciti, Milano, 2001.
[13] Così, tre le tante, si v. Corte cost., 7 ottobre 2021, n. 189, in Foro amm., 2022, II, 358; Corte cost., 23 luglio 2015, n. 180, in Giur. cost., 2015, 1355; Corte Cost., 14 luglio 2015, n. 149, ivi, 1282; Corte Cost., 10 aprile 2015, n. 58, ivi, 519. Sul punto cfr. anche Cons. St., sez. IV, 17 maggio 2022, n. 3870, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St., sez. IV, 27 giugno 2017, n. 3146, in Riv. giur. ed., 2017, I, 940; Cons. St., sez. IV, 16 dicembre 2016, n. 5340, in Foro amm., 2016, 2932.
[14] Sul punto cfr. anche P. La Selva, Alcune riflessioni su ambiente e concorrenza nella regolazione del mercato dei rifiuti, in Dir. ec., 2023, 89 ss, il quale sottolinea come in tema di classificazione degli impianti “minimi” non risulti una riserva di regolamentazione statale evincibile dal quadro normativo.
[15] In particolare, al punto 53 della sentenza del Consiglio di Stato n. 10550 del 2023, cit., si ammette proprio che “il Ministero mostra in verità di condividere le opzioni dell’Autorità, evidentemente non ravvisando nella relativa estrinsecazione alcuna invasione delle proprie competenze”.
[16] Per la verità, ARERA, già nel documento di consultazione n. 196 del 2021, recante “Primi orientamenti per la definizione del Metodo Tariffario Rifiuti per il secondo periodo regolatorio”, aveva espresso l’opportunità di un intervento governativo con il quale individuare (e aggiornare con frequenza periodica, ad esempio biennale) gli impianti di chiusura del ciclo “minimi” da assoggettare a regolazione al fine di promuoverne l’efficienza in un quadro di progressivo dinamismo concorrenziale. Senonchè, come si è ampiamento rappresentato, tale intervento governativo è pervenuto solo con il d.m. 24 giugno 2022, n. 257, il quale ha comunque sostanzialmente confermato l’impostazione adottata in precedenza dall’Autorità con la delibera del 3 agosto 2021 n. 363 di approvazione del MTR-2.
[17] Sul tema degli interventi correttivi di situazioni di “fallimento del mercato” cfr., tra gli altri, P. Lazzara, La regolazione amministrativa: contenuto e regime, in Dir. amm., 2018, 355.