Potere amministrativo vincolato e riparto di giurisdizione (nota a Cons. giust. amm. reg. sic., 13 settembre 2021 n. 802)
di Alessandro Cioffi
Sommario: 1. Introduzione - 2. Il caso e i fatti - 3. Impostazione del problema - 4. Sul potere autoritativo - 5. Interesse pubblico e interesse privato nel potere-conclusioni.
1.- Introduzione.
La sentenza in esame assume che il potere vincolato sia potere autoritativo e riafferma la giurisdizione amministrativa. In questo modo apre interrogativi profondi. Che significa potere autoritativo? Cosa resta alla giurisdizione ordinaria?
L’impostazione d’una soluzione teorica, che qui può essere solo sfiorata, poggia su acquisizioni della dottrina consolidate ma a volte dimenticate: tutto dipende dal potere giuridico e dall’interesse[1]; e, allo stesso modo, sul versante della giurisdizione ordinaria, tutto dipende dalla capacità giuridica che l’amministrazione usa[2].
2.- Il caso e i fatti.
Conviene iniziare dai fatti. Sempre più spesso la legge prevede poteri amministrativi di accertamento, che verificano l’esistenza di diritti soggettivi. Nel caso in esame, si tratta di accertare il diritto di credito di un soggetto privato verso l’Amministrazione. Difatti, l’art. 9 del decreto-legge 29 novembre 2008 n. 185 prevede che su domanda del creditore le amministrazioni pubbliche certificano “se il relativo credito sia certo, liquido ed esigibile”; l’accertamento è reso “al fine di consentire al creditore la cessione” del credito, a favore di banche o di intermediari finanziari[3].
Alla luce di questa norma, nel caso di specie, un Istituto regionale siciliano (IRVO) certifica l’esistenza di un credito a favore di una banca e, in un secondo momento, ritira la certificazione. Il ritiro è “in autotutela”: l’Istituto ritiene che non sussistano i presupposti di esistenza del credito, giacché il creditore originario ha acquisito il credito a mezzo di un contratto pubblico, che, però, veniva affidato senza gara, in via diretta.
Contro l’atto di autotutela si fa ricorso al giudice amministrativo; ma il Tar Sicilia declina la giurisdizione (Tar Sicilia Sez. I n. 1763/2021). Secondo il Tar, la certificazione verifica che il credito sia certo, liquido ed esigibile, e ciò corrisponde a un presupposto che è “integralmente e analiticamente regolato dalla legge”. Dunque, si legge nella sentenza, non vi è “discrezionalità, né amministrativa né tecnica”, bensì, solamente, il “verificare la sussistenza dei requisiti prescritti per la certificazione”; pertanto, l’attività dell’amministrazione “non è di tipo autoritativo ma meramente ricognitiva e certificativa (non costitutiva di un debito da parte dell’amministrazione medesima)”. Per questo motivo il Tar Sicilia afferma la giurisdizione ordinaria.
In appello la situazione si rovescia e il CGARS riafferma la giurisdizione amministrativa. Nella sentenza si legge che la circostanza che il potere amministrativo sia vincolato - ovvero predeterminato dalla legge nell'an e nel quomodo – “non trasforma il potere medesimo in una categoria civilistica, assimilabile ad un diritto potestativo”, perché l’atto vincolato è sempre esercizio del potere autoritativo, in quanto è “espressione di <<supremazia>> o di <<funzione>>”. Nel particolare, aggiunge il CGARS, “dal punto di vista logico e semantico”, il potere vincolato è “espressione di un motivato giudizio critico”. Dunque, l’esercizio di quel potere, che sul piano dell’oggetto è “verifica dell’esistenza e regolarità dell’obbligazione”, sul piano della direzione delle norme si configura come “finalizzazione al soddisfacimento di un interesse pubblico” e come “procedimentalizzazione dell'attività certificatoria”, delineando una “disciplina di diritto pubblico”. Ne viene, in conclusione, che si tratta di esercizio del potere amministrativo autoritativo e di giurisdizione amministrativa.
3.- Impostazione del problema.
Nei due gradi di giudizio emergono due soluzioni contrapposte, dalle quali si sviluppa una novità: per il Tar l’atto vincolato appartiene alla giurisdizione ordinaria[4], mentre per il CGARS l’atto vincolato appartiene alla giurisdizione amministrativa. Il fattore sottinteso che fa cambiare la giurisdizione è il potere amministrativo; per il Tar l’atto vincolato non è espressione di potere autoritativo, per il CGARS l’atto vincolato è espressione di potere autoritativo. Donde un interrogativo di fondo: che significa potere autoritativo?
4.- Sul potere autoritativo
Il potere autoritativo, si sa, rappresenta il vero fattore sottinteso della giurisdizione, secondo l’insegnamento reso dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 204/2004. Questa concezione sembra riflettersi anche nella sentenza in commento. Difatti, dal ragionamento del CGARS emerge una certa capacità giuridica del potere, che aiuta a identificarne la natura. Si legge che il potere vincolato, pur se predeterminato dalla legge, non si trasforma in “categoria civilistica” e non diventa “diritto potestativo”. Della motivazione colpisce il seguente passo: il potere vincolato resta potere autoritativo, in quanto esprime non solo “supremazia” ma “funzione”. Funzione vuol dire “finalizzazione al soddisfacimento di un interesse pubblico”. Appare così il fattore finale del potere, l’interesse. Precisamente, la funzionalizzazione all’interesse.
Questo fattore funzionale può spiegare anche il contenuto che il potere vincolato assume: si legge nella sentenza che il contenuto vincolato non si esaurisce in un atto ricognitivo e non è “una mera operazione contabile che culmina nella certificazione del credito”, ma, “dal punto di vista logico e semantico”, l’atto è “espressione di un motivato giudizio critico”; questo giudizio critico, sempre nella prospettiva della sentenza in esame, si svolge sul piano delle norme; dice il CGARS che sul piano normativo la funzione assume la forma di una “procedimentalizzazione dell'attività certificatoria”, delineando una “disciplina di diritto pubblico”[5].
In sintesi, quando il potere è vincolato a un fine pubblico, quel potere non è puro riconoscimento di un fatto, ma è giudizio sul fatto, perché verifica che quel fatto sia adeguato all’interesse. Non a caso, la sentenza dice che la valutazione si risolve in un “motivato giudizio critico”.
Questo giudizio critico, nel caso in esame, fa comprendere meglio il motivo del ritiro in autotutela: non si tratta solo di verificare che il credito sia certo, liquido ed esigibile, ma che sia sorto su di un titolo valido; difatti, nel caso di specie, il titolo sembrava malfermo, perché il credito sorgeva da un contratto affidato senza gara. Da qui il dubbio: può certificarsi un credito che nasce da un contratto nullo, quando quella certificazione serve a soddisfare anche interessi pubblici?
Il potere vincolato può spingersi a simili valutazioni?
Secondo il CGARS, la risposta è sì, perché l’estensione dell’oggetto del potere vincolato, dall’esistenza del credito alla validità, è funzionale a soddisfare interessi pubblici, ovvero, nella specie, l’interesse alla spesa pubblica e alla certezza nella circolazione del credito. Viceversa, assecondando lo schema del TAR, la risposta è no, il potere vincolato non può spingersi a tanto, perché la certificazione risponderebbe solo a interessi del creditore privato e quindi sarebbe sufficiente l’accertamento del credito in termini di liquidità, certezza, esigibilità.
Nell’ambito di questo ragionamento, tutto sembra finire all’interesse di fondo. L’interesse pubblico può essere la causa del potere amministrativo e, dunque, la chiave che spiega la giurisdizione amministrativa, e, infine, la chiave di una ricostruzione teorica del potere. In teoria, infatti, esaminando il modo in cui la legge agisce nel definire l’atto vincolato, quando per esempio essa configura il vincolo determinando i presupposti di fatto, in essi, spesso, inserisce anche un vincolo all’interesse pubblico; in questo caso la legge predetermina il potere, ma non lo “trasforma” in categoria civilistica, ovvero non riduce l’atto amministrativo a un quid proprio del diritto civile. Il potere vincolato resta potere amministrativo, perché la legge conserva il vincolo all’interesse e quindi trasfonde nell’atto l’esigenza che quel vincolo si esprima in un “motivato giudizio critico”, come dice la sentenza. Il motivato giudizio critico è l’essenza di ciò che è potere autoritativo: il giudizio sull’interesse.
In questa luce l’interesse sembra porgere al riparto qualcosa di nuovo: sinora, nella ricerca della natura vincolata di un atto, si guardava all’oggetto e all’effetto giuridico dell’atto, e, dunque, era inevitabile che l’atto vincolato venisse fuori come una pura ricognizione, avulsa dal potere e destinata alla giurisdizione ordinaria[6]; se invece si guarda al fine dell’atto, emerge l’interesse e quindi la visione cambia. E allora l’interesse, l’interesse pubblico, può essere un indice che aiuta a riconoscere quando vi sia potere autoritativo, rivelando altresì la giurisdizione amministrativa.
Questa considerazione dell’interesse, come si vedrà nelle conclusioni, ha solo bisogno di essere chiarita sul piano teorico e normativo, ma sul piano del riparto di giurisdizione già emergeva ben chiara e difatti veniva assunta a criterio dall’Adunanza plenaria n. 8/2007. L’Adunanza scioglieva il dubbio del riparto attribuendo l’atto vincolato alla giurisdizione amministrativa; nel particolare, l’Adunanza enunciava questo principio: “anche a fronte di attività connotate dall’assenza in capo all’amministrazione di margini di discrezionalità valutativa o tecnica … occorre avere riguardo, in sede di verifica della natura della corrispondente posizione soggettiva del privato, alla finalità perseguita dalla norma primaria, per cui quando l’attività amministrativa, ancorché a carattere vincolato, tuteli in via diretta l’interesse pubblico, la situazione vantata dal privato non può che essere protetta in via mediata, così assumendo consistenza di interesse legittimo”; di conseguenza, “applicando le esposte coordinate ricostruttive, ritiene questa Adunanza Plenaria che la controversia sia stata correttamente ritenuta dal giudice di primo grado di competenza del giudice amministrativo.”
5.- Interesse pubblico e interesse privato.
Questa forza o influenza dell’interesse andrebbe precisata e resa più sicura: andrebbe tradotta in norme. Su questo piano si osserva che l’interesse orienta il potere già nelle norme che lo regolano. Non a caso il CGARS parla di una “disciplina di diritto pubblico”. Infatti, quando la legge vincola il potere non solo ai presupposti ma anche agli interessi, la lettura dei presupposti è condizionata dagli interessi. Pertanto, il giudizio contenuto nell’atto vincolato non si risolve solo nel verificare se il presupposto esista o non esista, ma si spinge a qualcosa di più, per esempio, nel caso nostro, alla validità del titolo, la quale si aggiunge, come elemento da valutare, al fine di garantire gli interessi insiti nell’atto di certificazione, ovvero, nel caso di specie, l’interesse alla spesa pubblica e alla certezza del credito. Non a caso, in dottrina, si osserva che in ogni atto di certificazione sono insiti interessi pubblici[7]. Pertanto, viene fuori un giudizio di funzionalità dell’interesse, ma deve essere voluto, pensato e derivato dalle norme stesse, altrimenti è arbitrio. Precisamente, un indice di questa funzionalità dovrebbe dedursi dalla norma stessa e, meglio, dal rango e direzione della norma; difatti, se la norma in questione è, come spesso accade, norma di regolamento, è norma di azione e di sicuro contempla interessi pubblici. In conclusione, se la norma, per natura, vincola il potere a fini pubblici, è scontato che la controversia finisca al giudice amministrativo, come già aveva stabilito l’Adunanza plenaria n. 8/2007. Se, invece, per volontà della norma, l’atto è avulso del tutto da interessi pubblici, esso è vincolato a interessi privati e quindi si tratta di rapporti, di obbligazioni, di giurisdizione ordinaria. Questa distinzione emerge chiara anche nell’Adunanza plenaria n. 8/2007, che afferma: “Sembra, infatti, che debba distinguersi, anche in seno alle attività di tipo vincolato, tra quelle ascritte all’amministrazione per la tutela in via primaria dell’interesse del privato e quelle, viceversa, che la stessa amministrazione è tenuta ad esercitare per la salvaguardia dell’interesse pubblico”.
Questa distinzione, a questo punto è chiaro, potrebbe alimentarsi dell’interpretazione funzionale delle norme e potrebbe generare due vantaggi pratici. Il primo è che evita la rottura del criterio classico, basato sull’esercizio del potere e sulla carenza di potere. Difatti, usando la tesi dell’interesse, il criterio del potere si mantiene, perché dire che il potere è vincolato a interessi pubblici vuol dire che sempre di potere amministrativo si tratta; se invece il potere è svincolato da interessi pubblici, l’atto non è espressione di potere amministrativo, ma è espressione di interessi privati e quindi, trattandosi comunque di interessi, allude a una capacità di diritto privato della p.a.; in questo modo, in fondo, il criterio del potere si mantiene.
Questa ricostruzione ha il vantaggio di spiegare anche il criterio in apparenza contrario, quello del Tar Sicilia, per cui l’atto vincolato si sottrae alla giurisdizione amministrativa. Se si osservasse alla lettera questo criterio, andrebbe in crisi il criterio generale, quello fondato su esercizio del potere e carenza di potere: difatti, al giudice ordinario andrebbe l’atto vincolato e non la carenza di potere. Qui sembra giusto aggiungere un breve richiamo allo stato delle cose e alla piega che sembra prendere il criterio in alcune materie. In alcuni casi recenti, la giurisprudenza sembra modificare leggermente il criterio generale del riparto, sostituendo alla carenza concreta del potere la figura di un atto che viene denominato ricognitivo o vincolato. Per esempio, in materia di domanda di permesso di soggiorno per motivi umanitari (Cass. Sez. un., ord. n. 11535/2009; Cons. St., III, 5125/2011), si dice che non vi sono poteri discrezionali dell’amministrazione, bensì solo “atti ricognitivi” dell’amministrazione, volti ad accertare i presupposti fissati dalla legge per l’emanazione del permesso; il giudice aggiunge infine la dichiarazione che in questi casi vi è un diritto soggettivo, riconducibile all’art. 2 e all’art. 10 10 della Costituzione, e per questo motivo si sposta la giurisdizione, da quella del giudice amministrativo a quella del giudice ordinario.
In questo modo, in questo orientamento, in luogo della distinzione “esercizio del potere- carenza concreta del potere”, apparirebbe la distinzione “atto discrezionale-atto ricognitivo”, oppure quella “atto discrezionale- atto vincolato”[8].
Sul piano teorico, si può osservare che l’atto dell’amministrazione, vincolato o ricognitivo che sia, risponde a interessi privati e quindi esprime una diversa capacità dell’amministrazione, una capacità di diritto privato; in questo modo il criterio generale si spiega e si mantiene, perché in fondo sempre di esercizio del potere si tratta, solo che in questo caso si tratta di un potere privato.
In conclusione, la formula dell’interesse permette di distinguere: quando il potere vincolato è finalizzato a soddisfare interessi pubblici, resta potere autoritativo e quindi resta la giurisdizione amministrativa; quando invece il potere non sia vincolato a interessi pubblici, l’atto non è esercizio del potere amministrativo, ma soddisfa interessi privati e quindi ha bisogno d’una capacità privata dell’amministrazione, che possa gestire diritti soggettivi, propri e altrui. Il che spiega la giurisdizione ordinaria.
Tutto dunque potrebbe poggiare sulla distinzione degli interessi e sull’assunto, teorico, per il quale laddove vi siano interessi c’è bisogno di potere e di capacità. Per questo motivo, tutto sta a interpretare le norme della materia alla luce del bilanciamento delle situazioni giuridiche rispetto agli interessi e alle norme. Se l’interpretazione delle norme rivela che la libertà del privato preesiste e che l’interesse prevalente è a suo favore, il potere amministrativo scompare o diviene residuale e quindi è logico parlare di atto “ricognitivo” dell’amministrazione. Purché sia chiaro che quell’atto esprime una capacità di diritto privato e per questo è devoluto alla giurisdizione ordinaria; in questo caso è chiaro che l’amministrazione non ha potere autoritativo e il suo agire è quello che la giurisprudenza chiama “atto ricognitivo”, ma, in verità, non si tratta di un atto amministrativo, ma di un fatto giuridico che manifesta interessi nel diritto civile. Qui non si può approfondire la valenza di questo fatto giuridico, ma, considerato come oggetto della giurisdizione ordinaria, e sotto il profilo della tecnica di tutela dei diritti soggettivi, è acquisito che si tratta di ipotesi in cui l’amministrazione “agisce esercitando la propria capacità di diritto privato” [9]. Si potrebbe forse aggiungere, in senso civilistico, che il fatto giuridico che qui si produce può contenere tante valenze e resta aperta la questione di cosa valga, ma, nella sua efficacia giuridica, di sicuro quel fatto non si riduce a mero fatto come la carenza di potere, ma è un fatto i cui effetti si producono per volontà della legge- effetti non negoziali- a tutela di un interesse privato, e sono determinati ed effettivi, nel concreto, a causa dell’esercizio di una diversa capacità giuridica dell’amministrazione; nel caso nostro, la capacità di diritto privato dell’amministrazione si esprime nel riconoscimento del suo debito verso il creditore privato.
In conclusione, nel fatto giuridico che qui si assume e che appartiene alla giurisdizione ordinaria, non si vede atto amministrativo perché non si vede potere amministrativo, dal momento che non c’è giudizio sull’interesse pubblico; viceversa, appare un agire che è espressione di una diversa capacità dell’amministrazione. Appare così l’importanza dell’interesse e del potere per la produzione degli effetti giuridici[10]. Quanto sia del privato in termini di capacità di produrre effetti giuridici, si apprezza come fattore sottinteso, che si manifesta nella capacità di riconoscere e di limitare i diritti soggettivi. E’ una distinzione, questa, che sembra utile per chiarire la qualità di quel che si produce e quanto si trasfonde nella pratica del criterio di riparto; ma, in fondo, rivela anche l’idea che il riparto delle giurisdizioni non risponde solo a situazioni giuridiche soggettive, ma a norme diverse e a ordinamenti giuridici diversi.
[1] L’impostazione è tratta da ALB. ROMANO, Giurisdizione amministrativa e limiti della giurisdizione ordinaria, Milano, 1975, 113 ss.
[2] Sul versante della tutela civile dei diritti, si acquisisce l’impostazione di F. FRANCARIO, Forme e tecniche di tutela del diritto soggettivo nei confronti della P.A., ora in F. FRANCARIO, Garanzia degli interessi protetti e della legalità dell’azione amministrativa, Napoli, 2019, 317 ss., spec. 318 -319, con sviluppi nelle conclusioni.
[3] Art. 9 del decreto-legge 9 novembre 2008 n. 185, convertito con legge 28 gennaio 2009 n. 2 e s.m.i.- la rubrica dell’art. 9 è intitolata “Rimborsi fiscali ultradecennali e velocizzazione, anche attraverso garanzie della Sace s.p.a., dei pagamenti da parte della p.a.”
[4] La tesi del Tar Sicilia sembra rispecchiare una tesi, ora superata, che in passato era appartenuta al C.G.A.R.S.: v. ordinanza del C.G.A.R.S. 29-1-2007 n. 21, di rimessione all’Adunanza plenaria (la n. 8/2007, di cui meglio si dirà in seguito).
[5] In dottrina cfr. V. CERULLI IRELLI, Lineamenti del diritto amministrativo, Torino, 2021, 567: “La nozione di controversie di diritto pubblico è del tutto speculare a quella di rapporti di diritto pubblico, questa seconda operante sul piano sostanziale, l’altra sul piano della tutela giurisdizionale. Ad ogni rapporto di diritto pubblico, inteso come quello che si instaura nell’ambito di un episodio di esercizio del potere da parte di una pubblica Amministrazione … possono corrispondere controversie … tra i soggetti che sono parti di quel rapporto … Queste controversie sono quelle che costituiscono, appunto, l’oggetto della giurisdizione amministrativa.”
[6] V. per esempio l’ordinanza del C.G.A.R.S. 29-1-2007 n. 21, di rimessione all’Adunanza plenaria (la n. 8/2007), che, invece, finirà col privilegiare un’altra soluzione: riteneva l’ordinanza che dovesse spettare alla giurisdizione ordinaria l’atto vincolato che sia espressione del “potere di accertamento e di valutazione (meramente) tecnica in ordine alla sussistenza di determinati requisiti, senza che residui alcun margine di discrezionalità circa la rispondenza o meno del chiesto riconoscimento all’interesse pubblico.”; in questo caso, secondo l’ordinanza, all’atto vincolato corrisponderebbe un diritto soggettivo.
[7] In questo senso, per la possibilità di configurare un atto vincolato agli interessi pubblici, v. in dottrina G. FALCON, Lezioni di diritto amministrativo, Padova, 2021, 42: “Anche i poteri vincolati sono rivolti al perseguimento dell’interesse pubblico (negli esempi fatti, alla certezza dell’identità delle persone … ): ma ogni valutazione relativa ad esso è stata assorbita dalle norme che regolano l’attività, sicché seguire le norme significa al tempo stesso perseguire l’interesse pubblico da esse definito e in esse in qualche modo incorporato.”
[8] Una notazione incidentale: tra atto ricognitivo e atto vincolato si può far subito una differenza teorica, perché l’atto vincolato presuppone un obbligo giuridico dell’amministrazione, mentre l’atto ricognitivo allude solo alla capacità giuridica e al fatto da accertare, ovvero rivela che l’amministrazione si limita a verificare l’esistenza della situazione delineata ex lege, senza che vi sia discrezionalità dell’amministrazione.
[9] L’impostazione del ragionamento è tratta da F. FRANCARIO, Forme e tecniche di tutela del diritto soggettivo nei confronti della P.A., cit., 317- 319.
[10] Cfr. F. G. SCOCA, La teoria del provvedimento dalla sua formulazione alla legge sul procedimento, Dir. amm., 1995, 1 ss., 33: “da un lato c’è il potere di figurare (o disegnare) l’effetto, determinando la disciplina (il regolamento) degli interessi; dall’altro c’è il potere di costituire l’effetto, realizzando l’assetto di interessi prefigurato.”