Concessioni “balneari” e la persistente necessità della pronuncia della Corte di Giustizia
di Ruggiero Dipace
Sommario: 1. Premessa - 2. I problemi sollevati dall’ordinanza e i quesiti sottoposti alla GUCE - 3. L’accertamento dei requisiti dell’interesse transfrontaliero e della scarsità della risorsa - 4. Considerazioni conclusive.
1. Premessa
La complessa vicenda delle proroghe delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per finalità turistico-ricreative (di seguito “concessioni balneari”) approda alla Corte di Giustizia dell’Unione europea. Il Tar Puglia, sez. Lecce, con ordinanza 11 maggio 2002, n. 743 ha sottoposto alla Corte alcuni quesiti che riguardano innanzitutto il valore da attribuire alla direttiva 2006/123 (c.d. Bolkestein) e le relative conseguenze sulla possibilità di disapplicare la normativa nazionale sia da parte del giudice sia da parte dell’amministrazione[1].
Come noto, la questione è stata recentemente sottoposta alla valutazione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che, con le decisioni 17 e 18 del 20 ottobre 2021, ha affermato in particolare che le norme di proroga automatica delle concessioni sono in contrasto con il diritto europeo stabilendo la loro decadenza una volta spirato il termine individuato dal giudice stesso[2]. Tali decisioni, però, al di là dell’affermazione della applicabilità del principio della concorrenza in materia, sono state oggetto di critica in relazione al ruolo di “supplenza” che il giudice amministrativo ha svolto in assenza di una normativa chiara e inequivoca. E invero, le continue proroghe stabilite normativamente hanno creato confusione e incertezze nella loro applicazione da parte delle amministrazioni concedenti alcune delle quali, in ossequio alla normativa europea favorevole alle procedure a evidenza pubblica, hanno negato le proroghe, disapplicando la normativa nazionale; altre amministrazioni hanno deciso in senso diametralmente opposto concedendo proroghe in applicazione della disciplina nazionale. Ciò perché è mancata e tutt’ora manca una disciplina attuativa della direttiva Bolkestein atta a dipanare i dubbi interpretativi in un settore certamente strategico per l’economia del nostro Paese. Da ciò deriva che il contenzioso scaturito dalle decisioni ondivaghe delle amministrazioni ha contribuito non poco a rendere complessa la situazione, che non è stata del tutto chiarita dalle decisioni del Consiglio di Stato.
Tale situazione non si è risolta neppure con la legge 5 agosto 2022, n. 118 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021) che, lungi dal definire il nuovo sistema di affidamento delle concessioni, si è limitata a delegare il Governo alla revisione della materia[3].
La persistente incertezza in ordine alla disciplina della materia, soprattutto con riferimento ad alcuni punti come il tema dell’accertamento della scarsità della risorsa e il legittimo affidamento per il concessionario uscente, induce a ritenere che un pronunciamento della Corte di giustizia sia quantomai attuale oltreché opportuno. Ciò anche alla luce del dibattito non solo giuridico ma anche politico sul tema nel quale si confrontano visioni diametralmente opposte che non rende certo l’approdo verso l’applicazione del principio di concorrenza.
2. I problemi sollevati dall’ordinanza e i quesiti sottoposti alla GUCE
L’ordinanza del Tar Lecce pone come prima questione quella dell’ambito di immediata e diretta applicabilità di una direttiva cd self executing. In particolare se, in coerenza con i principi generali di buona fede nei confronti degli amministrati, l’ambito di applicazione si limiti all’effetto verticale e non possa quindi essere invocato dalle Autorità nazionali, responsabili del suo mancato recepimento, in danno degli operatori privati.
Altro problema sollevato dall’ordinanza è se, in assenza di disposizioni specifiche dettagliate, tali da non lasciare residuare alcuna discrezionalità allo Stato membro e tecnicamente idonee a regolare in via diretta e automatica i rapporti tra pubbliche amministrazioni e privati, una direttiva possa imporre la disapplicazione delle disposizioni interne incompatibili con i principi da essa affermati, determinando una situazione di oggettiva incertezza. In particolare, con riferimento alla Direttiva 123/06, l’ordinanza sottolinea che, alla stregua dell’interpretazione autentica desumibile dal § 61 della sentenza Promoimpresa e confermata dalla sentenza CGUE, Grande Sezione, del 30 gennaio 2018 sulle cause C-360/15 e C-31/16 (§106) in relazione al “chiaro tenore letterale del Considerando n. 7”, essa è una “direttiva di armonizzazione”, che, se prescrive agli Stati membri l’adozione di disposizioni attuative di contenuto specifico e determinato (cd “armonizzazione esaustiva”), non è auto-esecutiva. Ne dà prova anche l’art. 12, della stessa direttiva che, come rimarcato dall’ordinanza, “prescrive l'adozione di una specifica determinata normativa nazionale di attuazione, ipotizzando evidentemente come necessaria e imprescindibile” per dettare “regole uniformi per l’effettuazione delle gare, relative ai requisiti di partecipazione e ai criteri di aggiudicazione, nonché criteri uniformi di determinazione eventuale ‘indennizzo’ in favore del concessionario uscente”.
Per cui in assenza di una di una tale specifica e dettagliata disciplina, che tenga conto anche della necessaria tutela di interessi pubblici prevalenti su quello della concorrenza, la tesi secondo cui i dirigenti dei singoli comuni - cui le regioni hanno delegato la competenza amministrativa in materia - dovrebbero indiscriminatamente disapplicare la normativa nazionale di proroga e procedere in piena autonomia alla indizione e gestione delle procedure selettive per l’affidamento delle nuove concessioni senza neppure regole di tutela della posizione dei gestori uscenti sarebbe incompatibile con “i principi fondamentali di completezza dell’ordinamento giuridico (così come etero-integrato dal diritto dell’Unione europea) e di certezza del diritto”, nonché con il principio di tutela del legittimo affidamento e con i principi a tutela del diritto di proprietà e del diritto d’impresa.
Peraltro lo stato di incertezza, afferma l’ordinanza, non è stato neppure fugato dalle decisioni dell’Adunanza Plenaria che nonostante la ritenuta immediata applicabilità della direttiva, hanno disposto un differimento degli effetti della sentenza determinando una proroga automatica della scadenza delle concessioni al fine di sollecitare un intervento del legislatore, ritenendo, quindi, necessaria l’approvazione di una normativa nazionale di concreta attuazione della direttiva.
Su questi punti l’ordinanza appare condivisibile.
Innanzitutto, occorre rilevare che la direttiva Bolkestein non contiene specifiche norme riferibili alle concessioni balneari e all’applicazione alle stesse del principio della concorrenza e questo qualunque posizione si voglia prendere sulla natura autoesecutiva o meno della stessa.
Inoltre, nel nostro ordinamento alla direttiva è stata data una formale e parziale esecuzione da parte del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 e tale normativa di recepimento non prevede l’applicazione del principio della concorrenza alle concessioni balneari né tantomeno prevede norme sulle procedure di selezione.
Tali disposizioni attuative specifiche sono vieppiù necessarie allorché si definisca di “armonizzazione” la direttiva.
L’applicazione della direttiva alla fattispecie delle concessioni balneari deriva piuttosto dall’interpretazione fornita dalla sentenza Promoimpresa, la quale ha affermato la natura autoesecutiva del solo art. 12 della direttiva stessa[4]. Ma tale norma impone la gara solo nelle ipotesi in cui le autorizzazioni riguardino risorse limitate e chiaramente rimandano agli Stati membri l’individuazione di una normativa specifica sulle modalità di effettuazione delle procedure di selezione.
Nel nostro ordinamento, quindi, manca una disciplina di attuazione chiara in relazione all’applicazione del principio della concorrenza alle concessioni balneari, una disciplina dei parametri per stabilire la “limitatezza” della risorsa al fine di applicare il disposto dell’art. 12 della direttiva.
Ciò ha comportato un’inammissibile situazione di disorientamento delle pubbliche amministrazioni e, in particolare, dei Comuni ai quali spetta la competenza al rilascio delle concessioni che hanno assunto decisioni spesso contraddittorie generando un contenzioso ingestibile.
3. L’accertamento dei requisiti dell’interesse transfrontaliero e della scarsità della risorsa
L’ordinanza, inoltre, sottopone alla Corte di Giustizia alcuni quesiti riguardanti temi che le stesse decisioni gemelle dell’Adunanza Plenaria non avevano risolto in maniera soddisfacente. Si tratta della verifica del requisito dell’interesse transfrontaliero certo e di quello della limitatezza della risorsa ai fini dell’applicazione del principio dell’evidenza pubblica.
Le decisioni dell’Adunanza Plenaria avevano ritenuto in via generale sussistente il requisito dell’interesse transfrontaliero certo e della scarsità delle risorse prendendo a parametro l’intero territorio nazionale senza svolgere alcun approfondimento istruttorio. Da ciò scaturiva la considerazione della generalizzata limitatezza del numero di autorizzazioni disponibili e, quindi, la necessità di applicare in ogni caso il principio dell’evidenza pubblica.
Il tema delle modalità di verifica dei requisiti dell’interesse transfrontaliero certo e del requisito della limitatezza della risorsa ai fini dell’applicazione del diritto eurounitaria appare assolutamente dirimente considerato che nessuna normativa nazionale, né quella di attuazione della direttiva 2006/123 né la recente legge di delega, stabiliscono criteri per l’accertamento della sussistenza di tali requisiti.
È da condividere, quindi, l’ordinanza del Tar allorché ritiene di investire la Corte di giustizia in merito alla corretta interpretazione della direttiva sui punti indicati.
Invero, le decisioni dell’Adunanza Plenaria non sono apparse del tutto convincenti in quanto hanno effettuato analisi generiche.
Infatti, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, svolgendo alcune considerazioni generali sul “mercato” delle concessioni demaniali con finalità turistico ricreative, ha specificato che in questi casi a venire in rilievo come strumento di guadagno offerto dalla pubblica amministrazione non è il prezzo di una prestazione, né il diritto di sfruttare economicamente un singolo servizio. Ciò che contraddistingue queste concessioni dagli appalti o dalle concessioni di servizi è che la pubblica amministrazione mette a disposizione dei privati un complesso di beni demaniali che costituiscono uno dei patrimoni naturalistici più attrattivi nel mondo. Per il Consiglio di Stato la potenzialità economica del mercato delle concessioni balneari dimostra che queste non possono essere sottratte al regime della concorrenza e dell’evidenza pubblica in quanto avrebbero un interesse transfrontaliero certo ai sensi dell’articolo 49 del TFUE, che disciplina la libertà di stabilimento nei paesi membri della Unione europea.
Sul punto occorre rilevare che la “presunzione” della sussistenza del requisito dell’interesse transfrontaliero per tutte le ipotesi di concessioni “balneari” deriva da un ragionamento effettuato in via del tutto astratta dal Consiglio di Stato, frutto anche di una incertezza qualificatoria dell’istituto, che ha equiparato autorizzazioni, concessioni e contratti. E da questa equiparazione ne è discesa l’applicazione del requisito dell’interesse transfrontaliero certo che invece si riferisce prioritariamente all’attività negoziale delle pubbliche amministrazioni. D’altra parte, l’Adunanza Plenaria, per precisare il concetto di interesse transfrontaliero, prende in esame la giurisprudenza europea sui contratti della pubblica amministrazione.
Ma oltre a questo argomento, il Consiglio di Stato afferma che l’obbligo di evidenza pubblica discende direttamente dall’applicazione dell’articolo 12 della direttiva servizi, che prescinde dall’individuazione dell’interesse transfrontaliero certo e si incentra sul requisito della “limitatezza” della risorsa.
Anche in relazione a tale requisito il Consiglio di Stato percorre una strada non condivisibile. Secondo il Consiglio di Stato, infatti, il concetto di scarsità deve essere interpretato tenendo conto non solo della quantità del bene disponibile, ma anche dei suoi aspetti qualitativi e, di conseguenza, della domanda che è in grado di generare da parte di altri potenziali concorrenti, oltre che dei fruitori finali del servizio. Tali considerazioni, però, vengono effettuate con un riferimento generico a tutto il territorio nazionale allorché si afferma che sussiste il requisito della scarsità della risorsa poiché la maggior parte delle coste sono occupate da stabilimenti balneari. E ciò senza neppure il supporto di dati certi derivanti da una mappatura del territorio nazionale.
Se, però, la valutazione in ordine alla sussistenza di tale requisito è, così come previsto dall’art. 12 della direttiva, presupposto indefettibile per l’indizione di una procedura a evidenza pubblica è evidente che devono essere le singole amministrazioni comunali, che hanno la competenza alla indizione delle gare a stabilire quando nel loro territorio ci si trovi dinanzi a risorse cd “scarse”. Non si ritiene possibile, quindi, che la valutazione su tale presupposto venga operata in via generale e “sostitutiva” da parte di una decisione del giudice senza alcun dato tecnico certo.
Questa valutazione, peraltro, non può essere effettuata in via generale e astratta, ma la legge deve indicare alle singole pubbliche amministrazioni quali siano i parametri, anche di tipo tecnico, per operare tale accertamento e quindi decidere se nel territorio comunale debbano essere indette o meno procedere a evidenza pubblica.
4. Considerazioni conclusive
Da quanto esposto si può concludere che sia auspicabile un rapido intervento della Corte di giustizia per avere una interpretazione autentica del diritto UE e nella specie della direttiva 123, dirimendo quindi i numerosi dubbi intrepretativi in materia che, come chiaramente affermato dall’ordinanza del Tar, hanno determinato “lo stato di caos e di assoluta incertezza del diritto connesso all'effetto di esclusione o disapplicazione meramente ostativa risulta devastante”.
D’altra parte occorre osservare che il tema dell’obbligo di disapplicazione per le pubbliche amministrazioni, così come affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, se in via astratta appare soluzione conforme ai principi generali più volte ribaditi dalla giurisprudenza, è tuttavia nel concreto di difficile attuazione in quanto comporta valutazioni molto spesso caratterizzate da un elevato livello di complessità e opinabilità spesso non alla portata degli uffici tecnici di amministrazioni comunali, in molti casi di piccole dimensioni, per giunta in un contesto in cui non è del tutto sicura la natura autoapplicativa della direttiva servizi. Ciò potrebbe indurre i funzionari pubblici a privilegiare soluzioni chiaramente imposte da norme nazionali (come le proroghe), disinteressandosi del diritto europeo di incerta applicazione per evitare rischi di contenzioso e di responsabilità.
[1] L’ordinanza è resa su un ricorso per l’annullamento degli atti con cui il Comune di Ginosa, in applicazione delle disposizioni di cui alla legge 145/2018 e al d.l. 34/2020, hanno disposto la proroga al 31 dicembre 2033 delle concessioni “balneari” in essere sulle proprie coste. Il ricorso è stato proposto dall’AGCM, ai sensi dell’art. 21 bis della l. 287/1990, per asserita inapplicabilità delle suddette disposizioni di legge in quanto contrastati con gli artt. 49 e 56 TFUE e 12 Direttiva 2006/123/CE.
[2] In relazione alla questione dell’applicazione della disciplina dell’evidenza pubblica alle concessioni balneari, anche alla luce delle sentenze dell’Adunanza Plenaria 17 e 18 del 2021, la dottrina si è molte volte soffermata; basti richiamare solo alcuni contributi presenti in questa rivista: M.A. Sandulli, Sulle “concessioni balneari” alla luce delle sentenze nn. 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria, 2, 2022; F. Francario, Se questa è nomifilachia. Il diritto amministrativo 2.0. secondo l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 1, 2022; E. Zampetti, Le concessioni balneari dopo le pronunce Ad. Plen. 17 e 18 2021. Definito il giudizio di rinvio innanzi al C.G.A.R.S. (nota a Cgars, 24 gennaio 2022 n. 116), 1, 2022; E. Cannizzaro, Demanio marittimo. Effetti in malam partem di direttive europee? In margine alle sentenze 17 e 18/2021 dell’Ad. Plen, 12, 2021; F. P. Bello, Primissime considerazioni sulla “nuova” disciplina delle concessioni balneari nella lettura dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, 11, 2021; R. Dipace, All’Adunanza plenaria le questioni relative alla proroga legislativa delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, 7, 2021. Al tema è stato anche dedicato un numero speciale della Rivista Diritto e Società n. 3/2021: “La proroga delle “concessioni balneari” alla luce delle sentenza 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria”, con scritti di M.A. Sandulli, F. Ferraro, G. Morbidelli, M. Gola, R. Dipace, M. Calabrò, E. Lamarque, R.Rolli - D. Sammarro, E. Zampetti, G. Iacovone, M. Ragusa, P. Otranto, B. Caravita di Toritto - G. Carlomagno.
[3] La l. 118/2022 5 agosto 2022 ha delegato il governo a riordinare e semplificare la materia definendo alcuni criteri della nuova disciplina (art. 4). In sintesi, tali criteri attengono alla determinazione dei parametri per l'individuazione delle aree suscettibili di affidamento in concessione; all’affidamento delle concessioni sulla base di procedure selettive, nel rispetto dei principi di imparzialità, non discriminazione, parità di trattamento, massima partecipazione, trasparenza e adeguata pubblicità; all’adeguata considerazione degli investimenti, del valore aziendale dell'impresa e dei beni materiali e immateriali, della professionalità acquisita anche da parte di imprese titolari di strutture turistico-ricettive che gestiscono concessioni demaniali, nonchè valorizzazione di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori, della protezione dell'ambiente e della salvaguardia del patrimonio culturale; alla definizione di una disciplina uniforme delle procedure selettive di affidamento delle concessioni; all’adeguata considerazione, ai fini della scelta del concessionario, della qualità e delle condizioni del servizio offerto agli utenti; alla valorizzazione e adeguata considerazione dell'esperienza tecnica e professionale già acquisita in relazione all'attività oggetto di concessione, secondo criteri di proporzionalità e di adeguatezza e, comunque, in ma niera tale da non precludere l'accesso al settore di nuovi operatori; alla considerazione della posizione dei soggetti che, nei cinque anni antecedenti l'avvio della procedura selettiva, hanno utilizzato una concessione quale prevalente fonte di reddito; alla previsione di clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato nell'attività del concessionario uscente, nel rispetto dei principi dell'Unione europea e nel quadro della promozione e garanzia degli obiettivi di politica sociale; alla previsione della durata della concessione per un periodo non superiore a quanto necessario per garantire al concessionario l'ammortamento e l'equa remunerazione degli investimenti autorizzati;alla definizione di criteri uniformi per la quantificazione di canoni annui concessori; all’introduzione di una disciplina specifica dei casi in cui sono consentiti l'affidamento da parte del concessionario ad altri soggetti della gestione delle attività, anche secondarie, oggetto della concessione e il subingresso nella concessione stessa; alla definizione di criteri uniformi per la quantificazione dell'indennizzo da riconoscere al concessionario uscente, posto a carico del concessionario subentrante.
[4] Corte di giustizia UE, sez. V, 14 luglio 2016, C-458/14 e C-67/15) secondo la quale l’art. 12, par. 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE “deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati”.