Il ruolo dei princìpi nel diritto amministrativo. Introduzione a Princìpi e regole dell’azione amministrativa – Quarta edizione 2023 di Maria Alessandra Sandulli
Sommario: 1. Premessa. — 2. La complessità delle fonti. — 3. Cenni alle più recenti tendenze del sistema e al difficile equilibrio tra celerità e certezza. —4. Il ruolo dei princìpi. — 5. Osservazioni conclusive.
1. Premessa.
“Principi e regole dell’azione amministrativa” è giunto ormai alla quarta edizione e il successo delle precedenti (2015, 2017 e 2020) dimostra la validità della formula e l’utilità di una riflessione sistematica sulle “regole” fonda- mentali di esercizio del potere amministrativo, quali delineate dalla legge n. 241 del 1990 s.m.i., inquadrandole nell’ambito dei “principi”, costituzionali ed euro- pei, di garanzia della sua correttezza.
L’emergenza pandemica da SARS-Covid19 che ha stravolto il mondo intero all’inizio del 2020 ha dato a tutti chiara e immediata evidenza del rapporto della nostra esistenza con il potere amministrativo e dell’importanza dei principi e delle regole che ne informano l’esercizio, sul piano dell’organizzazione e delle modalità di azione. Sin dalla nascita, in realtà, con l’iscrizione all’anagrafe, abbiamo un contatto con il diritto amministrativo. Poi lo abbiamo con le vaccinazioni, con l’uso dei mezzi di trasporto pubblico, con l’iscrizione a scuola, con le regole sulla circolazione stradale, ecc.. La lettura del codice della strada è ex se sufficiente per avere un’idea della nostra materia: vi ritroviamo le fonti (di livello primario e secondario), le autorizzazioni, i divieti, le sanzioni, ecc.. Sappiamo che la pubblica amministrazione, con i suoi provvedimenti (e, oramai, addirittura, con i suoi comportamenti), può concedere beni o diritti, rimuovere limiti all’esercizio di nostre libertà (pensiamo per tutte alle libertà di circolazione o di espatrio, che richiedono il possesso di appositi documenti, o alla libertà di avviare un’attività professionale o imprenditoriale, che richiede la verifica del possesso di determinati requisiti), ma anche imporre prestazioni (pensiamo per tutti agli obblighi tributari e scolastici) o privare di diritti o di beni in nome di prevalenti finalità pubbliche (come accade con l’espropriazione o la requisizione di beni per ragioni di pubblica utilità).
Ma la pandemia ci ha dato immediata percezione anche di molto altro: la complessità del quadro normativo, aggravata dal susseguirsi e intrecciarsi di ordinanze e decreti (governativi, ministeriali, regionali, locali), la difficoltà del bilanciamento degli interessi, pubblici e privati (l’esigenza di evitare o almeno ridurre il rischio del contagio ha imposto pesantissimi periodi di lock down, che hanno fortemente inciso sulle libertà personali ed economiche, oltre che sullo stesso diritto alle cure per altre malattie),l’incertezza delle autodichiarazioni, e, ancora, i problemi legati al delicato rapporto tra tutela dei dati personali ed esercizio dell’attività amministrativa (su questi temi, inter aliis, G. TROPEA, Biopolitica e diritto amministrativo del tempo pandemico, Napoli,2023).
L’impatto con l’emergenza COVID-19 ha portato anche a una valorizzazione del ruolo del diritto amministrativo, non soltanto perché ha messo in evidenza la gravità delle conseguenze che possono derivare dai deficit organizzativi degli apparati pubblici e dei gestori privati di servizi pubblici, ma anche perché la ripresa economica è strettamente condizionata dalla buona gestione del potere e dei compiti delle pubbliche amministrazioni. Da qui anche l’accento posto dalle più recenti riforme sulla “formazione”.
L’importanza del diritto amministrativo è stata peraltro recentemente rimarcata anche nell’ambito di una ricerca di diritto comparato, che ha messo in luce come esso sia a ben vedere presente in quasi tutti i Paesi e risponda a un’esigenza comune, che induce a superare la vecchia, netta, distinzione tra ordinamenti di civil law e ordinamenti di common law (G. DELLA CANANEA, Il nucleo comune dei diritti amministrativi in Europa. Un’introduzione, Napoli 2019).
È noto che l’indirizzo politico è tradotto in norme di legge, ma gli obiettivi fissati dal legislatore devono trovare concreta ed efficace attuazione da parte del c.d. potere esecutivo, il quale, a sua volta, per non sconfinare in arbitrio, deve essere soggetto a un adeguato sistema di controlli, interni e giurisdizionali.
Certezza delle regole, buon andamento dell’amministrazione ed effettività della tutela contro i suoi errori ed eccessi sono glielementi fondanti e imprescin- dibili dello Stato di diritto.
Torneremo diffusamente e insistentemente su questi concetti nei vari contributi del volume — destinato a chi si approccia a uno studio impegnato del diritto (a partire dagli studenti degli ultimi anni delle nostre Università) — che è appunto dedicato ai “principi e regole dell’azione amministrativa”, nella convinzione che sia essenziale alla formazione di un giurista — e tanto più di un giuramministrativista — averne chiara contezza e, soprattutto, riuscire ad approcciare in modo critico ai loro contenuti e alla loro applicazione.
Merita preliminarmente fare alcuni brevissimi cenni all’evoluzione del diritto amministrativo.
Come ricordato nell’introdurre le precedenti edizioni, il diritto amministrativo è una branca del diritto pubblico sorta per disciplinare i compiti, l’azione e l’organizzazione della pubblica amministrazione, essenzialmente individuata nel c.d. “Stato-apparato”.
G.D. ROMAGNOSI, nel 1814, definiva l’amministrazione pubblica come “l’attività di amministrare, intesa come serie di azioni interessanti tutta una società politica, eseguite per autorità sovrana o delegata, sopra le materie appartenenti o interessanti tutto il corpo politico o la sovranità medesima”. Il Manuale di diritto amministrativo di A.M. SANDULLI (prima ed. 1952, ult. ed. 1989), si apre con l’affermazione che “La definizione del diritto amministrativo presuppone il concetto di pubblica amministrazione” e che “Per giungere a questo occorre partire dalla nozione di Stato”. L’amministrazione veniva infatti inqua- drata tra i compiti dello Stato e definita “l’attività mediante la quale gli organi statali a ciò preposti (Stato-soggetto o Stato-apparato amministrativo o Stato-amministrazione) provvedono alla cura degli interessi a essi affidati”.
Dalla prima edizione del “Manuale”, sul quale si sono formate generazioni di studiosi e che non ha per comune opinione mai più trovato uguali, sono ormai passati oltre 70 anni.
Oggi, il diritto amministrativo può essere definito come il complesso di regole che disciplinano i compiti, l’azione e l’organizzazione delle pubbliche amministra- zioni (Stato, regioni, province, comuni, città metropolitane, ma anche tutti gli altri enti pubblici) e, nei casi prestabiliti dalla legge, degli altri soggetti che perseguono fini di pubblico interesse.
Più aumentano i compiti delle pp.aa. e i fini di pubblico interesse, maggiori saranno i controlli e i poteri di intervento e di condizionamento sulle attività private: pensiamo soltanto a quanto hanno cambiato e cambiano la nostra vita l’attenzione alla tutela dell’ambiente e la preoccupazione per le nuove genera- zioni, ma anche la promozione della parità di genere, della digitalizzazione,ecc.
La scelta degli ordinamenti di elaborare un sistema di “diritto amministra- tivo” è legata al riconoscimento dell’esigenza di un diritto speciale per la disciplina delle attività di interesse pubblico, inteso sempre più come interesse generale (della collettività).
L’esistenza di un “diritto amministrativo” in un determinato sistema giuridico presuppone pertanto che:
- tra i compiti della collettività organizzata rientri non solo lo jus advertendi mala futura, ma anche lo jus promovendi salutempublicam (il compito di perseguire il bene comune); e che
- l’attività del potere esecutivo e dei soggetti che perseguono fini di interesse pubblico sia regolata e delimitata dal diritto e, soprattutto, che questo abbia caratteristiche tali da giustificare una trattazione specifica.
La ragione di un diritto speciale per l’attività di interesse pubblico è di facile intuizione.
Per poter perseguire in modo effettivo ed efficace tale interesse, i soggetti ai quali ne è affidata la cura devono poter imporre le proprie determinazioni senza necessità del consenso dei relativi destinatari (si pensi così, con riferimento alle prime esigenze di uno Stato, all’imposizione tributaria o alla chiamata alle armi; ma anche, con riferimento alla graduale evoluzione dei suoi compiti, agli obblighi scolastici o sanitari, ecc.) e, spesso, portarle coattivamente ad esecuzione (si pensi, inter alia, agli ordini di demolizione degli edifici abusivi o di abbattimento degli animali infetti).
L’esigenza di un diritto amministrativo come diritto speciale trova origine nell’evoluzione storica dallo Stato assoluto (in cui il Sovrano accentrava in sé ogni potere) allo Stato liberale, che, attraverso la Rivoluzione francese, ha visto nascere e svilupparsi la contrapposizione tra autorità e libertà e la conseguente necessità di riconoscere e al tempo stesso arginare il “privilegio del potere”, legato alla stretta correlazione tra “amministrare” e “governare” e caratterizzato dall’autoritatività (giustificata dalla prevalenza dell’interesse pubblico su quello individuale: O. MAYER; V.E. ORLANDO).
In uno Stato costituzionale di diritto, il potere di interferire in modo autori- tativo nella sfera giuridica altrui deve essere evidentemente definito e delimitato da un contesto normativo chiaro e certo (principio di certezza del diritto, declinato nel principio di legalità), ovvero da regole giuridiche previe, generali e astratte, più o meno stringenti (cui corrisponde la graduazione del potere amministrativo da vincolato a discrezionale (su cui si veda l’apposito contributo subito infra), di natura sostanziale (fissazione di obiettivi per rispondere a specifiche finalità di interesse pubblico) e procedimentale (competenza, modalità e tempistiche di azione, effetti, ecc.), che assicurino l’imparzialità dell’azione pubblica (su cui v. infra il contributo di L. ANTONINI) e il miglior bilanciamento dei diversi interessi (pubblici e privati) coinvolti (principio di buona amministrazione, nei suoi molte-plici corollari, su cui v. infra ilcontributo di M.R. SPASIANO).
Il rispetto di queste regole deve essere peraltro garantito attraverso appositi sistemi di controllo (interno ed esterno) e, soprattutto, attraverso adeguate moda- lità di tutela giurisdizionale (principio di effettività della tutela), che, tendenzial-mente, giustificano un apposito sistema di giustizia amministrativa (che può o meno prevedere l’istituzione di un apparato giurisdizionale diverso e autonomo da quello ordinario).
Il nostro ordinamento giuridico conosce un complesso sistema di diritto amministrativo sostanziale e un apposito sistema giurisdizionale per la tutela delle posizioni soggettive confliggenti con l’esercizio dei pubblici poteri (nato dal combinato disposto della l. n. 2248 del 1865, all. D ed E, con la l. n. 5992 del 1889 e ora retto dai principi costituzionali e disciplinato dal combinato disposto della mede- sima legge del 1865 con il codice del processo amministrativo, approvato, in forza della delega conferita dalla l. n 69 del 2009, con il d.lg. n. 104 del 2010 e s.m.i., integrato dal d.P.R. n. 1199 del 1971).
Più di ogni altra branca del diritto, il diritto amministrativo è fortemente influenzato dal diritto costituzionale e, per effetto delle espresse limitazioni di sovranità disposte dalla Costituzione (artt. 10, 11 e 117, comma 1), dal diritto europeo (diritto UE e CEDU:su cui v. infra il contributo di D.-U. GALETTA). L’entrata in vigore della Costituzione democratica, che ha posto la persona umanaal centro del sistema, ha segnato quindi una svolta fondamentale nell’evoluzione del nostro sistema di diritto amministrativo. Le regole costituzionali si pongono come barriera dello Stato democratico pluriclasse all’arbitrio dell’amministra- zione. La migliore dottrina ha posto in luce la funzione “servente” assunta dall’amministrazione rispetto alla società invece che rispetto al Governo (M. NIGRO): nella Costituzione, l’amministrazione è vista come potere autonomo, che deve attuare l’indirizzo politico, ma operando spesso in un ambito di discrezionalità e non più come mera esecutrice delle decisioni governative (su cui v. infra, il con- tributo che segue). E l’interesse pubblico non si identifica più soltanto con quello di cui sono portatrici le singole pubbliche amministrazioni, ma è anche e soprattutto quello, più generale, della collettività: l’evoluzione del sistema costituzionale ha visto prevalere nel tempo valori come quello della salute, della sicurezza, della giustizia, della concorrenza, dell’ambiente ecc.; e i principi di certezza del diritto, di “buona amministrazione” e del legittimo affidamento hanno acquistato una valenza sempre maggiore come limite al potere autoritativo.
Al tempo stesso, la nozione di pubblica amministrazione si è progressivamente allargata, dapprima attraverso una estensione del numero dei soggetti pubblici (con una vera e propria proliferazione di enti ausiliari o strumentali agli enti territoriali e di enti pubblici indipendenti) e poi, in esito ai più recenti fenomeni di privatizzazione, attraverso il progressivo ampliamento dei soggetti privati affidatari di funzioni e servizi pubblici. Autorevole dottrina ha significativamente pro- posto una nozione “oggettivo-funzionale” di amministrazione, sottolineando che ciò che rileva è la “funzione amministrativa”, in relazione al vincolo di scopo che l’operatore (pubblico o privato) deve perseguire: il nuovo diritto amministrativo è quindi il “diritto dell’amministrare”, nel senso di “agire per uno scopo dato a fini di interesse sociale” (G. PASTORI). Anche la giurisprudenza, del resto, condivide ormai la conclusione che “[a]llo stato attuale non esiste una nozione univoca di pubblica amministrazione in senso soggettivo. Infatti, i tradizionali criteri distintivi degli enti pubblici sono stati superati, lasciando spazio, sotto l’influsso dell’ordinamento eurounitario, ad un nuovo concetto di pubblica amministrazione c.d. « a geometrie variabili », che non solo prescinde da omologazioni rigide ma che soprattutto consente di tracciare il perimetro degli enti pubblici in maniera elastica, attraverso la valorizzazione dell’aspetto funzionale, cioè delle finalità perseguite. Non essendo riscontrabile una definizione legislativa di pubblica amministra- zione alla quale sia collegata l’operatività di un corpus omogeneo di regole e principi, sopperiscono le molteplici normative amministrative settoriali che definiscono il loro campo d’applicazione rispetto ad un novero di enti, talvolta indicati tassativamente” (Cons. St.,Sez. I, parere n. 309 del 4 febbraio 2020).
Pur segnalando un’opportuna prudenza nell’allargare il concetto di “pubbli- che amministrazioni o soggetti ad esse equiparati”, è indubbio che l’esercizio di funzioni e poteri pubblici implichi l’assoggettamento dei soggetti privati cui essi sono affidati quantomeno ai principi generali dell’azione amministrativa (su cui v. infra il contributo di R. DIPACE).
2. La complessità delle fonti.
Diversamente dal diritto civile e dal diritto penale, la materia, che si caratterizza per una forte storicità (legata agli obiettivi che, anche in relazione al variare delle esigenze economiche e sociali, il legislatore si prefigge di realizzare: basti, per tutti, pensare all’evoluzione dei servizi pubblici e del ruolo dello Stato nell’economia), non ha un codice di diritto sostanziale.
Le regole dell’organizzazione e dell’azione amministrativa sono pertanto tradizionalmente affidate a leggi particolari e/o di settore, talvolta più organicamente raccolte in testi unici o rielaborate in appositi “codici di settore”. Si ricordano, in particolare, il testo unico delle leggi sugli enti locali(d.lg. n. 267 del 2000), il testo unico delle disposizioni sullo statuto degli impiegati civili dello Stato (approvato con d.P.R. n. 3 del 1957), il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, particolarmente rilevante per quanto attiene ai controlli sulle autodichiarazioni e alle conseguenze della loro non veridicità (d.P.R. n. 445 del 2000), i testi unici delle leggi in materia di edilizia e in materia di espropriazione (approvati rispettivamente con d.P.R. n. 380 e d.P.R. n. 327 del 2001), il testo unico sulle società partecipate (d.lg. n. 175 del 2016, modificato in sede correttiva con d.lg. n. 100 del2017) e il più recente d.lg. n. 201 del 2022, di riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, e, tra i codici, il codice dell’amministrazione digitale (d.lg. n. 82 del 2005, modificato dai dd.lg. nn. 179 del 2016 e 217 del 2017), il codice dell’ambiente(d.lg. n. 152 del 2006), il codice dei contratti pubblici (d.lg. n. 50 del 2016, in via di sostituzione dal d.lg. n. 36 del 2023), il codice dei beni culturali e ambientali (d.lg. n. 42 del 2004).
Il sistema è reso ancora più complesso dalla molteplicità dei livelli normativi, interni (fonti primarie statali, regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano, fonti secondarie statali, regionali, locali e speciali delle diverse ammini- strazioni) e sovranazionali (in particolare, come ricordato, il diritto dell’Unione europea e, in via indiretta, come fonte normativa interposta, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo), oltre che dall’intreccio delle regole di successione temporale, gerarchia, competenza e specialità per l’individuazione delle disposi- zioni specificamente applicabili.
Dopo una lunga gestazione e un ampio dibattito dottrinario, nel 1990 è stata approvata una legge breve di disciplina dell’azione amministrativa: la l. 7 agosto 1990, n. 241, riformata e ampiamente integrata nel 2005 (ll. nn. 15 e 80) e ripetutamente modificata fino ai giorni nostri (un importante intervento riformativo a carattere generale è stato operato dalla l. 7 agosto 2015, n. 124, c.d. “legge Madia”). In tale corpo normativo sono enunciati, tra l’altro, i principi generali cui devono attenersi le amministrazioni statali e i soggetti ad esse equiparati quando operano nell’esercizio delle funzioni amministrative (artt. 1, 22, 29), precisando che leregioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, devono riconoscere analoghe garanzie nelle materie da essa disciplinate (art. 29) — e dai relativi decreti delegati di attuazione (su cui v. infra). Ulteriori rilevanti modifiche sono state apportatenell’ambito delle misure urgenti per far fronte alla crisi economica e sociale conseguente all’impatto della pandemia da Covid-19 eper attuare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (il noto e famigerato PNRR, approvato dal Consiglio UE il 13 luglio 2021), che traduce ed esplicita gli impegni assunti dall’Italia nei confronti dell’Unione europea per accedere alle risorse del Next Generation EU, il programma di sostegno di 750 miliardi di euro stanziati da quest’ultima per attenuare gli effetti di tale impatto, stimolando investimenti che spingano alla ripresa (recovery) e riforme che aumentino la sostenibilità delle singole economie europee, rendendole più « resilienti » ai cambiamenti che incombono negli anni di ripresa dalla crisi (resiliency), anche attraverso essenziali politiche di tutela ambientale e di sviluppo digitale. Le fonti più importanti ai nostri fini sono il d.l. n. 76 del 16 luglio2020 (recante “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”, c.d. “Decreto Semplificazioni 2020”, convertito nella l. n. 120 del 14 settembre, il d.l. n. 77 del 31 maggio 2021, c.d. “Decreto Semplificazioni 2021” o, meglio, “Decreto Governance”, convertito nella l. n. 108 del 29 luglio 2021 e il recentissimo d.l. n. 13 del 24 febbraio 2023, convertito nella l. n. 41 del 21 aprile 2023 c.d. “Decreto Semplificazioni PNRR”, recante “Disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e del Piano nazionale degli investimenti complementari al PNRR (PNC), nonché per l’attuazione delle politiche di coesione e della politica agricola comune” e funzionale al conseguimento, previsto per il 31 dicembre 2024, della Missione M1C1-60 del PNRR, con parti- colare riguardo alla Riforma 1.9, relativa della pubblica amministrazione, che richiede l’attuazione della semplificazione e digitalizzazione di 200 procedure critiche, che interessano direttamente cittadini e imprese.
Tra le leggi “generali” di disciplina di specifici ambiti e profili del diritto amministrativo, un ruolo di primo piano spetta anche, senza pretesa di esaustività, al d.lg. n. 165 del 2001, sull’organizzazione degli uffici e sui rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (che ha sancito il principio di separazione tra politica e amministrazione e reca importanti disposizioni in tema di incompatibilità degli impiegati pubblici), alla l. n. 400 del 1988 (sull’attività di Governo dell’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), che regola il potere normativo del Governo, alla l. n. 689 del 1981, sulle sanzioni amministrative pecuniarie, alle ll. nn. 19 e 20 del 1994 sulle funzioni giurisdizionali e di controllo della Corte dei conti, al ricordato t.u. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, particolarmente rilevante per quanto attiene ai controlli sulle autodichiarazioni e alle conseguenze della loro non veridicità (d.P.R. n. 445 del 2000), al codice dell’amministrazione digitale, approvato con d.lg. 7 marzo 2005, n. 82, nonché alle leggi sull’organizzazione e sulle competenze degli enti locali (oltre al richiamato t.u. n. 267 del 2000, la l. n. 131 del 2003, recante disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento alla riforma costituzio-nale del 2001 e la l. n. 56 del 2014 sulle città metropolitane, sulle province e sulle unioni e fusioni di comuni) e alle varie leggi che, in questi ultimi anni, si susseguono vertiginosamente, e talvolta contraddittoriamente, per regolare la gestione dei ser- vizi pubblici e le società a partecipazione pubblica, nonché, ultime, ma non ultime, le norme in tema di trasparenza e di misure anti-corruzione (l. n. 190 del 2012 e dd.lg. nn. 33 del 2013 e 97 del 2016).
Il sistema aveva subìto, come detto, importanti modifiche per effetto delle varie normative di attuazione della già citata l. 7 agosto 2015, n. 124, che, come anticipato e come sarà meglio illustrato nei singoli contributi, aveva comunque direttamente introdotto o indirettamente determinato (attraverso i primi decreti attuativi) numerose e significative variazioni alla l. n. 241.
Sul fronte dell’attività amministrativa, la riforma si è mossa ancora una volta sulla linea della semplificazione (si pensi alle norme sull’amministrazione digitale, sulla conferenza di servizi, sul silenzio assenso e sulla s.c.i.a., ulteriormente modi- ficate, nellamedesima direzione, dai richiamati decreti annuali di semplificazione) e della trasparenza (significativa, con il d.lg. n. 97 del 2016, la generalizzazione del diritto di accesso civico, come strumento di controllo diffuso a prescindere da un interesse particolare alla conoscenza). Le deleghe della l. n. 124 hanno investito inoltre la riorganizzazione delle amministrazioni statali (riduzione degli uffici e del personale, interventi sulla dirigenza e sui rapporti di lavoro, riordino delle forze di polizia, ecc.), la complessa — ed eternamente dibattuta — tematica delle modalità di affidamento dei servizi di interesse economico generale e del relativo esercizio con organismi c.d. “in house” (affrontata dal citato t.u. sulle società a partecipazione pubblica, approvato con d.lg. n. 175 del 2016) e il riordino delle procedure davanti alla Corte dei conti (attuato per la parte giurisdizionale dal nuovo codice di giustizia contabile, approvato con d.lg. n. 174 dello stesso anno). Come anticipato, un fortissimo impatto per la nostra materia è però derivato, su più fronti, dalle riforme di settore previste dal PNRR: tra esse, sicuramente, i già richiamati d.lg. n. 201 del 2022, di riordino dei servizi pubblici locali e d.l. n. 13 del 2023 sulle semplificazioni per il PNRR e il PNC, e, soprattutto, il nuovissimo Codice dei contratti pubblici, approvato con il richiamato d.lg. n. 36 del 2023, non solo perché l’affidamento dei contratti pubblici di appalto e di concessione, che esso disciplina, costituiscono una fetta significativa del nostro PIL (si parla di ca 200 mld euro/anno, corrispondenti all’11-12%: in un anno quanto si spende per il PNRR in 6 anni), ma anche perché esso ha impresso una forte spinta innovativa sul piano della discrezionalità amministrativa, oltre che su quelli della trasparenza e della digitalizzazione, costruendo, peraltro, un modello speciale di delegificazione (in deroga a quello generale concepito dall’art. 17 della l. n. 400 del 1988).
Anche il processo amministrativo, fino al 2010, non aveva un codice, appro- vato con il d.lg. n. 104 del 2010, oggetto di duedecreti “correttivi” e di altre modifiche puntuali, le più significative delle quali sono state e continuano ad essere introdotte proprio dalle disposizioni in materia di affidamento dei di con- tratti pubblici per le controversie relative a tale settore, cui si aggiungono quelle legate all’attuazione degli obiettivi fissati dal PNRR (in particolare, quelle intro- dotte dall’art. 3 del citato d.l. n. 85 del2022, trasposto poi, con un sistema che desta evidenti perplessità sul piano costituzionale, nell’art. 12-bis del d.l. n. 68 del 2022, in sede di conversione nella l. n. n. 108 del 5 agosto scorso, recante criticabili “norme di accelerazione dei giudizi amministrativi in materia di PNRR”), al cui interno (libro primo, titolo III), proprio in ragione della mancanza di un codice di diritto sostanziale, sono individuate le diverse tipologie di azioni esperibili nei confronti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati.
In termini più generali, occorre segnalare che, nonostante gli sforzi di “riordino” e di “sistematizzazione”, il contesto normativo della nostra materia è continuamente modificato anche dalle puntiformi, ma importanti, “novità” introdotte dalle molteplici leggi “omnibus”, come le cd “leggi finanziarie”, gli ormai classici “decreti milleproroghe” e le “leggi annuali concorrenza” (che, dopo anni di stallo, sembrano essere “ripartite”) e, da ultime, le leggi annuali di “semplificazione”.
A ciò si aggiunge che molte leggi sono state con norme secondarie di attua- zione (regolamenti governativi e ministeriali) e sono oggetto di un vero e proprio dedalo di atti interpretativi e di “indirizzo”.
3. Cenni alle più recenti tendenze del sistema e al difficile equilibrio tra celerità e certezza.
Come detto, l’intero sistema ha subito ed è verosimilmente destinato a subire nell’immediato futuro ulteriori importanti modifiche per effetto delle nuove misure di semplificazione e di liberalizzazione tese a reagire alla grave crisi
economica determinata dalla straordinaria emergenza da COVID-19, a rispettare gli impegni assunti con il PNRR e a fronteggiare le forti problematiche determinate, soprattutto in campo energetico e alimentare, dal conflitto Russia-Ucraina. Il tutto, mentre, con tutto il mondo, si deve combattere contro il devastante cambio climatico e i rischi della siccità e ci si deve confrontare anche con l’avvento delle nuove tecnologie digitali, che impattano evidentemente anche sulle modalità di esercizio del potere amministrativo e sulle garanzie procedimentali e sulla tutela giurisdizionale (L. TORCHIA, Lo stato digitale, Bologna, 2023).
Il titolo II del d.l. n. 76 del 16 luglio 2020 (c.d. “Decreto Semplificazioni”) è intervenuto in modo significativo su diverse disposizioni della l. n. 241, a partire da quelle sui principi, cui ha aggiunto il richiamo ai principi della buona fede e della leale collaborazione. Ha poi introdotto rilevanti modifiche con riferimento all’obbligo di provvedere (prescrivendo la misurazione e la pubblicità dei “tempi effettivi di conclusione dei procedimenti di maggiore impatto per i cittadini e per le imprese”) e agli effetti della sua violazione (anche in termini di stabilizzazione dei titoli e di maggior rigore ai fini della responsabilità erariale rispetto a quella per i comportamenti attivi); all’uso degli strumenti informatici e telematici; all’accesso agli atti del procedimento; alla comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento del- l’istanza e ai limiti al potere di integrarli in progress; alle conseguenze della mancata adozione dei pareri obbligatori e facoltativi; agli effetti del silenzio e dell’inerzia nei rapporti tra amministrazioni; alla conferenza di servizi; alle autodichiarazioni e alle acquisizioni di dati e documenti ai sensi dell’art. 18.Sotto quest’ultimo profilo merita peraltro particolare attenzione il menzionato t.u. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documenta zione amministrativa (d.P.R. n. 445 del 2000, oggetto di importanti modificazioni nel 2020),che, agli artt. 46 e ss., disciplina le dichiarazioni sostitutive di certificazioni e di atti di notorietà, progressivamente chiamate, in modo sempre più esteso, unitamente alle attestazioni e asseverazioni dei tecnici abilitati, a sostituire la documentazione comprovante gli stati, le qualità personali, i fatti e, in genere, i requisiti soggettivi e oggettivi richiesti dalla normativa vigente, non soltanto per l’ottenimento di benefici economici, comunque denominati, da parte di pubbliche amministrazioni, ma anche per l’esercizio “autocertificato” di attività (s.c.i.a. e c.i.l.a.) e “per il rilascio di autorizzazioni e nulla osta comunque denominati” (cfr., da ultimo,l’art. 12 del d.l. n. 76 del 2020, convertito nella l. n. 120 dello stesso anno). Sotto l’egida delle “semplificazioni”, anche a causa di alcune posizioni assunte dalla giurisprudenza, si realizza in tal modo un graduale trasferimento di respon- sabilità dalle amministrazioni ai privati, che inevitabilmente incide (come meglio si vedrà negli specifici contributi sulle autodichiarazioni, sulla s.c.i.a. e sul silenzio assenso provvedimentale e in quelli sulla sospensione e sull’annullamento d’uffi- cio) sulla spendibilità e sullastessa stabilità dei titoli e, soprattutto, dei “benefici”. In relazione a questi ultimi (particolarmente estesi per far fronte alle gravi conse-guenze economiche determinate dall’emergenza COVID-19), le ultime riforme (art. 264, comma 2, d.l. n. 34 del 2020, c.d. “Decreto Rilancio”, convertito, senza modificazioni in parte qua, nella l. n. 77 del 17 luglio 2020) hanno invero forte- mente inasprito il regime sanzionatorio dettato dal capo VI del suddetto t.u. a fronte dell’eventuale riscontro della falsità o mendacia della dichiarazione, creando problemi di coordinamento con il nuovo paradigma dell’autotutela caducatoria per vizi originari del provvedimento concepito dall’art. 21-nonies l. n. 241 (richiamato dall’art. 19 per il controllo tardivo sulla s.c.i.a.) per garantire la stabilità dei titoli; e conseguentemente aggravando la ricostruzione di un sistema già oggetto di varie questioni interpretative.
Nel rinviare agli appositi contributi (in particolare quelli di M.A. SANDULLI, G. MARI, M. SINISI e A.G. PIETROSANTI), si segnala al riguardo la distonia di un modello che, mentre tende a responsabilizzare i privati (cui le amministrazioni e la giuri-giurisprudenza imputano come “false dichiarazioni” e “false rappresentazioni della realtà” anche gli errori di ricostruzione e valutazione di un quadro normativo oggettivamente complesso e contraddittorio), si muove in direzione opposta nei confronti degli amministratori pubblici. Per ovviare al diffuso fenomeno della “paura della firma”, determinata dalla preoccupazione degli agenti pubblici di incorrere in responsabilità amministrative e penali per possibili errori interpreta- tivi e valutativi derivanti dall’oggettiva difficoltà di tale ricostruzione, il d.l. n. 76 del 2020 (di fatto coevo alla legge di conversione del riportato art. 264 d.l. n. 34) ha, per un verso, disposto la (formalmente temporanea, ma già ripetutamente prorogata fino, da ultimo, al 31 dicembre 2024) limitazione della “responsabilità erariale” (responsabilità amministrativa dei dipendenti pubblici e dei soggetti equi- parati per danni all’erario) per atti e comportamenti “commissivi” ai casi di dolo (da comprovare attraverso la dimostrazione della “volontà dell’evento dannoso”),mantenendo la responsabilità per colpa (già in ogni caso circoscritta alla “colpa grave”) soltanto per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente, e, per l’altro verso, rigorosamente ridefinito (a regime) l’ipotesi di reato per c.d. “abuso d’ufficio”. L’art. 23 del decreto è infatti intervenuto direttamente sull’art. 323 c.p. limitando la configurabilità di tale reato alla violazione (affatto difficil mente ravvisabile) “di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dallequali non residuino margini di discrezionalità”.
Il d.l. n. 77 del 2021 è poi nuovamente tornato sulla c.d. semplificazione, riducendo a dodici mesi il termine per l’esercizio delpotere di autoannullamento e del potere di controllo tardivo sulla s.c.i.a. e prevedendo un sistema di “attesta- zione” della formazionedel silenzio-assenso che si traduce però, ancora una volta, in una “autoresponsabilizzazione” dell’istante, chiamato, nel presumibile caso di inerzia dell’amministrazione, ad effettuare una “autodichiarazione sostitutiva dell’at testazione”.
E numerose forme di semplificazione sono state introdotte anche dal d.l. n. 13 del 2023, conv. con modificazioni, nella l. 21aprile 2023, n. 41 e dai vari dPCM che vi hanno dato seguito.
Mentre il nuovissimo codice dei contratti pubblici, nel riconoscere, come anticipato, più ampi margini di discrezionalità agli enticommittenti e alle stazioni appaltanti e concedenti, enuncia sintomaticamente, accanto al “principio del risul- tato” (che valorizza la tempestività e il miglior rapporto qualità-prezzo, nel rispetto della legalità della trasparenza e della concorrenza: in tema cfr. leconsiderazioni critiche di S. PERONGINI, Il principio del risultato e il principio di concorrenza nello schema definitivo di codice deicontratti pubblici in Scritti in onore di F. Salvia Napoli 2023 e in D SOC, 3/2022, 551 ss. e, infra, il contributo di M.R. SPASIANO, nonché l’ampio saggio dello stesso A., Codificazione di principi e rilevanza del risultato, in C. CONTESSA, P. DEL VECCHIO (a cura di), Codice dei contratti pubblici, Napoli, 2023), il “principio della fiducia” (dichiaratamente diretto a “tranquillizzare” i funzionari pubblici sul superamento di un pregiudiziale “sospetto” nei loro confronti, ma che, come contraltare, chiama in gioco la responsabilità sull’aggiudicatario che i primi abbiano illegittimamente individuato).
4. Il ruolo dei prinicìpi.
Le precedenti considerazioni rendono facile comprendere l’importanza che assumono, nel nostro sistema di diritto amministrativo, i “princìpi” che informano la materia e la rilevanza, tanto sul piano teorico che sul piano pratico, del relativo approfondimento. A fronte di un quadro normativo estremamente complesso e mutevole, oltre che spesso oscuro e contraddittorio (come dimostrano anche i frequenti contrasti giurisprudenziali), i principi costituiscono un essenziale collante della legislazione di settore e un faro indispensabile per un logico e coerente orientamento tra le diverse disposizioni e per una consapevole ed efficace contestazione dei vizi che, a vario titolo, possono inficiare l’operato dei pubblici poteri e, a livello più alto, le stesse regole che dovrebbero disciplinarlo.
L’art. 12 delle preleggi richiama del resto significativamente i principi gene- rali dell’ordinamento giuridico come criterio per decidere una controversia in assenza di disposizioni specifiche o analoghe.
Anche la Costituzione si apre con l’enunciazione dei “principi fondamentali”, che, in molti casi, coincidono con valori (si pensi,alla democrazia, all’eguaglianza, alla pace).
I “princìpi” assumono poi una fondamentale rilevanza nei rapporti tra le fonti: si ricorda che l’art. 76 Cost. consente la delega al governo della funzione legislativa soltanto “con la determinazione di principi e criteri direttivi” e che l’art. 117, comma 3, della stessa Carta, nel riconoscere alle regioni la potestà legislativa concorrente nelle materie ivi indicate, fa comunque salva “la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”. Mentre il comma 1 dello stesso articolo, nell’imporre al legislatore (statale e regionale) il rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario (oggi, più cor-rettamente, “eurounitario”) e dagli obblighi internazionali, fa implicitamente ri- chiamo al rispetto dei principi espressi o ricavabili da tali fonti sovraordinate (su cui v. infra il richiamato contributo di D.-U. GALETTA).
Anche le leggi ordinarie fanno ormai sempre più spesso esplicito riferimento ai princìpi: ad essi sono significativamente dedicati i primi articoli della l. n. 241 del 1990 e del codice del processo amministrativo e, da ultimo, quelli del codice dei contratti pubblici.
Già nel 1961 l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, nella sentenza n. 3, rilevava del resto che “il diritto amministrativo risulta appunto non soltanto da norme, ma anche da principi che dottrina e giurisprudenza hanno elaborato e ridotto ad unità e dignità di sistema”.
Da ciò l’importanza di fermare l’attenzione di chi si accosta alla nostra materia sui principi che informano l’azione e l’organizzazione dei pubblici poteri, fermo restando che essi hanno bisogno dell’interpolazione della legge e che l’interprete non può farne diretta applicazione, in spregio a quest’ultima (sui rischi di un uso abusivo dei principi, si vedano in termini generali, G. ALPA, Iprincipi generali. Una lettura giusrealistica, in RGC COMM, 2014, 1 ss.; A. CATAUDELLA, L’uso abusivo dei principi, in RIV DC, 2014, 749 ss.).
5. Osservazioni conclusive.
Ho sottolineato in apertura che la pandemia e il PNRR hanno riportato l’accento sul ruolo dell’amministrazione e, di conseguenza, confermano e accrescono l’importanza del diritto amministrativo, che non può essere cancellato da una malintesa superiorità del “diritto globale”.
Le norme per la ripresa e la resilienza valorizzano giustamente la formazione dei funzionari pubblici, non soltanto in vista del migliore esercizio dell’attività amministrativa, nelle sue molteplici espressioni, ma anche in vista della migliore redazione dei testi delle prossime riforme.
Ed ecco, di nuovo, il senso di questo volume.
Il primo passo per una buona formazione è indirizzare gli operatori ad agire nel rispetto della nostra Costituzione e dei principi e delle regole del nostro diritto amministrativo: regole che vanno scritte, riscritte, corrette, ricontestualizzate, ma sempre nel rispetto e nell’attenzione a un equilibrio tra i diversi principi contenuti nella Costituzione, in primis quelli enunciati dall’art. 97.Bisogna dunque rispettare, in un equo temperamento, tutti tali principi — di legalità, di trasparenza, di efficienza e di economicità della pubblica amministrazione — e non soltanto garantire l’equilibrio di bilancio e la sostenibilità del debito pubblico, come pure disposto dal nuovo comma dello stesso articolo introdotto dalla l. cost. n. 1 del 2012. Bisogna cioè rispettare, nelle sue varie espressioni, il più classico e generale “principio di buon andamento”, che è poi strettamente (anche se non esclusivamente) correlato a quello di “buona amministrazione”, sancito dall’art. 41 della Carta Fondamentale dei Diritti dell’Unione (c.d. Carta di Nizza).
Il principio di buon andamento, peraltro, non può essere effettivamente garantito se non c’è un effettivo controllo sull’operato delle pubbliche Amministrazioni: quindi le riforme avranno bisogno di controllori e, soprattutto, di un giudice che le faccia effettivamente rispettare. Si discute della tutela del cittadino nei confronti dell’amministrazione inadempiente, della posizione del terzo controinteressato all’esercizio delle attività avviate in base ad autodichiarazioni di conformità, delle cooperazioni e dei conflitti tra Amministrazioni. E, di conseguenza, delle difficoltà di gestire il contenzioso.
Ma, contraddittoriamente, si insiste sulla riduzione dei tempi del processo. Limitando, evidentemente, le mie riflessioni alla giustizia amministrativa, gli ul- timi interventi in questo senso si devono ai dd. ll. nn. 77 e 80 del 2021 e rispettive leggi di conversione e al più recente art. 12-bis del d.l. n. 68 del 2022, introdotto (con una tecnica di dubbia costituzionalità), in sede di conversione, al. n. 108 del 5 agosto 2022) che sono, ancora una volta, intervenuti sul c.p.a. e sui termini processuali.
A questo proposito non posso che ripetere quanto già osservato in varie occasioni.
Abbiamo bisogno di una giustizia efficiente, non di una giustizia con le gambe tagliate, non di una decisione qualsiasi, purché arrivi al più presto e dia “l’impressione” che vi sia una giustizia efficiente, ma di una decisione attenta, chiara, ponderata, e, soprattutto, giusta ed efficace, che intervenga sull’atto o comportamento amministrativo illegittimo e gli impedisca di produrre effetti. Se il provvedimento illegittimo non viene eliminato — e, se occorre, sospeso — la collettività rischia di essere esposta a ulteriori inefficienze e ulteriori spese; e, comunque, perde la fiducia nelle istituzioni, cosa che evidentemente non aiuta la ripresa economica.
Analogo discorso vale per il reclutamento e la formazione dei pubblici funzio- nari. Se essi non vengono adeguatamente reclutati, con sistemi che privilegiano la ricerca della capacità e della professionalità, avremo inevitabilmente ulteriori aggravi anche per l’economia. Ci sarà pure, nell’immediato, una crescita dell’occupazione e un apparente miglioramento del Paese, perché la riduzione del tasso di disoccupazione implicherà un aumento dei consumi da parte da parte dei nuovi assunti, ma questo non varrà a coprire e a bilanciare la spesa derivante da tali assunzioni. Bisogna allora fare in modo che queste assunzioni siano, a loro volta, “produttive”, in termini di reale implemento dell’efficienza della macchina pubblica, e, per l’effetto, di rilancio dell’economia.
Queste — elementari — considerazioni, svolte già in sede di primo commento all’approvazione del PNRR (in un intervento al webinar organizzato dall’Associa- zione italiana dei professori di diritto amministrativo-AIPDA il 28 aprile 2021, leggibile su Federalismi.it, Osservatorio di Diritto sanitario), valgono per tutte le ri- forme previste dal Piano: se esse non riescono a produrre nuove, reali, risorse, nuovo movimento dell’economia, si risolveranno in mere spese e ci costringe- ranno a tornare alle misure di riduzione della spesa pubblica e a nuovi oneri fiscali.