Segnalazione di legislazione “oscura, imperfetta od incompleta” da parte del Consiglio di Stato
(nota a Cons. Stato, sez. Consultiva, 9 luglio 2020 n. 1271 e 10 luglio 2020 n. 1278)
di Andrea Crismani
Sommario: 1. Premessa sulla funzione consultiva e giurisdizionale del Consiglio di Stato. 2. La compatibilità della normativa nazionale sull’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale con la normativa euro-comunitaria. 3. La disapplicazione della normativa nazionale. 4. L’ambito di discrezionalità del Giudice. 5. I limiti della supplenza giudiziaria. 6. La segnalazione di norma oscura, imperfetta od incompleta. 7. Conclusioni sull’unitarietà delle funzioni del Consiglio di Stato.
1. Premessa sulla funzione consultiva e giurisdizionale del Consiglio di Stato
Il caso affrontato dal parere del Consiglio di Stato reso in sede di ricorso straordinario al Capo dello Stato[1] riguarda la segnalazione al Presidente del Consiglio dei Ministri che la normativa sulla revoca delle misure di accoglienza[2] risulta in qualche parte “oscura, imperfetta od incompleta” a seguito della sentenza della Corte di Giustizia[3] che ne ha determinato la disapplicazione. La vicenda è interessante in quanto è stata affrontata sia in sede giurisdizionale e sia in sede consultiva e traccia gli ambiti del potere decisorio del giudice.
La sentenza del giudice amministrativo[4] e i citati pareri del Consiglio di Stato si inseriscono in quella latitudine applicativa del principio di legalità che da “principio di regolazione delle fonti del diritto” si è sviluppato in “principio di certezza oggettiva del diritto degli atti amministrativi e legislativi” e in “principio di prevedibilità soggettiva delle decisioni”, principi che molto spesso sono attuati con l’aiuto dell’interpretazione del giudice[5]. La questione è di notevole attualità e in più sedi si sono instaurati dibattiti sul tema. Vi è stato un serrato confronto nelle Giornate di Studio sulla Giustizia Amministrativa a Modanella nel 2017 proprio sulla (ri)lettura del principio del giusto processo “nella prospettiva dell’assicurazione della giustizia intrinseca della decisione, piuttosto che della sua correttezza” e pertanto della sua declinazione “non più limitata alla procedura ma estesa alla sentenza”[6], e nel 2018 in continuità del tema dell’anno precedente è stato innescato il dibattito sul “diritto alla sicurezza giuridica” posto in relazione alla “ragionevolezza delle decisioni giurisdizionali”[7].
Il caso complessivamente considerato nella sua sequenza evolutiva evoca la teoria di Santi Romano sulla “unità funzionale” del Consiglio di Stato nella sua conformazione consultiva e giurisdizionale[8].
Com’è noto uno dei fattori di rischio per lo sviluppo di un Paese è costituito dall’incertezza delle regole che presiedono al corretto esercizio dei poteri pubblici (amministrativi e giurisdizionali) con i quali i cittadini e non, gli operatori e gli investitori sono costretti a rapportarsi[9]. Spesso il legislatore risulta essere “incapace, impotente o rinunciatario”[10] in quanto spesso non esercita la funzione d’indirizzo politico e per converso si pecca nell’eccessiva esaltazione del ruolo del giudice nella soddisfazione dei bisogni della collettività creando così la ibridazione della regola dello stare decisis con quella della nomofilachia[11].
Negli ultimi decenni il Consiglio di Stato ha posto una particolare attenzione sulla qualità “sostanziale” della regolazione. Si è notato che una “normazione di qualità implica non solo coerenza e chiarezza da un punto di vista giuridico-formale (regole leggibili sia per gli operatori che per i cittadini) ma anche essenzialità e minore onerosità da un punto di vista economico-sostanziale”[12].
Il Consiglio di Stato dalle sue lontane origini si occupa della qualità della normazione. All’inizio (1831-1859) ha volto solo funzioni consultive, fino al 1865 ha svolto funzioni consultive e giurisdizionali, dopo l’abolizione del contenzioso amministrativo nel 1865 ritornò a svolgere solo le funzioni consultive e in seguito alla creazione della IV sezione nel 1889 e fino ai nostri giorni svolge funzioni consultive e giurisdizionali.
Si può sostenere che l’esercizio delle funzioni consultive fu anche la ragione per la quale nel 1889 furono (ri)attribuite le funzioni giurisdizionali[13].
Oggi la funzione consultiva s’inserisce nel contesto della complessità normativa dovuta a molteplici fattori tra quali vi rientra il fenomeno della delegificazione che ha portato verso una importante trasformazione delle fonti facilitando al contempo un notevole sbilanciamento a favore del Governo a discapito del Parlamento. Essa inoltre s’inserisce nel contesto della qualità e della fattibilità dell’attività normativa e regolamentare, la quale non è più solo una tecnica meramente redazionale ma è diventata materia oggetto di politica generale di Governo[14]. Ad essa si collega l’obiettivo di ridurre il contenzioso per il quale la qualità della normazione costituisce uno snodo fondamentale[15].
Il Consiglio di Stato “si occupa della normativa” non solo “a monte”, nella fase nomogenetica, attraverso l’esercizio della funzione consultiva ma anche a valle in sede giurisdizionale di applicazione delle regole[16]. Infatti, il Consiglio di Stato nell’ambito della sua funzione consultiva è un “formidabile osservatorio sul contenzioso amministrativo”, in quanto è in grado di effettuare ex ante le valutazioni individuando i profili a maggior rischio di litigiosità[17]. Quest’aspetto circolare ed unitario delle funzioni si è palesato in modo particolare nella materia dei contratti pubblici e nell’attuazione della c.d. legge Madia.
Quale sia però oggi il rapporto, e se vi sia un rapporto, tra la funzione consultiva e quella giurisdizionale è un aspetto che fa riemergere il pensiero di Santi Romano, secondo cui la funzione consultiva e quella giurisdizionale implicano entrambe un sindacato sugli atti amministrativi, l’uno preventivo, l’altro repressivo.
2. La compatibilità della normativa nazionale sull’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale con la normativa euro-comunitaria
Nel concreto la questione affrontata nei pareri che si commentano si inserisce nel contesto della compatibilità della normativa nazionale sull’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale con la normativa euro-comunitaria e, in particolare, riguarda l’approccio assunto dal giudice nazionale di fronte ad una pronuncia della Corte di Giustizia emessa in sede di rinvio pregiudiziale in un altro Stato. In queste ipotesi, com’è noto, la Corte europea non risolve la controversia nazionale, ma spetta al giudice nazionale sciogliere la questione conformemente alla decisione del giudice europeo che vincola egualmente gli altri giudici nazionali nel caso in cui è sottoposto un problema simile.
La Corte di Giustizia si è espressa sulla portata dell’art. 20, par. 4, della direttiva 2013/33[18] che attribuisce agli Stati membri il diritto di stabilire le sanzioni applicabili quando un richiedente protezione internazionale si sia reso colpevole di una grave violazione delle regole del centro di accoglienza presso cui si trova o di un comportamento gravemente violento[19].
Il caso riguardava un richiedente protezione internazionale ospitato in Belgio in un centro di accoglienza che è stato coinvolto in una rissa fra residenti di origini etniche diverse. A seguito di tali fatti, il direttore del centro di accoglienza ha deciso di escluderlo, per un periodo di quindici giorni, dall’assistenza materiale. Il giudice d’appello chiamato a decidere sulla pronuncia di primo grado che respingeva il suo ricorso contro la decisione di esclusione, ha sottoposto alla Corte di Giustizia il quesito sulla possibilità per le autorità belghe di ridurre o revocare le condizioni materiali di accoglienza di un richiedente protezione internazionale.
La Corte ha stabilito che la disposizione normativa belga, letta alla luce dell’art. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, non consente agli Stati membri di infliggere una sanzione consistente nel revocare, seppur temporaneamente, le condizioni materiali di accoglienza del richiedente relative all’alloggio, al vitto o al vestiario.
Essa ha innanzitutto precisato che le sanzioni di cui all’art. 20, par. 4, della direttiva 2013/33 possono, in linea di principio, riguardare le condizioni materiali di accoglienza e conformemente all’art. 20, par. 5, devono essere obiettive, imparziali, motivate e proporzionate alla particolare situazione del richiedente, e devono, in tutte le circostanze, salvaguardare un tenore di vita dignitoso.
Pertanto la revoca, seppur temporanea, del beneficio di tutte le condizioni materiali di accoglienza o delle condizioni materiali di accoglienza relative all’alloggio, al vitto o al vestiario è da considerarsi incompatibile con l’obbligo di garantire al richiedente un tenore di vita dignitoso. Una simile sanzione priverebbe il richiedente asilo della possibilità di far fronte ai suoi bisogni più elementari. Inoltre, violerebbe il requisito di proporzionalità.
Da quanto precede ne consegue che il diritto giurisprudenziale europeo sia una realtà da cui non si può più prescindere ed essa si assume il ruolo di regolare i fenomeni rilevanti per lo spazio europeo nel quale circolano persone e cose imponendosi sugli ordinamenti nazionali.
3. La disapplicazione della normativa nazionale
Il caso è altresì significativo in quanto evoca il ruolo e i limiti del giudice (nazionale) in presenza di anomalie legislative (rilevate in sede euro-comunitaria).
In concomitanza alla celebrazione del giudizio in sede europea si è posta la questione davanti al Tar Toscana. Il caso riguardava un richiedente protezione internazionale, ammesso alle misure di accoglienza, che nel corso della permanenza sul territorio nazionale è stato deferito all’Autorità Giudiziaria per il reato di furto aggravato in concorso con altre tre persone (anch’esse richiedenti protezione internazionale). Conseguentemente, con provvedimento prefettizio è stata revocata la sua ammissione alle misure di accoglienza in base alla lett. e) dell’art. 23 del d.lgs. n. 142/2015, la quale prevede che “in caso di violazione grave o ripetuta delle regole delle strutture in cui è accolto da parte del richiedente asilo, compreso il danneggiamento doloso di beni mobili o immobili, ovvero comportamenti gravemente violenti” il Prefetto dispone, con proprio motivato decreto, la revoca delle misure d’accoglienza.
Inizialmente il Tar aveva disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia la quale nelle pendenze del ricorso al Tar si era pronunciata con la sopra menzionata sentenza nel caso belga. Alla luce di quanto statuito dalla Corte di Giustizia il Tar Toscana si è pronunciato e ha disposto che deve essere disapplicata nel caso concreto la norma di cui alla lett. e) dell’art. 23 del d.lgs. n. 142/2015, con conseguente accoglimento dei ricorsi e annullamento dei provvedimenti impugnati[20].
In dettaglio ha disposto che “le norme interne degli Stati dell’Unione Europea contrastanti con quelle euro-comunitarie, come interpretate dalla Corte di Giustizia, recedono a fronte di queste ultime e, pertanto, devono essere disapplicate nel caso concreto sia in sede giudiziaria che dalla pubblica amministrazione”.
In tale contesto, infatti, osserva il giudice amministrativo che le posizioni giuridiche create dall’Unione “devono essere tutelate in modo uniforme in tutti gli Stati membri” in quanto deve essere garantita “la corretta interpretazione delle norme comunitarie ad opera della Corte di Giustizia le cui pronunce devono irrevocabilmente trovare applicazione all’interno degli Stati”. Di conseguenza “le norme interne contrastanti con quelle eurounitarie non possono trovare applicazione nel caso concreto”.
In sintesi, si può osservare la “statualità del diritto ha ceduto il passo alla globalizzazione dei diritti e delle tutele” nella quali il giudice, nell’ambito della concezione del diritto integrato è chiamato a leggere e interpretare la norma interna in modo che sia compatibile con l’ordinamento configgente.
4. L’ambito di discrezionalità del giudice
Le considerazioni che seguono in merito alla normativa sull’immigrazione in senso lato evocano aspetti che sono di carattere generale e in gran parte rispecchiano la situazione generale inerente la quantità e la qualità della normativa e l’influenza sulla dinamicità e capacità di innovazione del sistema sociale ed economico.
Molte leggi, tra cui quelle che si occupano di immigrazione, sono soggette a un processo in continua rivisitazione legislativa dovuto a una molteplicità di fattori che la rendono spesso instabile.
Nello specifico i mutamenti legislativi sono dovuti alla spinta di situazioni eccezionali derivanti dall’imponente fenomeno dei flussi migratori che toccano i confini esterni della Ue (ad es. nel Mediterraneo) e anche quelli interni (ad es. la rotta Balcanica)[21]. Ad essi si sommano i cambiamenti politici che hanno affrontato il fenomeno in modo diverso, e di recente, in un’ottica di politiche securitarie, che per certi versi sono ignare della matrice personalistica del diritto costituzionale e, potenzialmente in conflitto con i principi dell’ordinamento nazionale ed eurocomunitario[22].
Vi si aggiunge a livello esterno il legislatore euro-comunitario il cui approccio per la questione migratoria, al pari di molti legislatori nazionali, è relegato “dentro un orizzonte geopolitico ristretto e stabile, popolato di individui e Stati nazionali dai confini ben precisi”[23].
In un contesto generale va invece considerata la pluralità dei centri di normazione e la tipologia delle fonti che spesso spostano il baricentro delle competenze dal Parlamento al Governo sia in occasione della decretazione di urgenza e sia in ambito c.d. delegificatorio con fonti governative primarie (decreti legislativi) e fonti di rango secondario (regolamenti).
Alla fine però, molto spesso, è lo sforzo interpretativo della giurisprudenza (in rapporto diretto con il fatto) e della dottrina (che invece procede dal diritto al caso) a dare o cercare di dare una soluzione tra le tante possibili[24]. Infatti, le questioni migratorie non di rado sono oggetto di contenzioso sia avverso provvedimenti o azioni dell’amministrazione pubblica (in ambito amministrativo e ordinario) sia nei contesti (penali) volti a sanzionare comportamenti penalmente rilevanti dei soggetti coinvolti in vicende migratorie, degli immigrati stessi e dei cittadini nei rapporti con gli immigrati[25].
Talchè la legge molto spesso lascia al giudice ampi margini di discrezionalità interpretativa tanto che l’attività giurisdizionale, nei suoi momenti volitivi e cognitivi, è chiamata a svolgere un ruolo determinante identificando “l’interpretazione più plausibile fra molteplici (inevitabilmente) plausibili”[26] che però non possono prescindere dalle “coordinate segnate dalla necessaria attualizzazione e contestualizzazione del disposto normativo”[27].
Tuttavia accade che queste coordinate mancano in quanto il caso è difficile[28] e spesso è reso tale da un quadro normativo oscuro, non chiaro e impreciso o la disciplina normativa è aperta a clausole generali o manca la disciplina sul caso oppure ancora il giudice è tenuto applicare le sentenze della Corte di Giustizia o della Cedu per cui, in sede di giudizio, si richiede al giudice di interpretarle, ricostruendone il significato[29].
Quando il caso non è facile, cioè al di fuori di applicazione di norme puntuali e specifiche, il giudice dispone di “estesi spazi di discrezionalità”[30] che variano a seconda dei casi ora esposti ed è chiamato a decidere enunciando la regola del caso entro dei limiti (esterni) ben definiti.
Il giudice, innanzitutto, non può rifiutarsi di dare la soluzione alla lite (divieto di non liquet).
Recente giurisprudenza si è espressa sulla questione critica che si rinviene nella difficoltà di trovare la soluzione in quanto rimane però “irrisolta la questione di fondo”. Essa ha evidenziando che il giudice assume comunque una decisione in quanto “al giudice non è consentito pronunciare un sostanziale non liquet” sebbene a causa della “infelice formulazione della norma” (…) “la scelta di un criterio interpretativo in luogo dell’altro implica un risultato finale diverso”[31].
Inoltre la sentenza non può peccare di astrattezza.
Significativa è la posizione del Consiglio di Stato secondo la quale “non esiste regola del caso concreto – e tale è, per definizione, la statuizione giudiziale atta a costituire cosa giudicata – che si presenti, già nella sua stessa formulazione, perplessa, incerta, periclitante, perché ciò contraddice l’essenza stessa della funzione giurisdizionale, che deve essere chiara, sintetica, in funzione della sua certezza e della sua intelligibilità”[32].
In effetti “una motivazione non convinta, da parte dell’organo giudicante, è anche una motivazione non convincente, incapace di esprimere, cioè, in modo sufficiente (…) la pur concisa esposizione delle ragioni in fatto e in diritto che sorreggono la statuizione impugnata”.
5. I limiti della supplenza giudiziaria
Nei casi in cui la norma è aperta oppure è oscura o manca la disciplina sul caso concreto il giudice è chiamato a svolgere una sorta di “supplenza giudiziaria”[33]. Si parla anche di “giudice nomoteta”[34].
In queste ipotesi però si palesa il rischio di uno sbilanciamento del potere giudiziario sugli altri poteri, in particolare quando il giudice è chiamato a colmare un vuoto normativo e gli è chiesto di disciplinare un accadimento non normato sebbene si versi nella contraddizione che in un sistema di civil law non possa darsi un diritto di produzione giurisprudenziale[35]. Sempre più spesso il giudice è, infatti, costretto ad assumere l’improprio ruolo di supplente del legislatore ed è poi esposto al rischio di vedersi accusato di compromettere l’efficacia e l’efficienza dell’azione amministrativa con i suoi interventi[36].
Il discorso è molto più ampio e in questa sede ci si limita solo ad accennare.
In particolare si profilano le varie teorie sull’interpretazione del diritto che il giudice è chiamato a svolgere nell’ambito della sua attività discrezionale che comunque non può prescindere dall’accertamento del fatto.
Una prima teoria avallata maggiormente dalla dottrina muove dal postulato che il creatore della norma non sia il legislatore, ma l’interprete le cui pronunce sarebbero fonti (creazionismo integrale). Una seconda teoria più moderata e accolta dalla giurisprudenza ravvisa l’esistenza di momenti creativi dovuti alla complessità dell’ordinamento o all’ambiguità del linguaggio naturale (creazionismo moderato).
Tuttavia il discorso, ad opinione della dottrina più attenta[37], va impostato su un binario più prudente. In effetti, il fenomeno giuridico è alimentato da una pluralità di centri a cominciare dai privati e dalla pubblica amministrazione fino ad arrivare, in caso di conflitto o di richiesta di tutela, alla giurisprudenza per cui essa è fonte di diritto non perché crea le norme, ma rispettivamente perché “il significato della norma si ricava osservando la quotidiana opera del giudice”[38] o perché “la norma vive nell’interpretazione data dal giudice”[39].
Nel caso del Tar Toscana il giudice ha esaurito il potere decisorio non potendo fare altro che accogliere il ricorso esternando la consapevolezza del rischio di un vuoto normativo in quanto a seguito della disapplicazione della sanzione di ci all’art. 23, d.lgs. n.142/2015, l’ordinamento non prevede alcuna altra sanzione a carico degli stranieri richiedenti protezione internazionale e ammessi alle misure di accoglienza, i quali pongano in essere violazioni gravi delle regole dei centri in cui sono inseriti o comportamenti gravemente violenti.
Il giudice ha così segnato il suo limite e ha constatato che la sua sentenza era in grado di produrre una lacuna venutasi a creare a seguito della sentenza della Corte di Giustizia.
Null’altro ha potuto fare se non rivolgersi indirettamente al legislatore scrivendo nella sentenza che è “responsabilità del legislatore colmare tale lacuna non potendo questo Giudice esimersi dal rispettare l’interpretazione del diritto comunitario così come fornita dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea”.
Il giudice di merito ha instaurato un canale di interlocuzione, sebbene indiretta, con il legislatore.
In una recentissima sentenza in materia di informazione antimafia e garanzia della partecipazione procedimentale, il Consiglio di Stato si rivolge al legislatore affidandosi “alla saggezza” di questi affinchè “nell’ottica di un delicato bilanciamento tra i valori in gioco che hanno una rilevanza, ormai, non solo nazionale” si adoperi per “valutare simili o altri percorsi normativi, che evitino un sacrificio del diritto di difesa sproporzionato, in talune ipotesi che non siano contrassegnate dall’urgenza (…) rispetto alla pure irrinunciabile, fondamentale, finalità del contrasto preventivo alla mafia”[40].
È evidente che in taluni casi il rapporto tra giudice e legislatore è complesso.
Un dato di fatto assodato è che “(è ovvio) che il potere di fare le leggi spetta al Parlamento (art. 70 Cost.), ma è empiricamente falso affermare che il giudice non crei diritto”[41].
Un altro dato di fatto è che l’attività interpretativa del giudice “non può ridursi, come pur si era tentato di prospettare, ad una mero applicatore della legge scritta” in considerazione del “dinamismo insito in tutti i fenomeni umani e, dunque, anche sociali e, conseguentemente, giuridici”[42].
Dall’altro lato però si palesa la preoccupazione “di una dominanza del potere giudiziario sugli altri poteri, sovente amplificata, per ragioni politiche, dalla non regolazione del fenomeno da parte del naturale potere a ciò preposto (il Parlamento) che impone (al giudice) di colmare un vuoto normativo”[43].
Il giudice, in particolare quello di merito, si trova in un contesto in cui da un lato non può non decidere e dall’altro non può sostituirsi al legislatore ma è chiamato, al di là del dato letterale, a capire “l’intenzione” del legislatore ai sensi dell’art. 12 Preleggi e comunque è chiamato a “compiere ogni sforzo (senza limitarsi al dato letterale) per dare alla norma un significato conforme a Costituzione, a pena di inammissibilità della sollevata questione di legittimità costituzionale”[44].
Talchè il suo perimetro è molto ampio e non di rado è foriero di incertezze in quanto, come appena visto, vi sono casi in cui la norma è “oscura, imperfetta od incompleta”.
Il discorso va comunque ripreso nell’ambito dal principio di certezza del diritto che ha riconfigurato il principio di legalità a cui si lega e il rapporto giudice – legislatore va comunque considerato in una logica collaborativa e non di contrapposizione[45].
6. La segnalazione di norma oscura, imperfetta od incompleta.
La norma può risultare oscura, imperfetta od incompleta non solo per fattori formali ma anche a causa di “fattori patologici e fisiologici”. Acuti osservatori notano il momento patologico nella “traslatio dal momento legislativo a quello applicativo, della mediazione del conflitto” che generano la regola poco chiara o ambigua in quanto “non si è riusciti a comporre il conflitto a livello politico”[46]
L’ambito naturale in cui si palesano le questioni sulla qualità normativa è quello consultivo del Consiglio di Stato in forma tecnica al Governo e anche, ove previsti, in forma di indirizzo alle Camere[47], mentre quello giurisdizionale lo è di meno in quanto situazioni patologiche inerenti la norma demandano al giudice la creazione della regola e non già la mera applicazione[48].
Il profilo soggettivo di Magistratura permette oggi di ritenere che la funzione di consulenza giuridico-amministrativa, possa attribuire al Consiglio di Stato - come alla Corte dei conti nell’esercizio della funzione di controllo - la qualità di Organo, non dello Stato-apparato, ma dello Stato ordinamento.
In tal modo l’attività consultiva è ritenuta un’attività di garanzia, al pari di quella giurisdizionale, secondo i canoni dell’assoluta autonomia e indipendenza, “nell’interesse pubblico” e non “nell’interesse della pubblica amministrazione”[49]. È stato rilevato[50]. che questa sua attribuzione andrebbe inoltre utilizzata “in via continuativa, pur nel rispetto delle attribuzioni di altri organi, amministrativi o legislativi” e questo “non per avidità di esercitare più vasti compiti, ma nella convinzione che ciò sia conforme all’interesse pubblico” [51].
Tra le sue funzioni consultive, per quanto ci riguarda, emerge l’art. 58 del R.D. 21 aprile 1942, n. 444 il quale prevede che qualora nel corso degli affari da esso discussi il Consiglio di Stato si avveda “che la legislazione vigente è in qualche parte oscura, imperfetta od incompleta” può farne rapporto al Capo del Governo[52].
Carlo Anelli nel discorso pronunciato in occasione dell’insediamento del nuovo presidente del Consiglio di Stato, osservava che “di questa norma” (cioè dell’art. 58) “si è fatta rara e limitata applicazione, più che altro per segnalare, in sede di emissione di pareri sull’interpretazione di norme oscure o contraddittorie, l’opportunità di un intervento del legislatore”. Auspicava che “tale forma di ausiliarietà venga, in un prossimo futuro, affinata e incrementata”. Egli palesava le potenzialità della funzione consultiva in quanto “la globale unitaria visione di una normazione secondaria in via di continuo ampliamento meglio consentirà al Consiglio di Stato di indicare, anche alla luce dell’esperienza giurisprudenziale di primo e di secondo grado, imperfezioni o incompletezze della normazione primaria e prospettare ipotesi migliorative e innovative”[53].
Non mancano però occasioni in cui il Consiglio di Stato abbia fatto uso di questo specifico strumento sebbene, da quanto risulta, molto di rado nell’ambito del ricorso straordinario.
Di recente il Consiglio di Stato in occasione del parere sullo schema di decreto del Presidente della Repubblica recante disposizioni in materia di istituzione e funzionamento del registro pubblico dei contraenti che si oppongono all’utilizzo dei propri dati personali e del proprio numero telefonico per vendite o promozioni commerciali, ha disposto la segnalazione in base all’art. 58, cit., in quanto “non può sottacere il fatto che il quadro normativo di riferimento sia di difficile interpretazione”. Il Consiglio notava che “la stessa soluzione prospettata dal Ministero nei suoi chiarimenti appare piuttosto il frutto di un’interpretazione manipolativa del testo normativo primario che, se applicato nelle modalità regolamentate, potrebbe generare dubbi sul piano della tenuta costituzionale in relazione al principio di legalità desunto dagli articoli 3, 25 e 97 della Costituzione”[54].
Un altro caso si riferisce al parere chiesto dal Ministero della salute sull’interpretazione dell’art. 2, c. 160, d.l. n. 262/06, in relazione all’incarico di Direttore generale dell’Agenzia per i servizi sanitari regionali (AGENAS)[55]. Il Consiglio di Stato si è avvalso dell’art. 58, cit., in quanto “emerge la differente posizione del direttore generale di AGENAS rispetto a tutte quelle figure cui fisiologicamente deve applicarsi il meccanismo dello spoils system, con conseguente dubbio di compatibilità della norma tuttora in vigore con gli artt. 95, 97 e 98 Cost.” e pertanto il Collegio ritiene necessario trasmettere il parere alla Presidenza del Consiglio dei ministri per l’eventuale assunzione delle iniziative legislative in materia.
Si evidenzia anche il quesito del Ministero dell’interno in materia di valutazioni medico-legali effettuate dalle commissioni medico-ospedaliere in applicazione della normativa riguardante le vittime del dovere, del terrorismo e delle stragi di tale matrice, nonché della criminalità organizzata, delle estorsioni e dell’usura. Sul punto ritenuto necessario tutelare le aspettative dei destinatari dei benefici e considerata la complessità del quadro normativo di riferimento, che necessita di un intervento volto a coordinare, semplificare e rendere verificabili da chiunque i parametri da prendere in considerazione per i diversi trattamenti previsti, la Sezione ritiene che ricorra l’ipotesi di cui all’art. 58 del regio decreto 21 aprile 1944 n. 444[56]. Da qui emerge in modo vigoroso la qualità del Consiglio di Stato di Organo, non dello Stato-apparato, ma dello Stato ordinamento e la preoccupazione della tutela delle aspettative dei cittadini.
In materia di schemi di polizze tipo per le garanzie fideiussorie previste dagli articoli 103, c. 9, e 104, c. 9, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 il Consiglio di Stato ha ritenuto di segnalare al Ministro richiedente l’opportunità, per il futuro, di assicurare un adeguato coinvolgimento di tutte le categorie interessate, se del caso valutando anche la necessità di una modifica della norma primaria[57].
In tema di applicabilità al ricorso straordinario dell’istituto del patrocino a spese dello Stato per i soggetti non abbienti si era posta l’incongruenza normativa tra la possibilità che il ricorrente non abbiente non paghi alcun contributo unificato in caso di accoglimento del ricorso in sede giurisdizionale, mentre tale possibilità non appare sussistere per il rimedio alternativo del ricorso straordinario[58].
Significativo è anche il parere sul Conferimento della cittadinanza italiana ai sensi degli artt. 5 e 7 della legge 5 febbraio 1992, n. 91 nell’ambito del quale il Consiglio di Stato si è avvalso dell’art. 58, cit., per stimolare un’eventuale iniziativa di modifica normativa[59].
7. Conclusioni sull’unitarietà delle funzioni del Consiglio di Stato
Notava Santi Romano che la consulenza del Consiglio di Stato trova luogo anche nell’esercizio di una funzione, che ha pure carattere amministrativo, almeno secondo l’opinione che sembra più esatta, ma confina con quella giurisdizionale, cioè nella decisione dei ricorsi straordinari (…)”[60].
Le pronunce rese dal Consiglio di Stato in sede consultiva nel ricorso straordinario fanno emergere un potenziale rapporto tra la funzione consultiva e quella giurisdizionale del Consiglio di Stato.
Il caso affrontato in due pareri concomitanti riguardanti comportamenti penalmente rilevanti dei richiedenti protezione internazionale[61], al di là della questione già nota sull’applicazione dell’art. 23, c.1, lett. e), d.lgs n. 142/2015, è ulteriormente avvincente in quanto il Consiglio di Stato si è espresso nell’ambito di un ricorso straordinario al Capo dello Stato e non già nell’ambito dell’attività consultiva pura previa richiesta di parere dell’amministrazione interessata.
In questo caso, a differenza del giudice amministrativo toscano (cit. supra) che si è rivolto indirettamente al legislatore evidenziandone la responsabilità di colmare la lacuna, il Consiglio di Stato avvalendosi dell’art. 52 ha riferito al Presidente del Consiglio di ministri e al Ministro dell’interno, competente ratione materiae per l’eventuale assunzione delle iniziative normative trasmettendone il parere.
Santi Romano evidenziava l’“unità funzionale” del Consiglio di Stato nella sua conformazione consultiva e giurisdizionale.
In tale contesto specifico il ricorso straordinario rappresenta un interessante banco di prova in quanto è un procedimento fortemente “giurisdizionalizzato” in cui il parere del Consiglio di Stato assume i connotati di una vera e propria decisione vincolante. Com’è noto questa connotazione ha assunto maggiore valore a seguito dell’abrogazione della potestà del Governo di discostarsi rispetto al parere espresso dal Consiglio di Stato e dopo l’introduzione della possibilità, per il Consiglio di Stato in sede consultiva, di rinviare alla Corte costituzionale questioni di legittimità costituzionale.
Lo snodo tra funzione consultiva e funzione giurisdizionale va indubbiamente visto come un valore dato dall’esperienza del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale. La funzione consultiva è svolta “in favore dello Stato-comunità e nell’interesse alla legittimità dell’azione amministrativa: quindi, nella medesima posizione di terzietà richiesta al giudice”[62]. Inoltre secondo il pensiero di Caianiello la differenzia tra il giudizio/parere e il giudizio/sentenza non è nella struttura logica, ma nell’uso che ne fa l’ordinamento e nell’efficacia che quest’ultimo gli attribuisce.
Pertanto da questa premessa, e considerando che il giudice amministrativo quando la norma presenta anomalie comunque tende a rivolgersi (sebbene indirettamente) al legislatore (inteso senso lato), sorge chiedersi se l’assunto formulato da attenta dottrina[63] per cui il Consiglio di Stato possa anche indipendentemente da una richiesta di parere segnalare ex art. 52, cit., di sua iniziativa quali settori o aspetti della legislazione vigente meritino di essere riveduti o integrati trovi applicazione nell’ambito della funzione consultiva e in sede di ricorso straordinario oppure possa essere ulteriormente esteso alla sede giurisdizionale.
* * *
[1] Cons. St., sez. Con., 9 luglio 2020, n. 1271 reso sull’affare n. 633/2019 e 10 luglio 2020, n. 1278 reso sull’affare n. 275/2019, in https://www.giustizia-amministrativa.it.
[2] Cfr. art. 23, d.lgs. 18 agosto 2015, n. 142.
[3] Corte di Giustizia Ue, Grande Sezione, 12 novembre 2019 in C 233/18
[4] Tar Toscana, Sez. II, 6 maggio 2020, n. 540, in https://www.giustizia-amministrativa.it.
[5] Relazione sull’attività della giustizia amministrativa e discorso di insediamento del Presidente del Consiglio di Stato Filippo Patroni Griffi, 12 Febbraio 2019, in https://www.giustizia-amministrativa.it; Id. Modelli normativi aperti, argomentazione giuridica e giudice amministrativo, in http://www.unioneamministrativisti.it/wp-content/uploads/2019/10/articolo-Patroni-Griffi-1.pdf.
[6] F. FRANCARIO, M.A. SANDULLI, La sentenza amministrativa ingiusta e i suoi rimedi. Premessa, in I.d., La sentenza amministrativa ingiusta e i suoi rimedi, Napoli, 2018, p. 7-8.
[7] F. PATRONI GRIFFI, “Principio di ragionevolezza delle decisioni giurisdizionali e diritto alla sicurezza giuridica”. Introduzione al tema, in F. FRANCARIO, M.A. SANDULLI (a cura di), Principio di ragionevolezza delle decisioni giurisdizionali e diritto alla sicurezza giuridica, Napoli, 2018, p. 4.
[8] Discorso di insediamento del nuovo Presidente del Consiglio di Stato Santi Romano con l’intervento del Capo del Governo, Adunanza generale del 22 dicembre 1928 - VII.
[9] M. A. SANDULLI, Principio di ragionevolezza delle decisioni giurisdizionali e diritto alla sicurezza giuridica, Conclusioni delle Giornate di Studio sulla Giustizia Amministrativa, Castello di Modanella, Rapolano Terme/Siena, 8-9 giugno 2018, in F. FRANCARIO, M.A. SANDULLI (a cura di) Principio di ragionevolezza delle decisioni giurisdizionali e diritto alla sicurezza giuridica, cit.
[10] F. FRANCARIO, Diritto alla sicurezza giuridica. Note in tema di certezza giuridica e giusto processo, in F. FRANCARIO, M.A. SANDULLI (a cura di), Principio di ragionevolezza delle decisioni giurisdizionali e diritto alla sicurezza giuridica, cit., p. 26.
[11] Ibidem
[12] M. TORSELLO, Le funzioni consultive del consiglio di stato, in https://www.giustizia-amministrativa.it/documents/20142/261561/nsiga_008062.pdf/97a60ba6-1780-09d2-0a85-df9f900a969a
[13] Ibidem
[14] S. LOMBARDO, La politica di governo a supporto della qualità della normazione, in P. CAPPELLO, A. CIAMMARICONI, G. LOMBARDI, S. LOMBARDO, in Il drafting statale, in P. COSTANZO (a cura di), Codice di Drafting, in http://www.tecnichenormative.it/draft/stato4.pdf, p. 31.
[15] Ibidem
[16] G. CARLOTTI, La “nuova” attività consultiva del Consiglio di Stato, in Rass. Avvocatura dello Stato, 2, 2018, p. 31.
[17] Ibidem
[18] Dir. 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, in GU 2013, L 180, p. 96.
[19] C. Giust. Ue, Grande Sezione, 12 novembre 2019, C 233/18.
[20] Tar Toscana, Sez. II, 6 maggio 2020, n. 540, in https://www.giustizia-amministrativa.it.
[21] M. NOCCELLI, Il diritto dell’immigrazione davanti al giudice amministrativo, in Federalismi, 5, 2018. F. FRANCARIO, Pubblica amministrazione e multiculturalismo, in Corr. del mer., 2012, 7, p. 643 ss.
[22] C. SBAILÒ, Immigrazione: il fallimentare approccio europeo e i limiti della risposta neo-sovranista. (Note sui profili di costituzionalità e sulle criticità applicative del decreto-legge 113/2018 /c.d. "decreto sicurezza"), in Federalismi, 3, 2019, p. 1
[23] Ibidem
[24] M. LUCIANI, L’errore di diritto e l’interpretazione della norma giuridica, in Questione Giustizia, 3, 2019, p.16 ss e 31.
[25] Va considerato inoltre, che per la molteplicità di istituti e diversità di situazioni giuridiche soggettive il riparto di giurisdizione anche in questa materia, tuttavia, è ben lungi dal potersi definire chiaro e lineare.
[26] Ibidem.
[27] M. LUCIANI, Interpretazione conforme a Costituzione, in Enc. dir., Annali, vol. IX, Giuffrè, Milano, 2016, p. 436 ss.
[28] Sul caso facile A. Barak, La discrezionalità del giudice, trad.it. Milano 1995; F. Patroni Griffi, Interpretazione giurisprudenziale e sicurezza giuridica, in Lo Stato, 12, 2019.
[29] F. PATRONI GRIFFI, op. et loc. ult. cit.
[30] F. PATRONI GRIFFI, Modelli normativi aperti, argomentazione giuridica e giudice amministrativo, cit., p. 5.
[31] Tar Marche, Sez. I, 23 giugno 2020, n. 394, in https://www.giustizia-amministrativa.it.
[32] Cons. St., sez. III, 27 novembre 2018, n. 6711, in https://www.giustizia-amministrativa.it. In particolare il passaggio: “L’iter motivazionale della sentenza impugnata non deve riflettere un irrisolto e tortuoso travaglio interiore del giudice che, proprio in quanto tale, deve rimanere interno alla sfera del proprio convincimento, ma esprimere, con la chiarezza e la sinteticità dovute (art. 3, comma 2, c.p.a.), le ragioni che lo hanno indotto a superare il dubbio, sul piano della ricostruzione dei fatti e della interpretazione delle norme, e a giungere alla soluzione della controversia, enunciando la regola del caso concreto secondo il nostro ordinamento”.
[33] F. PATRONI GRIFFI, Modelli normativi aperti, argomentazione giuridica e giudice amministrativo, cit., p. 6
[34] F. FRANCARIO, Diritto alla sicurezza giuridica. Note in tema di certezza giuridica e giusto processo, in F. FRANCARIO, M.A. SANDULLI (a cura di), Principio di ragionevolezza delle decisioni giurisdizionali e diritto alla sicurezza giuridica, cit., 26.
[35] A. RUGGERI, Diritto giurisprudenziale e diritto politico, in Consulta on line, 3, 2019, p. 708.
[36] F. FRANCARIO, “Disputare de potestate”: giustizia nell’amministrazione e giusto processo, in La sentenza amministrativa ingiusta e i suoi rimedi, Napoli, 2018, 13.
[37] M. LUCIANI, L’errore di diritto e l’interpretazione della norma giuridica, in Questione Giustizia, 3, 2019, pp.16 e 17.
[38] F. PATRONI GRIFFI, Interpretazione giurisprudenziale e sicurezza giuridica, cit., il quale sostiene che “il significato della norma si ricava soprattutto osservando la quotidiana opera del giudice”, e riconosce che la supplenza nomopoietica del giudice è patologica e la giustifica solo in forza della crisi della legislazione (cfr. anche M. LUCIANI, L’errore di diritto e l’interpretazione della norma giuridica, cit.).
[39] G.P. CIRILLO, Sistema istituzionale di diritto comune, Wolters Kluwer-Cedam, Milano, 2018, p. 20.
[40] Sez. III, 10 agosto 2020, n. 4979, in https://www.giustizia-amministrativa.it.
[41] L. BIGLIAZZI GERI, L’interpretazione, 1994, p. 120.
[42] S. GLINIANSKI, Crisi della rappresentanza e metamorfosi del ruolo del Giudice in un contesto di Stato costituzionale europeo, in Lexitalia, 4, 2019.
[43] Ibidem.
[44] A. LAMORGESE, L’interpretazione creativa del giudice non è un ossimoro, in https://www.questionegiustizia.it.
[45] S.GLINIANSKI, op. et loc. ult. cit.
[46] F. PATRONI GRIFFI, “Principio di ragionevolezza delle decisioni giurisdizionali e diritto alla sicurezza giuridica”. Introduzione al tema, cit., p. 7.
[47] Cfr. Cons. St., Ad. Gen. 25 ottobre 2004, n. 2/04: “L’unica eccezione a questa regola generale può essere costituita dai pareri delle Camere parlamentari, laddove previsti, poiché tali avvisi costituiscono il frutto di una valutazione di natura ontologicamente differente da quella prevista per il parere del Consiglio di Stato dall’art. 17 della legge n. 400 del 1988 o dall’art. 17 della legge n. 127 del 1997. Tali pareri, infatti, negli sviluppi più recenti della prassi, vengono considerati non come atti endoprocedimentali in senso tecnico ma piuttosto come pareri in funzione “politica”, di indirizzo del Parlamento al Governo, in quanto tali estranei al procedimento amministrativo inteso come serie di atti funzionalmente collegati in vista del provvedimento finale, sicché rientra solo nella responsabilità politica del Governo il tenerne o meno conto”.
[48] La rinuncia o l’impossibilità del legislatore di definire preventivamente, in via generale ed astratta, le regole sostanziali destinate a risolvere i possibili conflitti tra gli interessi”, in effetti, lasciano al giudice la creazione della regola e non già la mera applicazione, cfr. F. FRANCARIO, M.A. SANDULLI, La sentenza amministrativa ingiusta e i suoi rimedi. Premessa, in I.d., La sentenza amministrativa ingiusta e i suoi rimedi, Napoli, 2018, 8.
[49] Discorso pronunciato in occasione dell’insediamento da Pasquale de Lise a Presidente del Consiglio di Stato 22 settembre 2010, egli aveva notato che sotto un profilo finalistico - ai pareri del Consiglio è estranea qualsiasi considerazione o rappresentazione di interessi di parte, ivi compresi quelli dell’amministrazione procedente che richiede il parere.
[50] Discorso pronunciato in occasione dell’insediamento di Giorgio Crisci a Presidente del Consiglio di Stato, 20 marzo 1986, in https://www.giustizia-amministrativa.it.
[51] V. DI CIOLO, Riflessioni sulla qualità giuridica delle leggi e degli atti normativi, cit., p. 574. Si consideri però, che in sede costituente la posizione assunta era diversa. In Assemblea Costituente si era aperto il dibattito sulla collaborazione del Consiglio di Stato, organo anche giurisdizionale, all’elaborazione delle leggi. Dopo l’approvazione della formula “Il Consiglio di Stato è organo di consulenza giuridico-amministrativa del Governo”, fu discusso il seguito della formula che aggiungeva “e del Parlamento” che venne bocciata nel “timore che essa avrebbe diminuito la libertà di azione del Parlamento”.
[52] Aggiornando il tenore di tale disposizione, l’art. 6, d.P.R. 19 luglio 1989, n. 366, prevede che l’Ufficio Centrale per il coordinamento dell’iniziativa legislativa e dell’attività normativa del Governo si avvalga dei rapporti del Consiglio di Stato al fine di segnalare al Presidente del Consiglio le iniziative legislative necessarie per rimuovere incongruenze normative ed antinomie.
[53] Anche Giannini rilevava che è “molto male” lo scarso ricorso del Governo al Consiglio di Stato per curare la tecnica legislativa, cfr. M.S. GIANNINI, Istituzioni di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 1981, p. 136.
[54] Cons. St., Sez. Cons., 9 luglio 2020, numero affare 158/2020, n. 1339/2020, in https://www.giustizia-amministrativa.it.
[55] Cons. St., Sez. Cons., 20 novembre 2019, numero affare 1580/2019, n. 2925/2019, in https://www.giustizia-amministrativa.it.
[56] Cons. St., Sez. Cons. 4 marzo 2015, numero affare 3105/2013, n. 2881/2015, in https://www.giustizia-amministrativa.it.
[57] Cons. St., Sez. Cons. 12 luglio 2017, n. 1665 in https://www.giustizia-amministrativa.it.
[58] Cons. St., Sez. Cons. 26 novembre 2014 e 10 giugno 2015, numero affare 03162/2013, n. 1958/2015, in https://www.giustizia-amministrativa.it.
[59] Cons. St., Sez. Cons, 27 gennaio 2010, numero affare 5217/2009, n. 1003/2010, in https://www.giustizia-amministrativa.it.
[60] SANTI ROMANO, Le funzioni e i caratteri del Consiglio di Stato, in Il Consiglio di Stato. Studi in occasione del centenario, I, Roma, 1932, p. 20.
[61] Protesta sfociata in atti di aggressione fisica e verbale nei confronti del responsabile della struttura, degli operatori nonché degli altri ospiti del centro.
[62] Relazione sull’attività della giustizia amministrativa e discorso di insediamento del Presidente del Consiglio di Stato Filippo Patroni Griffi, 12 Febbraio 2019, in https://www.giustizia-amministrativa.it.
[63] M. TORSELLO, op. cit.