*Intervento al convegno di Modanella 16-17 giugno 2023 “Sindacato sulla discrezionalità e ambito del giudizio di cognizione
Gli autorevoli e diversificati interventi di queste Giornate di Studio ci hanno offerto l’occasione per riflettere sulla ormai più che secolare esperienza del sindacato sulla discrezionalità della pubblica amministrazione.
Da alcuni casi portati in rassegna dai relatori che mi hanno preceduto emerge che il tipo di sindacato del giudice amministrativo è inevitabilmente legato alla fiducia o sfiducia verso l’operato della pubblica amministrazione. In particolare, come evidenziato magistralmente dal Presidente Marco Lipari, durante i lavori di queste giornate di studio sono emerse due prospettive di analisi: “troppo sindacato o troppo poco sindacato del giudice amministrativo”.
La presunta differenziazione tra un eccesso e un difetto di sindacato giurisdizionale mi convince che non c’è, anzi che non deve esserci, una regola uniforme applicabile a tutte le fattispecie oggetto di cognizione da parte del giudice amministrativo. Diversamente opinando, per la risoluzione delle controversie, basterebbe affidarsi all’intelligenza artificiale. Ritengo, dunque, che il sindacato sia a geometria variabile ovvero vari a seconda dei settori nei quali viene esercitato (pianificazione urbanistica, interdittive antimafia, pianificazione e programmazione sanitaria, concorsi pubblici, ecc.).
Il mio intervento, quindi, muove dall’assunto che non sia possibile stabilire una regola standard, in quanto il tipo di sindacato del giudice amministrativo è influenzato da vari fattori e muta, altrettanto, in relazione al grado di dettaglio della norma attributiva del potere alla pubblica amministrazione.
In tale contesto, partendo dal caso singolo, il mio contributo intende analizzare l’esercizio del potere nel settore dell’incentivazione energetica, alla luce dei principi ormai consolidati nella giurisprudenza[1]. Andrò quindi a focalizzare il sindacato giurisdizionale sugli atti del G.S.E..
Al centro del mio interesse sono il potere e il suo esercizio da parte del Gestore, il correlativo controllo giudiziale in relazione alla natura del potere esercitato, assumendo, quale prospettiva di analisi, la necessità che sia assicurata la tutela piena ed effettiva al cittadino o all’impresa.
Il GSE s.p.a. è il soggetto che, seppur nella veste di società per azioni, il cui azionista unico è il Ministero dell’economia e delle finanze, svolge funzioni di natura pubblicistica nel settore elettrico e, in particolare, in tema di incentivazione dell’energia elettrica da fonte rinnovabile, sovraintendendo alla gestione del relativo sistema pubblico di incentivazione, anche mediante la concreta erogazione delle tariffe. Rientra, quindi, nel novero dei soggetti privati svolgenti pubbliche funzioni, posto che è munito dalla legge di funzioni pubbliche correlate – tra l’altro – alla diffusione delle energie da fonte rinnovabile[2], al controllo ed alla gestione dei flussi energetici di tale provenienza ed all’assolvimento degli obblighi imposti dalla legge agli operatori del settore energetico.
Il Gestore dei Servizi Energetici S.p.a. cura sia i procedimenti amministrativi volti al riconoscimento del diritto all'incentivo sia la successiva erogazione.
Le modalità per l'ammissione ai benefici sono disciplinate attraverso lo svolgimento di procedure di gara competitive, condotte in base a principi di trasparenza e non discriminazione.
Il rapporto incentivante è regolato da una convenzione che accede al provvedimento di accoglimento dell'istanza di incentivazione. Al riguardo, la Corte costituzionale, n. 16 del 2017, ha evidenziato che le convenzioni stipulate con il Gestore sono negozi di diritto privato accessori ai provvedimenti di concessione degli incentivi e “costituiscono strumenti di regolazione, volti a raggiungere l’obiettivo dell’incentivazione di certe fonti energetiche nell’equilibrio con le altre fonti di energia rinnovabili, e con il minimo sacrificio per gli utenti che pure ne sopportano l’onere economico”.
Nella normativa internazionale e in quella comunitaria si rinviene un netto favore, con conseguente politica di incentivazione per le fonti energetiche rinnovabili, al fine di eliminare la dipendenza dai carburanti fossili. Il sistema di sostegno alle fonti di energia rinnovabile è funzionale al raggiungimento di una pluralità di obiettivi, tra i quali la tutela dell'ambiente e la realizzazione di meccanismi di risparmio ed efficienza energetica diffusi a tutti i livelli, che consentono di conseguire lo sviluppo sostenibile della società con un minore impiego di energia, così soddisfacendo le esigenze delle generazioni attuali, senza compromettere la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future.
Tale favor si traduce in concreto in varie forme di incentivazione economica e in un sistema di semplificazione normativa[3] per l’installazione degli impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile. Le forme di incentivazione economica alle imprese che operano nella produzione di energie alternative hanno l'obiettivo di tendere ad una equiparazione delle capacità di reddito dei relativi impianti rispetto a quelli tradizionali, così favorendo gli investimenti nel settore.
La previsione di contributi tariffari, e quindi lo stesso regime di sostegno e promozione delle fonti rinnovabili di energia, costituisce uno strumento d’indirizzo della produzione energetica nazionale, innestandosi in un’area dominata dalla necessità di tutelare e bilanciare rilevanti interessi pubblici e privati.
In genere, al GSE sono affidati i compiti di verificare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti normativi per l’accesso e il mantenimento degli incentivi per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.
Tra le funzioni svolte dal Gestore vi è quella, tra l’altro, di verificare se gli importatori o i produttori di energia prodotta da fonti non rinnovabili abbiano o meno rispettato, in rapporto all’annualità chiusa al 31 dicembre dell’anno precedente alla verifica, la cd. quota d’obbligo, e cioè l’obbligo legale di produrre e immettere in rete (ovvero di acquistare per il tramite dei cd. certificati verdi) una quota di energia prodotta da fonte rinnovabile.
Tale compito di verifica si risolve in una eminente funzione amministrativa di controllo sull’attività economica privata e, come tale, si caratterizza per la sua significativa rilevanza pubblica, inquadrandosi nell’alveo dei controlli, espressamente previsti dalla Carta costituzionale (art. 41, comma 3 Cost.), che i pubblici poteri esercitano sull’attività economica privata per assicurare che la stessa persegua gli specifici fini sociali previsti dalla legge[4]. In tale contesto, l’adempimento della quota d’obbligo, riguardata dal versante dei soggetti obbligati, si atteggia alla stregua di una prestazione patrimoniale imposta (art. 23 Cost.), la cui previsione a livello di normazione primaria (art. 11 del d.lgs. n. 79/99) soddisfa il requisito costituzionale della riserva relativa di legge.
Da queste premesse consegue che hanno natura provvedimentale gli atti a mezzo dei quali il GSE dispone la decadenza degli incentivi o accerta il mancato assolvimento, da parte degli importatori o produttori di energia da fonte non rinnovabile, degli obblighi, previsti dalla normativa di settore, per il conseguimento e mantenimento delle tariffe incentivanti.
In sintesi, i procedimenti tesi all’erogazione di incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili hanno tratti prettamente pubblicistici di natura evidenziale, in quanto: 1) gestiti da un soggetto a totale partecipazione pubblica e deputato al perseguimento di fini pubblici; 2) caratterizzati da una predeterminazione normativa dei requisiti e dei criteri di priorità (penso all’iscrizione nei registri degli impianti idroelettrici); 3) volti ad individuare gli operatori economici meritevoli di percepire una risorsa scarsa, quale è l’ausilio finanziario pubblico; 4) fondate sull’autoresponsabilità dei concorrenti; nella logica si semplificazione del procedimento- secondo una linea confermata recentemente in generale anche dalla previsione dell'art. 18, comma 3-bis, L. 7 agosto 1990, n. 241[5]- grava sull'interessato l'onere di fornire tutti gli elementi documentali e dichiarativi idonei a dar prova della sussistenza delle condizioni per l'ammissione ai benefici inerenti alle tariffe incentivanti per gli impianti fotovoltaici, ricadendo sullo stesso eventuali carenze che incidano sul perfezionamento della fattispecie agevolativa.
Illustrato il quadro normativo di riferimento, prima di passare ad analizzare il sindacato giurisdizionale sugli atti del GSE occorre circoscrivere il perimetro del sindacato del GA, in base alla natura degli atti del GSE.
L’Adunanza plenaria 9/2019 evidenzia la natura duale (provvedimentale/non provvedimentale) degli atti del GSE ai fini della tutela in giudizio:
- se viene in contestazione un provvedimento di rigetto o di decadenza dagli incentivi ovvero un atto accertativo della inadempienza dell’operatore agli obblighi stabiliti, attesa la natura provvedimentale dell’atto, si applica l’ ordinario termine decadenziale di impugnazione di 60 giorni;
- se viene in contestazione, invece, la determinazione del dovuto da parte del GSE, con una azione di ripetizione dell’indebito, la controversia non afferisce all’esercizio di un potere autoritativo, ma a mere posizioni patrimoniali delle parti, giustiziabili nel termine prescrizionale del diritto fatto valere.
Tale natura duale, d’altra parte, risulta pienamente coerente con la scelta del legislatore, non altrimenti giustificabile ove non connessa all’esercizio di potere autoritativi (cfr. Corte Cost. 204/2004), di attribuire alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo la giurisdizione in questa materia (art. 133, comma 1, lett.o c.p.a.[6])
Passando al tema del sindacato del GA sugli atti del GSE è evidente che questo varia in relazione alla diversa natura del potere esercitato.
Con riferimento ai provvedimenti con i quali il GSE dispone la “revoca” (in senso a-tecnico) degli incentivi, la giurisprudenza li qualifica come provvedimenti di decadenza[7], adottati all’esito di una vicenda pubblicistica estintiva, ex tunc (o in alcuni casi ex nunc), di una posizione giuridica di vantaggio (c.d. beneficio).
È stato, infatti, chiarito che la decadenza è un istituto che, pur presentando tratti comuni con il più ampio genus dell’autotutela e del riesame, ne deve essere opportunamente differenziato, caratterizzandosi specificatamente:
a) per la tipologia del vizio, more solito individuato nella falsità o non veridicità degli stati e delle condizioni dichiarate dall’istante, o nella violazione di prescrizioni amministrative ritenute essenziali per il perdurante godimento dei benefici, ovvero, ancora, nel venir meno dei requisiti di idoneità per la costituzione e la continuazione del rapporto; b) per il carattere vincolato del potere, una volta accertato il ricorrere dei presupposti previsti dalla legge.
Tale potere è vincolato nei provvedimenti di rigetto della domanda o di decadenza dagli incentivi. A sua volta tale decadenza può essere totale o parziale. È parziale se è disposta solo con riferimento ad una determinata maggiorazione tariffaria[8] oppure in applicazione del potere di decurtazione (infra).
Tali provvedimenti, alla luce della numerosa casistica giurisprudenziale, implicano l’espletamento di accertamenti tecnici[9] da parte del GSE.
I provvedimenti di decadenza emessi dal Gestore ai sensi dell’art. 42, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011 dalla pacifica e unanime giurisprudenza hanno carattere vincolato. Questi non sono stati ritenuti assimilabili a quelli di autotutela amministrativa e ciò anche dopo la novella all’art. 42 operata dall’art. 56, comma 7, del D.L.76/2020, convertito dalla legge 11 settembre 2020, n.120, che rimanda, nell’esercizio del potere di decadenza, alla verifica dei presupposti di cui all’art. 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241. Trattandosi di potere vincolato e di procedimenti ad istanza di parte, ciò comporta la necessità di motivare da parte del GSE il provvedimento di decadenza dal regime incentivante. Dunque, con le novità introdotte dall’art. 56 il GSE , anche in fase di recupero degli incentivi, dovrà valutare e ponderare, non solo l’interesse pubblico a tutela della finanza pubblica, ma anche il distinto interesse pubblico alla produzione energetica da fonte rinnovabile e quindi i valori ambientali e produttivi, confrontandolo con l’interesse privato al mantenimento del beneficio concesso. In altri termini, il GSE non può conferire automatica priorità alla conservazione delle risorse assegnategli tenuto conto che il DL 76/2020, impone, sia in fase di decadenza sia in fase di riesame, una motivazione sulle singole fattispecie che hanno indotto alla decadenza dall’incentivazione[10].
Occorre ora passare ad esaminare l’esercizio del potere discrezionale del GSE.
Il potere è puramente discrezionale: nella valutazione della non grave rilevanza delle violazioni accertate, presupposto che giustifica la decurtazione della sanzione (decadenza parziale), anziché la decadenza totale dall’incentivo.
L’accertamento della “rilevanza” della violazione assume importanza primaria anche con riferimento all’intensità del collegamento tra il comportamento violativo e il beneficio goduto, di modo che la decadenza non abbia a provocare effetti ablatori esorbitanti rispetto al beneficio innanzi riconosciuto.
È pure frutto di scelta discrezionale, non solo l’“an”, ma anche il “quantum” ovvero la misura della decurtazione dell’incentivo, che la legge consente di effettuare tra il minimo del 10 e il massimo del 50 % , in ragione dell’entità della violazione, eccettuati i casi in cui è la legge stessa che, per gli impianti fotovoltaici, al dichiarato fine di salvaguardare la produzione di energia elettrica derivante da tale fonte rinnovabile, ha già stabilito la decurtazione minima del 10 % della tariffa incentivante per l’ipotesi di installazione di moduli non certificati o con certificazioni non rispondenti alla normativa europea, con previsione di una minore decurtazione del 5% per l’ipotesi di “ravvedimento operoso” ovvero qualora tale mancanza sia dichiarata dal soggetto beneficiario al di fuori dei procedimenti di controllo.
A tali diversi poteri corrisponde, sul piano del sindacato giurisdizionale, un diverso grado di tutela.
In caso di rigetto della domanda o di decadenza dall’incentivo il provvedimento del GSE sottrae un bene economico al privato e comprime la sua sfera giuridica con un atto restrittivo a fronte del quale si configura un interesse legittimo di tipo oppositivo. In questi casi, il processo ha finalità caducatorie: l’interesse materiale del ricorrente è immediatamente e pienamente soddisfatto dall’annullamento dell’atto, a seguito del quale la situazione sostanziale si riespande ed assume la dimensione che per legge deve avere. Possono ad esempio rendersi necessarie, eventualmente, misure ripristinatorie e risarcitorie, oggi esplicitamente previste anche dal codice del processo amministrativo (artt. 30 e 34, comma 1, lett. c), c.p.a.), al fine di rendere la situazione di fatto conforme a quella di diritto e di reintegrare, dal punto di vista patrimoniale, la posizione di colui che è stato danneggiato dall’illegittimo uso del potere. Il privato, per ottenere tutela contro gli atti di decadenza dagli incentivi del GSE, non ha bisogno che venga emanato un nuovo atto o un nuovo provvedimento, essendo sufficiente l’annullamento di quello impugnato; anzi, la sua aspirazione è che sia impedito al GSE di incidere nuovamente sulla sua posizione giuridica, con atti di contenuto uguale o simile a quello annullato. Il giudicato, quindi, deve ostacolare la riedizione del potere, impedendo l’emanazione di nuovi atti (lesivi) di tipo ripetitivo.
L’accoglimento del ricorso, con l’annullamento del provvedimento di decadenza, comporta la reviviscenza dell’originario provvedimento di erogazione degli incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili, con conseguente pieno soddisfacimento della pretesa sostanziale. La tutela in questi procedimenti può dirsi rispondere al principio-cardine, solennemente fissato dal c.p.a nel suo primo articolo, di pienezza ed effettività della tutela, che si realizza, nella maggioranza dei casi, nel giudizio di cognizione; il sindacato del GA, in sede di giurisdizione esclusiva (art. 133, comma 1, lett.o c.p.a.), si esercita, infatti, sul provvedimento che ha disposto la decadenza dagli incentivi o dall’incentivazione degli interventi di efficienza energetica (TEE o cosiddetti certificati bianchi).
Diverso tipo di sindacato è invece configurabile sul potere di decurtazione della tariffa incentivante prevista dall’art. 42 comma 3 del D.lgs. 28/2011, come risultante dalle modificazioni introdotte dall’art. 56 del D.L. 76/2020, contenente, la previsione della decurtazione dell'incentivo in misura ricompresa fra il 10 e il 50 per cento in ragione dell'entità della violazione. Il legislatore ha introdotto, nell'esercizio dei poteri di controllo in materia di riconoscimento degli incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili, il principio di proporzionalità e adeguatezza dell'azione amministrativa: non tutte le violazioni rilevanti ai fini dell'erogazione degli incentivi, come tali individuate nella decretazione ministeriale attuativa, determinano l'impossibilità di accedere agli incentivi ovvero la decadenza dagli stessi, ma soltanto quelle connotate da maggiore gravità.
Il legislatore[11] ha demandato ad un decreto ministeriale attuativo del Ministero dello sviluppo economico la disciplina di un nuovo sistema organico dei controlli, con l’individuazione delle violazioni “non rilevanti”, che danno luogo a decurtazione dell'incentivo, in relazione a ciascuna fonte, tipologia di impianto e potenza nominale.
Tale decreto attuativo, previsto dalla legge 205 del 2017 (art. 1, comma 960), alla data del presente intervento, non risulta adottato.
Il GSE ha quindi sostenuto che la mancata adozione del DM priverebbe il Gestore del potere di disporre la decurtazione dell’incentivo, potendo solo disporre la decadenza.
Tale tesi non è stata tuttavia accolta dalla Giurisprudenza, la quale ha stabilito che il potere di decurtazione percentuale, unitamente alla misura minima e massima di decurtazione consentita, è già stabilito dalla normativa vigente. Al decreto di cui al comma 5 lett. c bis) del citato art. 42 è demandata solo la specificazione delle singole violazioni e dell’entità percentuale di decurtazione correlata a ciascuna di esse. Al decreto attuativo spetta quindi la perimetrazione dell’attività tecnico discrezionale del Gestore con conseguente semplificazione del relativo onere motivazionale.
La giurisprudenza, dunque, in mancanza della disciplina di riferimento, ha stabilito che la rilevanza delle violazioni accertate deve essere ancorata alle fattispecie indicate nell’allegato 1 al c.d. decreto controlli (d.m. 31 gennaio 2014)[12], con una elencazione per la quale, peraltro, viene espressamente esclusa la tassatività (ex art. 11 del citato decreto controlli).
Al di fuori di questa elencazione, non tassativa e in attesa dell’adozione del nuovo decreto controlli è demandata alla discrezionalità del Gestore, la verifica, caso per caso, nelle fattispecie concrete di violazioni, elusioni o inadempimenti, pur rilevanti ma diversi da quelli contemplati nell’allegato 1, dai quali consegua l’indebito accesso agli incentivi che giustifica il provvedimento di decadenza.[13]
In particolare, il GSE è tenuto a ponderare gli interessi in gioco: la salvaguardia del particolare interesse economico sotteso alla realizzazione dell’investimento, nonché dell’interesse generale alla produzione di energia da fonti rinnovabili; la tutela dell’interesse pubblico al corretto e razionale utilizzo delle risorse della collettività.
Quindi il GSE, non solo decide quali sono le violazioni rilevanti che comportano la decadenza dagli incentivi, ma, per le violazioni non gravi, ha anche il potere di stabilire la decurtazione dell’incentivo nell’ambito delle percentuali minime e massime stabilite dalla legge, tenendo in considerazione la gravità e la rilevanza della violazione riscontrata.
In questi casi, viene in gioco un ampio potere discrezionale del GSE che, in virtù del principio di riserva di amministrazione, non consente al GA di sostituirsi al GSE nella valutazione della gravità e rilevanza della violazione ai fini dell’esercizio del potere di decurtazione dell’incentivo da applicare.
Può il giudice amministrativo valutare la congruità della decurtazione della tariffa operata dal GSE?
Il sindacato sul potere di decurtazione e sulla valutazione di rilevanza delle violazioni, in assenza di un potere regolatorio da parte del Ministero, apre inevitabilmente il varco ad un ampio spazio di discrezionalità del GSE.
Il ragionamento sin qui svolto ci permette così di giungere al cuore della questione, concernente l’intensità del sindacato del giudice amministrativo nei confronti degli atti del GSE, avendo delineato alcune linee di fondo e, soprattutto, avendo operato una chiara scelta sul piano metodologico che richiede, coerentemente con quell’approccio pragmatico che è stato seguito, una preventiva indagine sulla struttura del potere di volta in volta sottoposto al vaglio del giudice amministrativo, da intendersi quale condizione imprescindibile per una verifica della coerenza del controllo giurisdizionale concretamente esercitato, con il canone della pienezza ed effettività del sindacato. Quest’ultimo è principio-cardine, solennemente fissato nel primo articolo del codice del processo amministrativo.
Più si allargano i confini della discrezionalità e del merito amministrativo, più il sindacato giurisdizionale incontrerà dei limiti e, di conseguenza, il grado di intensità della tutela sarà meno penetrante. Di contro, laddove nell’ambito delle scelte dell’amministrazione sia possibile operare una distinzione tra attività discrezionale e attività di interpretazione, ovvero, escludere in radice l’esistenza di profili di discrezionalità, il controllo giurisdizionale nei confronti della relativa attività ermeneutica svolta dall’amministrazione non incontrerà limiti, risultando perciò il relativo sindacato pieno ed effettivo.
Sul piano processuale, nel caso del potere di decurtazione, qualora il ricorrente contesti l’eccessiva misura della decurtazione subita (decadenza parziale dall’incentivo) l’interesse del ricorrente non è soddisfatto dal semplice annullamento dell’atto, ma è necessario che sia posto in essere un nuovo atto per conseguire il bene della vita. Da qui, l’esigenza che il giudicato definisca il potere e la sua fattispecie e che dia un comando e una regola di condotta pregnanti e vincolanti, di modo che al titolare sia vietato di addurre elementi impeditivi ulteriori, al fine di contrastare la realizzazione della pretesa della controparte. In virtù del principio di separazione dei poteri (c.d. riserva di amministrazione) il giudice non può sostituirsi all’amministrazione.
Mi avvio alle conclusioni.
Il potere amministrativo, come nel caso della mancata adozione del Decreto previsto dalla legge 205/2017, non sempre è conformato dal legislatore. In questo caso, il Giudice amministrativo, in via interpretativa, al fine di garantire una tutela piena ed effettiva, ha individuato un parametro legale nel “decreto controlli” del 2014.
Credo, dunque, che non sia possibile operare una teorizzazione generale sulla possibilità/impossibilità di sindacare la discrezionalità amministrativa ovvero sulla misura del sindacato esercitabile (“troppo sindacato/troppo poco sindacato”). Inevitabilmente occorre prendere atto che l’attività interpretativa del giudice amministrativo è influenzata da alcuni fattori: il dettaglio normativo; l’esistenza di principi nell’ordinamento di settore e gli scopi per cui il legislatore attribuisce un determinato potere.
Non è possibile quindi individuare una teoria unica della discrezionalità: ogni potere richiede un tipo di sindacato diverso. Si può discutere, dunque, su come il singolo potere è esercitato. Insomma, non esiste un metodo di sindacato standard: va utilizzato il metodo casistico del diritto romano, analizzando gli interessi di volta in volta coinvolti. D’altra parte, il diritto è una scienza pratica e quindi, nel caso analizzato, il giudice, a fronte di fior di investimenti realizzati dalle imprese nel settore dell’energia e, al fine di tutelare l’interesse pubblico perseguito dal legislatore (la prosecuzione degli impianti alla produzione di energia da fonte rinnovabile), in alcune fattispecie, ha ritenuto non coerente con tale politica di incentivazione, l’esercizio, da parte del Gestore, del potere di decadenza dagli incentivi, affermando la diretta applicazione, da parte del GSE, della decurtazione degli incentivi, pur in mancanza del decreto attuativo.
Ciò dimostra che, laddove il legislatore (o comunque il soggetto pubblico al quale il primo delega il potere di normazione) abdica all’esercizio pieno della propria funzione inevitabilmente- pena la realizzazione di un deficit di tutela- aumentano le maglie del sindacato del giudice amministrativo.
E quest’ultimo può intervenire solo in via interpretativa, non come “inventore” del diritto, ma come investigatore del significato dello ius positum, analizzando il quadro sistematico in coerenza con gli atti di indirizzo politico, nel rispetto del primato della legge e dello Stato costituzionale di diritto, nel quale spetta al legislatore dettare ilriferimento normativo dell’agire.
[1]Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, sentenze nn. 18 del 2020 e 9 del 2019; Corte costituzionale sentenze n. 237 del 2020 e n. 51 del 2017 e Corte di giustizia dell’Unione europea, sez. X, 11 luglio 2019, C-180/18, C-286/18, Agrenergy.
[2] Le fonti energetiche rinnovabili, anche definite alternative, sono quelle forme di energia che per loro caratteristica intrinseca si rigenerano o non sono "esauribili", il cui utilizzo non pregiudica le risorse naturali per le generazioni future.
[3] Nel sistema italiano - che già aveva sperimentato le misure di incentivazione introdotte dal D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità) – si rivela cruciale l'emanazione del D.Lgs. n. 28 del 2011, che, recependo la direttiva 28/2009/CE, nell'esercizio della delega di cui alla L. 4 giugno 2010, n. 96 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2009), ha riordinato il sistema degli incentivi nel rispetto, in particolare, del criterio direttivo di "adeguare e potenziare il sistema di incentivazione delle fonti rinnovabili" (art. 17, comma 1, lettera h, della legge di delega), perseguendo, tra l'altro, l'obiettivo indicato dallo stesso decreto legislativo di raggiungere nel 2020 la quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia pari al 17 per cento (art. 3, comma 1).
[4] Cass., S.U., 10 aprile 2019, n. 10020, Cass., Sez. U., 24 febbraio 2014, n. 4326; Cass., S.U., 27 aprile 2017, n. 10409; Cass., S.U., 4 maggio 2017, n. 10795; Cass., S.U., 13 giugno 2017, n. 14653.
[5] L'art. 12, comma 1, lett. h), n. 2), D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, ha aggiunto all’art. 18 della legge 241/1990 il comma 3 bis, il quale prevede che: “nei procedimenti avviati su istanza di parte, che hanno ad oggetto l'erogazione di benefici economici comunque denominati, indennità, prestazioni previdenziali e assistenziali, erogazioni, contributi, sovvenzioni, finanziamenti, prestiti, agevolazioni, da parte di pubbliche amministrazioni ovvero il rilascio di autorizzazioni e nulla osta comunque denominati, le dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, ovvero l'acquisizione di dati e documenti di cui ai commi 2 e 3, sostituiscono ogni tipo di documentazione comprovante tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti dalla normativa di riferimento, fatto comunque salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159”.
[6] La norma devolve alla giurisdizione esclusiva del GA: “le controversie, incluse quelle risarcitorie, attinenti alle procedure e ai provvedimenti della pubblica amministrazione concernenti la produzione di energia, i rigassificatori, i gasdotti di importazione, le centrali termoelettriche e quelle relative ad infrastrutture di trasporto ricomprese o da ricomprendere nella rete di trasmissione nazionale o rete nazionale di gasdotti”.
[7] Cons. Stato, Adunanza Plenaria 18/2020.
[8] Cons. Stato, Adunanza Plenaria 18/2020 ha ritenuto scindibile il beneficio, con conseguente possibilità per il GSE, di disporre una decurtazione parziale degli incentivi, ad esempio limitandole alla sola porzione incentivante, laddove la normativa prevede, in caso di ricorrenza di determinati presupposti, l’applicazione di una maggiorazione tariffaria (v. ad es. Decreto del Ministero dello sviluppo economico 5 maggio 2011, che stabilisce maggiorazioni tariffarie per gli impianti fotovoltaici aventi determinate caratteristiche, quali quella del 10 per cento per impianti costruiti con moduli provenienti, per almeno il 60%, dall’Unione europea).
[9] L’art. 2 del DM 31 gennaio 2014, che disciplina i controlli in materia di erogazione degli incentivi, prevede, ad esempio, che, “ai fini della verifica del diritto all'incentivo e della relativa determinazione, il GSE valuta, nell'esercizio delle funzioni di controllo, l'eventuale necessità di effettuare operazioni di campionamento e caratterizzazione chimico-fisica dei combustibili utilizzati negli impianti alimentati da biogas, bioliquidi e biomasse, ivi inclusi i rifiuti”.
Ancora, ad esempio: accertamento se un impianto fotovoltaico sia o meno integrato architettonicamente; accertamento della sussistenza del deflusso minimo vitale negli impianti idroelettrici ai fini dell’ottenimento di un maggiore incentivo; se il cogeneratore sia o meno di nuova installazione.
[10] Tar Lazio, sentenza 5 maggio 2022, n. 5602, Sezione III ter ha precisato che, in base ai principi affermati dalla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 17 ottobre 2017, n. 8, in materia di autotutela, <<l’onere motivazionale gravante sul Gestore dei Servizi Energetici (GSE), in sede di esercizio del potere a questi spettante, potrà risultare “attenuato” in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati e coinvolti nella vicenda oggetto di riesame, “al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze di fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possano integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell’esercizio del ius poenitendi>>.
[11] Art. 1, comma 960, lett. b), della legge 205/2017, che ha modificato l’art.42, comma 5, d.lgs. 28/2001 prevede che:“Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il GSE fornisce al Ministero dello sviluppo economico gli elementi per la definizione di una disciplina organica dei controlli che, in conformità ai principi di efficienza, efficacia e proporzionalità, stabilisca: … c-bis) le violazioni che danno luogo a decurtazione dell'incentivo ai sensi dell'ultimo periodo del comma 3”.
[12] Questo l’elenco delle violazioni rilevanti contenuto nell’allegato 1 al DM 2014:
a) presentazione al GSE di dati non veritieri o di documenti falsi, mendaci o contraffatti, in relazione alla richiesta di incentivi, ovvero mancata presentazione di documenti indispensabili ai fini della verifica della ammissibilità agli incentivi;
b) violazione del termine per la presentazione dell'istanza di incentivazione e, nel caso in cui sia determinante ai fini dell'accesso degli incentivi, la violazione del termine per l'entrata in esercizio;
c) inosservanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento del GSE relativo all'esito dell'attività di controllo;
d) indisponibilità della documentazione da tenere presso l'impianto ai sensi dell'art. 9, comma 3, nel caso in cui se ne sia già accertata l'assenza nell'ambito di una precedente attività di controllo;
e) comportamento ostativo od omissivo tenuto dal titolare dell'impianto nei confronti del preposto al controllo o del gestore di rete, consistente anche nel diniego di accesso all'impianto stesso ovvero alla documentazione;
f) manomissione degli strumenti di misura dell'energia incentivata;
g) alterazione della configurazione impiantistica, non comunicata al GSE, finalizzata ad ottenere un incremento dell'energia incentivata;
h) interventi di rifacimento e potenziamento realizzati in difformità dalle norme di riferimento ovvero da quanto dichiarato in fase di qualifica o di richiesta dell'incentivo;
i) inefficacia del titolo autorizzativo per la costruzione ed esercizio dell'impianto;
j) insussistenza dei requisiti per la qualificazione dell'impianto, per l'accesso agli incentivi ovvero autorizzativi;
k) utilizzo di combustibili fossili di due punti percentuali oltre la soglia consentita, non previamente comunicato al GSE;
l) utilizzo di combustibili rinnovabili in difformità dal titolo autorizzativo o dalla documentazione presentata in sede di qualifica ovvero di istanza di incentivazione;
m) mancata trasmissione al GSE della certificazione di fine lavori dell'impianto nei termini previsti dalla normativa di incentivazione, nel caso in cui sia determinante ai fini dell'accesso o della determinazione agli incentivi;
n) utilizzo di componenti contraffatti ovvero rubati.
[13] Cons. Stato, II, 4 gennaio 2023, n. 127, nel sindacare l’esercizio del potere di decadenza, anziché di decurtazione, ha ritenuto rilevanti, sulla base del parametro indicato nell’allegato 1 del d.m. 31 gennaio 2014 le seguenti violazioni:
“a) la mancata riferibilità dei moduli fotovoltaici installati all’attestato di factory inspection e al certificato di conformità presentati dal soggetto responsabile;
b) l’origine dei moduli a marchio Lenus Solar, per i quali non è possibile identificare in maniera univoca lo stabilimento di produzione;
c) le difformità rilevate con riferimento alla marcatura CE;
d) l’assenza dei requisiti di cui all’art. 7 co. 3 del decreto, con riferimento alla conformità alle norme CEI EN 61215 e CEI EN 61730-2; il mancato rispetto delle prescrizioni dell’art. 7 co. 5, lett. b e c del decreto, aventi ad oggetto il possesso di requisiti di certificazione sulla qualità del processo produttivo; il mancato rispetto della condizione di cui all’art. 2 co. 1 lett. v. del decreto, che richiede “impianti con componenti principali realizzati unicamente all’interno di un Paese che risulti membro dell’UE/SEE”;
e) il mancato rispetto delle condizioni e dei requisiti che rendono legittimo il riconoscimento della tariffa, richiesta ed erogata, “su edificio”;
f) la mancata evidenza, nel corso del procedimento di verifica, del titolo abilitativo alla realizzazione dell’impianto”.