Il lavoro del giurista al tempo del coronavirus adattarsi al cambiamento e creare una routine vincente con le mappe mentali
di Elisabetta Galli
“Non è la specie più forte a sopravvivere, e nemmeno quella più intelligente ma la specie che risponde meglio al cambiamento” Charles Darwin
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Pianificazione accurata. - 3. Idonea gestione dello spazio 4.silenzio o musica? - 5. Come permanere in uno stato di flow? - 6. Adattarsi al cambiamento e creare una routine vincente. 7.ritrovare la condivisione - 8. Il tempo per la ricerca e la riflessione - 9. Le mappe mentali - 10. Come adattarsi al cambiamento
1.Introduzione
Lo smart working - o lavoro agile - a causa dell’epidemia del Coronavirus che sta drammaticamente segnando il nostro Paese, come altri in Europa e nel resto del mondo, ha subito un profondo mutamento: da opportunità a necessità. È stato ed è un cambiamento costretto.
Sia sufficiente meditare su alcuni dati: prima dell’attuale emergenza sanitaria, in Italia, solo circa 570mila lavoratori su oltre 23 milioni di occupati, esclusi gli stagionali, utilizzavano lo smart working. L’Osservatorio Smart Working della School of Managment del Politecnico di Milano rilevava come nella Pubblica Amministrazione, nonostante una crescita rispetto agli anni precedenti, l’adozione del lavoro agile fosse ancora molto carente[1]. Infatti si notava che “il ritardo resta evidente, con quasi 4 PA su 10 che non hanno progetti di Smart Working e sono incerte (31%) o addirittura disinteressate (7%) rispetto alla sua introduzione. Va inoltre sottolineato come i progetti di Smart Working nelle PA risultino ancora limitati in termine di diffusione interna poiché coinvolgono mediamente il 12% della popolazione dell’amministrazione, percentuale radicalmente diversa a quella delle imprese private e vicina al 10% che la direttiva Madia definiva come limite inferiore all’adozione. Questo dato sembra testimoniare come, pur essendosi finalmente attivate, molte PA abbiano seguito un approccio di mero adempimento normativo”[2].
Ora il Covid-19 sta imponendo, anche a livello governativo, a una nuova organizzazione del lavoro. Se la salute è bene primario è anche vero che lo smart working rappresenta uno dei pochi modi per operare e sicuramente uno dei più protetti, perché evita il contatto diretto tra le persone, limitando la diffusione del virus. In tal senso è stata la direzione intrapresa dal Governo che, ad esempio, con il DPCM 11 marzo 2020 ha raccomandato che venga attuato il massimo utilizzo, da parte delle imprese, di modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza[3].
Ancor più nello specifico, sin dai primi giorni tutti gli Atenei italiani si sono attivati per garantire le lezioni on-line, discussioni delle tesi di laurea e, per quanto possibile, l’attività di studio e di ricerca, potenziando – fra l’altro – il catalogo delle riviste e dei libri elettronici a disposizione.
In ambito giudiziario, poi, vi è da ricordare che oltre all’art. 2, comma 1, lett. r), del Dpcm 8 marzo 2020, ad incentivare l’adozione dello smart working sono state le “Nuove Linee guida 19 marzo 2020 sullo svolgimento dell’attività lavorativa per il personale dell’Amministrazione giudiziaria al fine di attuare le misure di contenimento del contagio da COVID-19”[4]. Con “smart working” o “lavoro agile” si intende una modalità̀ particolare di esecuzione del rapporto di lavoro, solitamente subordinato, caratterizzata dalla possibilità di svolgere la prestazione in alternanza tra la sede di lavoro e luoghi esterni, non necessariamente predeterminati. Se nel caso del telelavoro l’attività è svolta regolarmente fuori dalla sede di lavoro, in un luogo predefinito e stabile, che può essere anche l’abitazione del lavoratore, nel lavoro agile, osservano i commentatori “il luogo della prestazione perde quasi del tutto di rilievo: la prestazione è svolta in regime di alternanza tra sede aziendale e luoghi esterni, non necessariamente prestabiliti”[5]. Peraltro, è noto che la legge 22 maggio 2017, n. 81 non identifica con il lavoro agile una nuova tipologia contrattuale, bensì̀ una specifica prassi d’esecuzione dell’attività̀ lavorativa. Per cui si osserva condivisibilmente che “Il lavoro agile è quindi più̀ vicino ad essere definito come uno stile lavorativo (ma anche, vedremo in seguito, come uno stile di vita) piuttosto che come un nuovo inquadramento contrattuale”[6]. È poi importante riflettere sul dato che alla base di questa “nuova” forma di lavoro sembra risiedere il concetto di “flessibilità”, come si deduce anche dalla lettura del testo normativo, che permea lo spazio, il tempo e l’organizzazione delle attività lavorative.
Con un bagno di sano realismo, è opportuno sin da subito sottolineare che vi sono attività che si prestano meglio ad essere condotte in modalità lavoro agile ed altre meno. Così anche nel mondo del diritto se alcune attività possono prestarsi ad essere compiute a distanza, altre sono naturalmente molto più complesse e, quindi, difficilmente realizzabili in modalità smart working, seppur vi è da notare con favore come anche il mondo giudiziario stia compiendo di fronte alla necessità un adattamento virtuoso, come dimostrano, ad esempio, le modalità introdotte al Tribunale di Livorno[7].
D’altronde sempre più piattaforme multimediali offrono la possibilità non solo di comunicare a distanza in videoconferenza ma anche di condividere contenuti (es. Microsoft Teams o Webex) rendendo in tal modo possibile il confronto tra colleghi o la celebrazione delle udienze.
L’emergenza Coronavirus, come premesso, ha imposto un cambiamento repentino anche a tutti gli operatori del diritto e viene da chiedersi se questi siano pronti ad affrontarlo. Lavorare in smart working presuppone, spesso, un mutamento di mentalità che non è semplice da apportare nel medio periodo, posto che è normale una fase di adattamento: le ricerche scientifiche stimano in circa ventuno giorni il tempo minimo per modificare la propria routine ed acquisire nuove abitudini[8].
Di seguito, alcuni aspetti, che possono aiutare ad affrontare il cambiamento e ottenere una maggiore produttività in modalità smart working.
2.Pianificazione accurata
La pianificazione è, forse, l’aspetto più importante quando si opera a distanza. Se, infatti, alla base dello smart working sta la flessibilità, il rischio, per altro verso, è una riduzione di produttività rispetto al lavoro tradizionale. La sensazione di avere un tempo indefinito, soprattutto nel momento storico attuale in cui l’uscita da casa è impedita se non per comprovate esigenze, può condurre a procrastinazione e rallentamento. Un’ottima pianificazione, permette, invece di evitare tutto questo.
Agire per obbiettivi è sempre la strategia migliore: si fissino, quindi, i cinque-sei obbiettivi, naturalmente, a seconda della complessità da raggiungere. La fissazione a medio termine, su base settimanale, rappresenta uno spettro temporale congruo per avere una visione di insieme che si perderebbe ragionando soltanto nel “day by day”. Si fissino, poi, giorno per giorno le singole attività da compiere, scrivendole in agenda. È dimostrato, infatti, che l’impegno scritto è recepito dal nostro cervello in maniera più forte rispetto a limitarsi a ricordarlo a mente o a comunicarlo all’interessato senza scriverlo (una risposta per iscritto, per le neuroscienze, è recepita dal cervello come più forte rispetto a un impegno preso solo “oralmente”).
A fine settimana è poi indispensabile effettuare quella che si potrebbe definire l’analisi dell’efficienza (utilizzando una espressione cara al mondo dello sport) e cioè meditare sugli obbiettivi raggiunti e su quelli mancati, ragionare cioè sui successi e sugli errori commessi.
3.Idonea gestione dello spazio
L’epidemia da Covid-19 ci ha relegato negli spazi chiusi della casa. Posto che in alcune realtà ampie e articolate è più semplice ricavarsi uno spazio per operare in smart working rispetto ad altre più anguste, è noto che un ambiente idoneo è cruciale per il rendimento della prestazione intellettuale e per garantirsi la concentrazione. Perciò, ove possibile, è opportuno riservare una stanza – ad esempio lo studio di casa – per il lavoro a distanza e se non è fattibile, è bene cercare di creare una postazione dedicata (ad esempio una scrivania ad hoc).
Il rischio è che la convivenza con altri – magari con bambini piccoli – provochi distrazioni frequenti e perciò la produttività venga danneggiata. Inoltre, l’autodisciplina è fondamentale: l’ambiente casalingo potrebbe indurre, ad es, ad accendere la televisione piuttosto che a lasciarsi maggiormente influenzare da input diversificati quali i social o l’incombenza di dover sbrigare le pratiche quotidiane Perciò meglio disattivare le notifiche e, naturalmente, tacitare la televisione.
4. Silenzio o musica?
Alla domanda se la produttività sia più alta con il silenzio totale o accompagnati da una musica di sottofondo non vi è una risposta univoca. Le ricerche scientifiche, condotte fra gli altri dal neuroscienziato Norman Doidge, porta a ritenere che la musica - soprattutto quella di Mozart - possa essere d’ausilio addirittura in alcune terapie cognitive, in base al metodo Tomatis[9] : «il compositore austriaco sembrava funzionare con tutti i pazienti e aveva l’effetto sia di ricaricare e stimolare, sia di rilassare e calmare. Che, secondo me, equivale a un effetto di regolazione»[10]. Inoltre, «la musica di Mozart non presenta l’impronta marcata di una determinata lingua, così come in Ravel c’è un’impronta del francese e in Vivaldi l’impronta dell’italiano. È una musica che va oltre i ritmi della cultura e della lingua»[11] . In ogni caso è sempre meglio il silenzio o la musica senza parole perché queste possono rappresentare una fonte di distrazione.
5. Come permanere in uno stato di flow?
Con l’espressione “stato di flow” si intende una condizione caratterizzata da un totale coinvolgimento dell’individuo: focalizzazione sull’obiettivo, motivazione intrinseca e benessere nello svolgimento di un particolare compito. Il concetto fu introdotto nel 1975 dallo psicologo Mihály Csíkszentmihályi che approfondì i meccanismi che aveva osservato nel comportamento adottato dagli artisti mentre creano un’opera, osservando una condotta di massima concentrazione, attenzione elevata e assenza di stanchezza con alterazione della percezione del tempo. Le ricerche, anche successive, corroborando la linea intrapresa, hanno dimostrato come riuscire a permanere in uno stato di flow garantisca una elevata produttività.
Alcuni fattori, in stretta correlazione tra loro, che permettono di stare nello stato di flow sono: il bilanciamento tra sfida e abilità, nel senso che l’individuo si sta impegnando in qualcosa di appropriato per le proprie capacità; la presenza di obiettivi prossimali chiari; attenzione e concentrazione totale sul compito; l’evitamento di distrazioni e del multitasking[12]; il piacere intrinseco poiché l’attività dona piacere fine a sé stesso (esperienza autotelica).
6. Adattarsi al cambiamento e creare una routine vincente.
In primis, è opportuno accogliere con consapevolezza le novità che hanno stravolto, in modo motivato, le nostre abitudini quotidiane in termini di tempi, di spazi, di organizzazione della giornata.
Come detto supra, un tempo di adattamento al cambiamento è più che naturale. Tuttavia, è essenziale costruire una routine vincente e, quindi, ad es, stabilire gli orari della giornata lavorativa (con un inizio e una fine) proprio come se ci trovassimo in ufficio; fissare momenti da dedicare alle telefonate o alle conference call; alternare attività più complesse ad altre meno impegnative[13].
Segnaliamo, poi, il ruolo che la cronobiologia può avere sulla capacità produttiva e di concentrazione. Uno dei massimi esperti italiani, Il Professor Roberto Manfredini afferma che la memoria a breve termine sia al massimo dalle ore 9 alle 11[14]. Diversamente, le ore del pomeriggio, dopo il fisiologico calo post-pranzo, sono particolarmente idonee per la ricerca e la fissazione dei concetti in quanto propizie per la memoria c.d. a lungo termine[15].
Di converso, la scienza ha dimostrato che dalle 2 alle 4 di notte vi è un rallentamento dei riflessi (e aumento degli errori)[16], perciò apprendere in queste ore è sforzo vano.
Nel 2017, Jeffery Hall, Michael Rosbash e Michael Young hanno vinto il premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina proprio per gli studi sull’orologio biologico circadiano, conferendo al mondo scientifico un contributo di fondamentale rilevanza. In sintesi, impostare una routine giornaliera che tenga conto della cronobiologia permette di innalzare le prestazioni mentali (e fisiche, ad esempio nel caso dello sport come è avallato dall’ottenimento di alcuni record in precise fasce orarie della giornata).
7.ritrovare la condivisione
L’attuale emergenza sanitaria ha stravolto le nostre abitudini sociali, limitando fortemente non solo la mobilità ma anche i contatti sociali, inclusi quelli con i colleghi. Operando da casa, soprattutto se non si sta in famiglia, si può vivere questa situazione con forte disagio in quanto a venire a mancare è quel confronto giornaliero che prima rappresentava una costante.
Si suggerisce di superare il senso di isolamento fisico e psicologico utilizzando il telefono, Skype, la video conferenza per relazionarsi con i colleghi, naturalmente sulla base di una organizzazione condivisa del lavoro. La socialità infatti è un valore insostituibile e va assolutamente tutelata anche perché il confronto offre un valore aggiunto alla qualità della prestazione.
8. Il tempo per la ricerca e la riflessione
Siamo tutti costretti a misurarci con una dimensione del tempo diversa dalla precedente ma l’attuale situazione per il giurista può rappresentare anche un’opportunità.
Spesso i tempi serrati e il sovraccarico professionale comprimono i tempi della ricerca, dell’approfondimento e, più in generale, dell’aggiornamento. L’attuale momento storico che ha liberato spazio può, quindi, essere una formidabile occasione di crescita culturale.
Ma il periodo può costituire anche un valido incentivo per trovare o ri-trovare il tempo per la riflessione sulla scorta, ad esempio, di quanto faceva il Sottosegretario di Stato U.S.A. George Shultz: un taccuino, una penna e la porta chiusa per un’ora a settimana, detta la c.d. “ora di Shultz”. Solo due erano le persone autorizzate a invadere questo spazio e solo se strettamente necessario: sua moglie e il Presidente Ronald Reagan. Disse in un’intervista al New York Times il Sottosegretario di Stato: “Mi serviva per prendere le distanze dalle cose, sganciarmi dai problemi tattici che richiedevano una soluzione immediata e abbracciare questioni strategiche più ampie e più utili per il Paese”[17].
9. Le mappe mentali
Uno strumento per accrescere la capacità di adattarsi al cambiamento è offerto dalle mappe mentali.
Le mappe mentali rappresentano una delle più avanzate tecniche di apprendimento e di memorizzazione.
Le ricerche scientifiche hanno dimostrato che il cervello, durante l’apprendimento, ricorda soprattutto:
- i primi elementi imparati (effetto priorità);
- gli ultimi elementi pronunciati (effetto tempo recente);
- nozioni collegate ad altre che sono già parte del patrimonio della persona;
- elementi particolarmente enfatizzati o eventi unici;
- elementi che coinvolgono in modo particolarmente intenso uno o più dei cinque sensi, ovvero fatti che suscitano una forte emozione (esempio il parto);
- elementi o fatti che suscitano uno spiccato interesse nella persona (il collezionista di francobolli ricorderà con particolare facilità le varie serie).
Alcuni fattori agevolano significativamente l’apprendimento tra i quali, a titolo meramente esemplificativo, il permanere in uno stato di flow (di cui si è detto nelle pagine precedenti); chiarezza dell’obbiettivo da perseguire; l’adottare un approccio attivo alle questioni (e cioè ponendosi domande e interrogativi su ciò che si sta studiando perché in tal modo il cervello è indotto alla riflessione e al ragionamento).
Si attiva così un processo che conduce ciò che si è appreso nella memoria a lungo termine[18].
Le mappe mentali esaltano gli elementi sopra tracciati favorendo apprendimento e memorizzazione. Esse, infatti, impongono l’adozione di un approccio attivo alle questioni, esaltando la sintesi e la chiarezza d’insieme. L’utilizzo di immagini e colori permette, poi, una più efficace sedimentazione del ricordo. Le mappe mentali, sono utilizzate in molteplici contesti: non solo nel campo dell’apprendimento, ma anche nel mondo del lavoro: ad es., anche per la stesura di un progetto o la condivisione degli obbiettivi all’interno di un gruppo.
Le mappe mentali si basano sulle ricerche scientifiche effettuate nel campo dell’apprendimento e della memoria.
I principi delle mappe mentali
- Apprendimento attivo e capacità di sintesi. Ogni concetto appreso viene condensato in poche parole (ognuna su un ramo), dovendosi così in fase di apprendimento necessariamente sviluppare capacità di rielaborazione dei concetti (infatti si dovrà distinguere tra i concetti posti sui rami principali e quelli sui sottorami);
- struttura radiale della mappa che riprende, appunto, la struttura radiale del nostro pensiero e si discosta da quella lineare tipica degli appunti tradizionali;
- utilizzo spiccato dei colori: ogni ramo può avere colori diversi che richiamano, possibilmente, il concetto stesso. Ad esempio: se parlo di ambiente o di sostenibilità userò il verde;
- utilizzo delle immagini che si collocano sui rami: questa è la parte più “potente”. Le immagini aiutano a ricordare.
I punti di forza delle mappe mentali
Le mappe mentali rinforzano l’apprendimento e la successiva memorizzazione perché donano:
- chiarezza;
- visione d’insieme;
- aumentano la capacità di ricordare (combinando colori, immagini e parole).
Come si legge una mappa mentale
- i rami principali (o genitori) si leggono in senso orario;
- i rami secondari (o figli) si leggono dall’alto al basso.
10. Come adattarsi al cambiamento
I sette punti sopradescritti sono stati condensati in una mind map che illustra il lavoro del giurista al tempo del coronavirus.
L’obiettivo da raggiungere è quello ottimizzare efficienza e produttività affrontando la mutata dimensione spazio – temporale con un approccio strategico particolarmente utile a chi, come il giurista, si trova a gestire attività avanzate e complesse.
Nella mappa mentale sul “Lavoro del giurista e Coronavirus: adattarsi al cambiamento” seguendo i rami principali, il lettore ritroverà i sette punti con le loro specificazioni.
La mind map è allegata qui sotto in formato PDF
[1] L’Osservatorio Smart Working, nato nel 2012, si inserisce in un più ampio contesto di ricerca che da più di dieci anni si occupa di studiare l’evoluzione del modo di lavorare delle persone: cfr. https://www.osservatori.net/it_it/osservatori/smart-working.
[2] Così nel documento reperibile al seguente link: https://www.osservatori.net/it_it/osservatori/comunicati-stampa/crescita-smart-working-engagement-italia-2019.
[3] Il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha predisposto, poi, una procedura semplificata per il caricamento massivo delle comunicazioni di smart working: cfr. https://www.lavoro.gov.it/strumenti-e-servizi/smart-working/Pagine/default.aspx.
[4] Reperibile su https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_8.page?selectedNode=0_62.
[5] L. Cairo, F. D’Avanzo, F. Ferretti, Lavoro agile e coworking. Opportunità per P.A., imprese e lavoratori alla luce della L. n. 81/2017, Milano, 2018, pag. 3; cfr. anche Aa. Vv. Smart working, job crafting, virtual team, empowerment, Milano, 2018, pag. 70 e ss.
[6] Aa. Vv. Smart working, job crafting, virtual team, empowerment, cit., pag. 70 e s.
[7] M. Orlando, Lavoro agile (o Smart working): l’esperienza del Tribunale di Livorno, in Questione Giustizia, www.questionegiustizia.it.
[8] Il termine si deve negli anni cinquanta al medico Maxwell Maltz che pubblica un volume, intitolato Psicocibernetica, sul mutamento delle abitudini dei propri pazienti che ha avuto notevole diffusione nel mondo. Più recentemente, è noto come, prendendo alla base la stessa dimensione temporale per il radicamento di una nuova abitudine, il Professor Berrino ha scritto con D. Lumera e D. Mariani “Ventuno giorni per rinascere”, Milano, 2018.
[9] Il medico otorinolaringoiatra Alfred Tomatis ha sviluppato un metodo, basato sulla terapia dell’ascolto, che viene applicato per migliorare alcune patologie tra le quali deficit di attenzione e concentrazione (ADD e iperattività), coordinazione e sviluppo psicomotorio, dislessia. Fu tra i primi a dimostrare il rischio di malattia professionale causata da rumore.
[10] N. Doidge, Le guarigioni del cervello. Le nuove strade della neuroplasticità: terapie rivoluzionarie che curano il nostro cervello, Milano, 2015, e-book, cap. VIII.
[11] Ibidem.
[12] Si sta sempre più dimostrando che il nostro cervello mal si adatta al multitasking:, una ricerca condotta all’University College di Londra ha mostrato, ad esempio, che la densità di materia grigia in alcune aree cerebrali addirittura si riduce se si sovraccaricano le funzioni psichiche, specie se si usano più dispositivi digitali, e come ciò esponga a un rischio maggiore di modifiche funzionali del cervello (lo studio di Kep Kee Loh e Ryota Kanai dal titolo «Higher Media Multi-Tasking Activity Is Associated with Smaller Gray-Matter Density in the Anterior Cingulate Cortex» è pubblicato su Plos One: https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0106698).
[13] È possibile consultare, a questo link, a titolo esemplificativo, una mappa mentale sulle abitudini del fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg.
[14] R. Manfedini, Un tempo per ogni cosa. Vivere in sintonia con il proprio orologio biologico, Milano, 2019, pag. 119.
[15] Ibidem.
[16] Ibidem.
[17] L’affermazione è riportata nell’articolo del Corriere della Sera di E. Serra, Un’ora antistress, del 22 aprile 2017.
[18] Sul tema della memoria, la bibliografia è ovviamente vastissima. Ci limitiamo a richiamare il pregevole approfondimento di A. Baddeley, M.W. Eysenck, M.C. Anderson, La memoria, Bologna, 2011, passim, con ampia bibliografia ivi citata.