Sommario: 1. I caratteri normativi della responsabilità amministrativa – 2. La giurisprudenza costituzionale - 3. I rapporti con la responsabilità civile – 4. ‹‹Doppio binario›› o ‹‹due volte sullo stesso binario››? – 5. La confluenza del ‹‹doppio binario›› - 6. Responsabilità civile per le ‹‹società in house›› - 7. Quale futuro per la responsabilità amministrativa?
1. I caratteri normativi della responsabilità amministrativa
La responsabilità amministrativa dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica ha trovato la sua prima formulazione nell’art. 82, primo comma, del r.d. n. 2440 del 1923, secondo cui «[l]’impiegato che, per azione od omissione, anche solo colposa, nell’esercizio delle sue funzioni, cagioni danno allo Stato, è tenuto a risarcirlo».
La giurisdizione su questa responsabilità è demandata dall’art. 103 Cost. alla Corte dei conti.
Attualmente è regolata nei suoi profili sostanziali dall’art. 1 della legge n. 20 del 1994, mentre gli aspetti processuali sono delineati dal d.lgs. n. 174 del 2016 (Codice di giustizia contabile).
L’azione di responsabilità amministrativa è esercitata innanzi alla Corte dei conti dal pubblico ministero contabile.
I caratteri tipici della responsabilità erariale sono:
– è una responsabilità personale, sicché il relativo debito si trasmette agli eredi solo nei casi di illecito arricchimento del dante causa e di conseguente indebito arricchimento degli eredi stessi;
– sotto il versante dell’elemento psicologico, è limitata ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, restandone esclusa la colpa lieve (art. 1, comma 1, della legge n. 20 del 1994, come modificato dall’art. 3, comma 1, lettera a, del d.l. n. 543 del 1996, come convertito)[1];
– se il fatto dannoso è causato da più persone, la Corte dei conti, valutate le singole responsabilità, condanna ciascuno per la rispettiva parte, sicché il debito che ne deriva dà luogo ad un’obbligazione parziaria e non solidale (art. 1, comma 1-quater, della legge n. 20 del 1994);
– resta ferma l'insindacabilità nel «merito delle scelte discrezionali» (art. 1, comma 1, della legge n. 20 del 1994);
– nel caso di deliberazioni di organi collegiali la responsabilità «si imputa esclusivamente a coloro che hanno espresso voto favorevole», mentre in ipotesi di «atti che rientrano nella competenza propria degli uffici tecnici o amministrativi» la medesima responsabilità non si estende ai titolari degli organi politici che in buona fede li abbiano approvati ovvero ne abbiano autorizzato o consentito l'esecuzione (art. 1, comma 1-ter, della legge n. 20 del 1994);
– il giudice contabile può esercitare il cosiddetto “potere di riduzione” (art. 83, primo comma, del r.d. n. 2440 del 1923, secondo cui la Corte dei conti, «valutate le singole responsabilità, può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto»);
– «[n]el giudizio di responsabilità, fermo restando il potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione di appartenenza, o da altra amministrazione, o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità» (art. 1, comma 1-bis, della legge n. 20 del 1994), dunque è caratterizzata dall’operare di una ampia compensatio lucri cum damno;
– il diritto al risarcimento del danno «si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta» (art. 1, comma 2, della legge n. 20 del 1994).
2. La giurisprudenza costituzionale
La giurisprudenza costituzionale ravvisa il carattere composito della responsabilità amministrativa, concorrendo a fondamento della stessa funzioni di prevenzione, risarcitoria e sanzionatoria (Corte cost., sentenze n. 132 del 2024, n. 123 del 2023 e n. 203 del 2022).
Più in particolare, la disciplina della responsabilità amministrativa in generale e del suo elemento soggettivo in particolare rivela una «combinazione di elementi restitutori e di deterrenza», rispondente alla «finalità di determinare quanto del rischio dell’attività debba restare a carico dell’apparato e quanto a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità ragione di stimolo, e non di disincentivo» (Corte cost. sentenze n. 371 del 1998, n. 203 del 2022 e n. 355 del 2010).
La contemporaneità delle funzioni risarcitorie e di deterrenza della responsabilità amministrativa comporta che ad essa sia affidato non soltanto il compito di restaurare la sfera patrimoniale dello Stato, quand’anche quello di scoraggiare i comportamenti dolosi o gravemente negligenti dei funzionari pubblici, che pregiudicano il buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e gli interessi degli stessi amministrati. Il punto di equilibrio ottimale postula, tuttavia, che sia altresì impedito che, «in relazione alle modalità dell’agire amministrativo, il rischio dell’attività sia percepito dall’agente pubblico come talmente elevato da fungere da disincentivo all’azione, pregiudicando, anche in questo caso, il buon andamento» (Corte cost., sentenza n. 132 del 2024).
Questa peculiarità dello statuto di responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti ha fatto da traino alle più recenti evoluzioni della giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità civile, allorché si è riconosciuto che, nel vigente ordinamento, vi sono già «disposizioni volte a dare un connotato lato sensu sanzionatorio al risarcimento» e perciò sono ammessi anche risarcimenti punitivi (Cass. Sez. Un. 5 luglio 2017, n. 16601).
Potrebbe dunque dirsi non più attuale la conclusione interpretativa che rivendica una originalità per necessaria diversità tra la responsabilità amministrativa e le comuni regole della responsabilità civile alla stregua degli artt. 97 e 103, secondo comma, della Costituzione (ad esempio, Corte cost., sentenze n. 453 e n. 371 del 1998).
La Corte costituzionale, non di meno, riconosce tuttora la peculiarità della giurisdizione erariale della Corte dei conti rispetto alla concorrente responsabilità civile degli stessi agenti pubblici nei confronti dell’amministrazione di appartenenza, rinveniente il proprio fondamento negli artt. 28 Cost. e 22 e seguenti del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, che impone al danneggiante il risarcimento dei pregiudizi derivanti a terzi per effetto della propria condotta in forza di un illecito contrattuale (art. 1218 del codice civile) ovvero aquiliano (art. 2043 cod. civ.), rimessa al giudice ordinario.
Viene evidenziata la marcata attenzione della disciplina dell’illecito erariale all’elemento soggettivo, non solo per il requisito della condotta, commissiva o omissiva, imputabile al pubblico agente per dolo o colpa grave, ma anche perché, come prescrive l’art. 83, primo comma, dello stesso r.d. n. 2440 del 1923, la Corte dei conti, «valutate le singole responsabilità, può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto»: il c.d. «potere riduttivo» del giudice contabile determina una attenuazione della responsabilità amministrativa, nei singoli casi, che permette di tener conto anche delle capacità economiche del soggetto responsabile, oltre che del comportamento, del livello della responsabilità e del danno effettivamente cagionato. Sicché il danno erariale è il presupposto della giurisdizione contabile, ma non è di per sé sempre ed integralmente risarcibile (Corte cost., sentenze n. 340 del 2001; n. 183 del 2007).
Un’altra peculiarità della responsabilità amministrativa affidata alla cognizione del giudice contabile, valorizzata dalla giurisprudenza costituzionale, è la regola generale della parziarietà della stessa (art. 1, comma 1-quater, della legge n. 20 del 1994), essendo l’obbligo risarcitorio solidale l’eccezione (comma 1-quinquies) stabilita per i soli concorrenti che abbiano conseguito un illecito arricchimento o abbiano agito con dolo, a fronte dell’opposto regime operante nella responsabilità civile, contrattuale ed extracontrattuale (artt. 1292 e 2055 cod. civ.).
Per traslato dalla diversità delle rispettive discipline che ne regolamentano l’attuazione (e, invero, pur a fronte di un’appurata sostanziale coincidenza degli elementi costitutivi oggettivi), la Corte costituzionale insiste nel ravvisare la reciproca indipendenza dell’azione di responsabilità per danno erariale promossa dal PM dinanzi alla Corte dei conti e di quella di responsabilità civile promossa dalle singole amministrazioni interessate davanti al giudice ordinario: «[c]iò significa che un pubblico agente può essere convenuto affinché ne venga accertata la responsabilità per entrambi i titoli ovvero essere attinto da una soltanto delle due azioni, non sussistendo i presupposti per l’esercizio di entrambe, senza naturalmente che vi sia cumulo del danno risarcibile, erariale o civile››[2].
3. I rapporti con la responsabilità civile
Tanto, dunque, la responsabilità amministrativa rientrante nella giurisdizione della Corte dei conti, quanto la responsabilità civile rimessa alla cognizione del giudice ordinario, cumulano, ormai, una ratio reintegratrice del patrimonio del soggetto leso ed una ratio di deterrenza e sanzionatoria dell’autore, rimanendo entrambe ancorate all’an, prima ancora che al quantum, del danno concretamente subito[3]. Il danno erariale (in forma di danno emergente, id est deterioramento o perdita di denaro, beni o altra pubblica utilità, ovvero di lucro cessante, id est mancata acquisizione di incrementi patrimoniali che l'ente pubblico avrebbe potuto realizzare) resta uno degli elementi costitutivi oggettivi essenziali della responsabilità amministrativa, insieme alla condotta e al nesso causale, nonché agli elementi soggettivi costituiti dalla qualità dell’agente e dal requisito psicologico.
L’effettivo danno erariale, il cui riscontro radica la giurisdizione contabile, può rivelarsi diretto o indiretto. È diretto il danno che cagiona immediatamente il pregiudizio economico dell’erario, senza che vi sia stato danno a terzi; è, viceversa, indiretto, quello che l’amministrazione ha patito per aver dapprima risarcito il terzo del danno causato dal dipendente.
Se manca il danno erariale, non possono svolgersi né la funzione di reintegrazione patrimoniale, né le funzioni di deterrenza e di pena della responsabilità amministrativa dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti. L’insussistenza del danno erariale e la negazione della responsabilità amministrativa discendono altresì quando il primo viene azzerato quale effetto della compensatio lucri cum danno o per l’esercizio del potere di riduzione che comunque spetta al giudice contabile.
È, dunque, la sussistenza del danno erariale il proprium della giurisdizione contabile, non potendosi essa sovrapporre né alla giurisdizione ordinaria sulla responsabilità civile correlata ad ogni attività soggetta al rispetto del principio del neminem laedere, né alla giurisdizione amministrativa erogatrice della tutela demolitoria e/o conformativa rispetto al provvedimento[4].
4. ‹‹Doppio binario›› o ‹‹due volte sullo stesso binario››?
La giurisprudenza della Corte di cassazione e la dottrina più autorevole tendono, in ogni modo, a smentire la tendenza osmotica funzionale fra responsabilità amministrativa e responsabilità civile.
La soluzione interpretativa tuttora più accreditata recita che non sussiste violazione del principio del ne bis in idem tra il giudizio civile introdotto dalla P.A., avente ad oggetto l'accertamento del danno derivante dalla lesione di un suo diritto soggettivo conseguente alla violazione di un'obbligazione civile, contrattuale o legale, o della clausola generale di danno aquiliano, da parte di soggetto investito di rapporto di servizio con essa, ed il giudizio promosso per i medesimi fatti innanzi alla Corte dei conti dal Procuratore contabile, nell’esercizio dell'azione obbligatoria che gli compete, poiché la prima causa è finalizzata al pieno ristoro del danno, con funzione riparatoria ed integralmente compensativa, a protezione dell'interesse particolare della singola Amministrazione attrice, mentre l’altra, invece, è volta alla tutela dell’interesse pubblico generale, al buon andamento della P.A. e al corretto impiego delle risorse, con funzione essenzialmente o prevalentemente sanzionatoria (Cass. 5 settembre 2024, n. 23833; Cass. 20 dicembre 2018, n. 32929; Cass. 14 luglio 2015, n. 14632).
Ai fini del sindacato delle Sezioni Unite sul riparto di giurisdizione, si assume, così, immutabilmente che, a fronte di un atto o di un comportamento di un pubblico dipendente, che, in via di conseguenza diretta o indiretta conseguenza, cagioni un indebito esborso di denaro pubblico o la mancata percezione di somme spettanti all'amministrazione, oppure la compromissione di interessi pubblici di carattere generale, connessi all’equilibrio economico e finanziario dello Stato, la responsabilità erariale, di cui conosce il giudice contabile, e la responsabilità civile e penale, di cui si occupa il giudice ordinario, sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali, anche quando investono un medesimo fatto materiale. La responsabilità erariale svolgerebbe, come già detto, un ruolo prevalentemente sanzionatorio conforme ad un generale interesse pubblico all’efficienza della P.A. ed all’impiego oculato delle sue risorse, mentre la responsabilità penale perseguirebbe i reati e la responsabilità civile si interesserebbe di assicurare all’amministrazione danneggiata il pieno ristoro del suo patrimonio, secondo criteri riparatori e compensativi. L'eventuale interferenza che venga a determinarsi tra i relativi giudizi, perciò, porrebbe, secondo l’uniforme pensiero della giurisprudenza, esclusivamente un problema di proponibilità dell'azione di responsabilità da far valere davanti alla Corte dei conti (cioè di c.d. “limite interno”), senza dar luogo ad una questione di giurisdizione, a meno che non sia contestata dinanzi al giudice contabile la configurabilità stessa, in astratto, di un danno erariale, in relazione ai presupposti normativamente previsti per il sorgere della responsabilità amministrativa contestata, tanto valendo a porre una questione di giurisdizione, agli effetti dell’art. 111, ottavo comma, Cost. e dell’art. 362 c.p.c., non essendo la Corte dei conti “il giudice naturale della tutela degli interessi pubblici e della tutela da danni pubblici” (Cass. Sez. Un. 14 aprile 2023, n. 9988; Cass. sez. Un. 23 febbraio 2022, n. 5978; Cass. Sez. Un. 15 febbraio 2022, n. 4871; Cass. Sez. Un. 23 novembre 2021, n. 36205; Cass. Sez. Un. 4 giugno 2021, n. 15570; Cass. civ. Sez. Un. 19 febbraio 2019, n. 4883; Cass. Sez. Un. 28 dicembre 2017, n. 31107; Cass. Sez. Un. 7 dicembre 2016, n. 25042; Cass. Sez. Un. 21 maggio 2014, n. 11229; Cass. Sez. Un. 7 gennaio 2014, n. 63; Cass. Sez. Un. 28 novembre 2013, n. 26582; Cass. Sez. Un. 23 novembre 2012, n. 20728).
A conforto dell’attuale stato delle cose giurisprudenziale, nei saggi dottrinali si osserva che restano evidenti le differenze fra responsabilità erariale e responsabilità civile, la prima tuttora connotandosi per l’officiosità dell’azione promossa del Procuratore contabile; la personalità del vincolo; la limitazione alla colpa grave; l’intrasmissibilità agli eredi; i limiti alla solidarietà passiva; la valorizzazione del potere riduttivo dell’addebito. Si tratta dei capisaldi della teoria del c.d. “doppio binario”, che, in realtà, per restare nella metafora ferroviaria, è davvero antica come la prima locomotiva a vapore, e, secondo la quale, ‹‹non essendovi una giurisdizione erariale esclusiva, azione civile e azione per risarcimento da danno erariale si differenziano per natura, ratio e portata della misura restitutoria. In tal modo, viene mantenuta la responsabilità civile dell’agente pubblico verso terzi, mentre la responsabilità erariale si lega a rapporti “interni”, che trovano fondamento nel “rapporto di servizio”, assumendo così finalità deterrenti per rafforzare i doveri di diligenza nell’esercizio della funzione››[5].
Mi sembra che la tesi della inalterata ecosostenibilità della teoria del c.d. ‹‹doppio binario›› meriti, tuttavia, qualche rimeditazione.
L’assunto della solitudine per incomunicabilità tra giurisdizione contabile sul danno erariale e giurisdizione ordinaria sulla responsabilità civile, come accennato, viene ancora oggi – comprensibilmente - richiamato dalla Corte di cassazione per affermare che la deduzione di una doppia condanna per il cumulo di tali titoli non rientra fra quelle che possono sorreggere un ricorso avverso sentenza della Corte dei conti ai sensi dell’art. 111, ottavo comma, Cost. e 362 c.p.c., trattandosi di questione attinente non ai limiti esterni delle attribuzioni giurisdizionali di detto giudice, quanto alla proponibilità della domanda avanti al giudice contabile, e, quindi, ai limiti interni della sua giurisdizione, ovvero ad un error in iudicando per violazione del ne bis in idem.
Altrimenti, principi analoghi si continuano a leggere, nel decidere su motivi formulati ai sensi dell’art. 360, primo comma, c.p.c., per smentire che la Corte dei conti abbia giurisdizione esclusiva in tema di danni causati all’amministrazione del dipendente, restando la giurisdizione civile e quella contabile reciprocamente alternative ed indipendenti nei loro profili istituzionali, anche quando investono un medesimo fatto materiale. Ne consegue che la giurisdizione della Corte dei conti per il giudizio sulla responsabilità dei funzionari che abbiano arrecato un danno all’erario è, si, speciale e particolare, ma non anche esclusiva, poiché non esclude la competenza del giudice ordinario sulla responsabilità civile, non essendovi illeciti di diritto pubblico e illeciti di diritto privato[6].
Ben diverso apparirebbe, invece, non prendere atto che:
a)sia l’azione di responsabilità amministrativa rientrante nella giurisdizione della Corte dei conti su iniziativa dal pubblico ministero contabile, sia l’azione di responsabilità civile esercitata dall’amministrazione danneggiata dinanzi al giudice ordinario, seguono identiche finalità di reintegrazione del patrimonio del soggetto leso e di deterrenza e sanzione dell’autore;
2) la natura civile del giudizio di responsabilità contabile, orientato al solo risarcimento dell’amministrazione danneggiata, ne esclude la soggezione al principio del divieto di bis in idem (Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, sentenza 13 maggio 2014, Rigolio contro Italia), il quale appartiene al diritto penale e si traduce nel divieto di punire due volte un soggetto per un medesimo “fatto storico”, cioè per la stessa vicenda materiale; non ricorre pertanto in questa materia neppure la necessità della connessione sostanziale e temporale tra procedimenti sanzionatori, che governa i casi di “doppio binario” punitivo in senso proprio allo scopo di assicurare il rispetto proprio della proporzionalità della pena complessiva cumulata;
3) si pone qui, piuttosto, un problema tipico del giudicato civile, che deve essere sempre idoneo ad accertare “a ogni effetto” se ed a chi spetti il diritto al bene della vita in contesa, coprendo “il dedotto e il deducibile”, sì da a dettare una stabile, ed anzi definitiva, regula iuris nel rapporto tra le parti;
4) si tratta, in sostanza, di evitare la duplicazione delle pretese e la distorsione ultracompensativa delle conseguenti statuizioni risarcitorie che facciano capo ad un’identica vicenda sostanziale e al medesimo rapporto tra l’amministrazione danneggiata e il suo dipendente, e siano perciò inscrivibili nello stesso ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo (da ultimo, Cass. Sez. Un. 19 marzo 2025, n. 7299);
5) non rassicura, al fine di individuare un rapporto di specialità che dissolva il concorso apparente di responsabilità, l’una erariale, l’altra civile, il criterio del bene o dell'interesse protetto dalle concorrenti tutele giurisdizionali, dovendosi invece verificare che le rispettive condanne, pur coincidendo sotto il profilo dell’identità dell'avversato comportamento doloso o gravemente negligente del funzionario pubblico, si differenzino per il fatto di dar rilievo, l’una e non l’altra, ad ulteriori elementi tipizzanti[7].
5. La confluenza del ‹‹doppio binario››
A tali possibili incongruenze applicative ha meritoriamente posto rimedio in modo esplicito la più recente elaborazione della giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, che, pur partendo dall’assunto della diversità del rilievo, rispettivamente pubblico e privato, degli interessi tutelati dalle autonome azioni di responsabilità contabile e di responsabilità civile, ha affermato con chiarezza il limite – evidentemente interno delle concorrenti giurisdizioni, attenendo al loro modo di esercizio - del divieto di duplicazione delle pretese risarcitorie, violativa del principio di effettività del danno.
Questa evoluzione rappresenta il puntuale sviluppo della netta affermazione contenuta tra le righe nella sentenza della Corte costituzionale n. 203 del 2022, ove, come visto nelle pagine precedenti, ribadendo che il pubblico agente può essere convenuto per il danno arrecato all’amministrazione sia davanti alla Corte dei conti, sia davanti al giudice ordinario, si è utilizzato il caveat «… senza naturalmente che vi sia cumulo del danno risarcibile, erariale o civile››[8].
Si tratta di un passaggio che, invero, si apprezzava già in Corte cost. 7 luglio 1988, n. 773, ove, nel negare la illegittimità costituzionale dell'art. 26 del previgente codice di procedura penale, in relazione all'art. 489, secondo comma, dello stesso codice, che precludeva l’azione di responsabilità amministrativa nei confronti del pubblico dipendente, in presenza del giudicato penale che avesse provveduto alla liquidazione del danno in favore della Pubblica Amministrazione costituitasi parte civile, si sottolineava che «il fatto, nella sua fenomenica oggettività, è il medesimo …, e che pertanto esso non può … dar luogo ad una duplicità di pretese (e di conseguenze) risarcitorie››.
In tal senso, si è dunque precisato che «il limite del divieto di duplicazione delle pretese risarcitorie, che non incide sulla giurisdizione, impone di tener conto, con effetto decurtante, di quanto già liquidato in altra sede (contabile o civile a seconda della priorità che in concreto si riscontra fra le azioni) e che quel limite potrà essere eventualmente fatto valere dal debitore anche in sede esecutiva›› (Cass. Sez. Un. 26 giugno 2024, n. 17634; ma già, a ben leggere, in Cass. Sez. Un. 15 febbraio 2022, n. 4871; Cass. 20 dicembre 2018, n. 32929; Cass. 14 luglio 2015, n. 14632).
Rimangono alcuni punti di attrito: non esiste possibilità di coordinamento in ipotesi di contemporanea pendenza del giudizio civile e del giudizio contabile sul medesimo fatto; l’azione dinanzi alla Corte dei conti deve, poi, comunque ritenersi preclusa nel caso in cui la condanna erogata dal giudice ordinario abbia consentito l’effettiva integrale refusione del danno (così si è sostenuto, ad esempio, nella Relazione al codice di giustizia contabile, ove si affermava che il legislatore delegato avesse preso atto della impossibilità di vietare in assoluto alle pubbliche amministrazioni di intraprendere giudizi risarcitori nei confronti dei dipendenti dinanzi al giudice civile, che pur potrebbero porsi come temerari e fonte di danno aggiuntivo, oltre che di sicuro onere in ragione dei costi di difesa).
6. Responsabilità civile per le ‹‹società in house››
L’art. 12 (Responsabilità degli enti partecipanti e dei componenti degli organi delle società partecipate) del d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), dispone:
1. I componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, salva la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house. È devoluta alla Corte dei conti, nei limiti della quota di partecipazione pubblica, la giurisdizione sulle controversie in materia di danno erariale di cui al comma 2.
2. Costituisce danno erariale il danno, patrimoniale o non patrimoniale, subito dagli enti partecipanti, ivi compreso il danno conseguente alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere per essi, che, nell’esercizio dei propri diritti di socio, abbiano con dolo o colpa grave pregiudicato il valore della partecipazione.
L’art. 12 d.lgs. n. 175 del 2016 ha dato attuazione all’art. 18 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche)[9], il quale, fra i principi e criteri direttivi del decreto legislativo per il riordino della disciplina in materia di partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche, individuato il “fine prioritario di assicurare la chiarezza della disciplina, la semplificazione normativa e la tutela e promozione della concorrenza”, indicava “la precisa definizione del regime delle responsabilità degli amministratori delle amministrazioni partecipanti nonché dei dipendenti e degli organi di gestione e di controllo delle società partecipate” e la “eliminazione di sovrapposizioni tra regole e istituti pubblicistici e privatistici ispirati alle medesime esigenze di disciplina e controllo”.
Il problema sicuramente più delicato che la formulazione dell’art. 12 del d.lgs. n. 175 del 2016 lascia irrisolto è proprio quello della configurabilità di una responsabilità civile concorrente rispetto a quella erariale degli organi delle società in house.
La posizione originaria su cui si attestò la giurisprudenza delle Sezioni Unite si ritrova nella sentenza n. 26283 del 2013: quando la società partecipata da enti pubblici e danneggiata dai propri gestori ed organi di controllo presenta le caratteristiche di una cosiddetta società in house, occorre prendere atto che è impossibile realizzare un soddisfacente coordinamento sistematico tra l’azione di responsabilità dinanzi al giudice contabile e l’esercizio delle azioni di responsabilità (sociale e dei creditori sociali) contemplate dal codice civile, in quanto il danno erariale e il danno civile sono reciprocamente escludenti. Il danno cagionato dagli organi della società al patrimonio sociale, che può dar vita all’azione sociale di responsabilità ed eventualmente a quella dei creditori sociali, è sofferto da un soggetto privato (la società) e non implica alcun danno erariale, sicché è inidoneo a configurare anche un’ipotesi di azione ricadente nella giurisdizione della Corte dei conti. Risulta viceversa configurabile l’azione del procuratore contabile quando sia volta a far valere la responsabilità dell’amministratore o del componente di organi di controllo della società partecipata dall’ente pubblico che sia stato danneggiato dall’azione illegittima non di riflesso, quale conseguenza indiretta del pregiudizio arrecato al patrimonio sociale, bensì direttamente. Dunque, per gli organi di società in house, costituendo queste mere articolazioni della pubblica amministrazione da cui promanano e non soggetti giuridici da essa autonomi, il danno eventualmente inferto al patrimonio sociale è arrecato ad un patrimonio (separato, ma) riconducibile all’ente pubblico, ed è perciò sempre erariale.
Il tema era poi al centro della questione di giurisdizione decisa nell’ordinanza delle Sezioni Unite n. 5848 del 2015 con riguardo a regolamento proposto in pendenza di un giudizio civile di responsabilità degli amministratori di una società totalitariamente partecipata da un ente pubblico. Il Procuratore generale aveva concluso per l’inammissibilità del regolamento di giurisdizione, muovendo dal presupposto che tra l’azione erariale proponibile dinanzi alla Corte dei conti e l’azione sociale di responsabilità esperibile nei confronti degli organi di società a norma del codice civile non sussista un rapporto di esclusività, bensì di alternatività. Le Sezioni Unite, al contrario, evidenziarono che la questione di giurisdizione sussisteva, in quanto alcuni dei convenuti nel processo dinanzi al tribunale civile avevano eccepito il difetto di giurisdizione, assumendo di essere in presenza di una situazione che comporterebbe la giurisdizione esclusiva del giudice contabile. Il Collegio si interrogò, allora, se, nel particolare caso di danni cagionati ad una società in house, gli specifici argomenti che hanno condotto le Sezioni Unite ad affermare la giurisdizione della Corte dei conti nelle azioni di responsabilità promosse nei confronti degli organi sociali responsabili di quei danni - implicanti l’inesistenza, almeno a questo fine, di un vero e proprio rapporto di alterità soggettiva tra la società partecipata e l’ente pubblico partecipante - non debbano al tempo stesso portare, sul piano logico, ad escludere la possibilità di una (eventualmente concorrente) giurisdizione del giudice ordinario investito da un’azione sociale di responsabilità per i medesimi fatti”. La risposta a tale quesito si rivelò, tuttavia, superflua nel caso di specie, in quanto la società di cui si discuteva era divenuta in house nel corso della sua esistenza, ma non lo era al tempo in cui i suoi amministratori e sindaci avevano tenuti i comportamenti oggetto di causa.
Dopo la ventata privatistica che investì le società a partecipazione pubblica con il d.lgs. n. 175 del 2016 (indicativi risultano i già ricordati art. 1, comma 3, e art. 14, comma 1), le ordinanze delle Sezioni Unite n. 22406 del 2018 e nn. 4883 e 10019 del 2019[10] hanno affermato l’ammissibilità della proposizione, per gli stessi fatti, di un giudizio civile e di un giudizio contabile risarcitorio e conseguentemente riconosciuto sussistente la giurisdizione del giudice ordinario con riferimento ad azioni di responsabilità esercitate dai curatori dei fallimenti di società in house” nei confronti degli amministratori, dei componenti degli organi di controllo e dei direttori generali delle stesse. La scelta del paradigma privatistico, in mancanza di specifiche disposizioni di segno contrario o di ragioni ostative di sistema, comporta l’applicazione del regime giuridico proprio dello strumento societario adoperato. Gli argomenti addotti da queste decisioni delle Sezioni Unite a sostegno del c.d. “doppio binario giurisdizionale” sono già stati esaminati nelle pagine precedenti: l’azione di responsabilità per danno erariale e l’azione civile intentata dalle amministrazioni partecipanti sono reciprocamente indipendenti, anche quando investano i medesimi fatti materiali: la prima è volta alla tutela dell’interesse pubblico generale, al buon andamento della P.A. e al corretto impiego delle risorse, mentre la seconda è finalizzata al pieno ristoro del danno, con funzione riparatoria ed integralmente compensativa, a protezione dell’interesse particolare della singola Amministrazione. La responsabilità contabile non può rivelarsi altrimenti paralizzante dell’attuazione della tutela dei creditori sociali. Non indurrebbe a diverso esito interpretativo il “Principio di concentrazione” sancito dall’art. 3 del d.lgs. n. 174 del 2016 (in forza del quale, “[n]ell’ambito della giurisdizione contabile, il principio di effettività è realizzato attraverso la concentrazione davanti al giudice contabile di ogni forma di tutela degli interessi pubblici e dei diritti soggettivi coinvolti, a garanzia della ragionevole durata del processo contabile”), giacché comunque non può darsi una pronuncia di condanna da parte della Corte dei conti in favore della società in house anziché dell’ente socio, così da offrire tutela ai creditori sociali. Il rischio della “duplicazione dei risarcimenti”, che la concorrenza delle azioni porta con sé, è problema pratico che non può incidere sull’assetto delle giurisdizioni. Si segnala, infine, l’aporia che deriverebbe dal supporre il difetto di giurisdizione del giudice ordinario adito pure quando la giurisdizione della Corte dei conti non sia stata radicata, per non aver esercitato l’azione erariale il Procuratore contabile, unico a tanto legittimato.
Anche l’ordinanza delle Sezioni Unite n. 614 del 2021 ha valutato l’eventualità che l’esclusione del rapporto di alterità soggettiva tra la società in house e l’ente pubblico partecipante conduca, attraverso l’affermazione del concorso tra la giurisdizione del Giudice contabile investito dall’azione di risarcimento del danno erariale e quello ordinario investito della azione sociale di responsabilità, ad una duplicazione di giudicati inerenti al medesimo fatto; ciò non costituisce ostacolo alla coesistenza delle azioni aventi “ad oggetto il medesimo danno”, visto che le “due giurisdizioni sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali, e tenuto altresì conto della tendenziale diversità di oggetto e di funzione tra i relativi giudizi”. Sicché, “il rapporto tra le due azioni si pone in termini di alternatività anziché di esclusività, e non dà quindi luogo a questioni di giurisdizione ma, eventualmente, di proponibilità della domanda …, fermo restando il limite (che può essere fatto valere, se del caso, anche in sede di esecuzione) rappresentato dal divieto di duplicazione del risarcimento, il quale impone a ciascuno dei Giudici di tener conto, nella liquidazione, di quanto eventualmente già riconosciuto nell’altra sede”.
Questo ennesimo profilo dilemmatico del tema in esame è inevitabilmente correlato al testo della norma.
Quando il primo comma dell’art. 12 del d.lgs. n. 175 del 2016 fa “salva la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house” intende comunque riferirsi soltanto al danno erariale (la precisazione “nei limiti della quota di partecipazione pubblica” non rileva per le società in house, ove la partecipazione è totalitaria) descritto dal secondo comma, e cioè a quello “subito dagli enti partecipanti”? Se così fosse, sarebbero estranee alla giurisdizione contabile le domande aventi ad oggetto il danno subìto dal patrimonio dalla società in house, e cioè le azioni sociali di responsabilità ex art. 2393 c.c. e le azioni di responsabilità verso i creditori sociali ex art. 2394 c.c.
Se invece pure si recidesse il collegamento, di cui ai due commi dell’art. 12, tra la clausola di salvezza della giurisdizione contabile per il danno inerente alle società in house e il danno subito dai soli enti partecipanti, riferendosi al generale ambito della giurisdizione della Corte dei conti nei giudizi di conto di responsabilità amministrativa per danno all’erario, resterebbe da trovare un giudice che conosca dell’autonoma azione dei creditori sociali diretta a far valere la responsabilità degli organi della società nei loro confronti a norma dell’art. 2394 c.c.[11] Né le esigenze di effettività di tutela dei creditori sociali potrebbero ritenersi soddisfatte dall’intervento nel giudizio erariale, essendo lo stesso rimesso all’iniziativa del procuratore contabile e operando in esso la responsabilità unicamente per i fatti e le omissioni commessi con dolo o colpa grave, la trasmissibilità del debito agli eredi nei limiti dell’illecito arricchimento del dante causa e dell’indebito arricchimento degli eredi stessi, il potere di riduzione della condanna, la condanna delle più persone che abbiano causato lo stesso danno ciascuno per la parte che vi ha preso, a meno che non abbiano conseguito un illecito arricchimento o abbiano agito con dolo [12].
Oltre all’azione civile e all’azione contabile, tentano, dunque, di mantenere una specie di coesistenza pacifica e diffidente, tanto in giurisprudenza che in dottrina, tesi secondo cui il danno cagionato alla società in house è indistintamente un danno arrecato all’ente pubblico, unici essendo il soggetto ed il suo patrimonio, quanto meno in termini di appartenenza, e tesi che invece individuano azioni di responsabilità volte a risarcire il danno subìto dal patrimonio dalla società in house e non anche dal patrimonio dell’ente pubblico partecipante.
7. Quale futuro per la responsabilità amministrativa?
Com’è noto, un ampissimo dibattito ha suscitato la sentenza della Corte costituzionale n. 132 del 2024, per aver essa tracciato gli scenari del mondo ideale della responsabilità amministrativa, della quale la sentenza ha auspicato una complessiva riforma per ristabilire una coerenza tra la sua disciplina e le trasformazioni dell’amministrazione “di risultato”, disegnando nuovi punti di equilibrio nella ripartizione del rischio dell’attività tra l’amministrazione e l’agente pubblico, con l’obiettivo di rendere la responsabilità ragione di stimolo e non disincentivo all’azione, così da debellare il fenomeno della “burocrazia difensiva” ed alleviare la fatica dell’amministrare, senza sminuire la funzione deterrente della responsabilità amministrativa[13].
La sentenza n. 132 del 2024 ha suggerito: un’adeguata tipizzazione della colpa grave; l’introduzione, in aggiunta al potere giudiziale di riduzione ex post, di un limite massimo (“tetto”) ex ante oltre il quale il danno, per ragioni di equità nella ripartizione del rischio, non venga addossato al dipendente pubblico, ma resti a carico dell’amministrazione; la rateizzazione del debito risarcitorio; la previsione di fattispecie obbligatorie di esercizio del potere riduttivo; il rafforzamento delle funzioni di controllo della Corte dei conti, con il contestuale abbinamento di una esenzione da responsabilità colposa per coloro che si adeguino alle sue indicazioni; la incentivazione delle polizze assicurative; l’esclusione della responsabilità colposa per specifiche categorie di pubblici dipendenti, anche solo in relazione a determinate tipologie di atti.
Da ultimo, per quanto qui più interessa, la Corte costituzionale ha segnalato al legislatore l’opportunità di «intervenire per scongiurare l’eventuale moltiplicazione delle responsabilità degli amministratori per i medesimi fatti materiali e spesso non coordinate tra loro››[14].
Lo scenario che ne emerge, ricostruito anche alla luce del convergente progetto riformatore veicolato dalla proposta di legge A.C. n. 1621, non è univoco: da un lato, le ipotesi riformatrici sembrano volte a rafforzare la dimensione prettamente pubblicistica della responsabilità amministrativo-contabile, distaccandosi dagli irrinunciabili principi civilistici del danno effettivo e dell’integralità della riparazione risarcitoria, in nome di un bilanciamento tra contrapposti interessi, parimenti meritevoli di tutela, tra la funzione deterrente della medesima responsabilità erariale e l’alleggerimento della fatica dell’amministrare; d’altro lato, si intenderebbe incentivare l’utilizzo di strumenti prettamente privatistici, quali le coperture assicurative e gli accordi di conciliazione e transazione, che suppongono diritti disponibili e comunque non possono scalfire la garanzia di responsabilità personale e diretta dei funzionari e dipendenti dello Stato nei confronti dei cittadini, a norma dell’art. 28 Cost., il che dovrebbe costituire, piuttosto, un fattore di ulteriore frammentazione dei giudizi di responsabilità dinanzi alle diverse Corti munite di giurisdizione[15].
L’indicazione della incentivazione delle polizze assicurative dovrà confrontarsi con l’esigenza di consentire la chiamata in garanzia della società assicuratrice, il che non è ammesso nell’esercizio della giurisdizione della Corte dei conti.
Nella medesima prospettiva, andrebbero valutati gli effetti della profilata tipizzazione delle ipotesi di colpa grave, le quali varrebbero nella responsabilità del pubblico dipendente verso l’amministrazione e non verso i terzi, con necessità di coordinamento rispetto alle ipotesi in cui la stessa amministrazione, condannata a risarcire il danno al terzo, agisca poi in rivalsa nei confronti dell’impiegato.
Come, poi, mettere a regime la previsione di “tetti” di responsabilità ragguagliati al trattamento economico complessivo annuo quando tra l’autore dell’illecito causativo di danno patrimoniale e l’ente pubblico che il danno subisce non intercorre un rapporto di impiego in senso proprio, oppure quando il danno sia stato cagionato ad enti pubblici diversi da quelli di appartenenza dell’agente?
Come, ancora, ipotizzare fattispecie obbligatorie normativamente tipizzate di riduzione, entro un minimo e un massimo predeterminati, nella quantificazione di un danno che già conosce un potere di riduzione discrezionale, deve tener conto dei vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione o dalla comunità amministrata, e impone di condannare ogni corresponsabile per la parte che ha contribuito al fatto dannoso?
Non appare, infine, improbabile un notevole incremento dei ricorsi per cassazione contro le decisioni della Corte dei conti, volti a denunciare la violazione delle nuove disposizioni di tipizzazione della colpa grave o dei divieti di cumulo di azioni, o il superamento del “tetto” della condanna risarcitoria, o il mancato esercizio della riduzione in ipotesi obbligatoria, o il mancato esonero ex lege da responsabilità per l’adeguamento osservato alla indicazioni espresse in sede consultiva, o per l’appartenenza a taluna delle specifiche categorie di dipendenti esentati, ove tutti questi innovativi parametri si intendessero non quali limiti di merito interni alla potestas iudicandi, quanto, piuttosto, quali presupposti normativamente previsti per il sorgere della responsabilità amministrativa contestata dal Procuratore contabile, perciò integranti questioni di giurisdizione.
[1] Com’è noto, l’art. 21, comma 2, del d.l. n. 76 del 2020, come convertito, ha introdotto una disciplina temporanea dell’elemento soggettivo (prorogata con successivi decreti-legge fino al 31 dicembre 2024), che, quanto alle condotte attive, ha limitato la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti alle sole ipotesi dolose. La legittimità costituzionale di tale regime normativo provvisorio, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., è stata affermata nella già “storica” sentenza della Corte costituzionale n. 132 del 2024.
[2] Così Corte cost. 28 luglio 2022, n. 203, che ha dichiarato inammissibili, per la richiesta di un intervento additivo precluso alla Corte costituzionale, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 83, commi 1 e 2, cod. giustizia contabile, che rispettivamente prevedono il divieto di chiamata in causa di altri soggetti non evocati in giudizio dal p.m. e impongono comunque all’autorità giudiziaria di valutare la responsabilità di tutti i soggetti concorrenti nell’illecito ai fini della decisione sull’eventuale scomputo di quote di responsabilità a carico dei convenuti. La sentenza ha osservato che la norma censurata non esclude il possibile esercizio, da parte del giudice, in caso di «fatti nuovi», del potere officioso di segnalazione al p.m., che, titolare del potere di azione, potrà invitare il terzo a dedurre, al fine di discolparsi. Se invece la ipotizzata corresponsabilità del terzo derivi da un diverso apprezzamento da parte del giudice di fatti già valutati dal p.m., è giustificato il fatto che il terzo non possa essere chiamato a intervenire in giudizio, perché significherebbe un’inammissibile estensione officiosa della domanda del p.m., senza la garanzia, per il terzo, di una previa formale istruttoria e soprattutto senza il previo invito, a quest’ultimo, a dedurre e a discolparsi. Quanto, infine, alla possibilità di un’iniziativa volontaria del terzo stesso, essa implicherebbe la costruzione di una fattispecie processuale di suo intervento in giudizio e, prima ancora, di denuntiatio litis, che appaiono scelte di sistema devolute al legislatore. Tuttavia, secondo la Corte cost., il denunciato deficit di tutela del terzo, non convenuto e il cui intervento in giudizio non può essere ordinato dal giudice, né aversi su base volontaria senza aderire alla posizione del p.m., chiama il legislatore a intervenire nella materia, compiendo le scelte discrezionali ad esso demandate..
[3] Come osserva G. Bottino, Responsabilità amministrativa per danno all’erario, in Enc. Dir., Annali, X, 2017, 761, è “non eliminabile il rapporto che intercorre tra la natura giuridica della responsabilità amministrativa per danno erariale e le funzioni ad essa ascrivibili: la riconduzione alla responsabilità civile ne accentua infatti la funzione risarcitoria, e reintegratoria, del patrimonio delle pubbliche amministrazioni danneggiate; la costruzione di una natura giuridica propria, ed autonoma, rende invece più pronunciata la funzione sanzionatoria a carico degli agenti pubblici danneggianti”.
[4] R. Alessi, Responsabilità amministrativa patrimoniale, in N.ssmo Dig. It., XV, Torino, 1957, 623: ‹‹il fondamento della responsabilità che qui si esamina è la effettiva produzione di un danno erariale, cioè la violazione del diritto dell’amministrazione all’integrità del suo patrimonio, non la mera violazione di obblighi di comportamento incombenti agli impiegati (elemento che, eventualmente, potrà porsi come causa del fatto dannoso)››. Così, ancora di recente, L. Caso, Danno erariale e burocrazia difensiva, in Rivista Amministrativa della Repubblica italiana, 2023, 11-12, 623.
Per le tesi che hanno configurato la responsabilità amministrativa come speciale responsabilità di diritto pubblico, che ha fonte nel rapporto di servizio precostituito e si sostanzia nella violazione dei relativi obblighi, costituente un illecito amministrativo, si veda F. Garri, Responsabilità amministrativa, in Enciclopedia Giuridica Treccani, Roma, 1991, 1 ss.
[5] Così nel pregevolissimo contributo di G. Rivosecchi, Il bastone e la carota. Appunti su una proposta di riforma della Corte dei conti, in Osservatorio costituzionale, 4/2024, 9, che esamina criticamente i contenuti della proposta di legge A.C. n. 1621, di riforma complessiva delle funzioni affidate alla Corte dei conti, ove si cita indicativamente, a base della teorica del ‹‹doppio binario››, M.R. Morelli, Art. 28, in V. Crisafulli – L. Paladin, Commentario breve alla Costituzione, Padova, 1990, 199 e 202 ss.
[6] Le Sezioni Unite della Corte di cassazione riconoscono che la affermazione di una giurisdizione esclusiva in materia (come ad esempio sosteneva R. Alessi, Responsabilità amministrativa patrimoniale, cit., 624) e “l’eventuale ripensamento del principio del «doppio binario» … produrrebbe(ro) come effetto nella fattispecie quello dell’affermazione della giurisdizione del solo giudice contabile, giammai quello della negazione del potere di ius dicere in capo a quest’ultimo”: Cass. Sez. Un. 26 giugno 2024, n. 17634.
[7] L. Caso, Danno erariale e burocrazia difensiva, cit., 626 - 627, lamenta il ruolo passivo in cui il presunto autore del danno è relegato di fronte alla facoltà dell’amministrazione di scegliere tra la segnalazione alla Procura della Corte dei conti, la citazione innanzi al giudice civile o la costituzione di parte civile nell’eventuale processo penale, nonché il pregiudizio al diritto di difesa che lo stesso pubblico dipendente subisce allorché sia convenuto innanzi alla Corte dei conti per rispondere di un danno indiretto accertato in un giudizio civile cui egli sia rimasto estraneo.
[8] Corte cost. 28 luglio 2022, n. 203.
[9] Dichiarato costituzionalmente illegittimo, con riguardo alle lettere a), b), c), e), i), l) e m), numeri da 1) a 7), nella parte in cui, in combinato disposto con l’art. 16, commi 1 e 4, della medesima legge n. 124 del 2015, prevede che il Governo adotti i relativi decreti legislativi attuativi previo parere, anziché previa intesa, in sede di Conferenza unificata: Corte Cost. 25 novembre 2016, n. 251.
[10] Precedute dall’ordinanza n. 24591 del 2016 e dalla sentenza n. 7759 del 2017 che, sempre con riguardo a società in house, avevano già attribuito al giudice ordinario le azioni concernenti, rispettivamente, la nomina o la revoca di amministratori e sindaci e le procedure seguite per l’assunzione del personale dipendente.
[11] Le ragioni di tutela dei creditori sociali sono state sempre poste in primo piano in dottrina per confutare le soluzioni “pan-erariali”, sottolineandosi come la separazione dei patrimoni dell’ente pubblico e della società in house serve altresì a scongiurare il rischio che i creditori sociali possano agire nei confronti del socio pubblico o che i creditori dell’ente pubblico si rivalgano nei confronti del patrimonio sociale: C. Ibba, Responsabilità erariale e società in house, cit. 13 ss.; già C. Ibba, Azioni ordinarie di responsabilità e azione di responsabilità amministrativa nelle società in mano pubblica. Il rilievo della disciplina privatistica, in Riv. dir. civ., 2006, II, 145 ss.
[12] Così C. Ibba, Responsabilità erariale e società in house, in Giur. comm. 2014, 13 ss.; “[n]on bisogna dimenticare, infatti, che la responsabilità amministrativa ha presupposti e caratteristiche che limitano l’effetto riparatorio (perché è attivabile solo in caso di dolo o colpa grave, è tendenzialmente parziaria e intrasmissibile mortis causa ed è quantificabile — e di regola quantificata — in un importo ridotto rispetto all’ammontare del danno), sicché ammetterla nei confronti degli amministratori equivarrebbe a sacrificare le finalità di riequilibrio patrimoniale proprie della responsabilità civilistica ovvero, ove si ritenesse configurabile una successiva azione in sede civile per il danno residuo, a costringere a una «moltiplicazione dei giudizi» (cosa che peraltro supporrebbe il superamento dell’esclusività della giurisdizione contabile)”.
Si vedano più di recente M. Perrino, Responsabilità degli organi di amministrazione e controllo di società a partecipazione pubblica (anche in house) e riparto di giurisdizione, in Riv. dir. soc. 1919, 15-38; F. Lorenzetti, La responsabilità degli amministratori nelle società partecipate e il riparto di giurisdizione tra la Corte dei Conti e il Giudice Ordinario, in Federalismi.it, 15 giugno 2022, 201-2019.
[13] In realtà, è già approdo raggiunto in giurisprudenza che, in tema di giudizi di responsabilità amministrativa, la Corte dei conti debba verificare pure se gli strumenti scelti dagli amministratori pubblici siano adeguati oppure esorbitanti ed estranei rispetto al fine pubblico da perseguire, poiché la verifica della legittimità dell’attività amministrativa non può prescindere dalla valutazione del rapporto tra gli obiettivi conseguiti e i costi sostenuti, secondo i criteri di efficacia ed economicità di cui all’art. 1 della l. n. 241 del 1990, senza che ciò implichi un sindacato sul merito delle scelte discrezionali dell’amministrazione e, dunque, una violazione dei limiti esterni della giurisdizione ovvero della riserva di amministrazione: Cass. Sez. Un. 23 gennaio 2024, n. 2290.
[14] Estremamente critico al riguardo (come, per la verità, sull’intera sentenza) V. Tenore, Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare: lo “scudo erariale” è legittimo perché temporaneo e teso ad alleviare “la fatica dell’amministrare”, che rende legittimo anche l’adottando progetto di legge Foti C1621, in Foro it. 2024, 4, V, osservandosi che la proposta di scongiurare l’eventuale moltiplicazione delle responsabilità degli amministratori per i medesimi fatti materiali, spesso non coordinate tra di loro, è contraria al principio generale di plurioffensività delle medesime condotte, potendo lo stesso comportamento configurare, cumulativamente, un reato, un danno erariale, un illecito disciplinare e un danno civile arrecato a terzi, sicché il cumulo di reazioni non può essere precluso legislativamente se non nei casi di sanzioni della medesima natura secondo le note categorie del ne bis in idem.
I consigli somministrati nella sentenza n. 132 del 2024 sono in gran parte coincidenti con le linee in cui si articola il d.d.l. A.C. n. 1621, recante “Modifiche alla legge 14 gennaio 1994, n. 20, al codice della giustizia contabile, di cui all’allegato 1 al decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174, e altre disposizioni in materia di funzioni di controllo e consultive della Corte dei conti e di responsabilità per danno erariale”. In proposito, F. S. Marini, La sentenza n. 132 del 2024: la Corte costituzionale sperimenta nuove tecniche decisorie, in Rivista della Corte dei conti, 2024, 4, I, 1 ss.; F. Cintioli, La sentenza della Corte costituzionale n. 132 del 2024: dalla responsabilità amministrativa per colpa grave al risultato amministrativo, in Federalismi.it, 2024/19, 122 ss.; D. Palumbo, La sentenza della Corte costituzionale n. 132/2024: verso un nuovo punto di equilibrio nella ripartizione del rischio tra la P.A. e l’agente pubblico?, in Giustizia insieme 18 novembre 2024; L. Balestra, Per un ripensamento della responsabilità erariale e, più in generale, delle funzioni della Corte dei conti, in Giur. it. 2024, 2166 ss.; G. Bottino, La «quadratura del cerchio»: amministrare per risultati, temere le responsabilità pubbliche, difendersi perché «così fanno tutti», in Giur. cost., 2024, 1619 ss.
[15] Cfr. G. Rivosecchi, Il bastone e la carota. Appunti su una proposta di riforma della Corte dei conti, cit., 21 ss.
[i] Estratto dal testo della relazione dal titolo Confronto a due voci tra Corte dei Conti e Sezioni Unite civili tenuta nel corso Le interazioni tra disciplina di contabilità pubblica e questioni civilistiche organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura e programmato nella sede di Napoli - Castel Capuano dal 14 al 16 aprile 2025.
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