SCIA, tutela del terzo e obbligo di riesame. (Nota a Cons. Stato, Sez. IV, 11 marzo 2022, n. 1737)
di Gabriele Serra
Sommario: 1. Premessa. La vicenda contenziosa. - 2. SCIA e tutela del terzo nella giurisprudenza costituzionale. - 3. La sentenza Cons. Stato, Sez. IV, 11 marzo 2022, n. 1737. - 4. Sull’eccezionalità delle ipotesi di “riesame obbligatorio”. - 5. Conclusioni.
1. Premessa. La vicenda contenziosa.
Con la sentenza in commento, il Consiglio di Stato è tornato ad occuparsi delle forme di tutela del terzo controinteressato rispetto ad una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), segnatamente e come sovente accade, in materia edilizia, analizzando dette forme anche alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 45/2019 ed arricchendo gli spunti giurisprudenziali già in precedenza emersi.
Ora, ai fini di una migliore comprensione della decisione e delle considerazioni che seguiranno, è opportuno riassumere la vicenda sottesa alla recente decisione del Consiglio di Stato.
La fattispecie è quella, piuttosto ordinaria, di una rampa carrabile realizzata, nel 2018, in un’area in cui è situato un complesso a destinazione commerciale, a ridosso del confine con la proprietà della società ricorrente che, vista l'opera, aveva presentato istanza di accesso ai documenti e appreso che era stata presentata una DIA nel 2014, poi integrata con SCIA nel 2017 per due volte; di tal che, aveva presentato una istanza al Comune espressamente rubricata – e il profilo può essere rilevante, come si vedrà – “Istanza di annullamento DIA/SCIA, ai sensi del combinato disposto degli artt. 19 e 21-nonies della legge 22 agosto 1990, n. 241”, sollecitando l'amministrazione all'esercizio dei propri poteri in materia. A detta istanza, l'ente aveva risposto, con provvedimento espresso, circa l'infondatezza nel merito, poiché l’intervento edilizio non avrebbe violato le distanze previste nel Regolamento edilizio.
Il T.A.R., sul ricorso proposto avverso tale provvedimento, prendendo atto della sopravvenuta sentenza della Corte Costituzionale 13 marzo 2019 n. 45, lo aveva dichiarato inammissibile, rilevando come la ricorrente avesse tardivamente proposto l'istanza all'amministrazione, in quanto la stessa era stata presentata decorso il termine previsto dalla legge per l'esercizio dei poteri inibitori spettanti in materia alla pubblica amministrazione, pur facendolo decorrere dalla conoscenza della SCIA avuta con l'istanza di accesso. E ciò, sia con riferimento alla domanda di illegittimità dell’omesso esercizio di tali poteri inibitori della pubblica amministrazione, sia alla domanda di annullamento del provvedimento comunale di rigetto dell'istanza[1].
Ciò posto, giova ricordare alcuni profili in merito alla disciplina normativa in tema di strumenti a tutela del terzo rispetto alla SCIA e alla giurisprudenza della Corte Costituzionale che su di essa si è pronunciata.
2. SCIA e tutela del terzo nella giurisprudenza costituzionale.
Senza potersi dilungare sul punto, è noto che la SCIA abbia subìto rilevanti modifiche normative nel corso del tempo e, oggi, sulla base dell'art. 19, comma 1, l. n. 241/1990, il privato che intenda intraprendere una certa attività può presentare all'amministrazione una segnalazione certificata e iniziarne immediatamente l'esercizio[2].
Per quanto qui rileva, nella sua attuale formulazione, l'art. 19, comma 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241 prevede, in capo all'amministrazione competente, in primo luogo, il potere di verificare, entro sessanta giorni dal ricevimento della SCIA (trenta per i casi di "SCIA edilizia", come previsto dal comma 6 bis), la sussistenza dei requisiti per l'esercizio dell'attività intrapresa e, in caso di esito negativo, il potere di adottare i provvedimenti inibitori e repressivi.
Il successivo comma 4 poi, prevede comunque che l'amministrazione possa adottare i provvedimenti sopra descritti anche decorso il termine citato, ma solo in presenza delle condizioni di cui all'art. 21 nonies L. n. 241/1990[3].
La norma, come noto, disciplina l'esercizio del potere di autotutela dell'annullamento d'ufficio ed è, anch'essa, stata oggetto di numerose modifiche normative e, nel testo attualmente vigente, il potere è sottoposto alla triplice condizione che: non siano decorsi più di dodici mesi dall'adozione del provvedimento di primo grado (erano diciotto nella disciplina ratione temporis applicabile al caso deciso dalla sentenza in commento)[4]; sussistano “ragioni di interesse pubblico” per l’intervento dell’amministrazione; in ogni caso, si tenga conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.
Ciò ricordato, tema assai controverso è stato sempre quello della tutela del terzo a fronte della presentazione di una SCIA che abiliti un soggetto allo svolgimento di una attività che possa considerarsi pregiudizievole, quale derivazione dell'altrettanto annoso problema della natura giuridica della SCIA, se inquadrabile come strumento di semplificazione, mantenendo perciò esso natura di atto amministrativo, ovvero di liberalizzazione, conseguentemente essendo qualificabile come atto soggettivamente e oggettivamente del privato[5].
Senza svolgere una analisi diacronica troppo risalente, è noto che l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 15/2011 avesse affermato la natura privatistica della SCIA, quale istituto di vera liberalizzazione, escludendo perciò la sua impugnabilità con una azione di annullamento, ma prevedendo la proponibilità di un’azione formalmente diretta contestare l’atto tacito di mancato esercizio dei poteri inibitori della P.A., che assumeva perciò i connotati di un’azione di accertamento della sussistenza dei presupposti per l’esercizio del potere vincolato e doveroso di inibizione e contestualmente di adempimento e di condanna[6].
Il legislatore intervenne poco dopo detta decisione e, pur confermando l'impostazione "liberalizzatrice" circa la natura dell'istituto in esame, costituente perciò atto privato non direttamente impugnabile, approntò una diversa tutela del terzo che si assumesse leso: l'art. 19, comma 6 ter L. n. 241/1990, introdotto dal D.L. n. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, tutt'oggi prevede che il terzo possa sollecitare con una istanza l'amministrazione all'esercizio delle verifiche ad essa spettanti e, in caso di inerzia della stessa, possa proporre l'azione avverso il silenzio ex art. 31 cod. proc. amm.
A fronte del problematico dato normativo in esame, con particolare riferimento al dies ad quem per l'esercizio dei poteri sollecitatori del terzo[7], era stata sollevata, dal T.A.R. Toscana, questione di legittimità costituzionale della norma in esame, per violazione degli artt. 3, 11, 97 e 117, comma 1, Cost. in relazione all’art. 1 Protocollo addizionale n. 1 CEDU, dell’art. 6 par. 3 del Trattato UE e art. 117, comma 2, lett. m), Cost.), nella parte in cui non prevede un termine per la sollecitazione da parte del terzo delle verifiche sulla S.C.I.A., esercitabile dunque sine die, con pregiudizio perciò dell’affidamento del segnalante circa la legittimità dell’attività intrapresa, del principio di buon andamento della P.A., del principio di certezza dei rapporti tra cittadino e amministrazione[8].
La questione di legittimità costituzionale è stata però respinta dalla Consulta con la sentenza 13 marzo 2019, n. 45, che ha rigettato la tesi del giudice remittente per cui non sarebbe ricavabile dal sistema normativo un termine finale per la richiesta, da parte del terzo, delle verifiche spettanti all'amministrazione[9].
Ad avviso della Corte infatti, il comma 6 ter citato, nell'affermare che il terzo possa sollecitare le verifiche spettanti all'amministrazione, deve intendersi riferito proprio ai poteri di cui ai commi 3, 4 e 6 bis dell'art. 19 L. 241/1990 e, conseguentemente, ai termini ivi previsti deve farsi riferimento per determinare il momento finale entro il quale il terzo possa sollecitare l'esercizio dei poteri dell'amministrazione (60/30 giorni e poi entro i successivi 18 mesi (oggi 12) in presenza degli altri presupposti dell'art. 21 nonies), e proporre, in caso di inerzia, il ricorso avverso il silenzio.
Per usare le parole della sentenza, "decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell’amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo. Questi, infatti, è titolare di un interesse legittimo pretensivo all’esercizio del controllo amministrativo, e quindi, venuta meno la possibilità di dialogo con il corrispondente potere, anche l’interesse si estingue".
La Corte, nel rilevare possibili profili di vulnus alla tutela del terzo derivanti dal principio affermato e paventati dall'ordinanza di rimessione, da un lato, de iure condito, richiama gli ulteriori strumenti comunque previsti a tutela del terzo dall'ordinamento, tra cui in particolare l'azione risarcitoria nei confronti della PA in caso di mancato esercizio del doveroso potere di verifica[10]; dall'altro, de iure condendo, rileva che ciò "non esclude l’opportunità di un intervento normativo sull’art. 19, quantomeno ai fini, da una parte, di rendere possibile al terzo interessato una più immediata conoscenza dell’attività segnalata e, dall’altra, di impedire il decorso dei relativi termini in presenza di una sua sollecitazione, in modo da sottrarlo al rischio del ritardo nell’esercizio del potere da parte dell’amministrazione e al conseguente effetto estintivo di tale potere".
In merito agli assunti ermeneutici raggiunti dal giudice delle leggi, la dottrina ha subito rilevato, per vero in senso critico, come l'impostazione della Consulta offrirebbe al terzo una tutela parziale, in quanto il grado di tutela dipenderebbe dal momento in cui il terzo abbia ad accorgersi della ritenuta illegittimità della SCIA: "se ciò avviene nei trenta (o sessanta) giorni successivi alla segnalazione (evenienza, come detto, assai rara), egli potrà ambire a una tutela piena; se invece ciò avviene nei successivi diciotto mesi, questi dovrà, come anticipato, accontentarsi di una tutela dimidiata, condizionata, nella sua effettività, dall'esistenza del potere pubblico"[11].
In questo senso perciò, è stato altresì rilevato che il terzo, nella ricostruzione della Corte, non appare "portatore di un proprio interesse contrario allo svolgimento dell'attività economica o edilizia avviata e per ciò solo meritevole di tutela, bensì titolare di una posizione giuridica meramente strumentale all'accertamento della conformità oggettiva dell'iniziativa alle disposizioni di legge"[12].
Una diversa questione di legittimità costituzionale della norma, a conferma della complessità del tema e della presenza di interessi confliggenti e tutti meritevoli, in qualche modo, di tutela, era stata proposta, poco prima della pubblicazione della decisione citata della Consulta, anche dal T.A.R. Emilia Romagna, Sez. Parma, questa volta adombrando, specularmente, la violazione del diritto di difesa del terzo controinteressato e la conseguente violazione dell’art. 24 Cost., in quanto, in senso contrario a quanto ritenuto dal T.A.R. Toscana e poi affermato dalla Corte Costituzionale, tale lesione deriverebbe proprio dalla previsione di un limite temporale all'esercizio della tutela del terzo, ricavabile dal sistema[13].
Detta questione di legittimità costituzionale è stata però dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza dalla Corte Costituzionale, con la sentenza 20 luglio 2020 n. 153, non essendo stato attivato nel giudizio a quo un ricorso avverso il silenzio, bensì avendo l'amministrazione riscontrato la diffida del terzo e l'atto in questione era stato impugnato con una ordinaria azione di annullamento; la Corte ha comunque richiamato tutte le conclusioni di cui alla precedente sentenza n. 45/2019 in merito alla tutela del terzo[14].
3. La sentenza Cons. Stato, Sez. IV, 11 marzo 2022, n. 1737.
Orbene, svolte tutte le citate necessarie premesse, con la sentenza in commento il Consiglio di Stato ha riformato la decisione di primo grado, riassunta in apertura, svolgendo alcune rilevanti considerazioni.
In primo luogo, la Quarta Sezione sottolinea che la Corte Costituzionale ha riconosciuto al terzo la possibilità di sollecitare non solo le verifiche di cui ai commi 3 e 6 bis dell'art. 19, ma anche quelle di cui al comma 4, che si esercitano alle condizioni e nei tempi previsti dall’art. 21 nonies della legge n. 241/1990, al quale il comma citato rinvia, con la conseguenza che "ove l’amministrazione adotti un provvedimento di rigetto dell’istanza del terzo, volta a ottenere l’esercizio del potere in autotutela, il terzo medesimo può fare valere in giudizio le proprie ragioni avverse".
Nel caso esaminato dunque, si rileva l'erroneità della sentenza di primo grado che ha affermato l'inammissibilità del ricorso solo perché l'istanza del terzo fosse stata presentata decorso il termine di 30 giorni dalla conoscenza della SCIA edilizia, mentre l’istanza iniziale faceva chiaro riferimento all’art. 21 nonies; istanza alla quale, peraltro, il Comune aveva risposto con provvedimento espresso di diniego nel merito, argomentando sulla legittimità dell'opera realizzata, che veniva quindi impugnato con ordinaria azione di annullamento.
Di tal che, da un lato, il termine per la tempestività dell'istanza di sollecitazione delle verifiche da parte del terzo era quello di 18 mesi (oggi 12) di cui all'art. 21 nonies, che risultava rispettato; dall'altro, "il fatto che il Comune abbia dato riscontro all’istanza con un provvedimento espresso, sia pure di diniego, rende non decisiva, ai fini della controversia in esame, la questione se, nella specie, il Comune fosse obbligato o meno a rispondere all’istanza medesima".
In altre parole, nel caso di specie si controverteva su un caso del tutto speculare a quello che ha dato origine alla seconda delle menzionate sentenze della Corte Costituzionale, la n. 153/2020, non ponendosi proprio una questione di tutela limitata del terzo, avendo l'amministrazione riscontrato l'istanza del terzo nel merito e l'atto in questione era stato impugnato con una ordinaria azione di annullamento.
Tanto sarebbe bastato ad esaminare il ricorso nel merito e valutare la legittimità o meno della motivazione del provvedimento di diniego in autotutela.
Ciò in quanto, per consolidata giurisprudenza, se l’Amministrazione risponde negativamente a una richiesta di autotutela, tale diniego è impugnabile e sindacabile in sede giurisdizionale solo laddove lo stesso non si atteggi come un atto meramente confermativo di precedenti statuizioni, e come tale privo di autonoma portata lesiva[15].
Ma la decisione qui annotata procede oltre, ritenendo ciò necessario ai fini conformativi del riesercizio del potere della p.a.
A questo fine, il Consiglio di Stato, richiamando anche alcuna giurisprudenza espressasi già in precedenza in termini, afferma la peculiarità del potere di autotutela dell'amministrazione di cui all'art. 19, comma 4 L. n. 241/1990 rispetto al generale potere di annullamento d'ufficio, che non sarebbe discrezionale nella sua attivazione, come invece sopra visto in linea generale, ma, in presenza dell'istanza del privato, l'amministrazione sarebbe tenuta ad avviare il procedimento "anche per l’intima connessione di tale potere col più generale dovere di vigilanza che incombe al Comune sull’attività edilizia ai fini dell’ordinato assetto del territorio".
Ciò vieppiù a seguito della sentenza della Corte Costituzionale, che "ha messo in evidenza la questione di possibili lacune nella tutela del terzo confinante rispetto agli interventi realizzati sulla base della SCIA"; di tal che, ad avviso della sentenza in esame, "l’amministrazione, a fronte di una denuncia da parte del terzo, ha l’obbligo di procedere all’accertamento dei requisiti che potrebbero giustificare un suo intervento repressivo e ciò diversamente da quanto accade in presenza di un “normale” potere di autotutela che si connota per la sussistenza di una discrezionalità che attiene non solo al contenuto dell’atto ma anche all’an del procedere, (…) in quanto coniuga in modo più equilibrato le esigenze di liberalizzazione sottese alla SCIA con quelle di tutela del terzo (e, ora, viene incontro alle preoccupazioni manifestate dalla Corte costituzionale)"[16].
Di tal che, ritenendo fondato nel merito il ricorso, giacché, in senso contrario a quanto affermato nel provvedimento di diniego di annullamento d'ufficio, è risultata la violazione delle distanze stabilite dal Regolamento edilizio comunale, la sentenza qui in esame conclude che "l’Amministrazione comunale, nell’esercitare nuovamente, a seguito dell’annullamento, il proprio potere in autotutela secondo quanto stabilito dalla presente sentenza, verificherà la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 21-nonies, della legge n. 241/1990".
4. Sull’eccezionalità delle ipotesi di “riesame obbligatorio”.
Ora, la decisione in commento stimola alcune osservazioni, che potremmo compendiare nella nota espressione manzoniana adelante con juicio.
È, infatti, in primo luogo, doveroso riconoscere come la formulazione dell'art. 19, comma 6 ter L. n. 241/1990, anche per come interpretata dalla Corte Costituzionale, abiliti a ritenere che l'amministrazione, sull'istanza del terzo controinteressato all'attività economica o edilizia intrapresa sulla base di una SCIA, sia tenuta a riscontrare detta istanza, anche se rivolta all'attivazione delle verifiche alle condizioni di cui all'art. 21 nonies L. n. 241/1990, avviando il relativo procedimento; se non altro, per la chiara attribuzione al terzo del rimedio del ricorso avverso il silenzio in caso di inerzia.
E tuttavia, le deviazioni rispetto alle ordinarie regole che governano il potere di autotutela dell'amministrazione si fermano (e devono fermarsi) qui.
Infatti, in linea generale, deve essere richiamato e ribadito il principio, davvero consolidato nella giurisprudenza e nella dottrina, per cui non si ravvisa alcun obbligo per l’Amministrazione di pronunciarsi su un’istanza volta ad ottenere un provvedimento in via di autotutela, non essendo coercibile ab extra l’attivazione del procedimento di riesame, costituendo l’esercizio del potere di autotutela facoltà ampiamente discrezionale dell’Amministrazione, che non ha alcun dovere giuridico di esercitarla, con la conseguenza che essa non ha alcun obbligo di provvedere su istanze che ne sollecitino l’esercizio, per cui sulle stesse non si forma il silenzio e la relativa azione, volta a dichiararne l’illegittimità, è da ritenersi inammissibile[17].
Invero, proprio la disciplina di cui all'art. 19, comma 6 ter L. 241/1990 in tema di SCIA, è stata valorizzata, in dottrina, al fine di affermare come l'avvio del potere di autotutela debba considerarsi "obbligatorio" in presenza dell'istanza del privato che lo solleciti[18].
Unitamente alla norma citata, vengono richiamati, quali indici ulteriori in tal senso, le c.d. denunce qualificate, in particolare con riferimento alle Autorità Indipendenti[19]; le norme in materia di autotutela tributaria[20]; le considerazioni giurisprudenziali in merito all'obbligo di riesame in caso di istanza presentata durante la pendenza del termine per impugnare[21], nonché in presenza di riesame esercitato su analoghe istanze presentate da altri soggetti nella medesima situazione[22].
Altra fattispecie ritenuta rilevante sarebbe quella dell'obbligatorio riesame del provvedimento di primo grado, pur divenuto definitivo, per contrasto con il diritto dell'Unione Europea, sulla scorta di quanto ritenuto dalla Corte di Giustizia in presenza di determinati requisiti[23]; impostazione peraltro anche recentemente confermata dalle note sentenza dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato in tema di concessioni demaniali marittime, che, pur non ritenendo integrata la fattispecie, hanno espressamente ribadito tali assunti[24].
Su tali basi, si giungerebbe dunque ad affermare che il soggetto che invochi l'esercizio del potere di autotutela in capo alla p.a. sarebbe titolare di una posizione giuridica soggettiva qualificata, che dovrebbe in generale essergli riconosciuta quando potrebbe ricevere dall'annullamento in autotutela un vantaggio specifico e differenziato rispetto all'interesse generale alla legalità[25].
Ma questa generalizzazione non è tuttavia condivisibile.
Come lucidamente rilevato da altra recente dottrina infatti, a livello generale, la qualificazione di una situazione giuridica soggettiva necessita di indici positivi di rilevanza per l'ordinamento, non essendo sufficiente la mera corrispondenza di un interesse materiale privato con l’esercizio di un potere amministrativo; in particolare, "non sembra che possa ritenersi autonomamente qualificato dall’ordinamento l’interesse di chi aspiri a ottenere l’annullamento d’ufficio di un atto lesivo", in quanto nessun indice normativo conduce in tal senso, né l'art. 21 nonies fa riferimento alla posizione dell'istante[26].
Dunque, le argomentazioni sull'obbligo di riesame, pure rese dal Consiglio di Stato nella sentenza in commento, devono restare ben circoscritte alla situazione dell'amministrazione che riceva una istanza di esercizio delle verifiche di sussistenza dei requisiti per l'esercizio dell'attività oggetto della SCIA; sotto questo profilo d'altronde, non si tratta, nel caso di specie, propriamente dell'esercizio del potere di annullamento d'ufficio in senso proprio, in quanto, come noto, manca un provvedimento amministrativo di primo grado su cui intervenire, stante la natura privata della SCIA[27].
Esso è più propriamente un potere di controllo spettante all'amministrazione ex post, mancando il controllo a monte tipico dei provvedimenti autorizzatori, trattandosi di attività sì libera, ma pur sempre soggetta a regole; ecco che quindi ciò può spiegare come rispetto a questi poteri sia ammessa una facoltà di sollecitazione da parte dei privati interessati più forte e garantita[28].
5. Conclusioni.
Tali considerazioni assumono una ancor più centrale importanza a mente del fatto che le tesi dottrinali, sopra citate, che hanno proposto una generalizzazione dell'obbligo di riesame, si sono altresì espresse nel senso di una generale vincolatività nel merito dell'annullamento d'ufficio in presenza di una accertata illegittimità, eliminandosi in tal modo qualsiasi valutazione discrezionale che non sia indotta, in sostanza, da un dubbio circa la reale illegittimità dell’atto[29].
Accogliendo dunque questa impostazione, dovrebbe concludersi vieppiù nel caso della istanza del terzo rispetto alla SCIA circa il vincolo in capo all'amministrazione di esercitare i poteri inibitori (o più probabilmente repressivi, visto il tempo decorso), laddove la SCIA fosse stata presentata in carenza dei requisiti, senza che l'amministrazione possa svolgere quella discrezionale valutazione comparativa tra i diversi interessi coinvolti, come previsto ed imposto dall'art. 21 nonies a garanzia dell'affidamento del privato (rectius: segnalante).
Ma tale impostazione appare assai validamente confutata ancora da quella dottrina che ha messo in luce come sia senz'altro vero che sussiste la necessità che l’amministrazione persegua, mediante il controllo spontaneo degli atti assunti, la legalità del proprio operato e che quindi l'autotutela assume anche una funzione di "giustizia nell'amministrazione", ma, a fronte di tali esigenze, nondimeno "si stagliano i principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento, con forza e riconoscimento oggi sempre più robusti"[30].
È ancora perciò centrale, nel bilanciamento, la necessità di una ponderazione discrezionale da parte dell'amministrazione nell'esercizio del potere di annullamento d'ufficio, ricordandosi peraltro come l'art. 97 della Costituzione non ponga su un piano sovraordinato la legalità dell'azione amministrativa rispetto al suo buon andamento, che compendia la cura dell'interesse pubblico concreto e l'affidamento meritevole di tutela del privato[31].
Tali considerazioni appaiono pienamente applicabili anche al, pur particolare, caso del potere di intervento dell'amministrazione, ai sensi dell'art. 19, comma 4 L. n. 241/1990, sollecitato dal terzo che si assuma leso da una SCIA.
Sul piano del diritto positivo, la norma citata chiaramente è riferita alla sussistenza delle condizioni di cui all'art. 21 nonies L. n. 241/1990, la quale, proprio in ossequio alle esigenze di tutela dell'affidamento del privato, richiede una necessaria ponderazione degli interessi pubblici e privati confliggenti. Ma, inoltre, con particolare riferimento alla SCIA, ciò si impone ancor di più nel momento in cui il legislatore, ormai si è chiarito, abbia, con tale istituto, voluto disancorare l'esercizio di attività economiche e edilizie dalla necessità di una previa autorizzazione amministrativa[32].
In ultimo, e il caso oggetto della sentenza qui annotata ne pare essere una valida cartina al tornasole, può fungere da chiave di sufficiente tutela delle esigenze del terzo, l'individuazione del dies a quo di decorrenza del termine per la presentazione dell'istanza di sollecito allo svolgimento delle verifiche della P.A. dalla conoscenza dell'avvenuta presentazione della SCIA stessa.
Invero, la sentenza di primo grado oggetto dell'appello qui esaminato, aveva proprio valutato la tempestività dell'istanza di sollecito dei poteri di verifica della P.A. facendo decorrere il termine per la sua presentazione "dalla piena conoscenza della medesima, a seguito dell’ostensione dei relativi atti da parte dell’Amministrazione comunale in riscontro all’istanza di accesso proposta dalla ricorrente medesima".
Il profilo citato appare peraltro l'unico spazio interpretativo residuo per garantire, de iure condito, una sufficiente tutela del terzo rispetto ad una SCIA, in quanto qualsiasi ulteriore strumento appare invero sconfinare sul terreno proprio del legislatore, anche alla luce dell'invito rivolto dalla Corte Costituzionale, con la citata sentenza n. 45/2019.
Esso infatti, come anticipato, è rivolto, oltre che a impedire il decorso dei termini per le verifiche in presenza di una sollecitazione, proprio a operare una modifica normativa volta a consentire al terzo una conoscenza della SCIA "più immediata": maggiore immediatezza proprio rispetto all'ordinaria conoscenza, acquisibile per il tramite di una istanza di accesso ai documenti amministrativi, della SCIA presentata.
[1] La decisione di primo grado oggetto dell'appello qui esaminato è T.A.R. Sardegna, Sez. II, 20 marzo 2020, n. 177, in www.giustizia-amministrativa.it.
[2] In argomento la bibliografia è particolarmente vasta. V., senza pretesa di esaustività, M.A. Sandulli, La segnalazione certificata di inizio attività (s.c.i.a.) (artt. 19 e 21 l. n. 241 del 1990 s.m.i.), in, M.A. Sandulli (a cura di), Principi e regole dell'azione amministrativa, Milano, 2020; G. Strazza, La s.c.i.a. tra semplificazione, liberalizzazione e complicazione, Napoli, 2020; M.A. Sandulli, La s.c.i.a. nei decreti attuativi della “riforma Madia”, in M.A. Sandulli (a cura di), Le nuove regole della semplificazione amministrativa, Milano, 2016, 74 ss.; N. Paolantonio, W. Giulietti, Commento all'art. 19, in M. A. Sandulli (a cura di), Il codice dell'azione amministrativa, Milano, 2010, 748 ss.; F. Liguori, Le incertezze degli strumenti di semplificazione: lo strano caso della d.i.a. - s.c.i.a., in Dir. proc. amm., 2015, 4.
[3] Come noto, il riferimento all'art. 21 nonies non vale, tuttavia, a qualificare il potere della p.a. sulla SCIA in termini di autotutela decisoria, non venendo qui in rilievo l'esercizio di un potere di secondo grado, stante la mancata adozione di un atto a monte da parte dell'autorità competente. La disciplina dell'annullamento d'ufficio viene, invece, richiamata con riguardo alle condizioni legittimanti l'esercizio del potere inibitorio/conformativo da parte della p.a., come stabilite, appunto, nell'art. 21-nonies della L. n. 241/1990 (cfr. A. Briamonte, SCIA e tutela del terzo: la Corte Costituzionale si pronuncia sul termine ex art. 19, comma 6-ter, l. n. 241/1990, in Dir. Proc. Amm., fasc. 1, 2020, 125).
[4] Con riferimento alla SCIA, l’articolo 2, comma 4, del d.lgs. n. 222/2016 ha precisato che il termine de quo decorre dalla scadenza del termine previsto dalla legge per l’esercizio del potere ordinario di verifica da parte dell’amministrazione competente.
[5] In tema V. V. Cerulli Irelli, Modelli procedimentali alternativi in tema di autorizzazione, in Dir. Amm., 1993, 55; F. Fracchia, Autorizzazione amministrativa e situazioni giuridiche soggettive, Napoli, 1996, 241; M. Mazzamuto, La riduzione della sfera pubblica, Torino, 2000, 139; F. Liguori, Attività liberalizzate e compiti dell'amministrazione, Napoli, 2000 E. Boscolo, I diritti soggettivi a regime amministrativo. L'art. 19 della legge n. 241/1990 ed altri modelli di liberalizzazione, Padova, 2001; L. Ferrara, DIA (e silenzio-assenso) tra autoamministrazione e semplificazione, in Dir. Amm., 2006, 4, 759 ss.
[6] Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 2011, n. 15, in Dir. proc. amm., fasc.1, 2012, 139 ss. con note di R. Ferrara, La segnalazione certificata di inizio attività e la tutela del terzo: il punto di vista del giudice amministrativo e di L. Bertonazzi, Natura giuridica della S.c.i.a. e tecnica di tutela del terzo nella sentenza dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 15/2011 e nell'art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241/90 e in Riv. Giur. Edil., fasc.2-3, 2011, 533, con nota di M.A. Sandulli, Primissima lettura della Adunanza plenaria n. 15 del 2011. È altresì noto che la Plenaria riconobbe anche la possibilità di proporre l'azione in via cautelare, prima ancora del perfezionarsi del termine per l’esercizio del potere inibitorio da parte dell’amministrazione.
[7] In argomento V. A. Berti Suman, Scia e tutela del terzo. Le questioni aperte dopo la riforma Madia ed i decreti attuativi SCIA1 e SCIA2, in www.giustizia-amministrativa.it, 17 giugno 2017. Sostanzialmente, per una prima impostazione, decorsi i termini di sessanta o trenta giorni, al terzo sarebbe consentito unicamente stimolare l’azione di autotutela della P.A., senza garanzia, quindi, che pur a fronte di una S.C.I.A. illegittimamente presentata, l’Amministrazione eserciti i propri poteri repressivi. Tale tesi assicura la stabilizzazione delle posizioni giuridiche, ma certamente compromette la situazione del terzo, dato il ristretto lasso di tempo decorso il quale la carenza dei presupposti non conduce più, automaticamente, all’adozione dei provvedimenti di cui al comma 3. Secondo una diversa impostazione, il terzo potrebbe sempre ottenere l’adozione dei provvedimenti di cui al comma 3 (inibitori), ancorché siano decorsi i termini. L’opposta interpretazione finirebbe infatti per frustrare le esigenze di tutela del controinteressato, tenuto conto che, decorsi i brevi termini di legge (e tenuto anche conto che egli potrebbe non avere immediata conoscenza della S.C.I.A.), la salvaguardia della propria posizione sarebbe condizionata al giudizio discrezionale della Pubblica Amministrazione. Pertanto, se è vero che la tutela del terzo non può essere subordinata all’apprezzamento di interessi pubblici ulteriori rispetto al ripristino della legalità e se, al contempo, è vero che l’art. 19 comma 6 ter non stabilisce un termine decadenziale per la sollecitazione, è giocoforza ritenere che il terzo sia legittimato sine die a richiedere all’Amministrazione di intervenire sull’attività privata.
[8] Cfr. T.A.R. Toscana, Sez. II, con l’ordinanza dell’11 maggio 2017, n. 667, in Riv. Giur. Edil., 2017, 2, I, 328. In tema v. R. Bertoli, SCIA e tutela del terzo: decadenza del potere inibitorio e pretesa al suo esercizio, in Riv. Ital. Dir. Pubbl. Com., 2017, 6, 1392 ss.
[9] Corte Cost., 13 marzo 2019, n. 45, in Foro Amministrativo (Il), fasc.5, 2019, 762, con nota di C. Villanacci, La tutela del terzo nella SCIA: natura e limiti dei poteri della pubblica amministrazione nella ricostruzione della Corte Costituzionale e in Riv. Giur. Edil., fasc. 2, 2019, 318, con nota di S. Capozzi, SCIA e tutela del terzo: la Consulta chiarisce.
[10] Inoltre, la Corte menziona i poteri di cui all’art. 21, della legge n. 241 del 1990, precisamente nella sollecitazione dei poteri di verifica dell'amministrazione in caso di dichiarazioni mendaci o false attestazioni (comma 1), nei poteri di vigilanza, prevenzione e controllo previsti da leggi di settore (comma 2 bis), tra i quali quelli in materia di edilizia, regolati dagli artt. 27 e ss. del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
[11] G. Mannucci, I limiti alla tutela dei terzi in materia di Segnalazione certificata di inizio attività, in Giur. Cost., fasc. 2, 2019, 730.
[12] F. Savo Amodio, S.c.i.a. e tutela del terzo: la complessa ricerca di un equilibrio, in Riv. Giur. Edil., fasc.1, 2020, 29
[13] Cfr. T.A.R. Emilia Romagna, Parma, Sez. II, ord. 22 gennaio 2019, n. 12, in Riv. Giur. Edil., 2019, 1, I, 186.
[14] Cfr. Corte Costituzionale, 20 luglio 2020, n. 153, in Giur. Cost., 2020, 4, 1737.
[15] Cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 24 aprile 2019, n. 2645; Cons. Stato, sez. III, 15 febbraio 2019, n. 1080, entrambe in www.giustizia-amministrativa.it.
[16] In tal senso, la decisione richiama il precedente di Cons. Stato, VI, 3 novembre 2016, n. 4610, che si può v. in Foro it., 2017, 3, III, 143, con nota di V. Mirra.
[17] Cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. IV, 12 settembre 2018, n. 5344, in www.giustizia-amministrativa.it. In dottrina, v. la già risalente posizione di G. Codacci Pisanelli, L’annullamento degli atti amministrativi, Milano, 1939, 151; più recentemente F. Bonamassa, Brevi riflessioni sulla natura discrezionale del potere di annullamento d’ufficio, in A. Sandulli, G. Piperata (a cura di), La legge sul procedimento amministrativo. Vent’anni dopo, Napoli, 2011, 369 ss. Sul tema si v. anche i contributi di F. Francario, Autotutela amministrativa e principio di legalità, in Federalismi.it, n. 20/2015; Id., Profili evolutivi dell’autotutela (decisoria) amministrativa, in A. Rallo, A. Scognamiglio (a cura di), I rimedi contro la cattiva amministrazione: Procedimento amministrativo ed attività produttive imprenditoriali, Napoli, 2016, 9 ss.; Id., Riesercizio del potere amministrativo e stabilità degli effetti giuridici, in Federalismi.it, n. 8/2017; Id., Autotutela e tecniche di buona amministrazione, in A. Contieri, F. Francario, M. Immordino, A. Zito (a cura di), L’interesse pubblico tra politica e amministrazione, Napoli, 2010, II, 107 ss.;
[18] Cfr. in particolare M. Allena, L’annullamento d’ufficio. Dall’autotutela alla tutela, Napoli, 2018.
[19] Su cui V. L. De Lucia, Denunce qualificate e preistruttoria amministrativa, in Dir. amm., 2002, 717 ss.
[20] Il decreto del Ministro delle finanze 11 febbraio 1997, n. 37, contiene un vero e proprio "Regolamento sull’esercizio del potere di autotutela da parte degli organi dell’Amministrazione finanziaria".
[21] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 ottobre 2006, n. 6056, in www.giustizia-amministrativa.it.
[22] Essendo ciò imposto dal principio di imparzialità. In tal senso cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 16 ottobre 1995, n. 1227, in www.giustizia-amministrativa.it.
[23] Ci si riferisce evidentemente alle sentenze Corte di giustizia, 13 gennaio 2004, in C-453/00, Kühne & Heitz e Corte di giustizia, Grande sezione, 12 febbraio 2008, in C-2/06, Willy Kempter. I requisiti sono, come noto, che: a) l’amministrazione disponga secondo il diritto nazionale del potere di riesame; b) l’atto amministrativo sia divenuto definitivo a seguito di una sentenza di un giudice nazionale di ultima istanza; c) tale sentenza, alla luce di una giurisprudenza della CGUE successiva alla medesima, risulti fondata su una interpretazione errata del diritto adottata senza che la Corte fosse stata adita in via pregiudiziale. Vale peraltro già qui richiamare la tesi dottrinale che ha evidenziato come dalle sentenze della Corte di Giustizia citate non si ricava neppure un obbligo di riesame da parte dell'amministrazione in tali casi, ma solo il rispetto del principio di equivalenza, per cui l'atto amministativo anticomunitario deve essere annullabile d'ufficio alle stesse condizioni di quello in contrasto con la normativa nazionale; infatti, le sentenze sono state rese con riguardo ad ordinamenti nei quali è previsto, a differenza del nostro, in via generale un dovere di riesame (Cfr. M. Silvestri, Potere pubblico e autotutela amministrativa. I rapporti tra la pubblica amministrazione e il cittadino nello specchio dell’annullamento d’ufficio, Torino, 2021, 106-110, a cui si rinvia per ulteriori riferimenti dottrinali adesivi).
[24] Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 9 novembre 2021, nn. 17-18, par. 40, sulle quali si possono v., in questa Rivista, i contributi di M.A. Sandulli, Sulle “concessioni balneari” alla luce delle sentenze nn. 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria e F. P. Bello, Primissime considerazioni sulla “nuova” disciplina delle concessioni balneari nella lettura dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato. Si può altresì v. il fascicolo monotematico dalla Rivista Diritto e Società n. 3/2021 “La proroga delle “concessioni balneari” alla luce delle sentenze 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria”, su cui, in questa Rivista, v. la recensione di F. Francario, Se questa è nomofilachia. Il diritto amministrativo 2.0 secondo l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
[25] Peraltro, come si vede, ciò è proprio quanto la dottrina ha affermato in senso critico rispetto alla decisione della Corte Costituzionale, alla quale si obbietta di ritenere che i poteri del terzo denunciante esistano (e si estinguano) col potere dell'amministrazione, negando perciò autonomia alla sua posizione giuridica soggettiva. (Cfr. G. Mannucci, op. cit.); in termini anche R. Greco, I titoli edilizi “semplificati” dopo il Decreto-Legge 16 luglio 2020, n. 76, in www.giustizia-amministrativa.it, che rileva che "e invero, il “cuore” dell’intera problematica qui trattata ruota proprio attorno alla figura del terzo che si assuma pregiudicato dall’attività altrui avviata sulla base di una SCIA: se a costui si riconosce effettivamente una posizione giuridica sostanziale di tipo “oppositivo”, tale da fondarne la legittimazione e l’interesse a reagire in sede giurisdizionale (benché ordinariamente ci si riferisca a tale soggetto con la locuzione di “controinteressato”), allora si pone un serio problema di effettività della tutela attualmente riconosciuta dall’ordinamento. Se, invece, si volesse degradare l’interesse oppositivo del proprietario limitrofo a interesse di mero fatto, negandogli una situazione giuridica qualificata (ma questo neanche la Corte costituzionale lo ha sostenuto), allora sarebbe coerente la mancata previsione di specifici rimedi processuali a suo favore".
[26] Il riferimento è a M. Silvestri, op. cit., in part. 135-139. Tutto il lavoro è invero dedicato alla confutazione, pienamente condivisibile, delle recenti tesi emerse in merito all'annullamento d'ufficio, tanto con riferimento a quelle, qui richiamate, circa la doverosità dell'autotutela, quanto quelle, che peraltro appaiono condurre a conclusioni opposte, in merito all'"esauribilità" del potere di autotutela.
[27] In tema v. M. A. Sandulli, Gli effetti diretti della l. 7 agosto 2015, n. 124 sulle attività economiche: le novità in tema di s.c.i.a., silenzio assenso e autotutela, in Federalismi.it.
[28] Cfr. M. Silvestri, op. cit., 140.
[29] Cfr. M. Allena, L’annullamento d’ufficio, cit., 111 ss., che parla di "presunzione relativa" della necessità di annullare d'ufficio l'atto illegittimo (141). Recentemente v. la panoramica esposta da N. Durante, L'autotutela doverosa, in www.giustizia-amministrativa.it.
[30] M. Silvestri, op. cit., 149.
[31] Cfr. M. Silvestri, op. cit., 151.
[32] Sul tema, si v., ex multis, M. Clarich, Autorizzazioni e concessioni: presidi dell'interesse pubblico o barriere al mercato?, in Astrid - Rassegna, n. 17, 2014, e, sul rapporto tra semplificazione e liberalizzazione, G. Tropea, La discrezionalità amministrativa tra semplificazioni e liberalizzazioni, anche alla luce della l. n. 124/2015, in Dir. Amm., 2016, 1-2, 107 ss.