Sull’ordinaria diligenza esigibile dal soggetto danneggiato ai sensi degli artt.1227 c.c. e 30 c.p.a. (nota a Cons. Stato, sez. IV, 4 settembre 2023, n. 8149)
di Clara Silvano
Sommario: 1. La vicenda contenziosa. 2. Le questioni di rito. 3. E quelle di merito: in particolare la domanda risarcitoria. 4. Conclusioni
1. La vicenda contenziosa
La sentenza qui in esame[1] consente di tornare a riflettere sul modo con cui il giudice amministrativo si pone rispetto alla tutela risarcitoria richiesta dal privato nei confronti dell’amministrazione e, in particolar modo, sull’onere di diligenza esigibile dal soggetto danneggiato ai sensi degli artt. 1227 c.c.[2] e 30, comma 3, c.p.a.[3], offrendo sul punto una soluzione che, come si avrà modo di vedere, si pone in maniera innovativa rispetto alla giurisprudenza maggioritaria.
La decisione arriva all’esito di un articolato contezioso che vede contrapporsi, da un lato, una società immobiliare, dall’altro la Società Autostrade per l’Italia s.p.a[4].
Con specifico riguardo al contenzioso relativo alla domanda risarcitoria, la Società aveva formulato davanti al T.a.r. per la Toscana[5] una domanda di condanna al risarcimento dei danni nei confronti di Società Autostrade, sostenendo di non aver potuto completare l’intervento edilizio assentito dal Comune a causa della sospensione dei lavori in conseguenza di due diffide di Società Autostrade, motivate sull’assunto, rivelatosi poi erroneo, che le opere edilizie autorizzate dal Comune avrebbero dovuto collocarsi ad una distanza non inferiore a quella di 60 metri dalla sede stradale, in conformità a quanto previsto dal D.M. 1° aprile 1968 n. 1404, distanza non rispettata nel caso di specie.
La ricorrente lamentava che la sospensione dei lavori avrebbe determinato l’impossibilità di concludere i lavori, anche per il mancato accesso al credito bancario, e di procedere alla consegna degli appartamenti ai promissari acquirenti, con conseguente attivazione, nei suoi confronti, di azioni giudiziarie da parte degli stessi, causandole un grave pregiudizio, quantificato complessivamente in euro 6.911.097,24[6].
Il T.a.r. per la Toscana, con sentenza n. 535 del 5 maggio 2020, respingeva il ricorso proposto dalla Società, condannandola alla rifusione delle spese processuali. La società appellante ha impugnato la sentenza, contestandola con un unico articolato motivo, per non aver il giudice di prime cure fatto corretta applicazione dei principi derivanti dall’art. 1227 c.c. e dall’art. 30 c.p.a.
Prima però di entrare nel merito della questione risarcitoria, il giudice amministrativo è chiamato a dirimere due eccezioni di rito sollevate da parte appellata, relative all’irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio e alla sua inammissibilità, eccezioni che, toccando comunque profili relativi alla domanda risarcitoria e al suo rapporto con la tutela di tipo demolitorio, meritano di essere esaminate in questa sede[7].
2. Le questioni di rito
Come detto, il Consiglio di Stato si trova a dirimere una prima eccezione con la quale Società Autostrade per l’Italia contesta la tardività del ricorso introduttivo del giudizio, presentato davanti al giudice ordinario nel 2015, in asserita violazione del termine decadenziale di 120 giorni previsto dall’art. 30 c.p.a. per la proposizione della domanda risarcitoria[8].
Tale eccezione viene superata dal giudice d’appello, richiamando il principio di diritto espresso dall’Adunanza Plenaria del 6 luglio 2015 n. 6[9], per il quale il termine decadenziale di 120 giorni non trova applicazione ai fatti illeciti anteriori all’entrata in vigore del codice.
Nel caso di specie, quindi, dal momento che gli atti causativi dei danni lamentati risalgono al 2008, deve trovare applicazione il termine di prescrizione quinquennale[10], termine che, dovendo considerarsi interrotto durante il giudizio impugnatorio, è stato rispettato da parte della ricorrente con la proposizione della domanda risarcitoria nel 2015.
Il giudice rigetta anche l’eccezione di inammissibilità del ricorso, fondata sul fatto che la domanda risarcitoria proposta dalla Società era basata su una specifica censura di illegittimità delle due diffide emanate da Società Autostrade - consistente nella violazione del combinato disposto dell’art. 1 del D.M. 1404/1968 e dell’art. 9 l. 726/1961 – non ritualmente dedotta nel giudizio di impugnazione[11].
Il giudice, come detto, respinge tale eccezione, sulla base, in primo luogo, dell’autonomia dei due giudizi - quello annullatorio e quello risarcitorio[12] - e, in secondo luogo, della particolare valenza da riconoscersi al giudicato nel processo amministrativo.
In particolare, la reiezione della domanda demolitoria nell’ambito del primo giudizio non preclude la proposizione della domanda risarcitoria basata su vizi di legittimità non esaminati dal giudice di primo grado, in quanto su tali vizi non si è formato il giudicato che si forma, per l’appunto, solo con riferimento ai vizi dell’atto ritenuti sussistenti, e questo perché, nel processo amministrativo il principio per il quale il giudicato copre il dedotto e il deducibile non troverebbe piena esplicazione[13].
3. Le questioni di merito: in particolare la domanda risarcitoria
Esaurite le questioni di rito sollevate dall’amministrazione appellata, il giudice affronta l’articolato motivo di appello proposto dalla società, con il quale la stessa contesta la sentenza di prime cure per aver mal applicato i principi desumibili dagli artt. 1227 c.c. e 30 c.p.a. nel decidere in merito alla domanda risarcitoria.
L’art. 30 c.p.a., effettuando una ricognizione dei principi civilistici in materia di autoresponsabilità e di concorso del danneggiato nella causazione del danno[14], espressi dall’art. 1227 c.c., prevede che: «Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti»[15].
In particolare, il T.A.R. Toscana aveva ritenuto che la negligenza imputabile alla società per non aver usufruito correttamente di tutti gli strumenti di tutela disponibili, non avendo proposto ritualmente l’unico motivo ritenuto (in astratto) suscettibile di accoglimento, determinerebbe l’esclusione del risarcimento dei danni che la stessa avrebbe potuto evitare con l’ordinaria diligenza ai sensi dell’art. 30 c.p.a. e 1227 c.c[16].
Avverso tale ricostruzione la Società evidenza, tuttavia, che il T.a.r. avrebbe omesso di considerare il risarcimento dei danni che non si sarebbero potuti evitare con la proposizione di un ricorso tempestivo e rituale contro le diffide di Autostrade s.p.a. e, nemmeno con un eventuale provvedimento cautelare favorevole del T.a.r., danni che la stessa ha ampiamente dimostrato esserle derivati direttamente dalle diffide emesse da Società Autostrade.
Invero, la Società riteneva di aver dato prova del fatto che sin dalla notifica delle suddette diffide si era prodotta in capo alla stessa un danno grave, in quanto il fermo cantiere aveva messo in moto una irreversibile concatenazione di conseguenze dannose non evitabile con l’azione impugnatoria, che in ogni caso era stata tempestivamente promossa, tenendo conto dei tempi fisiologici di chiusura del contenzioso, ma che non si sarebbero potuti evitare nemmeno in forza di un eventuale provvedimento cautelare favorevole da parte del T.a.r. perché avrebbe richiesto alla società un onere di diligenza eccessivo, imponendole di costruire e di portare a termine l’opera sulla base di un mero provvedimento cautelare, nelle more della completa definizione del giudizio.
Il Collegio accoglie la ricostruzione dell’appellante, ritenendo che la sentenza di prime cure avrebbe interpretato il combinato disposto degli artt. 2043 c.c.[17], 1227 c.c. e 30 c.p.a. «in modo talmente rigido da tradursi di fatto, in una forma di denegata giustizia», dovendo invece il giudice amministrativo «approfondire sotto ogni aspetto la pretesa economica oltre che giuridica delle parti, facendosi carico anche dell’evoluzione di un contesto di mercato (anzi di mercati) sempre più complesso».
In altri termini, sempre secondo il Supremo consesso, «la declinazione del duty to mitigate sancito dal secondo comma dell’art. 1227 c.c., in attuazione del canone solidaristico di buona fede, non può assumere, laddove riguardi un interesse legittimo, un rigore tale da condurre alla reazione di un non ammissibile “diritto speciale della p.a.” in materia risarcitoria».
Il giudice ricorda che l’omessa attivazione degli «strumenti di tutela», tra i quali è inclusa la tutela cautelare, rappresenta un dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini della mitigazione e finanche dell’esclusione del danno, in quanto evitabile con l’ordinaria diligenza, secondo quanto previsto dall’art. 30 c.p.a. [18].
Nel caso di specie, il Consiglio di Stato ritiene che la società non sia venuta meno al dovere di ordinaria diligenza imposto al danneggiato, avendo la stessa tempestivamente impugnato e chiesto la sospensiva dei due atti di diffida, coltivando la pretesa sia in primo grado sia in grado si appello.
Ancora, il fatto che non sia stata proposta dalla società la censura che avrebbe fatto accogliere l’istanza cautelare non è elemento sufficiente ad escludere il nesso di causa ex art. 1227, secondo comma, c.c., potendo eventualmente rilevare ai fini della riduzione del quantum dovuto, ai sensi del primo comma del suddetto articolo[19].
In ogni caso, il Consiglio di Stato sembrerebbe ritenere che il non aver proposto in modo corretto la censura di illegittimità da parte della Società non sia un comportamento esigibile da parte del danneggiato e questo «per la congerie di fonti normative e la controversa qualificazione urbanistica dell’area, con conseguente difficoltà obiettiva ad individuare la disciplina normativa di riferimento»
Infine, nella valutazione dell’onere di diligenza posto in capo al soggetto danneggiato, il giudice d’appello ritiene che la scelta della Società di non proseguire i lavori, in attesa della conclusione del giudizio contro le diffide impugnate, non sia stata una scelta irragionevole, alla luce dell’autorevolezza dell’ente dal quale tali diffide provenivano e delle conseguenze (la demolizione delle opere edilizie) che si sarebbero verificate in caso di esito negativo del giudizio.
Avendo quindi accertato l’an della pretesa risarcitoria della Società nei confronti di Società Autostrade, il giudice demanda a una verificazione[20] la definizione dell’ammontare dei danni effettivamente dovuti alla Società, formulando un articolato elenco di questioni[21], rimandando la definizione del giudizio all’espletamento degli incombenti istruttori disposti.
4. Conclusioni
La sentenza qui in esame, benché non definitiva, è particolarmente interessante per il modo innovativo con il quale il giudice amministrativo si pone rispetto alla domanda risarcitoria formulata dal privato nei confronti della pubblica amministrazione.
La dottrina ha, infatti, messo ben in evidenza la ritrosia con il quale il giudice amministrativo si è sempre posto nei confronti di questo tipo di tutela[22], evidenziando come lo stesso, vuoi per minor familiarità con le questioni risarcitorie, vuoi per tutelare le casse dell’amministrazione, il più delle volte rigetti la domanda risarcitoria formulata nel processo amministrativo.
Nella sentenza, invece, il giudice ritiene che: «la cognizione piena in materia risarcitoria gli imponga di approfondire sotto ogni aspetto la pretesa economica oltre che giuridica delle parti, facendosi carico anche dell’evoluzione di un contesto di mercato (anzi, di mercati) sempre più complesso», affermando che le difficoltà che spesso ci sono nella concreta quantificazione del danno da parte del giudice possono essere superate ricorrendo, come il giudice poi concretamente ha fatto, agli strumenti processuali messi a disposizione per supplire alla mancanza di conoscenze tecniche.
La diversa attenzione con la quale il giudice d’appello si approccia, in questo caso, alla questione risarcitoria, lo porta a compiere una valutazione concreta e tagliata sul caso di specie dell’onere di diligenza imposto al soggetto danneggiato per prevenire o comunque mitigare le conseguenze dannose, ai sensi dell’art. 30, comma 3, c.p.a., discostandosi in questo modo dalla giurisprudenza prevalente[23] che, applicando in maniera rigida e severa questa disposizione, ha fatto giustamente parlare la dottrina di una “pregiudizialità mascherata”, in quanto il mancato esperimento preventivo dell’azione di annullamento costituisce comunque un ostacolo al pieno esplicarsi della tutela risarcitoria[24].
In particolare, nella giurisprudenza sopra richiamata, la mancata tempestiva impugnazione del provvedimento di cui si lamenta l’illegittimità a fini risarcitori è configurata quale condotta idonea a escludere il nesso di causalità giuridica tra condotta e danno ai sensi dell’art. 1227, comma 2, c.c.[25], limitando in concreto l’autonomia riconosciuta in astratto all’azione risarcitoria dal codice del processo amministrativo che richiede allora, per il suo pieno esplicarsi, il previo (e satisfattivo) esercizio dell’azione di annullamento.
Il Consiglio di Stato, infatti, a differenza del giudice di prime cure, e, in maniera innovativa rispetto alla giurisprudenza prevalente, ritiene che nel caso in cui in sede di impugnazione non sia stato fatto valere in maniera rituale il profilo di illegittimità che avrebbe portato all’annullamento delle diffide impugnate, non è circostanza di per sé idonea a recidere il nesso di causalità giuridica ex art. 1227, comma 2, c.c., potendo al più rilevare ai fini di una riduzione del quantumrisarcitorio dovuto ai sensi del primo comma del medesimo articolo.
Questo profilo è di particolare interesse, non solo perché esclude rigidi automatismi nell’applicazione del c.d. “duty to mitigate” sancito dagli artt. 1227 c.c. e 30 c.p.a., ma restituisce una reale autonomia alla domanda risarcitoria che secondo la ricostruzione del giudice, può essere fatta valere per profili di illegittimità diversi da quelli fatti valere nel giudizio di annullamento.
Autonomia vieppiù confermata dal fatto che la domanda risarcitoria era stata formulata con riferimento a quei danni che la Società ha dimostrato esserle occorsi nell’immediatezza delle due diffide e che nemmeno la proposizione tempestiva del ricorso e della relativa istanza cautelare avrebbe potuto evitare, danni che comunque si sono maturati fino alla definizione del giudizio di appello.
Così, sempre nell’ottica di evitare un’interpretazione delle norme che «configuri la preclusione di ogni pretesa risarcitoria in modo talmente ampio e rigido da tradursi, di fatto, in una forma di denegata giustizia», il Consiglio di Stato valorizza tale circostanza, ben evidenziata dalla società appellante, ritenendo altresì ragionevole la scelta della Società di attendere l’esito del giudizio prima di riprendere i lavori e ciò sia per le conseguenze negative che si sarebbero determinate in caso di rigetto del ricorso contro le diffide, ossia la demolizione di quanto medio tempore costruito, sia comunque per l’autorevolezza dell’ente dal quale provenivano suddette diffide che, primo fra tutti, avrebbe dovuto conoscere e correttamente applicare le norme in materia di rispetto delle distanze delle costruzioni dalle strade[26].
In attesa della definizione del giudizio, non si può che auspicare che l’attenzione e la sensibilità mostrata dal giudice amministrativo nei confronti della pretesa risarcitoria del privato in questa vicenda possa consolidarsi anche nelle future decisioni, valorizzando la tutela risarcitoria quale mezzo di costruzione di una tutela finalmente piena ed effettiva[27].
[1] Si tratta invero di una sentenza non definitiva in quanto il giudice ha disposto incombenti istruttori al fine di definire il quantum risarcitorio dovuto alla società appellante.
[2] Come noto, l’art. 1227 c.c. individua due fattispecie tra loro distinte; secondo la ricostruzione di C. M. Bianca, Dell’inadempimento delle obbligazioni, in (a cura di) F. Galgano, Commentario Scialoja-Branca, Bologna, 1988, 403 «La prima ricorre quando la condotta del danneggiato ha contribuito a cagionare la lesione iniziale ovvero ha inciso sul rapporto di causalità materiale con il danno-evento. La seconda è integrata quando il creditore non si attivi per evitare l'aggravarsi della lesione iniziale ovvero influisca sul rapporto di causalità giuridica con il danno-conseguenza. La prima fattispecie implica un giudizio di imputazione causale del danno, la seconda si traduce in un giudizio sul dovere di correttezza che impone al danneggiato di comportarsi in modo diligente per evitare il danno scaturito dall'inadempimento o dal fatto illecito». Ai fini che qui più interessano, è importante osservare come per la giurisprudenza civile l’onere di diligenza richiedibile al soggetto danneggiato non implichi l’obbligo di iniziare una azione giudiziaria, considerata per definizione attività gravosa e comportante rischi e spese. Si confronti sul punto Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 2004, n. 2422; Cass. civ., sez. III, 25 settembre 2009, n. 20684; Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2017, n. 22820; Cass. civ., sez. III, 05 ottobre 2018, n. 24522. Di contrario avviso l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 23 marzo 2011 n. 3, per la quale: «Si deve allora preferire al tradizionale indirizzo che esclude, per definizione, la sincadabilità delle condotte processuali ai sensi del capoverso dell’art. 1227 c.c., un più duttile criterio interpretativo che, in coerenza con le clausole generali in materia di correttezza, buona fede e solidarietà di cui la norma in esame è espressione, consenta la valutazione della condotta complessiva, anche processuale, del creditore, con riguardo alle specificità del caso concreto». Per un’analisi di questa sentenza si veda infra, in particolare nota 11 e nota 13.
[3] L’art. 30, comma 3, c.p.a. al secondo periodo recita: «Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti». Per l’analisi e l’applicazione giurisprudenziale di questo articolo si rimanda al paragrafo 3 del presente contributo.
[4] Nello specifico, la Società, in forza del permesso di costruire n. 1569/2007, rilasciato dal Comune di Prato aveva intrapreso i lavori per la realizzazione di un complesso residenziale situato in prossimità di uno svincolo autostradale.
La società Autostrade, con nota del 20 marzo e del 19 novembre 2008, diffidava la società dal continuare i lavori in quanto le opere edilizie autorizzate dal Comune avrebbero dovuto collocarsi ad una distanza non inferiore a quella di 60 metri dalla sede stradale, in conformità a quanto previsto dal D.M. 1° aprile 1968 n. 1404. Tali diffide venivano tempestivamente impugnate dalla Proprietà davanti al T.a.r. Toscana, che con sentenza n. 2449/2010 respingeva il ricorso proposto sull’assorbente motivo della non applicabilità delle norme invocate dalla ricorrente alla fattispecie sottoposta alla sua cognizione. Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 1118/2012, respingeva a sua volta l’appello proposto dalla società, dichiarando le censure presentate inammissibili perché formulate con memoria difensiva non notificata alla controparte. Tuttavia, il giudice di secondo grado, in sede di appello, osservava comunque che: «dovrebbe auspicabilmente considerarsi che l’area di Greta Immobiliare è compresa in un insediamento non solo compatibile con il P.R.G. del Comune, ma puntualmente inserito nel tessuto urbano, e segnatamente nel c.d. “Sistema della Residenza, Subsistema R4 – la città in aggiunta”, non essendo pertanto per esso ragionevolmente applicabile la disciplina di cui al D.M. 1404 del 1968 dettata per le edificazioni al di fuori del perimetro dei centri abitati e degli insediamenti che, come per l’appunto nel caso in esame, sono previsti dalla vigente strumentazione urbanistica. Pertanto, a fronte di una vigente previsione normativa di una fascia di rispetto di m. 25, la materiale esistenza di una distanza di m. 32 dal ciglio autostradale dovrebbe reputarsi congrua in un’augurabile riconsiderazione della fattispecie». Sulla base di tale sentenza, il Comune di Prato ha rilasciato il permesso di costruire n. 538/2012 per il completamento dell’intervento in questione, fondato sulla rilevata operatività della fascia di rispetto di 25 metri dalla sede autostradale ai sensi dell’art. 9 della legge n. 729/1961.
[5] In verità, la domanda risarcitoria era stata posta, in prima battuta, davanti al giudice civile e, a seguito di regolamento di giurisdizione promosso da Autostrade per l’Italia, la Corte di Cassazione, a sezioni unite, con ordinanza n. 13194/2018, ha individuato il giudice amministrativo come quello munito di giurisdizione con riguardo alla controversia di natura risarcitoria.
[6] Precisamente le voci di danno fatte valere sono così riassumibili:
- -mancato profitto, pari alla differenza tra il valore di vendita delle singole unità immobiliari e il costo dell'intera costruzione, ivi compreso il terreno, detratto il valore di quanto residuato, a valore commerciale attuale;
- -maggiori costi connessi allo spostamento del cantiere a seguito della variante progettuale del 2008;
- -danni corrispondenti alla perdita di valore delle opere realizzate;
- -danni da risoluzione dei contratti preliminari di compravendita delle unità immobiliari da realizzare e connesse richieste risarcitorie ad opera dei promissari acquirenti;
- -danni originati dall’impossibilità di rispettare i contratti stipulati da Greta Immobiliare con i propri fornitori e dalle azioni di recupero crediti promosse da costoro;
- -costi sostenuti per compensi ai professionisti coinvolti nella progettazione del complesso immobiliare e, successivamente, nei contenziosi insorti per effetto della mancata realizzazione del progetto;
- -danno da perdita del credito bancario, che avrebbe in ultima analisi provocato la definitiva cessazione dell’attività d’impresa della ricorrente;
- -danni connesso al pagamento di oneri e maggiori oneri contributivi, assistenziali, previdenziali, fiscali e relative sanzioni.
[7] Si precisa che tali eccezioni non sono state esaminate dal giudice di prime cure il quale «in nome del principio della “ragione più liquida”» respinge il ricorso nel merito, derogando all’ordine logico delle questioni.
[8] In merito all’applicazione del termine decadenziale all’azione di condanna nei confronti della pubblica amministrazione si confronti A. Marra,Il termine di decadenza nel processo amministrativo, Milano, 2012 e, più recentemente, G. Taglianetti, L’azione risarcitoria per lesione di interessi legittimi tra garanzie di giustizia ed esigenze di certezza, in Il Processo, 1/2022, 101. Dubitano della legittimità costituzionale di questa disposizione A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, 2018, 213; G. Poli, Il risarcimento del danno ingiusto nella logica del Codice del processo amministrativo: brevi osservazioni in tema di costituzionalità, in Dir. e proc. amm., 2/2011, 441; F. Merusi, In viaggio con Laband…, in Giorn. dir. amm., 6/2010, 658; F. Saitta, Tutela risarcitoria degli interessi legittimi e termine di decadenza, in Dir. proc. amm., 4/2017, 1208, dove vengono elencati, in maniera efficacemente sintetica, i dubbi di costituzionalità sollevati da questa disposizione, oltre a quello di irragionevole disparità di trattamento tra le situazioni giuridiche soggettive di diritto soggettivo e di interesse legittimo. Tuttavia, la Corte costituzionale, nella sentenza 19 ottobre 2017, n. 9464, dichiara la questione di costituzionalità sottopostole in merito alla previsione di siffatto termine decadenziale non fondata, invocando esigenze sia di tutela della «certezza degli effetti del rapporto giuridico amministrativo» sia di «stabilità dei bilanci delle pubbliche amministrazioni». La sentenza è stata oggetto di vivo interesse da parte della dottrina, la quale le ha dedicato diversi commenti, tra i quali si segnalano F.G. Scoca, Sul termine per proporre l’azione risarcitoria autonoma nei confronti della pubblica amministrazione, in Giur. cost., 3/2017, 980; F. Cortese, Autonomia dell’azione di condanna e termine di decadenza, in Giorn. dir. amm., 5/2017, 662; F. Pagano, Il principio costituzionale di effettività della tutela giurisdizionale e il termine di decadenza per proporre l’azione autonoma di condanna nel processo amministrativo (nota a Corte cost. n. 94 del 2017), in AIC Osservatorio cost., 2/2017, 3; S. Foá, Risarcimento degli interessi legittimi e termine decadenziale. La lettura italiana del principio di effettività della tutela, in Federalismi.it, 18/2017; A. Marra, Termine di decadenza e azione di condanna risarcitoria, in Dir. proc. amm., 3/2018, 1077.
[9] Cons. Stato, Ad. Plen., 6 luglio 2015 n. 6, in Foro it., 2015, III, 501. La Plenaria, chiamata a risolvere il problema interpretativo relativo all’applicabilità del termine decadenziale previsto dall’articolo 30, comma 3, del codice del processo amministrativo, agli illeciti consumati in epoca anteriore a detto jus superveniens, esprime il seguente principio di diritto: «Il termine decadenziale di centoventi giorni previsto, per la domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi, dall’articolo 30, comma 3, del codice del processo amministrativo, non è applicabile ai fatti illeciti anteriori all’entrata in vigore del codice», trovando tale interpretazione avallo nella giurisprudenza costituzionale. Con la sentenza 31 maggio 2015, n. 57, il Giudice delle Leggi ha, infatti, ritenuto che l’art. 2 del Titolo II dell’Allegato 3 (Norme transitorie) al codice del processo amministrativo, «non è altrimenti interpretabile che nel senso della sua riferibilità anche (e a maggior ragione) all’ipotesi di successione tra un termine sostanziale, qual è quello di prescrizione, ed un termine processuale precedentemente non previsto, quale appunto il termine di decadenza sub art. 30 citato, essendo una diversa lettura della predetta disposizione (nel senso, restrittivo, della sua riferibilità solo a termini processuali «in corso») innegabilmente contra Constitutionem, per la compromissione, che ne deriverebbe, non solo della tutela ma della esistenza stessa della situazione soggettiva». Per un commento a questa sentenza si confronti G. Cocozza, Giudice amministrativo e Corte costituzionale a confronto sulla legittimità costituzionale dell'art. 30 c.p.a., in www.giustamm.it, 8/2017, 1.
[10] La giurisprudenza è sostanzialmente unanime nel ricondurre la responsabilità dell’amministrazione per lesione di interessi legittimi al paradigma della responsabilità extracontrattuale. Si confronti sul punto T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 16 ottobre 2018, n. 2309; Cons. Stato sez. V, 10 febbraio 2015, n. 675; T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 10 gennaio 2015, n. 94; T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 05 giugno 2014, n. 510; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 06 novembre 2013, n. 9470. Questo indirizzo è stato sugellato dal Consiglio di Stato, con l’Adunanza Plenaria 23 aprile 2021, n. 7 ove si legge che: «Il paradigma cui è improntato il sistema della responsabilità dell’amministrazione per l’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o per il mancato esercizio di quella doverosa, devoluto alla giurisdizione amministrativa, è quello della responsabilità da fatto illecito». In dottrina propendono per la natura extracontrattuale della responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi, comprendendo anche la lesione causata dal ritardo o dall’inerzia, F.D. Busnelli, Dopo la sentenza n. 500. La responsabilità civile oltre il «muro» degli interessi legittimi, in Riv. dir. civ., 2000, 335, il quale conferma questa presa di posizione nel più recente F.D. Busnelli, La responsabilità per illegittimo esercizio della funzione amministrativa vista con gli occhi del civilista, in Dir. amm., 4/2012, 531; R. Caranta, Attività amministrativa ed illecito aquiliano. La responsabilità della P.A. dopo la l. 21 luglio 2000, n. 205, Milano, 2001; L. Torchia, La responsabilità, in (a cura di) S. Cassese, Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo generale, tomo II, Milano, 2003, 1649; F. Liguori, Caratteri della funzione amministrativa e norme sulla responsabilità, in Dir. e società, 2004, 485. Applicano invece la nota teoria del “contatto sociale” elaborata da C. Castronovo, L’obbligazione senza prestazione. Ai confini tra contratto e torto, in Aa.Vv., Le ragioni del diritto. Scritti in onore di Luigi Mengoni, tomo I, - Diritto Civile, Milano, 1995, 147, che teorizza un terzo genus di responsabilità, la responsabilità che nasce da un contatto sociale, alla quale si applicano le regole della responsabilità contrattuale, ritenendo che il “contatto” creatosi tra amministrazione e cittadino nel corso del procedimento fa sorgere in capo all’amministrazione degli “obblighi di protezione” (ma non di prestazione) nei confronti del soggetto privato, che vanta un vero e proprio diritto a che l’amministrazione si comporti secondo buona fede, il cui mancato rispetto determina una responsabilità contrattuale ai sensi dell’art. 1218 c.c. M. Protto, È crollato il muro della irrisarcibilità degli interessi legittimi: una svolta epocale?, in Urb. e app., 1999, 1092; F.G. Scoca, Per un’amministrazione responsabile, in Giur. cost., 1999, 4045, in particolare 4060 e ss.; G.P. Cirillo, Danno da illegittimità dell’azione amministrativa e giudizio risarcitorio. Profili sostanziali e processuali, Padova, 2001, specie 77 e ss.; G.D. Comporti, Torto e contratto nella responsabilità civile della pubblica amministrazione, Torino, 2003, 129 e ss.; L. Ferrara, Dal giudizio di ottemperanza, al processo di esecuzione. La dissoluzione del concetto di interesse legittimo nel nuovo assetto della giurisprudenza amministrativa, Milano, 2003, 175 e ss.; G.M. Racca, Il risarcimento del danno e l’interesse legittimo, in (a cura di) R. Garofoli, G.M. Racca, M. De Palma, Responsabilità della pubblica amministrazione e risarcimento del danno innanzi al giudice amministrativo, Milano, 2003, 171 e ss.; C. Castronovo, La «civilizzazione» della pubblica amministrazione, in Eur. e dir. priv., 3/2013, 637 e ss. Ritiene invece che si possa sostenere l’esistenza di un vincolo obbligatorio anche senza ricorrere necessariamente alla categoria degli obblighi di protezione M.C. Cavallaro, Potere amministrativo e responsabilità civile, Torino, 2004, 217 e passim, la quale ritiene che, a seguito dell’avvio del procedimento, sorge in capo al soggetto pubblico, in virtù dell’art. 1173 c.c., un’obbligazione di mezzi che ha come oggetto l’obbligo per la pubblica amministrazione di tenere un determinato comportamento nei confronti del privato. Ritengono invece che le categorie civilistiche della responsabilità mal si attaglino alla responsabilità della pubblica amministrazione, necessitando la stessa di appositi e autonomi modelli, L. Garofalo, La responsabilità dell’amministrazione: per l’autonomia degli schemi ricostruttivi, in Dir. amm., 1/2005, 1; A. Zito, Il danno da illegittimo esercizio della funzione amministrativa. Riflessioni sulla tutela dell’interesse legittimo, Napoli, 2003, 172 e ss.; D. Vaiano, Pretesa di provvedimento e processo amministrativo, Milano, 2002, 266 e ss.
[11] Nell’ambito del giudizio impugnatorio, come ricordato nella nota 4 del presente contributo, il Consiglio di Stato, con sentenza n. 1118/2012, ha respinto l’appello proposto dalla società, dichiarando le censure presentate inammissibili perché formulate con memoria difensiva non notificata alla controparte. Tuttavia, il giudice di secondo grado, in sede di appello, osservava comunque che: «dovrebbe auspicabilmente considerarsi che l’area di Greta Immobiliare è compresa in un insediamento non solo compatibile con il P.R.G. del Comune, ma puntualmente inserito nel tessuto urbano, e segnatamente nel c.d. “Sistema della Residenza, Subsistema R4 – la città in aggiunta”, non essendo pertanto per esso ragionevolmente applicabile la disciplina di cui al D.M. 1404 del 1968 dettata per le edificazioni al di fuori del perimetro dei centri abitati e degli insediamenti che, come per l’appunto nel caso in esame, sono previsti dalla vigente strumentazione urbanistica. Pertanto, a fronte di una vigente previsione normativa di una fascia di rispetto di m. 25, la materiale esistenza di una distanza di m. 32 dal ciglio autostradale dovrebbe reputarsi congrua in un’augurabile riconsiderazione della fattispecie”». Sulla base di tale sentenza, il Comune di Prato ha rilasciato il permesso di costruire n. 538/2012 per il completamento dell’intervento in questione, sul presupposto della rilevata accettabilità della distanza di mt. 32 del fabbricato dal confine autostradale.
[12] L’autonomia dell’azione risarcitoria rispetto a quella di annullamento è sancita in modo espresso dall’Adunanza Plenaria n. 3/2011, che ricava tale autonomia dall’analisi, in primo luogo, delle disposizioni contenute nel codice del processo amministrativo, in particolare dall’art. 30, da leggersi unitamente all’art. 7, comma 4, l’art. 34, comma 2 e comma 3, affermando che: «Questo reticolo di norme consacra, in termini netti, la reciproca autonomia processuale tra i diversi sistemi di tutela, con l'affrancazione del modello risarcitorio dalla logica della necessaria “ancillarità” e “sussidiarietà” rispetto al paradigma caducatorio». Per un primo commento a questa importante sentenza si confronti M.A. Sandulli, Il risarcimento del danno nei confronti delle pubbliche Amministrazioni: tra soluzione di vecchi problemi e nascita di nuove questioni, in Federalismi.it, 7/2011, 1. Tuttavia, la dottrina ha evidenziato come tale autonomia non sia un’autonomia piena, ma piuttosto un’ autonomia «formale», «temperata», «debole» e «disincentivata», dal momento che il mancato esperimento dell’azione di annullamento, contro il silenzio o di adempimento si ripercuote in maniera significativa sul giudizio risarcitorio, dal momento che l’art. 30, comma 3, c.p.a. prevede espressamente che: «Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti». Osserva sul punto G. Conti, Concorso di colpa del danneggiato e pregiudizialità amministrativa, in Dir. proc. amm., 2/2015, 769 come: «l’omessa impugnativa continua a rivestire una importanza di fatto decisiva con riferimento agli elementi da valutare nella determinazione del danno: sicché si attribuisce una rilevanza discriminante (in negativo) alla condotta del danneggiato, che abbia omesso di impugnare il provvedimento».
[13] Per una chiara definizione della regola del “dedotto e del deducibile” si confronti G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, I, Napoli, 1935, 341, ove l’Illustre Autore riconnette tale regola alla «[…] preclusione di tutte le questioni, che furono fatte e di tutte le questioni che si sarebbero potute fare intorno alla volontà concreta di legge, al fine di ottenere il riconoscimento del bene negato o il disconoscimento del bene riconosciuto». Per una declinazione della definizione con riguardo al processo amministrativo cfr. M. Clarich, Giudicato e potere amministrativo, Padova, 1989, 151, per il quale: «deducibile nel processo amministrativo è ogni fatto che può dar origine al diritto potestativo all’annullamento oppure […] che sia rilevante per la produzione dell’effetto costitutivo (annullamento) invocato. Il ricorrente è soggetto ad un vero e proprio onere di dedurre nell’atto introduttivo del giudizio tutti i motivi di invalidità dell’atto impugnato. Se non ottempera all’onere, e fatta salva la possibilità di proporre motivi aggiunti ove ne ricorrano i presupposti, la sentenza di rigetto passata in giudicato non può essere messa più in discussione in un secondo giudizio […]». Ritiene applicabile in maniera “piena” la preclusione del dedotto e del deducibile nel processo amministrativo, A. Piras, Interesse legittimo e giudizio amministrativo, Milano, 1962, 581, per il quale:«[…] così come si deve ammettere, nel corso del processo, una determinata fungibilità dei motivi da cui vien fatto dipendere l’accoglimento della domanda, così si deve anche, parallelamente, riconoscere che la cognizione del giudice, per quanto sia e debba essere limitata — positivamente e negativamente — dalle deduzioni e produzioni delle parti, produce, con la decisione finale, l’effetto di coprire, in relazione al rapporto controverso, il dedotto ed il deducibile». Contra, R. Villata, L’esecuzione delle decisioni del Consiglio di Stato, Milano, 1971, 580-582, per il quale: «[…] non si può accettare la tesi che il giudicato copre il dedotto e il deducibile: esso si riferisce soltanto ai vizi di legittimità denunciati; su tutti gli altri aspetti del provvedimento il giudice non compie alcuna indagine, né si forma alcun accertamento. Ciò è importante non tanto per la possibilità di impugnare una seconda volta l’atto in relazione a motivi diversi, stante la brevità dei termini perentori, quanto perché, se la pubblica amministrazione emana un nuovo provvedimento, dopo il ritiro del precedente, non vi è alcuna forza d’accertamento della sua legittimità, al di là dei vizi presi in considerazione dalla pronuncia cassatoria […]»; nonché G. Greco, L’accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, Milano, 1980, 182, nella parte in cui, procedendo alla critica della concezione enucleata da Piras, rileva che: «[…] le cennate presunzioni (aggiungiamo per quanto qui rileva: la preclusione del “dedotto e deducibile”), in mancanza di una esplicita disciplina positiva, possono essere riconosciute come vigenti soltanto in un sistema di giudizio di annullamento imperniato sull’accertamento del rapporto; poiché, viceversa, il nostro ordinamento positivo ha predisposto, a mio modo di vedere, un diverso tipo di giudizio di annullamento, le cennate presunzioni appaiono innanzitutto prive di solido fondamento normativo. Esse, comunque, non risultano idonee a garantire il “recupero” dell’accertamento dell’intero rapporto amministrativo nel nostro giudizio d’annullamento e non sono in grado pertanto di colmare del tutto il divario esistente tra la materia del contendere in siffatto giudizio e l’effettivo conflitto di interessi sostanziali, intercorrente tra Amministrazione e destinatario dell’atto». Più recentemente, con riguardo alla regola del “dedotto e del deducibile” ritiene «non giustificato, alla luce di quanto dinanzi messo in rilievo e considerate le norme processuali che costruiscono il giudizio di impugnazione, il trapianto automatico della regola in argomento dal processo civile al processo amministrativo» S. Valaguzza, Il giudicato amministrativo nella teoria del processo, Milano, 2016, 208. Al di là delle oscillazioni dottrinali sopra riportate, la tesi fatta propria dalla sentenza qui in commento ricalca quella fatta propria dall’Adunanza Plenaria 15 gennaio 2013, n. 2, per la quale la piena espansione del principio del dedotto e del deducibile è impedita dalle peculiarità del processo amministrativo e, pertanto, il giudicato amministrativo «non può che formarsi con esclusivo riferimento ai vizi dell’atto ritenuti sussistenti, alla stregua dei motivi dedotti nel ricorso», con la conseguenza che la sede per sindacare la legittimità dei provvedimenti emanati nel caso di riedizione del potere amministrativo sotto profili non oggetto delle statuizioni della sentenza sarà il giudizio ordinario di cognizione e non il giudizio di ottemperanza.
[14] Sul valore ricognitivo dell’art. 30 c.p.a., si esprime molto chiaramente l’Adunanza Plenaria n. 3/2011 supra ampiamente richiamata la quale «reputa che la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione e degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, oggi sancita dall’art. 30, comma 3, del codice del processo amministrativo, sia ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di un’ interpretazione evolutiva del capoverso dell’articolo 1227 cit.». Alla luce di tale valenza ricognitiva, la Plenaria afferma che l’art. 30 cit. «enuncia principi che, in quanto già presenti nell'art. 1227 c.c., sono applicabili anche alle azioni risarcitorie proposte prima della sua entrata in vigore, in quanto espressione del principio generale di correttezza nei rapporti bilaterali, mirando a prevenire comportamenti opportunistici finalizzati a trarre occasioni di lucro da situazioni che hanno leso solo in modo marginale gli interessi dei destinatari del provvedimento, la cui lesività avrebbe potuto essere prevenuta con la normale diligenza».
[15] Per un’applicazione di questo articolo si confronti di recente T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 05 maggio 2023, n.7646, per il quale: «Costituisce principio irretrattabilmente sancito in giurisprudenza, sin dalla pronuncia dell'Adunanza Plenaria n. 3/2011, che la mancata impugnazione dell'atto amministrativo illegittimo, pur non precludendo la possibilità di esperire un’autonoma azione di risarcimento dei danni da esso conseguenti, costituisce un comportamento apprezzabile da parte del giudice ai fini dell’ esclusione o della mitigazione del danno medesimo, laddove si appuri che le condotte attive trascurate non avrebbero implicato un sacrificio significativo ed avrebbero verosimilmente inciso, in senso preclusivo o limitativo, sul perimetro del danno, non essendo risarcibili quei danni che il destinatario dell'atto amministrativo lesivo avrebbe potuto evitare con la sua impugnazione e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall'ordinamento, secondo quanto previsto dall'art. 30, comma 3, c.p.a, ricognitivo dei principi espressi dall'art. 1227 c.c., secondo cui il creditore è gravato non soltanto da un obbligo negativo consistente nell'astenersi dall'aggravare il danno, ma anche dall'obbligo positivo di tenere quelle condotte rivolte a evitare o ridurre il danno, nel rispetto delle generali clausole di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c.». In termini si confronti T.A.R. Lazio, Roma, sez. V, 03 maggio 2023, n. 7529; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 23 novembre 2022, n. 2617; Cons. Stato sez. IV, 31 ottobre 2022, n. 9421; Cons. Stato sez. IV, 13 maggio 2022, n. 3774; Cons. Stato, sez. V, 2 febbraio 2021, n. 962; sez. IV, 4 dicembre 2020, n. 7699.
[16] Si legge testualmente nella sentenza che: «In altri termini, sul piano processuale la situazione è esattamente equiparabile al caso in cui l’azione risarcitoria sia stata proposta in assenza della preventiva impugnazione dei provvedimenti lesivi, con la particolarità che in questo caso l’impugnazione vi è stata, ma per motivi/in relazione a vizi differenti da quello in ragione del quale è oggi dedotta, a fini risarcitori, l’illegittimità commessa dalla resistente».
[17] Con riguardo all’individuazione degli elementi dell’illecito aquiliano nel caso di specie, il Consiglio di Stato, ravvisa l’illegittimità delle due diffide, che avevano stabilito quale distanza da rispettare dallo svincolo autostradale quella di 60 metri, dovendosi invece considerare quale distanza sufficiente quella di 30 metri. Su questo punto il Supremo Consesso precisa che tale circostanza non deriva dall’obiter dictum contenuto nella sentenza del Consiglio di Stato, sopra richiamato, dal momento che «nel processo amministrativo il giudicato si forma in relazione ai motivi di gravame e non anche alle affermazioni ulteriori eventualmente contenute nella sentenza, in quanto l’autorità di giudicato è circoscritta oggettivamente in conformità alla funzione della pronuncia giudiziale, diretta a dirimere la lite nei limiti delle domande proposte», ma dal permesso di costruire n. 538/2012 rilasciato dal Comune di Prato per il completamento dell’intervento, nel quale l’amministrazione ha riconosciuto la legittimità della realizzazione dell’intervento edilizio de quo ad una distanza di mt. 32 dal confine autostradale e dalla mancata impugnazione di tale provvedimento da parte di Autostrade per l’Italia. Sul rapporto tra giudicato e obiter dicta si confronti Cons. Stato, sez. III, 3 marzo 2023, n. 2246 che richiama in termini Cons. Stato, III, 24 settembre 2020, n. 5585; sez. III, 21 novembre 2019, n. 7934; sez. V 18 gennaio 2017, n. 202, 19 maggio 2016, n. 2091, e 30 ottobre 2015, n. 4972; Sez. IV, 28 luglio 2016, n. 3415, e 11 settembre 2001, n. 4744; Sez. VI, 19 gennaio 2012, n. 206.
[18] Per l’interpretazione di tale articolo si confronti la nota 15 del presente contributo.
[19] L’art. 1227 c.c. prevede che, in caso di concorso di colpa del creditore nella causazione del danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate.
[20] Tale verificazione si rende invero necessaria in quanto la Società «pur censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la risarcibilità del danno anche con riguardo alla parte di danno prodottosi nell’arco temporale intercorrente tra le diffide di Autostrade per l’Italia del 2008 e la pronuncia del Consiglio di Stato n. 1118/2012, ha riproposto (per intero) la domanda risarcitoria, formulata nel ricorso introduttivo del giudizio, quantificando complessivamente la pretesa risarcitoria in € 6.911.097,24». Sull’utilizzo della verificazione nel processo amministrativo e sul suo rapporto con la consulenza tecnica d’ufficio si confronti V. Caracciolo La Grotteria Verificazione e consulenza tecnica nel processo amministrativo (Nota a Cons. Stato 24 marzo 2023 n. 3025) in questa Rivista, 21 giugno 2023 e dottrina ivi citata. È interessante notare che, nel caso di specie, il Consiglio di Stato determina le modalità di svolgimento della verificazione in modo da rispettare il contradditorio tra le parti, in questo modo supplendo ad uno dei problemi evidenziati dalla dottrina con riferimento all’utilizzo di questo mezzo di prova.
[21] Questi i quesiti formulati nello specifico:
a) se e in che misura l’intervento edilizio assentito con il permesso di costruire n. 358/2012, rilasciato alla società Greta Immobiliare dal Comune di Prato e divenuto inoppugnabile per acquiescenza della società Autostrade, si discosti da quelli precedentemente assentiti dal predetto Comune e oggetto delle diffide emanate da Autostrade per l’Italia nel 2008;
b) l’attuale stato delle opere realizzate dalla società Greta Immobiliare nell’area de qua e il costo sostenuto dalla predetta società per la loro realizzazione;
c) il valore commerciale che l’opera avrebbe avuto, in base al mercato immobiliare della zona, se fosse stata realizzata in base al progetto presentato nel 2008 e il costo complessivo previsto per la sua realizzazione (da rapportare alla presumibile data di realizzazione dell’intervento, se non fosse intervenuta la sospensione delle attività di cantiere, e tenendo presenti i possibili rischi di cantiere); l’utile che l’impresa avrebbe presumibilmente ricavato dalla realizzazione dell’intervento edilizio, in relazione alla tipologia dell’intervento progettato;
d) le spese effettivamente sostenute dalla società Greta Immobiliare, sulla base della documentazione prodotta dall’interessata in giudizio o in sede di verificazione, per lo spostamento del cantiere e per far fronte alle richieste risarcitorie dei promissari acquirenti;
e) la verosimile incidenza, secondo una valutazione di tipo prognostico (tenendo conto della sua situazione contabile nel 2008), della sospensione dei lavori in questione sulla attuale situazione finanziaria e patrimoniale della società;
f) la sussistenza di eventuali, ulteriori profili di danno rinvenibili dall’esame della documentazione prodotta dall’interessata in giudizio o in sede di verificazione, nei limiti di quanto sopra affermato ai punti 9 e ss.
[22] La tendenza a tutelare l’amministrazione rispetto a eventuali sentenze di condanna al risarcimento del danno o, comunque, al pagamento di una somma, è ben percepibile dall’analisi della giurisprudenza amministrativa che adotta nei confronti di quest’ultima un atteggiamento protettivo. Su questi aspetti si confronti M. Clarich, Riflessioni sparse sul dualismo giurisdizionale non paritario, in Questione Giustizia, 1/2021, 123, il quale osserva come: «il giudice amministrativo ha ancora oggi una minor familiarità rispetto al giudice ordinario con le questioni risarcitorie». Ancora più incisivamente F. Francario, Interesse legittimo e giurisdizione amministrativa: la trappola della tutela risarcitoria, Ivi, 136 per il quale «il giudizio amministrativo è – e si è comunque dimostrato inidoneo a erogare la tutela risarcitoria».
[23] Cfr. nota 15 del presente contributo.
[24] P. Pozzani, Proposte definitorie circa la pregiudizialità amministrativa in senso sostanziale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1/2018, 279, il quale ricorda come «illustre dottrina sottolinea che l’approccio sostanzialista non è ancora sufficiente ad offrire piena tutela al soggetto leso poiché la valutazione del mancato esperimento della tutela demolitoria appare determinante al fine di ottenere il risarcimento, il quale, pertanto, ancora lascia il soggetto privato in posizione debole rispetto a quello pubblico. Sarebbe preferibile, secondo questa opinione, l’apprezzamento del comportamento complessivo delle parti e della buona fede che non dovrebbero coincidere con l’esperimento del rimedio impugnatorio, bensì essere ricondotte a parametri diversi come ad esempio la eventuale stimolazione all’autotutela dell’amministrazione tramite diffida».
[25] Limitandosi alle sentenze già richiamate alla nota 15 del presente contributo si legge che, non avendo il ricorrente impugnato il provvedimento ritenuto illegittimo «nessun pregio possono vantare adesso le pretese di ristoro dell’illecito subito dal ricorrente, illecito che, quand’anche sia avvenuto, ha visto la condotta del danneggiato non essere estranea alla sua causazione, ai sensi dell’art. 1227, comma secondo, c.c. Ne consegue, quindi, il rigetto della pretesa risarcitoria in quanto sprovvista di fondamento alcuno» (T.a.r. Lazio, Roma, n. 7646/2023). Sempre il T.a.r. Lazio, nella sentenza 7529/2023 osserva come: «ai fini risarcitori non soltanto è necessaria la dimostrazione da parte dell’istante che il danno sussista, sia ingiusto (ovvero incida su un interesse materiale sottostante) e venga provato, ma è altresì necessario che nella sua causazione non vi sia stato il concorso del fatto colposo del creditore ai sensi dell’art. 1227 c.c.», ritenendo che, nel caso di specie: «il danno lamentato avrebbe potuto essere evitato attraverso un uso corretto e tempestivo degli strumenti (amministrativi e giustiziali) predisposti dall'ordinamento a tutela della posizione soggettiva di cui il creditore è portatore, e che tale danno, ove anche in tesi sussistente, sarebbe comunque conseguenza anche del comportamento inerte del creditore medesimo, nella misura in cui avrebbe dovuto previamente e sollecitamente richiedere all’amministrazione l’attivazione del procedimento di valutazione dell’idoneità costituente presupposto per la riammissione in servizio, in forza di rituale certificazione dalla commissione medico-ospedaliera – C.M.O».
[26] Anche nel valutare questa circostanza il Consiglio di Stato adotta la prospettiva economica necessaria «in un contesto di mercati sempre crescente» evidenziando come «La realizzazione da parte di un soggetto imprenditoriale di opere edilizie di una certa rilevanza economica implica l’impiego di ingenti risorse strumentali, umane e finanziarie, che richiedono una valutazione ponderata delle scelte imprenditoriali, al fine di non esporre l’impresa a gravi conseguenze finanziarie e patrimoniali; nel caso di specie, la scelta della società appellante di attendere l’esito del giudizio intrapreso, prima di portare a compimento la esecuzione dell’intervento progettato, non può essere considerata come espressione di una libera determinazione dell’imprenditore di farsi carico (volontariamente) delle conseguenze dannose derivanti dalla (non obbligatoria) sospensione delle attività di cantiere».
[27] In questo senso sembra muoversi un’altra interessante sentenza del Consiglio di Stato, (sez. IV, 3 agosto 2023, n. 7503) che condanna un comune sardo al risarcimento del danno, stigmatizzando il comportamento dallo stesso tenuto in quanto: «La sua inerzia (prima) e contraddittorietà (dopo) possono essere, almeno in pate, ricondotte a quel fenomeno che la dottrina definisce “burocrazia difensiva” (espressione che si associa a quella – altrettanto diffusa – della c.d. “paura della firma”). Questo fenomeno, che discende da un malinteso senso si “auto-protezione” della struttura amministrativa, finisce per anteporre tale protezione a quella dei cittadini e degli interessi pubblici che la stessa struttura dovrebbe prioritariamente tutelare». Sul fenomeno della burocrazia difensiva si confronti, ex multis, L. Lorenzoni, La responsabilità amministrativa in relazione al fenomeno della cosiddetta burocrazia difensiva, Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 4/2021, 761.