Le proroghe ex lege delle concessioni “balneari” alla Corte di Giustizia: andata e ritorno di un istituto controverso (nota a T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, ordinanza 11 maggio 2022, n. 743)
di Matteo Timo
Sommario: 1. Premessa: il quadro delle concessioni balneari dopo le sentenze “gemelle” del 2021 - 2. I quesiti pregiudiziali sollevati dal TAR Puglia: un nuovo contrasto giurisprudenziale? - 3. La controversa applicabilità della normativa eurounitaria alle concessioni balneari: parziale adesione dell’ordinanza di rinvio alla Plenaria - 4. (Segue) L’incerto rapporto fra diritto nazionale e diritto dell’Unione: in particolare, la “direttiva servizi” recepita, ma self-executing - 5. Cenni finali all’ordinanza di rinvio pregiudiziale e osservazioni conclusive.
1. Premessa: il quadro delle concessioni balneari dopo le sentenze “gemelle” del 2021
Con l’ordinanza in rassegna[1] – emessa nel corso di un giudizio scaturito da un ricorso dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) ai sensi dell’art. 21-bis della legge n. 287/1990[2] – il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Sezione di Lecce, a pochi mesi di distanza dalle pronunce “gemelle” dell’Adunanza Plenaria[3], ha operato un rinvio ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (di seguito anche “TFUE”), sottoponendo alla Corte di Giustizia dell’Unione europea nove quesiti pregiudiziali concernenti le concessioni demaniali marittime, lacustri e fluviali, ad uso turistico e ricreativo, cosiddette “concessioni balneari”.
Si tratta della seconda volta che i giudici amministravi interrogano la Corte di Giustizia in merito alla conformità al diritto eurounitario del meccanismo delle proroghe legali delle concessioni in essere, con particolare riferimento alla libertà di stabilimento dei prestatori di servizi di cui all’art. 49 TFUE e all’art. 12 della c.d. “direttiva servizi” o “direttiva Bolkestein”[4]. Come noto[5], infatti, la Corte si era pronunciata – con la sentenza Promoimpresa del 2016[6]– nel senso che le menzionate disposizioni unionali ostano a qualsiasi tipologia di rinnovo automatico dei titoli concessori in assenza di procedura selettiva del concessionario, allorché ricorrano, a seconda dei casi[7], o un interesse transfrontaliero certo o si tratti dell’affidamento di una risorsa naturale scarsa.
La scelta operata dal T.A.R. Lecce – unitamente alla procedura d’infrazione avviata dalla Commissione europea nei confronti della Repubblica italiana nel 2020 – consente di corroborare quanto si ebbe modo di scrivere qualche mese prima della notifica della lettera di messa in mora, nella misura in cui «il protrarsi della mancata armonizzazione e l’assenza di una normativa puntuale sulle concessioni balneari potrebbe esporre lo Stato italiano ad una nuova procedura d’infrazione, ovvero determinare un ulteriore rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia […]»[8].
Occorre, ad ogni modo, dare atto di quanto il quadro normativo e giurisprudenziale che contorna il rinvio de quo appaia profondamente mutato da quello che mosse il T.A.R. Lombardia, nel 2014, e il T.A.R. Sardegna, nel 2015, ad adire la Corte di Giustizia[9].
Il rinvio pregiudiziale resta, comunque, uno strumento utile a meglio definire la complessa attuazione della direttiva servizi nell’ordinamento italiano, anche se, con precipuo riferimento ai contenuti di quello operato dall’ordinanza in commento, esso non sembra abbia colto appieno l’occasione per sollevare talune altre questioni d’interesse: quali l’effettiva portata del legittimo affidamento in capo ai concessionari uscenti; le modalità di accertamento del carattere “scarso” della risorsa oggetto di concessione; la sorte del provvedimento amministrativo inoppugnabile, ma divenuto “illegittimo” per disapplicazione della normativa interna contrastante con quella unionale; la legittimità e i limiti dei cosiddetti “effetti verticali invertiti” che possono scaturire da un’applicazione della direttiva Bolkestein da parte delle amministrazioni locali nei confronti dei concessionari decaduti; il valore da riconoscere al decreto legislativo di recepimento[10] della direttiva servizi in Italia; nonché, sempre che il rinvio pregiudiziale sia la sede opportuna, tutte le problematiche e le perplessità che sono state evidenziate da attenta dottrina in merito alle pronunce n. 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, tra le quali, non da ultima, la possibilità che dalla disapplicazione della proroga legale consegua una responsabilità penale, come peraltro confermato da una controversa – e successiva alla Plenaria – sentenza della Corte di Cassazione[11].
Segnatamente, le considerazioni che muovono nel senso sopra delineato si radicano nella circostanza per cui il rinvio pregiudiziale, a sommesso avviso dello scrivente, sembrerebbe in qualche misura esortare la Corte di Giustizia a “correggere il tiro” dell’Adunanza plenaria in punto di disapplicazione della normativa sulla proroga legale, tanto che i quesiti formulati si concentrano eminentemente sulla possibilità di riconoscere alla direttiva Bolkestein effetti diretti, esponendo alla Corte – nel solco di una consolidata giurisprudenza della Sezione Lecce[12] – le ragioni per le quali siffatta direttiva non godrebbe d’immediata applicazione nell’ordinamento italiano.
Invero, l’ordinanza rilancia la tesi dell’assenza di effetti diretti in capo alla direttiva Bolkestein e al suo art. 12 in particolare. Già all’epoca del primo rinvio si riscontravano opinioni divergenti sulla natura della direttiva n. 2006/123/CE: oggi la tematica dovrà essere affrontata dalla Corte di Giustizia anche alla luce della giurisprudenza, successiva al 2016, che – in un modo o nell’altro[13] – ha ritenuto che la direttiva servizi sia pienamente idonea ad applicarsi alle concessioni balneari.
Occorre, infatti, rammentare che sembrerebbero militare nel senso della disapplicazione delle proroghe ex lege non solo la lettura della sentenza Promoimpresa[14] e la successiva maggioritaria giurisprudenza amministrativa[15], ma anche la seconda procedura d’infrazione promossa dalla Commissione europea[16], il recente arresto della Plenaria[17] – recepito da alcune Sezioni semplici del Consiglio di Stato[18] e dal Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana[19] –, la stessa Corte di Cassazione nella sentenza prima citata.
Ad ogni buon conto, la giurisprudenza costituzionale[20], nel riconnettere la potestà legislativa a quella riservata allo Stato in materia di tutela della concorrenza ai sensi dell’art. 117, comma 1, Cost., ha sollecitato un intervento del legislatore nel rispetto del diritto eurounitario e dell’evidenza pubblica: potrebbe, in tal senso, avvalorarsi la tesi del T.A.R. Puglia della necessità di uno specifico recepimento della direttiva nel settore de quo.
Tuttavia, la stessa Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il ricorso per conflitto tra poteri dello Stato promosso da una minoranza parlamentare avverso le pronunce della Plenaria[21] e, dall’altro lato, il legislatore che, nei primi mesi del 2022[22], sembra sia riuscito a superare la cronica incapacità di regolare le concessioni balneari in punto di tutela della concorrenza, rendendo così prematuro un rinvio alla Corte di Giustizia, sebbene l’attuale crisi di governo non lasci ben sperare in una celere evoluzione legislativa.
Tutto ciò premesso, nel presente lavoro si focalizzerà l’attenzione su talune delle tematiche che sono state oggetto di rinvio pregiudiziale, consci, tuttavia, delle molteplici complessità ermeneutiche, di carattere sostanziale e processuale, che sono emerse dalle sentenze della Plenaria[23]: ne consegue che oggetto d’interesse delle pagine seguenti sarà l’idoneità o meno del diritto eurounitario – e, in particolare, della direttiva servizi – a regolare il settore delle concessioni balneari.
Al fine di perseguire il suddetto obiettivo, occorre, su un più piano generale, sin da ora osservare come l’oggetto del rinvio pregiudiziale inerisca al rapporto intercorrente fra ordinamento sovranazionale (Unione europea) e ordinamenti nazionali (quelli degli Stati membri), ancorché il T.A.R. Puglia sembri omette di sussumere compiutamente la normativa sulle proroghe legali entro l’interpretazione fornita dalla pronuncia Promoimpresa – anche in prospettiva delle osservazioni esposte dalla Commissione europea[24] – e trascuri un richiamo alla giurisprudenza Granital[25]della Corte costituzionale, quantunque esso avrebbe potuto meglio definire il “coordinamento” fra fonti nazionali e dell’Unione europea.
Quanto scritto potrebbe avere una qualche utilità anche in termini di eventuale irrilevanza (se non di irricevibilità[26]) del rinvio pregiudiziale, soprattutto qualora si tenga a mente che, in controversia analoga, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio[27] è pervenuto a conclusioni opposte, nell’affermare che le decisioni «cui è giunta la Plenaria inducono il Tribunale a ritenere non sussistenti i presupposti per la rimessione alla Corte di Giustizia delle questioni pregiudiziali prospettate dal Sindacato Italiano Balneari […] al pari delle questioni di legittimità costituzionale ivi dedotte da ritenersi non rilevanti ai fini della decisione del presente giudizio, proprio in ragione del citato orientamento dell’Adunanza Plenaria»[28].
2. I quesiti pregiudiziali sollevati dal TAR Puglia: un nuovo contrasto giurisprudenziale?
Come già osservato, l’ordinanza de qua solleva nove quesiti pregiudiziali fra loro concatenati, fondati sull’asserita mancanza di effetti diretti in capo alla direttiva servizi e volti ad interrogare la Corte di Giustizia in merito alle possibili ricadute scaturenti da un eventuale riconoscimento della natura self-executing in capo alla medesima direttiva.
Prima di procedere ad una succinta disamina dei quesiti, appare corretto proporre due considerazioni di carattere generale.
In primo luogo – ma si tratta, invero, di una perplessità scaturente anche dalla lettura delle stesse pronunce della Plenaria[29] –, l’ordinanza omette di prendere in esame la possibilità che la direttiva servizi sia una direttiva recepita, ancorché in modo parzialmente errato e, pertanto, non necessitante di un complesso esame sulla sussistenza dei requisiti per l’“auto-esecutività”, quanto dell’elisione delle disposizioni con essa confliggenti e, in particolar modo, quelle sulle proroghe legali. In particolare, nel ragionamento della Plenaria – e ciò appare quantomeno singolare – manca un qualsivoglia richiamo al d.lgs. n. 59/2010, di recepimento della direttiva Bolkestein[30], sicché il massimo organo della giustizia amministrativa muove direttamente alla ricostruzione della natura self-executing.
Similmente alla Plenaria, nella motivazione dell’ordinanza in commento il Collegio afferma che «a seguito della legge di delega n. 88/2009 (art. 41), è intervenuto il decreto legislativo 26.3.2010 n. 59, di formale recepimento della direttiva 2006/123»[31], senza però sviluppare ulteriormente il rilievo. In merito questo aspetto, sebbene si possa richiamare quanto osservato da una voce della dottrina circa l’irrilevanza del d.lgs. n. 59/2010[32], non sembra rispondere a criteri di logicità e, forsanche, di economicità che il giudice nazionale interroghi la Corte di Giustizia circa l’effetto diretto di una direttiva, allorché questa sia stata formalmente recepita e senza motivare in ordine all’inidoneità della normativa nazionale di recepimento a soddisfare gli obiettivi posti dalla direttiva medesima.
In secondo luogo, dalla lettura dell’ordinanza di rinvio non sempre è chiaro comprendere il legame tra le fonti dell’Unione europea e quelle dell’ordinamento nazionale: il Collegio afferma che il diritto derivato si pone in “stretto”[33] rapporto gerarchico con la Costituzione e con le fonti primarie. Simile ricostruzione del T.A.R. Puglia appare alquanto insolita, in assenza di un collegamento con la giurisprudenza costituzionale, la quale sembrerebbe ritenere che la risoluzione delle antinomie fra diritto interno e diritto eurounitario si fondi, in generale, sul criterio di competenza e non su quello gerarchico.
Ciò premesso, i quesiti possono essere riassunti come segue.
Innanzitutto[34], il Collegio interroga la Corte sull’effettiva validità della direttiva servizi, la quale sarebbe una direttiva di “armonizzazione”, adottata in violazione dell’art. 115 TFUE[35], vale a dire in assenza del prescritto requisito dell’unanimità.
In seconda battuta, l’ordinanza sviluppa una serie di quesiti concernenti l’effetto diretto[36]: se la direttiva Bolkestein presenti i requisiti di sufficiente dettaglio e di assenza di discrezionalità imprescindibili affinché la medesima sia considerata auto-esecutiva; se, nel caso di assenza di effetto diretto, possa darsi applicazione alle disposizioni nazionali contrastanti, salve le sanzioni per inadempimento a carico dello Stato italiano; se – ma il quesito appare, in certa misura, tautologico –, riconosciuta la natura self-executing la direttiva servizi, essa sia direttamente applicabile, ovvero si limiti a creare un obbligo in capo alla Stato membro; se la qualificazione di una direttiva come avente effetto diretto spetti solo al giudice nazionale o anche al funzionario della pubblica amministrazione; se ritenuta la direttiva n. 2006/123/CE self-executing, l’applicazione del suo articolo 12 esiga il carattere dell’interesse transfrontaliero certo di cui all’art. 49 TFUE[37].
Inoltre, il T.A.R. chiede se spetti al giudice nazionale statuire sulla «sussistenza, in via generale ed astratta, del requisito dell’interesse transfrontaliero certo riferito tout-court all’intero territorio nazionale» e sulla «sussistenza, in via generale ed astratta, del requisito della limitatezza delle risorse e delle concessioni disponibili riferito tout-court all’intero territorio nazionale»[38].
Infine, «qualora in astratto ritenuta la direttiva 2006/123 self-executing, se tale immediata applicabilità possa ritenersi sussistere anche in concreto in un contesto normativo – come quello italiano – nel quale vige l’art. 49 Codice della Navigazione […] e se tale conseguenza della ritenuta natura self-executing o immediata applicabilità della direttiva in questione […] risulti compatibile con la tutela di diritti fondamentali, come il diritto di proprietà, riconosciuti come meritevoli di tutela privilegiata nell’Ordinamento dell’U.E. e nella Carta dei Diritti Fondamentali»[39].
Dei summenzionati quesiti, il settimo e l’ottavo, concernenti l’accertamento dell’interesse transfrontaliero e la scarsità della risorsa concessa, appaiono di particolare rilievo, allorché pongono dubbi sulla corretta interpretazione dell’art. 12 della direttiva servizi e dell’art. 49 TFUE. Elementi questi che, in effetti, non sembrano essere stati considerati in misura sufficiente dalla Plenaria, giacché quest’ultima ha operato una valutazione valevole per l’intero territorio nazionale. Dalla sentenza Promoimpresa, per il vero, sembra scaturire la necessità di un accertamento case by case, in prospettiva delle peculiarità dei singoli territori interessati dal fenomeno concessorio, nonché del fatto che le concessioni sono rilasciate a livello comunale. Dall’ordinanza pare, dunque, emergere un netto contrasto con l’interpretazione della Plenaria, se non altro per i quesiti in parola.
All’opposto, in merito ai quesiti vertenti sull’interesse transfrontaliero certo in quanto tale, essi appaiono di secondo piano, poiché la giurisprudenza della Corte di Giustizia è consolidata nello statuire che il diritto dei Trattati trova immediata applicazione solo ove non vi siano disposizioni di diritto derivato impiegabili. A maggior ragione che, nel caso di specie, è lo stesso T.A.R. Puglia a riconoscere, in aderenza alla Plenaria, che «sulla base di quanto statuito sul punto dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Sent. A.P. 17 e18 del 2021), ritiene il Collegio l’applicabilità dell’articolo 12 della direttiva in questione alle concessioni demaniali marittime, oggetto del ricorso principale». Ne deriva, di conseguenza, che, se sulla riconducibilità dell’art. 12 direttiva servizi alle concessioni balneari non è fatta questione, allora l’art. 49 TFUE esce di scena e i quesiti sul suo portato assumono un taglio prettamente teorico.
Invero, anche il quesito sulla scarsità della risorsa potrebbe affievolirsi. Se non pare esservi dubbio che, ad un rigoroso esame della sentenza Promoimpresa, dovrebbero essere il giudice nazionale e, a monte, l’amministrazione a compiere, nelle singole ipotesi, una disamina circa il carattere “scarso” della risorsa naturale oggetto di concessione, è parimenti vero che il litorale, per quanto vasto possa essere, è sempre contenuto entro limiti spaziali che impediscono il rilascio di titoli non contingentati.
Tutto quanto osservato senza tenere in conto che la fragilità del bene de quo, unitamente alla molteplicità di interessi pubblici sensibili di cui è investito e alla natura di bene demaniale, rendono quanto mai opportuno giungere alla conclusione che il litorale sia sempre una risorsa scarsa, nonché meritevole di una rigorosa attività amministrativa di selezione del concessionario, ogniqualvolta, per l’appunto, tale bene sia sottratto all’uso comune[40].
Per un altro verso, infine, è da notarsi come il contrasto giurisprudenziale in merito all’auto-esecutività della direttiva servizi forse potrebbe riconsiderarsi. Dal tenore letterale del rinvio[41], il contrasto si riduce alla menzione di una sentenza del Consiglio di Stato (Sez. VI, 27 dicembre 2012, n. 6682) senza, di converso, alcun richiamo ai numerosi arresti[42], anche recenti[43], di senso opposto.
Invero, chi scrive, con specifico riferimento alla medesima sentenza del 2012, aveva osservato che «in un primo momento, tanto il Consiglio di Stato, quanto la Corte costituzionale avevano espresso l’opinione che il sistema delle proroghe legali fosse giustificato dalla transitorietà che avrebbe dovuto connotarlo, mettendo, per un verso, il legislatore nella condizione di disporre del tempo opportuno per riordinare la materia e, per un altro verso, ponendo i concessionari al riparo da un’improvvisa interruzione del rapporto»[44] e che «è, infatti, all’indomani della sentenza n. 458/2016, che si assiste ad un tendenziale mutamento nella giurisprudenza, tanto che i Tribunali amministrativi e il Consiglio di Stato si sono prevalentemente uniformati all’interpretazione pregiudiziale»[45].
A completamento delle considerazioni già svolte, nei paragrafi seguenti si tratteranno unitamente le questioni della validità e, soprattutto, degli effetti della direttiva Bolkestein in ordine alle concessioni balneari.
3. La controversa applicabilità della normativa eurounitaria alle concessioni balneari: parziale adesione dell’ordinanza di rinvio alla Plenaria
Una prima circostanza che appare di importanza basilare è quella, già rilevata, per cui l’ordinanza ammette «l’applicabilità dell’articolo 12 della direttiva in questione alle concessioni demaniali marittime, oggetto del ricorso principale»[46].
Il dato appare significativo nella duplice misura in cui, innanzitutto, sembrerebbe che, allo stato, la giurisprudenza amministrativa sia unanime nel riconoscere che le concessioni balneari rientrino nel portato oggettivo della direttiva Bolkestein; il che varrebbe altresì ad attenuare fortemente il contrasto fra l’interpretazione nomofilattica della Plenaria del 2021 e l’ordinanza in commento, spostando il core del rinvio pregiudiziale sull’effettività della direttiva e sul contrasto con la normativa nazionale. In secondo luogo, l’aver riconosciuto, già in sede di ordinanza di rinvio, che l’art. 12 in parola regola la materia vale, quantomeno, ad assopire le questioni relative all’art. 49 TFUE.
Dal portato motivazionale del rinvio, oggetto di quesito rivolto alla Corte di Giustizia non è se le concessioni balneari soggiacciano o meno alla direttiva servizi e al principio di concorrenza, piuttosto “quando” e “fino a che punto” la normativa europea possa scardinare l’impianto regolatorio italiano.
Il sopraggiungere di un regime pienamente concorrenziale è ventilato dalla stessa Sezione di Lecce, basti notare che essa si spinge sino al punto di affermare che la direttiva dovrebbe ritenersi priva di effetti diretti, salvo una responsabilità dello Stato italiano per mancato recepimento.
Se, pertanto, il rinvio verte eminentemente sull’applicabilità dell’art. 12 direttiva Bolkestein, occorre, innanzitutto, attribuire a quello stesso articolo l’interpretazione che del medesimo ha dato la Corte di Giustizia nel 2016, allorché è pervenuta alla statuizione di diritto per cui l’articolo 12 «deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico‑ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati»[47].
Se le cose dovessero stare nel modo che si è descritto, è da ritenere che talune questioni oggetto del rinvio siano state in parte esaurite dalla Plenaria[48] e dalla richiamata giurisprudenza nazionale nel senso della disapplicazione: senza che ciò, ovviamente, impedisca un ulteriore chiarimento pregiudiziale della Corte di Giustizia.
Ad ogni buon conto, una scrupolosa disamina dell’ordinanza esige che essa sia letta sulla scorta di alcuni punti fermi enucleati dalle Istituzioni europee, appunto in forza della rilevanza dell’art. 12 direttiva Bolkestein: in primis, dalla Corte di Giustizia, ma anche dalla Commissione europea.
Cominciando proprio dalla Commissione – sebbene sia chiaro che le interpretazioni formulate da quest’ultima non abbiano la stessa autorevolezza e incisività di quelle della Corte di Giustizia – appare evidente, al fine delle questioni de quibus, la rilevanza degli approfondimenti di cui alla lettera di messa in mora del 2020.
Sinteticamente, la Commissione osserva[49] che, qualora sia identificabile una disposizione di diritto derivato, essa prevale nell’applicazione concreta sul diritto dei Trattati, tanto che, nel caso di specie, l’esistere stesso dell’art. 12 della direttiva servizi confina l’art. 49 TFUE a disposizione di secondario interesse. La Commissione europea appura, inoltre, che «il capo III della direttiva sui servizi (quindi anche l’articolo 12 della medesima direttiva) si applica anche a situazioni puramente nazionali», con la conseguenza che un acclaramento dell’interesse transfrontaliero certo diviene irrilevante. Infine, la lettera di messa in mora precisa quanto si è già avuto la possibilità di osservare[50] in altre sedi, nel senso della necessità di un esame case by case e a livello territoriale dell’eventuale legittimo affidamento e della potenziale scarsità della risorsa, sebbene la Commissione giunga alla conclusione per cui «la legislazione nazionale in questione inevitabilmente riguard[a] concessioni aventi ad oggetto risorse che devono essere considerate scarse in base ai criteri stabiliti dall’articolo 12 della DS e specificati nella sentenza della CGUE»[51].
I rilievi della Commissione europea fanno da contraltare alle statuizioni della pronuncia Promoimpresa e di altra giurisprudenza della Corte di Giustizia. In tal senso, il giudice eurounitario, ha avuto modo nel 2018 di puntualizzare che «per quanto riguarda il contesto in cui si inserisce il capo III della direttiva 2006/123, l’articolo 2, paragrafo 1, di quest’ultima dispone, in termini generali, senza operare distinzioni tra le attività di servizio comprendenti un elemento di carattere estero e le attività di servizio prive di qualsiasi elemento di tal genere, che la direttiva in esame si applica ai “servizi forniti da prestatori stabiliti in uno Stato membro”»[52].
Dal canto suo, inoltre, la sentenza Promoimpresa aveva già assodato che «le questioni pregiudiziali, nella misura in cui vertono sull’interpretazione del diritto primario, si pongono solo nel caso in cui l’articolo 12 della direttiva 2006/123 non sia applicabile ai procedimenti principali, circostanza che spetta ai giudici del rinvio stabilire»[53], che «il fatto che le concessioni di cui ai procedimenti principali siano rilasciate a livello non nazionale bensì comunale deve, in particolare, essere preso in considerazione al fine di determinare se tali aree che possono essere oggetto di uno sfruttamento economico siano in numero limitato»[54] e che una «giustificazione fondata sul principio della tutela del legittimo affidamento richiede una valutazione caso per caso che consenta di dimostrare che il titolare dell’autorizzazione poteva legittimamente aspettarsi il rinnovo della propria autorizzazione e ha effettuato i relativi investimenti. Una siffatta giustificazione non può pertanto essere invocata validamente a sostegno di una proroga automatica istituita dal legislatore nazionale e applicata indiscriminatamente a tutte le autorizzazioni in questione»[55].
Punti fermi dell’interpretazione tanto della Corte quanto della Commissione, dunque, sono: la preminenza dell’art. 12 della direttiva Bolkestein sull’art. 49 TFUE; la sua applicabilità anche a operatori meramente nazionali; la necessaria valutazione case by case dell’eventuale legittimo affidamento; l’accertamento a livello locale e nei singoli casi della scarsità della risorsa, peraltro con una forte presunzione che il litorale sia di per se stesso un bene scarso.
4. (Segue) L’incerto rapporto fra diritto nazionale e diritto dell’Unione: in particolare, la “direttiva servizi” recepita, ma self-executing
Dalla lettura dei passaggi riportati, tanto della Commissione europea, quanto soprattutto della Corte di Giustizia, deriva con chiarezza come parte dei quesiti pregiudiziali sollevati dal T.A.R. Puglia ponga interessanti questioni relativamente al rapporto fra ordinamenti degli Stati membri e Unione europea, collocandosi nel solco di un lungo dibattito scientifico e giurisprudenziale.
Segnatamente, è possibile osservare, in primo luogo, che ogni questione relativa all’art. 49 o all’interesse transfrontaliero certo sia d’interesse secondario, posto che la giurisprudenza nazionale – ivi compresa la stessa ordinanza di rinvio – ha riscontrato l’applicabilità di una disposizione di diritto derivato. Peraltro, come sopra osservato, la Corte di Giustizia ha chiarito che la direttiva servizi rileva anche nel caso di attività prive di «carattere estero»[56].
In secondo luogo, l’asserita invalidità – per violazione dell’art. 115 TFUE – della direttiva servizi in quanto direttiva di “armonizzazione” e non di “liberalizzazione” appare infondata, posto che tale presunzione troverebbe, nella ricostruzione del T.A.R., fondamento nel fatto che la pronuncia Promoimpresa avrebbe usato la locuzione “armonizzare” in riferimento alla direttiva n. 2006/123/CE.
Con maggior precisione, si è indotti a ritenere privo di fondamento questo specifico quesito per taluni motivi: non pare sufficiente a supportare l’invalidità una frase estrapolata da una sentenza della Corte di Giustizia che si stava pronunciando su altri temi[57]; la questione appare del tutto peculiare e insolita, in un contesto di generale riconoscimento – anche da parte del legislatore italiano che l’ha ritualmente recepita – di validità alla direttiva Bolkestein; attenta dottrina ha da tempo chiarito la forte impronta liberalizzante e semplificante della direttiva in parola[58]; dirimente sarebbe poi il dato che la direttiva servizi è stata approvata sulla scorta dell’allora vigente art. 251 del Trattato istitutivo della Comunità europea (cd. “procedura di codecisione”), il quale, a quanto consta, non richiede l’unanimità, e non, come invece sostiene la Sezione di Lecce, sull’art. 115 TFUE, entrato in vigore successivamente.
Per il vero, è da ritenersi che la questione sulla validità e, soprattutto, sull’efficacia della direttiva servizi sia stata semplicemente non sviluppata per intero dall’ordinanza di rinvio, in prospettiva della duplice constatazione per cui, la Sezione rinviante, da un lato, omette il richiamo alla nutrita giurisprudenza costituzionale in merito ai rapporti fra diritto nazionale e diritto dell’Unione e, dall’altro lato, non approfondisce il nesso sussistente fra legislazione interna e direttiva servizi.
È emblematico di quanto appena riportato come dalla lettura dell’ordinanza di rinvio risalti più volte il richiamo alla sola gerarchia[59] quale criterio di risoluzione delle antinomie fra regole eurounitarie e quelle dello Stato membro, senza che sia fatta menzione della giurisprudenza Granital della Corte costituzionale[60], la quale ha da tempo chiarito come ordinamento dell’Unione europea e ordinamento italiano siano autonomi – sebbene fortemente integrati – e governati, di base, dal principio di competenza[61], da cui deriva non l’annullamento[62], bensì la disapplicazione della fonte interna discordante con quella dell’Unione europea e, semmai, un ricorso alla questione di legittimità costituzionale per eliminare quelle disposizioni interne contrastanti con direttive non recepite o non correttamente recepite[63]. Sul punto, a quanto consta, non risultano orientamenti giurisprudenziali tali da scardinare[64] l’assetto dei rapporti tra fonti stabilito dalla sentenza del 1984.
Nondimeno, il T.A.R. Lecce, come si è accennato, non s’interroga sul portato del d.lgs. n. 59/2010 di recepimento in Italia della direttiva serviti. Un richiamo al decreto, il cui esame è stato totalmente omesso anche dalle sentenze “gemelle” della Plenaria[65], viene solo abbozzato dall’ordinanza nel momento in cui il Collegio ricorda che lo Stato italiano ha “formalmente recepito” la direttiva servizi, salvo non farne più alcuna menzione nel prosieguo delle motivazioni del rinvio.
Il rilievo è peculiare: il silenzio sul punto della Plenaria e del T.A.R. appare anomalo qualora si ricordi che il legislatore delegato ha letteralmente trasposto l’art. 12 della direttiva servizi nell’art. 16 del D.Lgs. n. 59/2010. Anomalo per il fatto che, con un articolato sforzo interpretativo – la Plenaria al fine di riconoscere l’effetto diretto, il T.A.R. Puglia al fine opposto – i giudici amministrativi italiani disconoscono l’operato del legislatore, anche quando questi si è mosso nel senso del recepimento.
Ne, parimenti, dall’esame delle motivazioni della Plenaria e dell’ordinanza di rinvio è dato comprendere quale sia la ragione per cui, in ordine all’art. 12, sia necessario interrogarsi sull’effetto diretto, mentre una disamina dell’art. 16 possa essere omessa, anche, eventualmente, nel senso di promuovere una questione di legittimità costituzionale delle norme con esso contrastanti, sulla scorta dell’insegnamento delle citate sentenze Grantital e Fratelli Costanzo.
Considerazione quest’ultima che sembra trovare conforto nella più recente giurisprudenza Popławski[66], ove la Corte di Giustizia – nel ribadire il principio del primato, la disapplicazione in caso di fonti aventi effetto diretto e l’interpretazione conforme anche in caso di fonti prive di effetto diretto – chiarisce che «un giudice di uno Staro membro non è tenuto, sulla sola base del diritto dell’Unione, a disapplicare una disposizione del suo diritto nazionale contraria» a una direttiva[67]. Sembrerebbe, dunque, che nel caso in cui ci sia una normativa di recepimento il giudice nazionale debba tenerne conto: tanto che, proprio in riferimento alla direttiva servizi, la successiva pronuncia Thelen Technopark Berlin GmbH ha pienamente ribadito quanto enunciato nella sentenza Popławski II, precisando tuttavia che «un giudice nazionale non è tenuto, sulla sola base del diritto dell’Unione, a disapplicare una disposizione del suo diritto nazionale contraria a una disposizione del diritto dell’Unione, qualora quest’ultima disposizione sia priva di efficacia diretta (sentenza del 24 giugno 2019, Popławski, C-573/17, EU:C:2019:530, punto 68), ferma restando tuttavia la possibilità, per tale giudice, nonché per qualsiasi autorità amministrativa nazionale competente, di disapplicare, sulla base del diritto interno, qualsiasi disposizione del diritto nazionale contraria a una disposizione del diritto dell’Unione priva di tale efficacia»[68].
Invero, una spiegazione per il mancato esame del decreto italiano di recepimento parrebbe emergere da quell’etichetta di “formale” che il T.A.R. appunta sul D.Lgs. n. 59/2010. Se fossero davvero così – ma la convergenza della Plenaria e del T.A.R. lasciano presumere proprio questo – il ragionamento potrebbe destare alcune perplessità e condurre la giurisprudenza nazionale su una pericolosa china; quella di non attribuire il dovuto riguardo alla normativa di recepimento, senza peraltro siano chiarite le ragioni di siffatto indirizzo.
Dalla disamina dell’ordinanza e delle sentenze gemelle del 2021 – nonché, a quanto è dato sapere dalla dottrina – non emerge alcun motivo per cui, disapplicata la proroga legale, non possa trovare applicazione l’art. 16 del D.Lgs. n. 59/2010. Si tratterebbe, infatti, di dare prevalenza alla normativa interna conforme al diritto eurounitario su quella con il medesimo non concordante. Inoltre, l’operazione garantirebbe una certa quale “economia interpretativa”, evitando lunghe digressioni sull’effetto diretto (e sulle sue conseguenze sui rapporti e sui provvedimenti).
Pertanto, alla luce delle considerazioni svolte sulla validità e sull’efficacia della direttiva servizi, è, quantomai, di elevato interesse scientifico, economico e sociale che il T.A.R. Puglia abbia riproposto la questione alla Corte di Giustizia, nella misura in cui sembra che non si sia ancora addivenuti ad un definitivo consolidamento fra fonti interne e fonti dell’Unione.
Infatti, parte dei quesiti è munita di sicura portata interpretativa: in particolar modo quelli, già esaminati, che concernono l’accertamento della scarsità della risorsa, nonché di conseguenza il possibile legittimo affidamento ingeneratosi nel concessionario uscente. Infatti, tali interrogativi, come si è visto, si pongono in diretta consecuzione della sentenza Promoimpresa, nel senso di una verifica da operarsi nel singolo caso, a livello territoriale e in assenza di automatismi di qualsivoglia genere. Essi, inoltre, pongono le basi per un dialogo con l’Adunanza plenaria e con la Cassazione penale. Ne consegue che, al netto delle considerazioni che sono state esposte in proposito nelle pagine precedenti, sul punto non è irrilevante un chiarimento della Corte di Giustizia, quantomeno al fine di appurare se le valutazioni generalizzate effettuate dalla Plenaria rispondano a quanto richiesto al giudice nazionale dalla pronuncia Promoimpresa.
5. Cenni finali all’ordinanza di rinvio pregiudiziale e osservazioni conclusive
A conclusione della presente nota è possibile tratteggiare un bilancio delle argomentazioni elaborate dal T.A.R. Puglia, Sezione di Lecce, e, innanzitutto, osservare come esso proponga alla Corte di Giustizia la tesi dell’insussistenza dell’effetto diretto in disaccordo, sul punto, con le pronunce nomofilattiche.
Posto che non è in alcun modo precluso al giudice amministrativo sollevare questioni pregiudiziali anche in materie sondate in precedenza dall’Adunanza Plenaria, nel caso di specie appare si stia assistendo al proiettarsi a livello eurounitario di un contrasto giurisprudenziale prettamente interno al giudice amministrativo e, in larghissima misura, dovuto all’inerzia del legislatore statale a riordinare la materia.
Sembra, dunque, che il peculiare approccio alla regolazione delle concessioni balneari del legislatore italiano contribuisca ad assommare incertezza all’incertezza. Non a caso, mentre il legislatore fatica a riformare le concessioni a scopo turistico e ricreativo in aderenza alla direttiva servizi (rectius al d.lgs. n. 59/2010), anche l’Adunanza Plenaria, chiamata a dirimere l’annosa questione, avvalora interpretazioni sostanziali e processuali da più voci ritenute di dubbio portato[69] – sebbene sia stata notata un’analogia con l’operato del Conseil d’État[70] – e, da ultimo, il T.A.R. Puglia propone la tesi della legittimità delle proroghe legali, quantomeno sino ad un recepimento (si direbbe a questo punto “sostanziale”) della direttiva Bolkestein. Rilevante è, dunque, che la Corte di Giustizia sia stata invocata al fine di dirimere questi dubbi.
Infatti, vi è da chiedersi, in un contesto tanto variegato, quali conclusioni possano trarsi o, per meglio dire, quali conclusioni “debbano” trarsi se non altro a favore del consociato, dell’operatore economico e della stessa pubblica amministrazione che quelle regole sulle concessioni balneari devono applicare, esponendosi all’incertezza e, malauguratamente, alla responsabilità in sede penale[71].
Una prima osservazione milita nel senso di ritenere che la Plenaria non abbia sfruttato appieno l’occasione fornitale dal decreto presidenziale di rimessione: essa avrebbe potuto evitare operazioni d’ingegneria giuridica – che tante perplessità hanno suscitato nella dottrina[72] – e forse meglio avrebbe fatto ad usufruire direttamente del rimedio ex art. 267 TFUE rimettendo alla Corte di Giustizia le questioni più spinose: il merito sarebbe stato quello di avere un’interpretazione pregiudiziale immediatamente trasposta in una sentenza dell’Adunanza plenaria.
Una seconda osservazione, dalla quale deriva un forte temperamento della questione, risiede nella constatazione per cui nella prima metà del 2022 già tre Sezioni del Consiglio di Stato[73] – in qualche maniera, seppure imperfetta, affiancate dalla Cassazione penale – si sono adeguate alla Plenaria, il T.A.R. Lazio[74] ha escluso un rinvio pregiudiziale sulla stessa materia e la Corte costituzionale[75] ha dichiarato l’inammissibilità di un ricorso per conflitto di poteri promosso avverso le sentenze gemelle. Rilievi tutti che, pur lasciando piena autonomia all’esame in sede pregiudiziale, non potranno non essere tenuti in adeguata considerazione da parte della Corte di Giustizia.
Una terza considerazione concerne, invece, i limiti dei quesiti sollevati dal Tribunale amministrativo giacché essi, concentrandosi in larghissima misura sulla possibile inefficacia della direttiva servizi, non si pongono il problema che la Corte di Giustizia sposi la tesi opposta, lasciando aperti taluni interrogativi che l’ordinanza avrebbe potuto sottoporre alla Corte medesima e che avrebbero garantito una migliore attuazione della direttiva.
Fra questi rientrano i temi dei cd. “effetti verticali invertiti” e del cd. “rapporto triangolare”, nella misura in cui un eventuale effetto diretto della direttiva Bolkestein si presterebbe ad applicazioni esorbitanti dai comuni “effetti orizzontali”. Come si è avuto modo di precisare in altra sede[76], l’effetto diretto della direttiva servizi potrebbe essere invocato dall’amministrazione nei confronti del concessionario (caso dell’effetto verticale “invertito”), ovvero dall’aspirante affidatario, il quale potrebbe richiedere all’amministrazione di provvedere in merito alla decadenza dei titoli a detrimento dei concessionari in essere (caso del “rapporto triangolare”). Nessuna delle ipotesi menzionate è stata vagliata dalla Plenaria e dal T.A.R. Puglia: permane, ad ogni modo, la possibilità che la Corte faccia uso dei suoi poteri integrativi per esaminare anche queste non secondarie tematiche.
[1] T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, ordinanza 11 maggio 2022, n. 743.
[2] Legge 10 ottobre 1990, n. 287, recante “Norme per la tutela della concorrenza e del mercato”.
[3] Cons. Stato, Adunanza plenaria, sentenze nn. 17 e 18 del 9 novembre 2021, in www.giustizia-amministrativa.it.
[4] Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, reperibile in https://eur-lex.europa.eu.
[5] Numerosi sono i contributi di dottrina che si sono interessati al tema. Fra questi, si rammentano G. Bellitti, La direttiva Bolkestein e le concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali, in Giorn. dir. amm., 2017, 1, p. 60 ss.; L. Di Giovanni, Le concessioni demaniali marittime e il divieto di proroga ex lege, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2016, 3-4, p. 912 ss.
[6] CGUE, Sez. V, 14 luglio 2016, cause riunite C-458/14 e C-67/15, Promoimpresa S.r.l. contro Consorzio dei comuni della Sponda Bresciana del Lago di Garda e del Lago di Idro, in https://eur-lex.europa.eu, nonché in Riv. giur. ed., 2016, 4, p. 385.
[7] Si avrà modo di approfondire questo aspetto nel prosieguo della presente nota.
[8] Il riferimento è, sia concesso, a M. Timo, Funzioni amministrative e attività private di gestione della spiaggia. Profili procedimentali e contenutistici delle concessioni balneari, Torino, 2020, p. 128.
[9] Ordinanze del T.A.R. Lombardia del 5 marzo 2014 e del T.A.R. Sardegna del 28 gennaio 2015, come riportato in epigrafe dalla sentenza Promoimpresa, cit.
[10] D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59, recante “Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno”.
[11] Sul punto P. Otranto, Illegittima proroga ex lege della concessione balneare e reato di “abusiva occupazione dello spazio demaniale”. Cronaca di un finale annunciato (nota a Cass. pen. 22 aprile 2022 n. 15676), in questa Rivista, 27 aprile 2022.
[12] Si è già avuto modo di osservare in altra sede che «a quanto consta, il Consiglio di Stato ha consolidato il menzionato indirizzo, il T.A.R. Puglia, Lecce – seguito da una parte minoritaria dei Tribunali Amministrativi –, si è fatto promotore di un’interpretazione divergente che, traendo fondamento dalla presunta carenza di effetti diretti scaturenti dalla direttiva servizi, ha escluso la disapplicazione delle disposizioni nazionali» (M. Timo, Concessioni balneari senza gara… all’ultima spiaggia, in Riv. giur. ed., 2021, 5, p. 1599): il riferimento è a T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, 15 gennaio 2021, n. 73, e a T.A.R. Toscana, 9 novembre 2020, n. 1377, entrambi in www.giustizia-amministrativa.it.
[13] Su questo aspetto si veda oltre al § 4.
[14] CGUE, 14 luglio 2016, cause riunite C-458/14 e C-67/15, cit.
[15] Cfr., infra, al § 2.
[16] Infra, al § 3.
[17] Cons. Stato, Adunanza plenaria, nn. 17 e 18 del 2021, cit.
[18] Cons. Stato, Sez. VII, 17 maggio 2022, n. 3901, in www.giustizia-amministrativa.it.
[19] CGARS, Sez. giuri., 24 gennaio 2022, n. 116, in www.giustizia-amministrativa.it.
[20] Fra le molte, Corte cost., 9 gennaio 2019, n. 1, in www.cortecostituzionale.it, annotata da P.M. Vipiana, Le concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo fra leggi statali e leggi regionali, in Dir. mar., 2020, 2, p. 440 ss. Cfr. anche A. Lucarelli, Il nodo delle concessioni demaniali marittime tra non attuazione della Bolkestein, regola della concorrenza ed insorgere della nuova categoria “giuridica” dei beni comuni, in http://dirittifondamentali.it, n. 1/2019. Si veda anche Corte cost., 23 luglio 2020, n. 161, con commento di M. Conticelli, Il regime del demanio marittimo in concessione per finalità turistico-ricreative, in Riv. trim. dir. pubbl., 2020, 4, p. 1069 ss.
[21] Si veda il comunicato stampa del 25 maggio 2022, Concessioni balneari: inammissibile il conflitto proposto da sette deputati, in www.cortecostituzionale.it, ove si afferma che «In attesa del deposito della pronuncia, l’Ufficio comunicazione e stampa della Corte fa sapere che il conflitto è stato ritenuto inammissibile per difetto di legittimazione dei ricorrenti a far valere prerogative non loro, ma della Camera di appartenenza».
[22] Cfr., E. Verdolini, Concessioni balneari: è giunto il tempo per una riforma?, in www.eublog.eu, 18 maggio 2022.
[23] Sul punto si rinvia all’attenta riflessione di F. Francario, Se questa è nomofilachia. Il diritto amministrativo 2.0 secondo l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (recensione al fascicolo monotematico dalla Rivista Diritto e Società n. 3/2021 “La proroga delle “concessioni balneari” alla luce delle sentenze 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria”), in questa Rivista, 28 gennaio 2022.
[24] Tanto della prima quanto della seconda procedura d’infrazione: osservazioni che, per inciso, sono alla base dell’ormai decennale disputa giuridica sulle concessioni balneari.
[25] Corte cost., 8 giugno 1984, n. 170, in www.cortecostituzionale.it.
[26] In materia di condizioni di ricevibilità del rinvio pregiudiziale, si rinvia all’attenta ricostruzione di L. Terminiello, Le condizioni oggettive di ricevibilità del rinvio pregiudiziale, in F. Ferraro - C. Iannone (a cura di), Il rinvio pregiudiziale, Torino, 2020, p. 59 ss., in particolare p. 62 e p. 64 ss. (e la giurisprudenza della Corte ivi menzionata) circa la “necessità” dei quesiti e la chiarezza della ricostruzione, da parte del giudice nazionale, delle circostanze fattuali e della regolazione giuridica. A titolo esemplificativo, CGUE, ordinanza 17 luglio 2014, resa nella causa C-107/14, in www.curia.europa.eu, in tema di onere motivazionale relativo alle risultanze che hanno indotto il giudice nazionale a sollevare un nuovo rinvio su materia che era già stata oggetto di uno precedente: benché i quesiti di cui a un rinvio «possano essere più agevolmente soddisfatti quando la domanda di pronuncia pregiudiziale si inserisce in un contesto già ampiamente noto a causa di un precedente rinvio pregiudiziale (v., in tal senso, sentenza Europièces, C‑399/96, EU:C:1998:532, punto 24), spetta tuttavia al giudice del rinvio fornire un minimo di spiegazioni sul quadro in fatto e in diritto, nonché sulle ragioni che l’hanno indotto a sottoporre una nuova questione pregiudiziale».
[27] T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-bis, 11 maggio 2022, n. 5869, in www.giustizia-amministrativa.it.
[28] Diversamente, T.A.R. Marche, Sez. I, ordinanza 25 luglio 2022, n. 439, in www.giustizia-amministrativa.it, ha deciso di sospendere il giudizio in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia.
[29] Sia, sul punto, consentito il richiamo a M. Timo, Concessioni balneari senza gara… all’ultima spiaggia, cit., p. 1609.
[30] Si richiama, in particolar modo, la ricostruzione di M.A. Sandulli, Introduzione al numero speciale sulle “concessioni balneari” alla luce delle sentenze nn. 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria, in Diritto e società, 2021, 3, p. 331 ss.
[31] Ordinanza in rassegna, punto II – Il contesto normativo di riferimento.
[32] Il richiamo è a F. Ferraro, Diritto dell’Unione europea e concessioni demaniali: più luci o più ombre nelle sentenze gemelle dell’Adunanza plenaria?, in Diritto e società, cit., p. 368, il quale, in recente e approfondito scritto, ha osservato che «Non vi è dubbio che la previsione contenuta nell’art. 12 della direttiva risulta provvista di efficacia diretta, in quanto chiara, precisa e suscettibile di applicazione immediata, in particolare, nella parte in cui impone l’obbligo negativo di non prorogare le concessioni demaniali. Al contempo, non rileva che il d.lgs. n. 59 del 2010 abbia formalmente recepito la direttiva servizi, atteso che le successive norme di legge hanno disatteso l’obbligo di non prorogare le concessioni imposto da tale atto dell’Unione».
[33] Ordinanza in rassegna, punto IV - Premesse di ordine generale: gerarchia delle fonti e direttive self-executing, nell’affermare che «Nel caso di conflitto tra due norme, una nazionale ed una unionale, se entrambe idonee a disciplinare la medesima fattispecie, l’interprete non può che fare riferimento alla scala di gerarchia delle fonti del diritto nell’ambito dell’ordinamento giuridico così come etero-integrato dalla normativa dell’Unione europea. La scala di gerarchia delle fonti del diritto vede al primo posto la Costituzione e le leggi costituzionali, seguite nell’ordine dalle norme unionali immediatamente efficaci ed applicabili (come i Regolamenti), dalle leggi nazionali ordinarie, dalle Direttive U.E., dai regolamenti nazionali, ecc. Ciò costituisce per l’interprete una assoluta priorità logica per la soluzione della questione proposta. Occorre in particolare stabilire l’esatta collocazione delle direttive (autoesecutive e non) all’interno del sistema di gerarchia delle fonti».
[34] Primo quesito di cui all’ordinanza in rassegna.
[35] Reperibile al seguente link: https://eur-lex.europa.eu.
[36] Quesiti da due a quattro, ordinanza in parola.
[37] Sesto quesito.
[38] Quesiti settimo e ottavo.
[39] Quesito nono, corsivo nel testo dell’ordinanza.
[40] Si vedano, in generale, le considerazioni di V. Caputi Jambrenghi, L’interesse pubblico nelle concessioni demaniali marittime, in D. Granara (a cura di), In litore maris. Poteri e diritti in fronte al mare, Torino, 2019, p. 68 ss.
[41] Testualmente, l’ordinanza di rinvio, afferma che «Sotto il primo profilo deve rilevarsi che, viceversa, nella giurisprudenza nazionale il tema dell’auto-esecutività della direttiva 2006/123 non è mai stato affrontato specificamente, atteso che nelle varie pronunce dei giudici amministrativi nazionali la natura auto-esecutiva o meno della direttiva è stata data per scontata sia in senso affermativo, sia in senso negativo, in assenza comunque di alcuno specifico approfondimento. Ed invero, accanto a pronunce che hanno semplicemente dato per scontata e presupposta la natura auto-esecutiva, ricorrono altre sentenze di segno diametralmente opposto, così ad esempio in Consiglio di Stato sentenza Sez. VI 27.12.2012 n. 6682».
[42] In proposito si vedano la nota successiva, nonché Cons. Stato, Sez. VI, 18 novembre 2019 n. 7874, in Foro it., 2020, III, 82, con nota di richiami a cura di A. Travi.
[43] Oltre alle già richiamate T.A.R. Lazio, Roma, n. 5869/2022; CGARS, n. 116/2022; Cons. Stato, n. 3901/2022; è possibile ricordare la recente pronuncia Cons. Stato, Sez. VII, 18 maggio 2022, n. 3918, in www.giustizia-amministrativa.it, nella parte in cui afferma che «preliminarmente il collegio osserva che l’appellante non può invocare il comma 682 della legge n° 145 del 2018 con riferimento alla proroga ex lege delle concessioni demaniali le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative - compresa la moratoria introdotta in correlazione con l’emergenza epidemiologica da Covid-19 dall’art. 182,comma 2, D.L. n. 34 del 2020, convertito in L. n. 77 del 2020 - sono in contrasto con il diritto eurounitario, segnatamente con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE. Tali norme, pertanto, devono essere disapplicate sia dai giudici che dalla pubblica amministrazione (così Consiglio di Stato Adunanza Plenaria n° 18 del 9 novembre 2021)».
[44] M. Timo, Funzioni amministrative e attività private di gestione della spiaggia, cit., p. 177.
[45] Ibidem, p. 179. Le pronunce cui ci si riferisce sono: T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 5 maggio 2017, n. 557, confermata in appello dalla Sezione Quinta del Consiglio di Stato (sentenza n. 2960 del 17 maggio 2018); T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 27 aprile 2017, n. 959 (confermata in appella da Cons. Stato, Sez. V, 28 febbraio 2018, n. 1219); Cons. Stato, Sez. VI, 13 aprile 2017, n. 1763 (nonché Cons. Stato, Sez. VI, 10 aprile 2017, n. 1659, 1658, 1654, 1653 e 1652,); Cons. Stato, Sez. V, 27 febbraio 2019, n. 1368; Cons. Stato 17 luglio 2020, n. 4610, tutte in www.giustizia-amministrativa.it.
[46] Ordinanza in rassegna, cit.
[47] Pronuncia Promoimpresa, cit., § 75.
[48] Per l’esame esaustivo della quale si rinvia al menzionato numero monotematico di Diritto e società, 2021, 3.
[49] In particolare, lettera di messa in mora, cit., p. 8.
[50] Sia concesso, nuovamente, il richiamo a M. Timo, Funzioni amministrative e attività private di gestione della spiaggia, cit., p. 172 ss.
[51] La lettera di messa in mora integralmente afferma che «A questo proposito la Commissione osserva che la legislazione nazionale oggetto di questa lettera di costituzione in mora è generalmente applicabile a tutte le concessioni balneari in Italia. Questo è particolarmente evidente nelle disposizioni contenute nell’articolo 1, comma 18, del decreto-legge n. 194/2009, nell’articolo 24, comma 3-septies del decreto-legge n. 113/2016 e nelle proroghe di cui all’articolo 1, commi 682 e 683, della legge di bilancio, ulteriormente estese dall’articolo 100 del decreto-legge n. 104/2020 al fine di ricomprendervi, tra l’altro, le concessioni lacuali e fluviali nonché quelle per la nautica da diporto. Queste disposizioni sono di natura generale e assoluta e non tengono conto né delle specificità locali (ad esempio non vi è alcuna disposizione che limiti tali proroghe alle zone in cui le risorse non sono limitate) né di eventuali valutazioni effettuate nel contesto delle attività di mappatura e di revisione svolte a norma dei commi 677 e 678 della legge di bilancio. La Commissione ritiene pertanto che la legislazione nazionale in questione inevitabilmente riguardi concessioni aventi ad oggetto risorse che devono essere considerate scarse in base ai criteri stabiliti dall’articolo 12 della DS e specificati nella sentenza della CGUE» (p. 8).
[52] CGUE 30 gennaio 2018, Visser Vastgoed Beleggingen, cause riunite C-360/15 e C-31/16, § 100, in www.curia.europa.eu. Con maggior precisione ai § 98 e 99, la Corte statuisce che con «la sua quarta questione, alla quale occorre rispondere in secondo luogo, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se le disposizioni del capo III della direttiva 2006/123, relativo alla libertà di stabilimento dei prestatori, si applichino a una situazione i cui elementi rilevanti si collocano tutti all’interno di un solo Stato membro. A tale riguardo, occorre anzitutto rilevare che il tenore letterale di dette disposizioni non enuncia alcuna condizione relativa alla sussistenza di un elemento di carattere estero. In particolare, l’articolo 9, paragrafo 1, l’articolo 14 e l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2006/123, che vertono, rispettivamente, sui regimi di autorizzazione, sui requisiti vietati e sui requisiti da valutare, non fanno riferimento ad alcun aspetto transfrontaliero».
[53] Pronuncia Promoimpresa, cit., § 62.
[54] Pronuncia Promoimpresa, cit., § 43.
[55] Ibidem, § 56.
[56] CGUE, Visser Vastgoed Beleggingen, cit., § 100.
[57] Si tratta appunto della Promoimpresa la quale, a quanto si ha modo di comprendere, non ha preso in specifica considerazione il tema della validità della direttiva servizi.
[58] V. Parisio, Direttiva “Bolkestein”, silenzio-assenso, d.i.a., “liberalizzazioni temperate”, dopo la sentenza del Consiglio di Stato, A.P. 29 luglio 2011, n. 15, in Foro amm-T.A.R., 2011, 9, p. 2978 ss.
[59] Cfr., in questa nota, al § 2.
[60] In tal senso, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 170 del 1984, ha osservato, in merito ai rapporti fra ordinamento dell’Unione e ordinamento italiano, che «i due sistemi sono configurati come autonomi e distinti, ancorché coordinati, secondo la ripartizione di competenza stabilita e garantita dal Trattato. […] Invero, l’accoglimento di tale principio, come si è costantemente delineato nella giurisprudenza della Corte, presuppone che la fonte comunitaria appartenga ad altro ordinamento, diverso da quello statale. Le norme da essa derivanti vengono, in forza dell’art. 11 Cost., a ricevere diretta applicazione nel territorio italiano, ma rimangono estranee al sistema delle fonti interne: e se così è, esse non possono, a rigor di logica, essere valutate secondo gli schemi predisposti per la soluzione dei conflitti tra le norme del nostro ordinamento. […] l’ordinamento della CEE e quello dello Stato, pur distinti ed autonomi, sono, come esige il Trattato di Roma, necessariamente coordinati; il coordinamento discende, a sua volta, dall’avere la legge di esecuzione del Trattato trasferito agli organi comunitari, in conformità dell’art. 11 Cost., le competenze che questi esercitano, beninteso nelle materie loro riservate» e che «l’effetto connesso con la sua vigenza è perciò quello, non già di caducare, nell’accezione propria del termine, la norma interna incompatibile, bensì di impedire che tale norma venga in rilievo per la definizione della controversia innanzi al giudice nazionale. In ogni caso, il fenomeno in parola va distinto dall’abrogazione, o da alcun altro effetto estintivo o derogatorio, che investe le norme all’interno dello stesso ordinamento statuale, e ad opera delle sue fonti. Del resto, la norma interna contraria al diritto comunitario non risulta - è stato detto nella sentenza n. 232/75, e va anche qui ribadito - nemmeno affetta da alcuna nullità, che possa essere accertata e dichiarata dal giudice ordinario». Peraltro, il punto risulta approfondito dalla nota sentenza Fratelli Costanzo della Corte di Giustizia (CGCE 22 giugno 1989, C-103/88, in eur-lex.europa.eu), ove si è chiarito che: «nelle sentenze 19 gennaio 1982 (Becker, causa 8/81, Race, pag. 53, in particolare pag. 71) e 26 febbraio 1986 (Marshall, causa 152/84, Race, pag. 737, in particolare pag. 748), la Corte abbia considerato che in tutti i casi in cui alcune disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, sia che questo non abbia recepito tempestivamente la direttiva nel diritto nazionale sia che l’abbia recepita in modo inadeguato»: nel caso di specie, il recepimento del 2010 è stato corretto, permangono però talune disposizioni interne precedenti e successive contrastanti, le quali sono destinate a prevalere o per la via della disapplicazione o semmai per la via della questione di legittimità, ma non certo a soccombere sulla scorta di un’asserita prevalenza gerarchica delle fonti primarie interne sulle direttive prive di effetti diretti.
[61] Si veda sul punto, la ricostruzione di F. Sorrentino, Le fonti del diritto italiano, II ed., Milano, 2015, p. 98 ss.
[62] Come, peraltro, dovrebbe essere qualora si applicasse il criterio gerarchico: sul punto, ex multis, cfr. R. Bin - G. Pitruzzella, Diritto pubblico, XVIII edizione, Torino, 2020, p. 302 ss. Più in generale, P. Vipiana, Le fonti del diritto, in S. Baroncelli - A. Morelli - G. Moschella - M. Tiberii - P.M. Vipiana - P. Vipiana, Lineamenti di diritto pubblico, Torino, 2021, p. 97 ss.
[63] Qui cfr. sentenza Fratelli Costanzo, cit., supra nota 59.
[64] È noto che, recentemente, un obiter dictum della stessa Corte costituzionale (sent. n. 269/2017, cit.) abbia sollevato taluni interrogativi sulla piena operatività dei principi statuiti con la sentenza n. 170/1984, cit.: tuttavia, successive pronunce paiono aver fortemente limitato le possibili conseguenze della sentenza n. 269/2017, avvalorando l’attualità della pronuncia Granital. Per un esame approfondito della questione si richiama la dottrina che ha avuto modo di meglio studiare il tema e, in particolare, C. Caruso, Granital reloaded o di una «precisazione» nel solco della continuità, in questa Rivista, 19 ottobre 2020, e N. Lupo, La Corte costituzionale nel sistema “a rete” di tutela dei diritti in Europa, tra alti e bassi, in Amministrazione in cammino, 27 marzo 2020.
[65] Cfr. M. Timo, Concessioni balneari senza gara… all’ultima spiaggia, cit.
[66] Con precisione, CGUE, 24 giugno 2019, C-573/17, Popławski II, in eur-lex.europa.eu.
[67] Nel caso di specie si trattava di una decisione quadro, ma il ragionamento è esteso dalla Corte di Giustizia alle direttive: cfr., CGUE, sentenza Popławski II, cit., § 53 ss.
[68] CGUE, 18 gennaio 2022, C-261/20, Thelen Technopark Berlin GmbH, in eur-lex.europa.eu, § 33. Sul punto L.S. Rossi, “Un dialogo da giudice a giudice”, in Quaderni AISDUE, 23 maggio 2022, p. 68.
[69] M.A. Sandulli, Introduzione al numero speciale sulle “concessioni balneari” alla luce delle sentenze nn. 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria, cit., e F. Francario, Se questa è nomofilachia. Il diritto amministrativo 2.0 secondo l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (recensione al fascicolo monotematico dalla Rivista Diritto e Società n. 3/2021 “La proroga delle “concessioni balneari” alla luce delle sentenze 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria”), cit.
[70] L.S. Rossi, op. cit., p. 66.
[71] P. Otranto, op. cit.
[72] Quali la modulazione degli effetti caducatori sulle concessioni in essere e l’accertamento generalizzato dell’interesse transfrontaliero certo.
[73] Cons. Stato, n. 3901/2022, cit.; Cons. Stato, 3918/2022, cit.; CGARS, n. 116/2022, cit.
[74] T.A.R. Lazio, Roma, n. 5869/2022, cit.
[75] Comunicato stampa del 25 maggio 2022, Concessioni balneari: inammissibile il conflitto proposto da sette deputati, cit.
[76] M. Timo, Concessioni balneari senza gara… all’ultima spiaggia, cit., p. 1620.